Guerre della Russia, dalla caduta dell’Urss a oggi
Francesco Battistini
13 marzo 2022
https://www.corriere.it/esteri/22_marzo ... cf94.shtml
Dalla Cecenia alla Georgia, gli interventi militari di Mosca dalla caduta dell’Unione sovietica all’invasione dell’Ucraina
Trent’anni di storia, diciannove conflitti. Un intervento militare ogni diciotto mesi. Quando si dice che la Guerra Fredda finì con la morte dell’Unione Sovietica, bisogna aggiungere che la nascita della Russia ha comportato decine d’altre guerre congelate o al calor bianco. Dichiarate, segrete, mascherate, per procura. Ufficialmente, tutte mosse dal desiderio di restaurare l’orgoglio imperiale, di sedare scontri fra etnie, di proteggere minoranze russe, d’instaurare governi amici.
«Abbiamo sempre un’adeguata risposta militare a qualsiasi avventurismo«, ricordò Vladimir Putin un giorno del 2015, conversando d’Ucraina con Angela Merkel . E la Cancelliera capì bene a che cosa si riferisse: che stia a simboleggiare la vittoria («Za Pobedy»), la pace («Za Mir») o il popolo («Za Nashikh»), la «Z» bianca dello Zar che oggi i soldati di Putin portano sui blindati e sulle divise è la sintesi – perfetta - delle motivazioni che hanno sempre spinto Mosca a organizzare le sue «operazioni militari speciali». Pura propaganda, naturalmente: in Georgia, i russi andarono per aiutare i fratelli osseti minacciati di genocidio, in Cecenia per difendere la cristianità dall’Islam, in Kazakistan per riportare l’ordine sociale. Ovunque, sono regolarmente corsi a chiarire che (sempre parole del leader) «nessuno deve avere l’illusione di poter ottenere una superiorità militare sulla Russia, di poterci mettere un qualche tipo di pressione».
In principio fu la Georgia. Quando due mesi dopo la dissoluzione dell’Urss, all’alba dell’era Eltsin, comincia a rumoreggiare la regione filorussa dell’Ossezia del Sud. È l’inizio d’una guerra civile che dura tre anni, fra i sostenitori del presidente eletto e di quello imposto, coi separatisti osseti che non accettano il nuovo corso di Tbilisi e nel febbraio 1992 ottengono i primi, sporadici appoggi militari di Mosca: l’Orso s’è svegliato, le cancellerie mondiali prima si stupiscono e poi s’allarmano, e pur d’evitare uno scontro aperto con la Russia suggeriscono alla Georgia d’accettare subito una tregua, sottoscrivendo il «pattugliamento» delle truppe russe. È la prima missione all’estero del nuovo Cremlino de-sovietizzato.
Pochi mesi, ed ecco esplodere anche l’altra regione separatista, l’Abkhazia: è una guerra in cui Eltsin si dichiara neutrale, alternando però proposte di negoziato a un vero sostegno bellico agli abkhazi. «Guerra moldo-russa» è invece il nome che, nel ’92, viene dato allo scontro in Transnistria fra le milizie cosacche armate da Mosca e il governo della neonata Repubblica di Moldova: una fulminea guerra che scoppia quasi in contemporanea con un’altra, nell’Ossezia del Nord-Alania, che farà 700 morti e spingerà la Russia a impegnare il più grande dei suoi contingenti, 1.500 uomini. Sono gli anni turbolentissimi d’un impero in frantumi. Del risveglio delle spaccature etniche, delle divisioni religiose, delle aspirazioni democratiche. E le operazioni militari del Cremlino servono, nella maggior parte dei casi, a tamponare braci d’odio che la repressione sovietica aveva tenuto sotto la cenere per più di settant’anni. Com’è nella guerra civile del Tagikistan, oggi dimenticata, ma che provoca cinque anni di devastazioni, quasi 50mila morti, l’esilio d’un tagiko su cinque: il primo conflitto aperto di Mosca, che sostiene la vecchia guardia post-sovietica, contro movimenti islamici organizzati e ispirati dal vicino Afghanistan.
