Eco coel k'a scrive Françisco Villar ente ła so opara:LI ENDOUROPEI E ŁE OREXINI DEL’OUROPA
Sto otor ensegna łengoestega endoropea inte l’ogneversetà de Salamanca (penixla iberega, comonetà otonoma de Casteja e Leon).
Nota mia:
Come tuto coel ke i dixe torno ła storia de łe łengoe i endoropeisti xe da ciaparli co i pironei o e pinsete, parké i gà na vista on fià deformà de łe robe.
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Capitolo ottavo
Gli slavi e i venediSlavo è una parola con una storia curiosa.
Deriva in ultima analisi da
slovĕne, nome con cui questo popolo chiama se stesso.
La parola in greco medievale assunse la forma
σχλαβηνός, a partire dalla quale si creò un derivato regressivo
σχλάβος, già attestato dal VI secolo d.C.
Durante il Medioevo gli slavi furono vittime del commercio schiavista di Bisanzio (cristiana), sicché il nome del popolo divenne denominazione generica di «schiavo».La schiavizzazione degli slavi nel Medioevo è storicamente documentata.
È invece del tutto priva di fondamento la vecchia tesi di
Peisker, per il quale la condizione di schiavo sarebbe stata per questo popolo costante fin dall’antichità, sottomesso di volta in volta al servizio di nuovi popoli.
A causa di uno di quegli imprevedibili capricci dell’evoluzione semantica, una parola il cui significato originario era ben diverso ha finito col significare «schiavo».
Sembra evidente la sua appartenenza alla radice indoeuropea
*kleu-/ klou-/-klu- «sentire» che con fonetica slava diventa
slav- (
slava «fama») e
slov- (
slovo «parola»).
Perché è normale nella famiglia indoeuropea l'associazione in questa stessa radice delle nozioni di «sentire, ascoltare» (come in greco χλυθι «ascolta!») e di «fama, reputazione, gloria» (come in italiano
inclito «illustre, famoso»).
Ciò rivela naturalmente una determinata concezione dei valori nella società indoeuropea: la gloria dipende soprattutto da ciò che «si sente dire» di una persona, dal fatto che il suo nome vada di bocca in bocca.
È questo infatti che alla fine rende nobili.
Anche «nobile/ignobile» (latino gnobilis/ignobilis) ha un'etimologia basata sullo stesso sostrato di valori sociali: «noto/ignoto».
Così pure fama «ciò che si dice di qualcuno»,
I percorsi per etimologizzare il nome degli slavi a partire da questa radice sono due: se
slovĕne fosse un derivato dì
slava «fama», gli slavi sarebbero «i famosi, i rinomati»; se lo fosse di
slovo «parola» sarebbero «i parlatori».
Secondo alcuni, quest’ultima ipotesi sarebbe appoggiata dal fatto che gli slavi chiamano i tedeschi
nĕmĭci «i muti». I più scettici dubitano di entrambe le etimologie osservando che i suffissi slavi in
-ĕn, -enin, -janin (come quello di
slovĕne) sono caratteristici dei derivati dai toponimi, di modo che in questo caso slavo significherebbe «abitanti di
*Slovo».
Tuttavia *
Slovo non si conosce né ha una forma o un legame etimologico che ne renda plausibile la condizione di toponimo.
Come ho già detto altrove in questo libro, il nome con cui si designano i popoli a volte non è il medesimo nella lingua autoctona e in quelle straniere.
I nomi etnici indigeni (endoetnici) hanno in generale un carattere diverso da quelli stranieri (esoetnici). Questi ultimi comprendono denominazioni ironiche, dispettose, che alludono a difetti o a caratteristiche ridicole. Tipicamente esogeno è l'etnico
nĕmĭci «muti» detto dei tedeschi.
Tra i nomi che i popoli danno a se stessi, invece, è normale che abbondino gli aggettivi encomiastici che alludono al valore, al potere, alla forza, cosa frequente per l’appunto tra i popoli indoeuropei antichi. E in questo senso l’interpretazione di
slovĕne, indubbiamente endoetnico, come «i famosi, i nobili» è quella che risulta più attraente.
Gli slavi non sono presenti tra i popoli che si scontrarono con l’impero romano e, pertanto, non abbiamo dettagliate informazioni di epoca antica su di loro.
