Gli indipendentisti ci dicano in che Stato vogliono portarcihttp://www.lindipendenza.com/gli-indipe ... o-portarcidi ENZO TRENTIN
Negli anni ’40 dello scorso secolo tre visionari: Ernesto Rossi, Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni, durante la loro permanenza forzata sull’isola di Ventotene, affermarono che una nuova linea di demarcazione tra liberali e conservatori si sarebbe formata tra «coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta… la conquista e le forme del potere politico nazionale» e «quelli che vedranno come compito la creazione di un solido Stato internazionale.» Con linguaggio moderno i conservatori riterranno centrale il loro impegno per il governo nazionale mentre i liberali si batteranno per gli Stati Uniti d’Europa. Lo scrittore francese Albert Camus, collaboratore di Altiero Spinelli, nel 1946 scrisse «Oggi sappiamo che non esistono più isole e che le frontiere sono inutili. Sappiamo che in un mondo in continua accelerazione …noi siamo costretti, a seconda dei casi, alla solidarietà o alla complicità.» Ecco, i liberali sarebbero per gli Stati Uniti d’Europa in modo che i cittadini siano, a seconda dei casi, solidali o complici.
Il 24 dicembre 2009, all’età di ottantuno anni, morì a Boston il politologo americano Samuel P. Huntington. Egli avvertì che l’America, di fatto multirazziale e multietnica, può sopravvivere solo se non cade nella trappola del multiculturalismo e se conserva la propria radice anglo-protestante. Più che da “immigrati” infatti, osservò molto acutamente, l’America fu fondata da “coloni”, che avevano un obiettivo assai più alto di quello di semplici migranti: essi volevano fondare una nuova comunità, una città ideale, qualcosa che richiamasse da vicino, ma in modo più concreto, la grande Utopia espressa da un altro grande pensatore inglese come Thomas More. La loro cultura era quindi costituita essenzialmente dalla religione cristiana, dal moralismo protestante, dall’etica del lavoro, dalla lingua inglese e dalla tradizione britannica del “rule of law”. Difficile riscontrare queste caratteristiche o un progetto analogo all’interno della forte e confusa pressione migratoria in corso, mentre una trasformazione dell’attuale identità sembra invece certa.
Veneti e lombardi, tra i primi, vogliono affrancarsi dall’Italia anche per regolare il disordinato flusso migratorio, e soprattutto per ritornare all’identità originaria, che nel caso Veneto ebbe la sua massima espressione nella civilissima e millenaria Repubblica di Venezia. Anche in altre nazioni si vivono fasi di sparatorie retoriche tra le diverse parti, ma di là di quello la politica si ritaglia una parte importante, che da noi è più invisibile della faccia nascosta della luna. L’altra parte della politica si chiama “policy”. Una policy è l’analisi pragmatica di un problema e la ricerca di una soluzione. Nei paesi di cultura anglosassone la politica oltre che “politics” è formata da questa parte sommersa, silenziosa, ma viva e salutare per la società. I policy maker lavorano in base a capacità e merito. Ma, come si dice, più che la parola vale l’esempio.
Lo stato che hanno in mente molti dei sedicenti indipendentisti, è ancora un oggetto misterioso. Alcuni affermano vagamente di volerlo ad imitazione dell’ordinamento svizzero. Altri dichiarano di privilegiare la democrazia liberale; ma di progetti concreti – al momento in cui scriviamo – non se ne vedono. Naturalmente ci sono anche i liberali classici, e diciamo “classici” perché oggi sono tutti diventati liberali anche un ex iscritto ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti), poi dirigente del PCI, come Giorgio Napolitano. Eppure lo Stato liberale è uno Stato magro e ossuto, limitato, nelle sue competenze, dalle costituzioni formali e “materiali”, dalle tradizioni, dai costumi. Giorgio Napolitano, invece, è il capo di Stato che costa di più al mondo. [LEGGI QUI]
Giuseppe Mazzini – che al di là dell’«agitatore» e dell’«apostolo», è stato uno dei grandi protagonisti del pensiero democratico europeo, accanto a Jules Michelet – sognava una repubblica unitaria ma che concedesse amplissime autonomie ai Comuni, che giustamente riteneva, con maggior realismo di Cattaneo, unità più vitali e più sentite dai cittadini che non le regioni dei cosiddetti “Stati Uniti d’Italia”. Un liberale non potrebbe non concordare a condizione che, al di sopra dei Comuni, vegli sempre un’autorità pronta a intervenire ogni volta che si violano i “diritti individuali”. E sopra ogni autorità esista la possibilità per l’insieme dei cittadini di esercitare la cosiddetta sovranità popolare.