Il primo Vietnam (o Afghanistan) russo è però la Cecenia. «La vergognosa avventura», com’ebbe a definirla l’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov. «La follia allo stato puro», secondo le parole del cancelliere tedesco Helmut Kohl. Che nel suo primo round (1994-1996) si risolve in una sonora sconfitta e nel secondo (1999-2009) si trasforma in una feroce vittoria. La Prima guerra cecena si presenta come molte altre: in tutta l’ex Urss, c’è un 70 per cento d’etnie russe che deve vedersela con un centinaio d’altre nazionalità e con una miriade di repubblichette indipendenti. In Cecenia, la sfida è alla proclamata Repubblica di Ichkeria, 1.600 chilometri a sud di Mosca, che trascina Eltsin in una campagna militare fra le più sanguinose della sua storia. Centomila civili ammazzati, diecimila guerriglieri morti, e nessuno ha mai saputo quanti soldati russi: 5.500 (fonte ufficiale) o quindicimila? Da Pietro il Grande a Stalin, la Cecenia è sempre stata la spina nel fianco russo e questa guerra non fa eccezione, quando l’ex generale sovietico Dzochar Dadaev butta giù dalla finestra il capo locale del Partito comunista e si proclama primo presidente indipendente. La fronda interna, gli attentati, i tentati avvelenamenti non danno risultati e nemmeno quelli che Eltsin spera siano solo «attacchi chirurgici»: il conflitto degenera in una bolgia di missili, prese d’ostaggi, scudi umani, diserzioni, gas, decapitazioni e crimini di guerra assortiti. I ceceni e i vicini ingusci chiamano a raccolta jihadisti da mezzo mondo, molto più motivati delle reclute russe e di un’opinione pubblica che a Mosca è sempre più contraria alla carneficina: «Sarà un bagno di sangue, un altro Afghanistan», prevede prima di dimettersi un viceministro della Difesa, Boris Gromov, e la sua si rivela una profezia facilissima. Su Grozny s’abbatte, nel 1995, la peggiore pioggia di bombe in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale e di Dresda: 35mila civili uccisi, cinquemila dei quali bambini. Le ferita cecena è l’emorragia di Eltsin.
Mentre la repubblica indipendente precipita in un triennio d’anarchia, razzie, mafie locali, rapimenti e regolamenti di conti, a Mosca comincia il countdown. E quando uno Eltsin azzerato dall’alcol e nei consensi consegna il Cremlino a Putin, nell’estate 1999, il primo pensiero del nuovo Zar è chiudere i conti con la Cecenia, col Dagestan (la prima campagna militare di Mad Vlad, vinta in meno d’un mese), con l’Inguscezia e con quanti hanno minato l’orgoglio imperiale. La Seconda guerra cecena è un deserto che Putin, a tutt’oggi, chiama pace: una tempesta di fuoco martellante e senza sconti; una prima linea sceltissima di Spetsnaz, corpi speciali molto più preparati dei fantaccini di Eltsin; un’impotente resistenza di guerriglieri che ci provano solo con ii kamikaze e gli assassinii mirati; un nuovo attacco a Grozny, così devastante da spingere l’Onu a definirla «la città più devastata del mondo». Oggi in Cecenia c’è una dittatura zitta e Mosca, obbediente e fedele, dove sono stati aboliti sia l’incarico di primo ministro, sia i diritti civili. Qualcuno ricorda ancora che la Seconda guerra cecena cominciò nel ’99 – Putin s’era insediato da un mese - con una strana serie d’attentati a Mosca e nelle città russe. Qualcuno non dimentica che la giornalista Anna Politkovskaja e l’ex spia Alexander Litvinenko rivelarono come ci fosse l’Fsb, l’ex Kgb, dietro quegli attentati. Anna e Alexander, li ammazzarono: e chi parla più della Cecenia, ormai?
C’è una parola che torna sempre nei discorsi di Putin: Kosovo. L’ha pronunciata per giustificare l’intervento a sostegno delle repubbliche russofile del Donbass, come la pronunciò nel 2008 prima d’entrare in Georgia. In Kosovo, i russi c’erano: furono i primi a entrare a Pristina, più veloci degli americani a piantare bandiera su una vittoria che non era la loro. Ma il Kosovo è sempre stata l’extra-dose di sale sull’orgoglio ferito di Mosca: l’indipendenza strappata a un Paese slavo e fratello, la Serbia, un riconoscimento che l’Occidente concesse senza chiedere troppi pareri in giro, men che meno al Cremlino. «Interveniamo in Georgia a sostegno dei russofoni – dice Putin nell’estate del 2008 –, esattamente come la Nato è intervenuta in Kosovo in aiuto degli albanesi». La prima guerra del XXI secolo è rapidissima, fa seguito al bombardamento di Tbilisi sull’Ossezia del Sud (centinaia di morti) e all’accendersi delle ostilità anche in Abkhazia. Sei giorni, e la mediazione francese di Sarkozy ferma i tank russi a pochi chilometri dalla capitale georgiana. Un mese, e la Russia (unica al mondo) riconosce le repubbliche osseta e abkhaza, quel che già fece per la Transnistria: «Ho copiato la soluzione Kosovo», chiude Putin.