Nonostante ciò, gli studiosi raccolgono, com’è naturale, qualsiasi allusione fugace che nella storiografia greca o romana si possa trovare.
Naturalmente col nome di slavi non compaiono fino al VI secolo d.C. Una delle prime menzioni, se non addirittura rigorosamente la prima, è di Jordanes, storico dei goti (verso il 550 d.C.). Con altri nomi però potrebbero essere stati citati fin da Erodoto (V secolo a.C.). Quando descrive il paese degli sciti, lo storico greco potrebbe riferirsi a loro coi nomi di
budini,
sciti agricoltori e
neuri, che avrebbero abitato a ovest del corso medio del fiume
Βορυσθέης (Boristenes), l’attuale
Dnepr.
Sempre secondo Erodoto, quando Ciro attacceò gli sciti, alcuni di loro si sarebbero spostati più a nord, sfuggendo alla pressione persiana.
Non è necessario esagerare l’importanza che queste citazioni, nonostante la loro modestia, hanno per la localizzazione della patria originaria degli slavi.
Sfortunatamente, però, non siamo sicuri che si tratti effettivamente degli slavi. Dobbiamo fare un salto di cinquecento anni, fino ad arrivare a Pomponio Mela, Plinio, Strabone e Tacito, per trovare allusioni ragionevolmente sicure. In questi autori si parla del popolo dei Venedi, parola che ha alcune varianti, la principale delle quali è Venethi. Sia
Plinio sia
Tacito collocano i
venedi sulle sponde della
Vistola, che
Plinio significativamente chiama
Vistla, forma che coincide esattamente con quella che si potrebbe ricostruire, attraverso procedimenti linguistici, come antecedente protoslavo delle denominazioni slave storiche di questo fiume (Wisła).
Un secolo più tardi
Tolomeo dice dei venedi che sono un popolo di considerevoli dimensioni ubicato nel
Golfo vendico, indubbiamente la regione della moderna
Danzica.
L’argomento della Vistola è forte come dimostrazione del fatto che i venedi sono slavi. Un po' dopo, però, c’è una conferma esplicita in
Iordanes quando dice che nei pressi dei
Carpazi, a cominciare dalle
sorgenti della Vistola, abita la popolosa razza dei veneti che occupa una grande distesa di terra, e aggiunge che si dividono in due gruppi principali, gli slavi e gli anti.
La relazione esatta tra le due denominazioni, slavi e venedi, è incerta, anche se ci sono ragioni per pensare che venedi erano originariamente gli slavi più occidentali.
Venedo ha a sua volta un'etimologia nota, a partire dalla radice *wen- «amare»: *wenetoi sarebbero «gli amati» o forse «gli amabili, gli amichevoli». Si tratta inoltre di un
etnico presente in vari rami della famiglia indoeuropea:
i
veneti dell’Adriatico settentrionale (italici) che diedero il nome a
Venezia;
una tribù illirica nei Balcani, che i greci chiamano 'Eνετοι;
una tribù celtica conosciuta da Cesare (i veneti) che ha lasciato traccia del nome nella città francese di Vannes;
e infine i
venetulanos del Lazio.
La variante con
-d- (
venedi) si deve alla trasmissione attraverso lingue germaniche, dove la forma originaria con
-t- subì gli effetti della rotazione consonantica del germanico, per la precisione con la
sonorizzazione di Verner.
Nonostante queste citazioni nelle fonti antiche, gli studiosi moderni non sono concordi nel delimitare con esattezza la patria originaria degli slavi. Benché ci siano numerose proposte, ciascuna di esse con diverse varianti, le più fondate possono ridursi a due gruppi.
Secondo la prima ipotesi, che usualmente viene chiamata ipotesi sud-orientale, si troverebbe nel territorio compreso tra il lato nord dei Carpazi, le terre paludose del Prip’at, il corso medio del Dnepr e il fiume Bug occidentale, territorio che appartiene oggi alla Polonia e alla Bielorussia.
Per la seconda, chiamata ipotesi occidentale, la patria degli slavi va situata nelle valli della Vistola e dell’Oder, in territori che oggi appartengono alla Germania e alla Polonia.