Se fossimo rispettosi e memori della nostra storia dovremmo prendere atto che già nel XIII secolo, dall’Umanesimo nato nelle università dei liberi Comuni dell’Italia del centro-nord (si confrontino in merito Marsilio da Padova e successivamente Bartolo da Sassoferrato), fu enunciato il principio fondante di quell’Occidente che oggi conosciamo: il potere non appartiene per diritto divino all’imperatore o ai principi, ma al popolo (allora furono coniati i termini “populus sibi princeps”, il popolo principe di se stesso, e “sovranità popolare”, un provocatorio ossimoro: la sovranità attiene infatti al sovrano). Per cui fu addirittura teorizzata anche l’elezione popolare del Papa (con conseguenti persecuzioni a quegli incauti teorici). Da allora la politica e le sue istituzioni non furono più libere ma dipesero, almeno sul piano dottrinario, dal popolo.
Se ci fosse questa presa di coscienza, la più vasta platea degli indipendentisti risulterebbe indifferente alle “forme di governo”, così come il liberalismo è indifferente alle “forme di Stato” (monarchia, repubblica, federazione, accentramento etc.): l’essenziale è il quantum di diritti e di libertà di cui possono disporre i cittadini uti singuli, indipendentemente dal fatto che siano nati a Venezia o a Cuggiono. I federalisti americani, in primis l’immortale Thomas Jefferson, ritenevano che solo un assetto federale potesse garantire i diritti e le libertà di John Smith; i federalisti europei – da non confondere coi militanti del MFE (Movimento Federalista Europeo) – non sembrano preoccupati degli individui ma delle “culture” che i piemontesi hanno soffocato unendo le membra della penisola in uno Stato moderno, ancorché sin dalle origini corrotto e inefficiente.
In ogni caso, una cosa che tutti i politicanti si sono ben guardati dallo spiegare, è che il federalismo di basa due principi fondamentali:
1 - la sovranità che tramite il voto i cittadini conferiscono ai rappresentanti, è inferiore alla sovranità che riservano per se stessi sui fatti.
2 – Gli oneri che il “foedus” implica devono essere inferiori (o quanto meno uguali) ai benefici che se ne ricavano.
Se ci si pensa un po’, il primo è il principio cardine della democrazia, il secondo della “assicurazione” civica.
Terminiamo con una citazione dell’evergreen Alexis de Tocqueville, tratta da la “Democrazia in America” del 1835: «Accentramento è una parola che oggi tutti ripetono continuamente e di cui nessuno, per lo più, cerca di precisare il significato. Vi sono, tuttavia, due specie di centralizzazione, assai diverse tra loro, che bisogna ben distinguere. Alcuni interessi sono comuni a tutte le parti della nazione, come, per esempio, la formazione di leggi generali e i rapporti del popolo con gli stranieri. Altri interessi sono particolari ad alcune parti della nazione, come, per esempio, i problemi dei singoli Comuni. Concentrare in uno stesso luogo o in una stessa mano il potere di dirigere i primi, significa creare quello che chiameremo accentramento politico. Concentrare allo stesso modo il potere di dirigere i secondi, significa creare quello che chiameremo accentramento amministrativo.»
Tocqueville faceva rilevare che in Inghilterra – il paese, per antonomasia, delle autonomie – c’era più “accentramento politico” che in Francia – il paese, per antonomasia della “centralisation”. Il grande realista aveva colto, come spesso gli capitava, l’essenza della “questione liberale”: in questo caso, la necessità di un’istanza centrale che presieda alla «formazione delle leggi generali» ovvero alla codificazione di diritti di citizenship che nessuna considerazione di “interesse locale” può far sospendere o ignorare. Gli indipendentisti ci dimostrino, dunque e a priori, che nel nuovo Stato in cui vogliono portarci avremo più diritti (individuali) e più benessere. E quando parliamo di dimostrazione intendiamo fatti concreti, non retorica, numeri mirabolanti, aperture di credito prive di garanzie, e propaganda incessante nello stile del dottor Joseph Goebbels in cui alcuni eccellono.