Quante divisioni ha Mad Vlad? Viene da chiederselo, ripercorrendo tutti gl’interventi armati di questi decenni, dalla contesa del Batken fra kirghizi e tagiki (1999), agli scontri etnici nel sud del Kirgizistan (2010). Perché c’è stata anche la guerra all’Isis nel Caucaso settentrionale (209-2017), quasi 4mila morti e lo smantellamento dell’Emirato che voleva portare il jihad anti-russo dall’Azerbaigian alla Cabardino-Balcaria. Per non dire dell’alleanza in Siria al fianco di Assad, prima con gli attacchi aerei e poi con le truppe sul campo. Undici anni di guerra, 400mila morti, undici milioni di profughi: fu grazie a Putin che il dittatore di Damasco, ormai allo stremo, riuscì a ribaltare il fronte e a ricacciare fazioni ribelle e jihadisti. Quante divisioni ha Putin, dunque? La comparsa dei mercenari del Gruppo Wagner ha spiegato molte cose: Mosca li schiera un po’ ovunque, dalla Crimea alla Libia, dal Mali al Centrafrica, consiglieri militari senza bandiere e senza mostrine, «omini verdi» che esonerano il Cremlino dall’onere di dichiarare perdite e sconfitte, ma intanto preparano il terreno a (eventuali) interventi più massicci. Li fece esordire in Ucraina, nel 2014, quando invase Sinferopoli e Sebastopoli senza sparare un colpo, per preparare l’invasione di oggi dei soldati con la Z. Stava per mandarli in Kazakistan a gennaio, quando la folla inferocita ha cacciato il dittatore filorusso Nazarbayev. Poi ci ha ripensato: meglio usare le truppe regolari. In Kazakistan è stato un blitz, una decina di giorni, per chiudere veloci la pratica. Sbrigarsi, fu l’ordine perentorio agli omini con la «Z»: c’era solo un mese di tempo, per invadere l’Ucraina.
I DONI DI PUTIN
Niram Ferretti
26 marzo 2022
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Avrebbe dovuto essere un successo militare da vantare con la Cina, l’alleato più importante. L’Ucraina sarebbe caduta e il conquistatore russo, accolto festosamente dai filorussi, avrebbe posto il suo sigillo sul paese. A ormai un mese dall’inizio, con perdite ingenti, non ancora perfettamente calcolabili, ma nell’ordine delle migliaia, l’esercito russo si trova impantanato, privo del raggiungimento di un singolo obbiettivo strategico (Kiev, Kharkiv e Nikolaev, le tre città chiave, sono ancora in mano ucraina) e con ben sette generali morti, nove tenenti colonnelli, e venti maggiori.
Fallito il Blitzkrieg, la Russia è passata all’uso di forze leggere sostenute dall’aviazione. Non ha avuto esiti significativi. Allora si è optato su un attacco concentrico rivolto alle città più piccole, basato su forze di terra che si sono rivelate assai poco coordinate e facilmente colpibili dalla resistenza ucraina, molto più agile, sul proprio territorio, e meglio coordinata. Successivamente, visto che anche questa strategia non portava a risultati si è passati al bombardamento indiscriminato, ma anche in questo caso non si è riusciti a fiaccare la resistenza e a costringere il governo Zelensky alla resa. Chernihiv, Sumy, Kharkiv e la martoriata Mariupol, hanno resistito e continuano a resistere. Eppure, il generale Rudskoy, traccia una realtà parallela, in cui la Russia sta trionfando, e i morti sono nell’ordine massimo di un migliaio. Vento in poppa insomma, anche se ora non si parla più di denazificare il paese e rovesciare il governo Zelensky, composto da nazisti e da drogati, ma si profila un obbiettivo assai meno ambizioso, la conquista del Donbass.
La catastrofe russa era già stata predetta da un "profeta” in patria, è come tale, inascoltato, il Generale Leonid Ivashov, già presidente dell’Accademia dei Problemi Geopolitici, il quale, il 31 gennaio, in una lettera scritta a nome degli ufficiali in congedo, scriveva: «L’uso della forza contro l’Ucraina metterà in forse l’esistenza stessa della Russia come Stato…Noi ufficiali russi chiediamo al presidente di rinunciare alla criminosa politica intesa a provocare una guerra nella quale la Russia si troverà sola contro le forze unite dell’Occidente».