A queste ipotesi di tradizione più o meno vecchia, bisogna aggiungerne alcune recenti, in particolare quella di J. Udolph, basata principalmente su argomenti di toponomastica. Udolph propone un’area situata tra l’Ucraina occidentale e la Polonia meridionale, area che coincide con la regione tradizionalmente chiamata Galizia.
Citerò anche quella del russo Trubačëv, che pensa che la prima culla degli slavi sia nella regione danubiana, ipotesi che può rientrare in un terzo gruppo che ha per comune denominatore l'ubicazione a sud dei Carpazi.
Come si può osservare, ad eccezione di quelle sudcarpatiche, tra le altre ipotesi non esistono abissi invalicabili, poiché ruotano tutte attorno a territori dell’attuale Polonia, tenendo conto dei confini sempre fluidi dei popoli dell'antichità.
Comunque sia, considerazioni di natura linguistica suggeriscono contatti dello slavo comune con lingue diverse, cosa che permette una delimitazione della zona in termini di lingue.
A ovest deve essere stato in contatto con celti. e germani; a nord con i balti; a sud-est con popoli iranici, forse sciti; e a nord-est con genti non indoeuropee della famiglia ugro-finnica e forse anche altaica.
Al di là di sporadiche citazioni in storici greci e romani, gli slavi entrano veramente nella storia abbastanza tardi, dopo le grandi migrazioni. Sembra che abbiano cominciato a muoversi già dal I secolo d.C., prima verso ovest, verso la regione del Danubio, occupando almeno in parte l'attuale Ungheria.
L’episodio finale, che si concluse con l'occupazione dei Balcani, sembra sia stato scatenato dal collasso dell’impero unno, verso il 455.
Fino alle grandi migrazioni gli slavi erano rimasti in un territorio di proporzioni piuttosto modeste, frequentemente attraversato e forse devastato da diverse genti, soprattutto celti e germani e infine unni
Nel VI secolo, quando le grandi migrazioni terminarono, gli slavi si trovavano insediati in vastissime regioni, dal Baltico al Mediterraneo, dall’Elba, dalle selve della Boemia e dalle Alpi, fino al Don.
A quest’epoca lo storico
Procopio ci dice che gli slavi si dividono in tre tribù:
anti o slavi dell’est;
sklaveni o slavi del sud e
veneti o slavi dell’ovest.
Ci sono però motivi per pensare che tale divisione non dovesse avere in quel momento contenuto dialettale, ma meramente geografico o forse etnico.
Nei secoli successivi il territorio occupato dagli slavi non seguì dappertutto la stessa sorte.
Nei
Balcani le popolazioni slave trovarono vari tipi di sostrato: greco, latino (non solo) e, forse, illirico e tracio.
La slavizzazione riuscì a trionfare su quasi tutta la costa dalmata e nella zona centroorientale (Bulgaria).
Gli slavi furono invece assorbiti a sud della costa dalmata dagli illiri (Albania), in tutto il sud e sud-est dai greci (Grecia), e a nord-est dai latini (Romania).
Nell’Europa centrale occuparono zone che per secoli erano appartenute ai celti, poi sostituiti (saria mejo dir integrà) dai germani, in territori che oggi fanno parte della Polonia, della Germania, della Slovacchia e della Repubblica Ceca, fino a scontrarsi con diverse stirpi germaniche, soprattutto il regno dei franchi.
Così come pure occuparono la regione che oggi corrisponde all’Ungheria, il cui suolo ha visto succedersi diverse stirpi indoeuropee: la dacica, la pannonica, con rapporti più o meno prossimi agli illirici, la celtica, la sarmatica, la latina, la germanica (con varie tribù) e infine la slava.
L’Ungheria rappresentò il punto di massima espansione raggiunta dagli slavi nell’Europa centrooccidentale.
A partire da allora iniziò una recessione della loro presenza, che è durata per tutto l’ultimo millennio.
Già nel IX secolo si verificò un’invasione di elementi ugrofinnici in Ungheria, provenienti dai versanti sud-orientali degli Urali, che si imposero sugli slavi e diedero al paese magiaro la sua attuale identità. Nella stessa epoca in Bulgaria penetrò un’invasione di temibili cavalieri di filiazione uraloaltaica, probabilmente di tipo turco-mongolo, che erano chiamati bulgari.