Comenti===============================================================================================================================
Alberto Pento2 Giugno 2014 at 1:22 pm #
Mi, cofà mì a vuria on sistema come coelo xvisaro: le vecie provinçe veneto-taliane = li novi cantoni veneti co li so comouni.
Mi a copiaria da la Xvisara e co poke variasion.
Gnente caste arestograteghe o oligarkie enxluxà: li çitadini li xe sorani en tuto e le robe enportanti li le deçide senpre e lomè lori col referendo;
ai partidi e a li eleti co le votasion ghe speta l’ordenarà aministrasion col vincolo de mandà: spasar e asfaltar le strade; se far na strada nova li lo deçide lomè li çitadini.
Gnente pì caste parasidare de poledeganti, gnente pì deleghe en bianco.
viewforum.php?f=118roby2 Giugno 2014 at 3:43 pm #
mi pare un controsenso avere paura di aristocratici o caste per poi “copiare” gli altri (che alla fine significa il solito delegare la propria inventiva alle iniziative di altre nazioni).
è necessario ridimensionare il mito della serenissima repubblica dipinta da napoleone come autoritaria.
il termine “oligarchia” è quello che più si adatta alla nostra repubblica, ma non è affatto appropriato.
sarebbe come se volessimo stabilire se la serenissima avesse un’impronta politica di sinistra, di destra o di centro.
impossibile perchè la libertà d’espressione dello stato veneziano consisteva proprio nel non creare ideologie.
tutto andava bene purchè fosse stato per il bene della repubblica e del suo popolo.
gli stessi nobili veneziani vivevano nella stessa calle dove viveva gente povera, senza per questo stigmatizzarla o deriderla.
invece è proprio oggi che ci troviamo difronte a vere e proprie caste chiamate ceto basso, medio, alto.
i ceti di oggi non differiscono molto da quelli medioevali europei, dai quali la serenissima si distingueva (temuta proprio per questo).
se vogliamo “copiare” le altre nazioni significa che dentro di noi siamo vuoti… privi di iniziative e genialità.
e… chiaramente dopo aver copiato, chi ci “muoverà” le gambe?
vogliamo “indossare” il sistema di una certa nazione come fosse un costume di carnevale, ma poi ci sapremo destreggiare per reggerne lo scopo, le finalità i principi…?
a forza di copiare gli altri, non si rischia di perdere la necessità e la dignità del proprio popolo? certo che si!!!
o sono i veneti che hanno in loro stessi la scintilla del “cambiamento”, oppure ci saranno sempre i soliti imperatori che sapranno farsi nominare.
la svizzera che se ne stia in svizzera, noi qui siamo la serenissima repubblica della venetia.
Alberto Pento2 Giugno 2014 at 5:37 pm #
Ła Repiovega Veneto-Venesiana lè termenà ente 1797 el 12 de majo e no la tornarà pì:
viewforum.php?f=160e mi gnanca la vuria pì come ke la jera na ‘olta:
Periodo o ani o secołi veneto-venesiani – 400 ani (Stato-Repiovega Veneta de Tera e de Mar):
viewforum.php?f=138Mi no go cogno de caste arestograteghe e de oligarkie tanto manco venesiane:
L’arestocrasia venesiana jerela na casta veneta?
viewtopic.php?f=137&t=36Naltri veneti a ghemo raixe ouropee e mi no go gnaona aversion contro la Xvisara ke amiro asè:
ente la tera veneta a ghè on mucio de xente co raixe aleman-xvisare e xermane:
Mexoevo – ani o secołi veneto-xermani (suxo 900 ani) e naseda o sorxensa dei comouni:
viewforum.php?f=136Çinbri storia e łengoa:
viewforum.php?f=105Mi no so envaxa e enfasà dai romani e dai venesianI, mi so veneto e togo coel ke ghè de bon ente ogni omo, e comounedà (nasion e stado).
Mi a on stado come la Repiovega Serenisima de na ‘olta a prefariso on stado cofà la Xvisara de ancò.