È ancora prematuro per giungere a un bilancio definitivo, la guerra è ancora in corso, ma alcune considerazioni, ormai oggettivamente fondate e legata all’hic et nunc, si possono fare.
L’esercito russo non è stato all’altezza dell’operazione, e sta arrancando. La resistenza ucraina si è mostrata estremamente agguerrita ed efficace, la risposta occidentale, rifornimento armi e sanzioni, è stata e continua ad essere efficace. La Russia è sempre più marginalizzata. La delusione della Cina è palpabile. Nessun braccio teso. Ultimamente solo silenzio.
Oggi, Federico Rampini, ha scritto, "Vladimir Putin sta distruggendo quel che i dirigenti sovietici non eliminarono mai: un cordone ombelicale. L’Europa inizia – molto lentamente, e anche dolorosamente, con costi elevati – a girarsi verso l’Atlantico anche per il proprio approvvigionamento energetico. Ci vorrà tempo perché l’Unione europea costruisca nuovi rigassificatori per usare il gas americano, però certe scelte e certi investimenti avviati oggi daranno frutto in qualche anno. Per il petrolio la riconversione geografica delle fonti è un po’ più facile perché già oggi buona parte del greggio viaggia su navi. Arabia saudita ed Emirati hanno ampie capacità inutilizzatà".
È uno dei doni involontari di Putin a quell’Europa che credeva di avere parzialmente in pugno in virtù della dipendenza energetica che era riuscito a imporre negli ultimi 15 anni. L’altro dono involontario è stato il ricompattamento della NATO. Da alcuni definita obsoleta e ormai morente, la NATO si mostra oggi quanto mai necessaria, come argine di contenimento alle ambizioni imperialiste della Russia.
Ulteriore dono, non secondario, Putin ha mostrato come sia esiziale crogiolarsi nell’idea che ormai la guerra sia una cosa del passato, che il comparto militare europeo vada marginalizzato nella spesa.
L’aggressione dell’Ucraina ha risvegliato la “potenza erbivora” dal suo letargo prolungato. La Germania, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale ha stanziato 100 miliardi di euro per le forze armate. Ma forse il dono più grande che Putin ha fatto, quello che ci si augura sia un lascito perenne, è la sua fine.
Non avverrà subito, ma l’esito di questa avventura, nonostante alla fine Putin possa portare a casa dei risultati, lo ha politicamente fortemente e probabilmente, irrimediabilmente indebolito. Non sarà il popolo, naturalmente, a segnarne l’epilogo, sarà un affare tutto interno, come è sempre stato tra le mura del Cremlino.
Анастасия Боер è con Elena Pereverzeva.
25 febbraio 2022
https://www.facebook.com/luciano.donder ... 8447116857
- La figlia di Stalin - ha vissuto per decenni ed è morto negli USA
- Figlio di Khrushchev - cittadino americano.
- Dove sono le figlie di Putin? In Russia non sono visibili.
- Agente Pehtin. Con mio figlio negli USA.
- Ministro dei trasporti della regione di Mosca - Katsyva. Con mio figlio negli USA.
- I figli del vice Zhelesnyak - vivono in Svizzera.
- I figli di Astakhov. Uno in Francia, l'altro in Inghilterra.
- Figli e nipoti del "patriota principale della Russia" capo della Federazione Russa Vladimir Yakunin vivono fuori dal paese - in Inghilterra e Svizzera.
- La figlia del ministro degli Esteri Sergei Lavrov Ekaterina vive e studia negli USA.
- Figlio - Vicepresidente della Duma di Stato A. Zhukova ha vissuto e studiato a Londra per molto tempo.
- Figlia del vicepresidente dello Stato. la duma di Sergei Andenko studia e vive in Germania.
- Il figlio maggiore del Vice Primo Ministro Dmitry Kozak - Alexey vive all'estero e fa impresa edile.
— Il fratello minore di Alexey Kozak, Alessandro, lavora per Credit Suisse
- Il figlio maggiore del deputato Remezkov, Stepan, si è da poco laureato al Valley Forge Military College in Pennsylvania (anno di istruzione costa 1 milione 295 761 rubli. ). Sua figlia minore vive a Vienna, dove pratica ginnastica. Masha Remezkova ha rappresentato la nazionale austriaca(!!! ) alle competizioni per bambini a Lubiana.