Ma accade l’inverso di quanto era avvenuto in Ungheria: queste genti furono assorbite dagli slavi e lasciarono il ricordo del loro passaggio soltanto nell’attuale nome del paese.
Anche a ovest, alla frontiera con la Germania, è avvenuta una recessione slava che ha comportato la scomparsa di una parte dei dialetti più occidentali, che siamo soliti chiamare lechiti.
Tra l’altro, gli incidenti di frontiera tra germani e slavi sono continuati fino al XX secolo, con una serie di episodi che culminarono con lo scoppio della seconda guerra mondiale (i Sudeti, Danzica).
Forse grazie al riconoscimento reciproco delle frontiere attuali sarà compiuto un processo di consolidamento durato più di mille anni.
L'espansione slava verso Oriente è invece continuata ininterrottamente fino ai giorni nostri. Verso nord-est è avvenuta a spese dei balti, gli antichi vicini settentrionali degli slavi.
E verso est, soprattutto a spese di popolazioni ugrofinniche e altaiche. Nel 1860 i russi fondarono la città di Vladivostok, «il dominatore dell’Oriente», su ciò che fino ad allora era stato un piccolo paesino di pescatori manciù.
Così le lingue slave raggiunsero la costa del Pacifico.
I primi documenti in assoluto scritti in lingua slava risalgono al IX secolo d.C. In quel momento tutti gli slavi parlavano una lingua, sostanzialmente la stessa (?). Sicuramente c’erano delle differenze dialettali, come in qualsiasi lingua comune a un’ampia popolazione.
Forse però non maggiori di quelle esistenti nell’italiano contemporaneo (coxa intendeło sto Villar ?).
L'attuale divisione dialettale slava fu il risultato dell’emigrazione, avvenuta, com'è naturale, vari secoli dopo che quella avesse luogo.
I grandi periodi di cambiamenti linguistici sono, spesso, conseguenza di grandi cambiamenti politico-sociali.
Tra l’VIII e l’XI secolo si verificarono importanti eventi nel mondo slavo. Fu l'epoca in cui si costituirono nuovi stati in mezzo a guerre sia tra di loro, sia contro genti non slave. E, in sintonia con i grandi turbamenti politici, nell’XI secolo i dialetti del sud e dell’ovest appaiono già nitidamente stabiliti. Quelli orientali avrebbero invece tardato un po’ di più a stabilizzarsi.
Nell’820 il principe Rostislao di Moravia chiese aiuto all’imperatore di Bisanzio, Michele III, per controbilanciare l'influenza germanica in Occidente. L’imperatore, d’accordo con il patriarca di Costantinopli, Fozio, scelse per questo compito i monaci
Cirillo e
Metodio.
Questa scelta si rivelò di capitale importanza per lo sviluppo e la configurazione dei caratteri specifici della cultura slava.
Cirillo e Metodio erano due fratelli nati a Tessalonica.
La loro città aveva subito ripetuti attacchi slavi ai quali era riuscita a resistere. Era però circondata da popolazione slava. E di sicuro i fratelli, anche se di madrelingua greca, conoscevano bene quella lingua, requisito essenziale per la missione che era stata loro affidata.
Pochi anni dopo avevano creato una liturgia cristiana in lingua slava e tradotto la Bibbia. Lo slavo però non era stato mai messo per iscritto prima e le caratteristiche della fonetica rendevano impossibile l'uso diretto dell’alfabeto greco e latino. Fu per questo che i fratelli si videro costretti a improvvisarne uno, basato fondamentalmente sul greco. L'efficacia e la rapidità del loro operato è testimoniata dal fatto che cinque anni dopo,
nell’867, l’arcivescovo germanico di Salisburgo si lamentò con il papa Niccolò I della slavizzazione della liturgia e chiese che la Moravia fosse messa sotto la sua giurisdizione ecclesiastica e che fosse accettata solo la liturgia in latino. Cirillo e Metodio vennero convocati a Roma. Quando vi giunsero, nell’868, c'era però un nuovo papa, Adriano II, che si lasciò convincere dalle loro argomentazioni e li autorizzò a continuare il loro lavoro in slavo. Ma Cirillo non sarebbe più tornato in Moravia. Morì a Roma e fu il fratello Metodio a ritornare in qualità di vescovo di Sirmio, con giurisdizione sulla Moravia e la Slovacchia.