- Figlia del vice V. Fetisova - Anastasia, cresciuta e studia negli USA. Nastya non ha mai imparato a scrivere e leggere in russo.
- Figlia di Svetlana Nesterova, Deputato di Stato. duma dalla fazione "Russia Unita" - vive in Inghilterra.
- Il principale combattente per i "valori tradizionali ortodossi" E. Il figlio di Nikolai di Misulina ha studiato a Oxford, ha ricevuto un diploma e si è trasferito a vivere permanentemente nel Belgio tollerante, dove i matrimoni dello stesso sesso sono consentiti.
- Figlia del vice Vorontsov Anna vive in Italia. Lì si è trasferita dalla Germania.
- La russa Elena Rakhova, famosa per essere residente a Leningrado, che ha vissuto meno di 120 giorni di blocco, ha definito "infedele" sua figlia che vive negli USA.
- La figlia dell'ex portavoce della GD, uno dei fondatori del partito "Russia Unita", e ora membro dell'Unione Sovietica Boris Gryzlov Eugenia vive a Tallinn. E anche di recente ho ottenuto la cittadinanza estone.
- Il figlio dell'ex ministro dell'istruzione Andrei Fursenko vive in modo permanente negli USA.
- Figlio di V. Nikolova (nipote di Molotov), presidente della Fondazione "Politika" - cittadino statunitense.
TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA DI PUTIN A BIDEN
Ragione Critica
18 marzo 2021
https://www.facebook.com/stefano.rivier ... 3772543120
“Per quanto riguarda le parole del mio collega americano, noi davvero, come lui ha detto, ci conosciamo di persona. Cosa gli potrei rispondere? Che stia in salute! Gli auguro salute! Lo dico senza ironia. Nella storia di ogni popolo, di ogni Stato, ci sono molti avvenimenti drammatici, pesanti, sanguinosi. Ma quando noi valutiamo le altre persone, o persino gli altri Stati o popoli, è come se ci guardassimo allo specchio e lì vediamo noi stessi, perché trasferiamo agli altri ciò di cui noi respiriamo, ciò che noi siamo in sostanza. Mi viene in mente quando noi da bambini, giocando in cortile, ci raccontavamo una storiella di scherno, dicevamo che se uno affibbia all’altro un brutto nome, quel nome lì definisce proprio chi lo ha detto”. Questa non è una semplice burla ma nasconde un senso profondo, un significato psicologico. Noi nell’altra persona vediamo sempre proiettate le nostre proprie qualità e pensiamo che lui è come noi. Quando valutiamo gli altri, o persino gli altri Stati o popoli, è come se ci guardassimo allo specchio: vediamo noi stessi.
Per quanto riguarda l’establishment americano, non parlo del popolo americano, dove ci sono molte persone per bene, oneste che vogliono vivere con noi in pace e in amicizia, questo lo sappiamo, lo apprezziamo e su di loro faremo affidamento in futuro. Per quanto riguarda invece la classe dirigente americana, la sua coscienza si è sviluppata in un divenire di condizioni non semplici e ben note: l’assimilazione da parte degli europei del continente americano è avvenuta per mezzo dello sterminio della popolazione locale, col genocidio vero e proprio delle tribù indiane native locali. A questo è seguito un lunghissimo periodo di schiavitù, molto crudele e spietata. E questo continua nella storia americana, fino ai nostri giorni accompagna la vita degli Stati Uniti d’America, altrimenti da dove sarebbe saltato fuori il movimento “Black Lives Matter”? Tuttora gli afroamericani si scontrano con le ingiustizie e lo sterminio. Proprio facendo perno su tali fattori cruciali, la classe dirigente americana decide i suoi problemi interni ed esterni. Voglio ricordare che gli Stati Uniti sono l’unico Stato al mondo che ha impiegato la bomba atomica contro un altro Stato - privo di questa arma atomica - contro il Giappone, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, contro Hiroshima e Nagasaki. In questo non vi era assolutamente nessun senso militare, si è trattato solo di puro sterminio diretto della popolazione civile.
Noi sappiamo che gli Stati Uniti sono interessati ad avere con noi determinati rapporti e solo sulle questioni che a loro convengono e alle loro condizioni. Noi siamo diversi, noi abbiamo un altro codice genetico e un altro codice morale, tuttavia noi sappiamo difendere i nostri interessi e collaboreremo con gli Stati Uniti, ma solo in quei campi e alle condizioni che a noi convengono, dovranno fare i conti con questo, nonostante tutti i loro tentativi di fermare il nostro sviluppo, nonostante tutte le loro sanzioni e insulti”.