La pressione germanica continuò con alterne vicende durante tutta la vita di Metodio. Quando questi morì, nell’885, gli successe un vescovo germanico, Wiching, che espulse i discepoli slavi di Cirilloo e Metodio.
Lo stato della Grande Moravia non tardò a capitolare agli attacchi di tedeschi e magiari. I discepoli di Cirillo e Metodio furono ben accolti in Bulgaria, da dove esercitarono la loro influenza non solo sui Balcani, ma finanche sugli slavi dell’est a Kiev e su quelli dell’ovest in Polonia e Croazia. Però, con lo scisma della Chiesa orientale da quella occidentale gli slavi si divisero. Quelli che restarono con la Chiesa occidentale finirono con l’adottare la liturgia romana e con essa l’alfabeto latino.
Quelli che invece rimasero con la Chiesa orientale, conservarono la liturgia in slavo e di conseguenza l’alfabeto cirillico.
L'alfabeto caratteristico degli slavi ortodossi è il cirillico, così chiamato in onore di Cirillo. Tuttavia, quello inventato da Cirillo e Metodio è un altro, più antico, chiamato glagolitico, nome che ebbe origine in Croazia, dove i sacerdoti che celebravano la liturgia in slavo venivano a loro volta chiamati glagoljaši (da glagoljati «dire, predicare»). I più antichi testi slavi sono in glagolitico.
Ma, con l'eliminazione della liturgia slava in Moravia, questo alfabeto cadde in disuso. I discepoli di Cirillo e Metodio accolti in Bulgaria ne crearono uno nuovo, il cosiddetto cirillico, che in sostanza è quello che ancora oggi continua a essere in uso in diversi paesi slavi.
Gli slavi di professione cattolica utilizzano invece l'alfabeto latino, che nella sua forma originaria risulta poco soddisfacente per rispecchiare la fonetica slava, sicché fu necessario fare degli adattamenti. Il sistema che ha prevalso, basato su segni diacritici, è quello introdotto all’inizio del XV secolo dal grande umanista ceco J. Hus.
La lingua dei primi documenti slavi, che risalgono come ho detto al IX secolo, è chiamata slavo antico. Poiché in origine aveva un'utilizzazione ecclesiastica, viene chiamata anche slavo ecclesiastico antico. Infine, poiché la maggior parte dei documenti provengono non dalla fase della Moravia ma da quella bulgara, viene anche chiamata bulgaro antico.
Come dicevo prima, nel IX secolo le lingue slave non erano ancora differenziate (?). Lo slavo continuava a essere fondamentalmente una lingua unitaria (?). Il bulgaro antico veniva utilizzato senza la benché minima difficoltà per la liturgia di tutti gli slavi. Si è spesso detto che lo slavo antico è così vicino allo slavo comune che ne assolve a tutti gli effetti pratici le funzioni nella ricostruzione storico-comparativa.
Una situazione così favorevole nell’attestazione di una lingua comune intermedia tra l’indoeuropeo e i dialetti storici non ha corrispondenza al di fuori dello slavo, Sicché in linguistica storico-comparativa basta utilizzare lo slavo antico, giacché tutti gli altri dialetti derivano da uno stato di lingua praticamente identico a esso (mah?).
I tratti che caratterizzano lo slavo comune rispetto alle altre lingue indoeuropee sono numerosi. Trai più interessanti c'è lo sviluppo di un sistema originale di espressione dell’aspetto verbale, che diviene il fulcro del sistema: ciascuna azione verbale in slavo dispone di due verbi completi, uno dei quali la esprime con aspetto durativo, l’altro con aspetto puntuale. Ugualmente caratteristica è una riorganizzazione dei temi nominali, mediante la quale i temi in -a e -u esprimono il maschile e quelli in -ā e -i il femminile.
Dal punto di vista fonetico, lo slavo è una lingua satəm; e in origine fu anche una lingua /a/, che, come risultato della perdita delle opposizioni di quantità nelle vocali, realizzò una tarda e originale differenziazione di a/o, diversa da quella delle altre lingue indoeuropee.
Dal punto di vista lessicale, lo slavo comune offre insieme al vecchio vocabolario indoeuropeo ereditato, un gruppo di parole di innovazione specificamente slava; altre, sempre nuove, condivise con il baltico, a causa della loro secolare prossimità.
Come prestiti da altri popoli vicini, ce ne sono alcuni di provenienza iranica, appartenenti all’ambito della religiosità; altri più moderni, di origine germanica, rientrano nella sfera dell’industria e del commercio.
La prossimità tra lo slavo comune (ricostruito con il metodo comparativo) e lo slavo antico può verificarsi nelle seguenti coppie, il cui primo membro è sempre la forma che corrisponde allo slavo comune ricostruito:
*sĭrdĭce/srŭdĭce «cuore», *vĭlkŭ/vlĭkŭ «lupo», *dĭnĭ/dĭnĭ «giorno», *synŭ/synŭ «figlio», *sestra/sestra «sorella», *bratrŭ/bratrŭ «fratello».La diversificazione dello slavo, come ho già detto, si verificò nei secoli successivi (in parte ła ghe jera xa in vanti de ła diaspora). Frutto delle emigrazioni e dei corrispondenti insediameti storici, la dialettalizzazione si è prodotta nella sua quasi totalità con essi (sołita vixion tradisional xbajà come inte ła teoria romansa). Come suole accadere in questi casi, in realtà non ci sono vere frontiere tra i dialetti, bensì transizioni graduali che configurano un vero continuum, eccetto nelle zone in cui viene interrotto dalla presenza di popolazioni non slave, come accade con la linea formata da est a ovest da Romania, Ungheria e Austria.
Si configurano così tre gruppi dialettali.
1) Gruppo meridionale. Comprende tutte le varietà di slavo a sud della citata linea, nell’ex Jugoslavia e in Bulgaria. Tra esse si trova il bulgaro, parlato principalmente in Bulgaria, ma che si estende anche verso la Bessarabia e l’Ucraina. Il macedone, nella repubblica di Macedonia. Il serbo-croato, parlato nella maggior parte delle regioni di Serbia, Bosnia, Croazia e Dalmazia, è la varietà che è servita da base per la lingua letteraria, che si scrive in alfabeto cirillico tra gli ortodossi e in alfabeto latino tra i cattolici, Infine c'è lo sloveno, parlato nella repubblica di Slovenia, confinante con l’Austria e l’Italia (saria mejo dir ła Venetia). Lo slavo antico o bulgaro antico, in quanto contiene principi di dialettalizzazione (mah?), è ovviamente membro di questo gruppo.
2) Gruppo orientale. Chiamato anche gruppo russo, ha tre varietà principali. Il grande russo nella repubblica di Russia, che chiamiamo semplicemente russo. La seconda è il piccolo russo o rutenio, chiamato oggi ucraino, che si parla principalmente in Ucraina. La terza è il russo bianco, lingua della Bielorussia.
3) Gruppo occidentale. Comprende il polacco (Polonia), il ceco (Boemia e Moravia), lo slovacco (Slovacchia) e i dialetti lechitici. Questi ultimi sono la varietà più occidentale e pertanto sono più pressati dal tedesco.
Sono vari e diversamente conservati.
Tra essi, il
sorabo (con due varietà: inferiore e superiore), detto anche lusaziano perché parlato in Lusazia; un altro suo nome è
vendico (Wendisch in tedesco), erede del
venedico delle prime attestazioni.
Il
polabo, scomparso nel XVIII secolo.
E il
pomerano (ovviamente in Pomerania), che rappresenta i resti dello slavo parlato una volta sulle sponde del Baltico; di esso sono giunte fino al XX secolo due varietà: lo
slovinzo, attualmente estinto, e il
casciubo, minacciato di estinzione.
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Note mie:Sto toco xe interesante par naltri parké ‘l fa ‘n strucon (sintexi) de fati storeghi ke ne parmete de capir mejo come ca xe nà łe robe e de no far confoxion tra i
veneti del Veneto e i
venedi-xlavi (xe posibiłe ke miara de ani vanti Cristo i
veneti de ła Paflagonia e coełi del
Baltego e de ła
Bretagna i ghèse n’orijene comone, ma no xe dito,
veneti/venedi pol esar in orijine on nome jenerego par endegar omani ke vive rente łe acoe o pałui come ca dixe
Giovanni Semerano).
E comoncoe al fin de ła nostra edentetà veneta e de coeła xloena gà poca enportansa.
Vanti ke rivàse i cisita diti
xlavi in Xloenia (VI secolo), kista jera xa abetà da jenti çelto-istro-venete-latino-goto-łongobarde- ecc, co resti de łe popołasion dite tradisionalmente pre-endoropee (anca se no saria purpio justo ciamarle cusì secondo ła
teoria de la continuità de
Mario Alinei, come ki da naltri xe i
euganei e i
liguri).
I xloeni de ancò i xe costituii da on strato comun a coeło nostro in pì i gà ‘l strato xlavo e calcoxa de altro .
No ghemo da farse ensemenir dai nomi, come łe rane ke daspò łe vien ciapà co 'l finfoło.
El çentro de ła nostra edentetà xe kì inte ła nostra tera, endependentemente da indoe xe rivà in evi/ere/tinpi diversi tuti i migranti ke costituise łe xenti venete, ke xe ła nostra jente.
Ła nostra strategrafia edentetaria scuminsia dal Pałeołetego sotan o enferior, co i rancuradori-caçadori-pescadori e daspò se gà xontà tuti staltri, calke contadin, calke xlevador, calke xminador e metałurgo e daspò tuti staltri navigadori, comerçanti, goerieri e preti (a prasindare da come ca i vien ciamà : euganei, veneti, çelti, reti, greghi, feniçi, etruski, latini, goti, longobardi, ...).
Naltri semo fati da tuta sta jente ke se gà xmisià e el nostro nome xe sta dà da una de tute ste jenti ke vegnea ciamà Veneti e ke xe coełe ke pì de tuti gà marcà ła nostra storia, cultura, łengoa e edentetà.
Łe nostre raixe łe se perde e łe se cata rento coełe comun oropee (dal Baltego a ła Britania, dal mar Nero a l’Iberia), mediterane, mexopotameghe, afregane, axiateghe, łongo el Danobio, el Reno, ła Vistoła, el Po, el Piave, l’Adexe, ła lagona veneta, l’Adreatego.
No stemo devegner màti co ła Paflagonia, co i Cimeri o co ‘l Baltego, ke in ogni caxo i saria ona e solké ona de łe conponenti storeghe de ła nostra jente e edentetà.Na roba ga en comun tute łe jenti d’Oropa co ‘l nome conpagno de “veneti/veneti, ecc” e xe ła speçałixasion antropołojega/etnołojega de l’abitat.
Tute sti omani ciamà “veneti/venedi” sta inte are/moje piene de acoa e rente al mar (Paflagonia/mar Nero, Veneto/Adreatego, mar Baltego, costa Bretone e Bretanega).
Sta speçałixasion antropołojega se pol farla rivar/risałir/vegner da l’omo herectus-sapiens co ‘ncora ‘l jera in Afrega e calke banda de herectus-sapiens ghea inparà a “pescar” inte l’acoa dei flumi e de łaghi e daspò in te łe łagone rente el mar, vanti de inparar a navegar. Dexine de miara de ani vanti ke nasése l’agricoltura e ‘l xlevamento de łe bestie.
Co ghe xe stà ła dispersion da l'Afrega verso l’Axa e l’Oropa sti s-ciapi xe nà inte i posti indoe ke i savea/sava/seva mejo vivar.
Mi scometaria ca se fése na çerca jenetega e łengoestega (mirà) tra łe popołasion de łe are/aje/tere/aree łagonari dei tri continenti (Afrega, Axa, Oropa) se podaria catar on fiło condutor.
Altri omani se ghea speçałixà in te ła caça drio łe mandre de bestie, antri in łoghi (habitat) come łe foreste, łe savane, łe praterie, i monti, i dexerti, nandoghe drio a i canviamenti clemateghi e anbientałi.
L’endouropeista Francisco Villar e la Teoria de la Seitansahttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... hjUFE/edit La falba teoria endouropeaviewtopic.php?f=176&t=269La fola de l’endouropeo – la protolengoa endouropeahttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... I5Nnc/edit