1) assimilazione da parte degli europei del continente americano è avvenuta per mezzo dello sterminio della popolazione locale, col genocidio vero e proprio delle tribù indiane native locali.
2) a questo è seguito un lunghissimo periodo di schiavitù, molto crudele e spietata. E questo continua nella storia americana, fino ai nostri giorni accompagna la vita degli Stati Uniti d’America, altrimenti da dove sarebbe saltato fuori il movimento “Black Lives Matter”? Tuttora gli afroamericani si scontrano con le ingiustizie e lo sterminio.
3) gli Stati Uniti sono l’unico Stato al mondo che ha impiegato la bomba atomica contro un altro Stato - privo di questa arma atomica - contro il Giappone, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, contro Hiroshima e Nagasaki. In questo non vi era assolutamente nessun senso militare, si è trattato solo di puro sterminio diretto della popolazione civile.
1) non vi è stato alcun sterminio della popolazione locale indiana e il 90% degli americani discende da migranti giunti negli USA dopo la fine delle guerre indiane e pertanto non hanno alcuna responsabilità di quanto può essere avvenuto prima del loro arrivo;
mentre i russi sono pienamente responsabili di quanto è avvenuto durante l'Impero zarista e l'Impero dell'URSS ai danni dei popoli soggetti all'imperio russo.
2) solo una parte degli americani dei secoli passati ha praticato la schiavitù e l'altra parte ha operato per abolirla e questo è servito come buon esempio per il Mondo intero;
mentre in Russia al tempo degli Zar vi erano i servi della gleba e ai tempi dell'URSS i gulag e lo sterminio di milioni di contadini kulaki;
il suprematismo razzista nero dei BLM è una demenzialità politicamente corretta con la sua criminale Teoria Critica della Razza alimentata dall'ideologia sinistrata antiamericana e filo nazimaomettana e non ha alcuna giustificazione umana e sociale. https://it.wikipedia.org/wiki/Schiavit% ... %27America
3) i nazifascisti giapponesi giapponesi erano responsabili di milioni morti e le bombe su Hiroshima e Nagasaki con i loro duentomila morti hanno costretto il Giappone alla resa incondizionata risparmiando chissà quante altre sofferenze all'umanità vittima e oppressa dai giapponesi nazifascisti.
Questi due bombardamenti atomici sono stati un'esperienza terrificante che da allora ha impedito all'umanità di usare queste armi di distruzione di massa che danneggiano non solo il nemico ma anche chi le usa e l'intera umanità.
https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardam ... e_Nagasaki
QUEL VIRUS TOTALITARIO RUSSO CHE CONTAGIA I CONSERVATORI
di Stefano Magni, La Nuova Bussola
27 marzo 2022
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063
Dario Fertilio, giornalista, già firma storica del Corriere della Sera, nell’invasione russa dell’Ucraina ha visto la realizzazione di una sua “profezia”. Nel suo lavoro teatrale Uomini e Cyborg, del 2016, sulla guerra nel Donbass (ora è in uscita la seconda edizione, con il titolo di Lettere dal Donbass), aveva previsto: “Putin che dichiara di voler conquistare Kiev in mezza giornata, gli industriali italiani che protestano per le scorte di invenduto per la Russia, i professori russi emarginati perché hanno osato mettere in discussione la guerra, la repressione delle manifestazioni”. Tutto questo “è giunto al suo compimento, in modo ancor più drammatico”, ci spiega Fertilio. Oggi la narrazione russa sulla guerra si muove su due canali: uno interno ed uno estero. In quello interno, Putin proclama la “denazificazione” dell’Ucraina quale scopo del conflitto in corso. In quello esterno, ideologi seguiti anche in Italia, come Alexander Dugin, parlano un altro linguaggio, metafisico: quella combattuta dalla Russia è una guerra di civiltà, contro il globalismo e il Grande Reset. Abbiamo dunque chiesto a Fertilio, grande conoscitore dell’area e soprattutto della cultura totalitaria (su cui ha scritto, nel 2017, Il virus totalitario, uno degli studi più completi e affascinanti sul tema), per capire cosa è vero e cosa è falso.
Denazificazione dell’Ucraina, cosa c’è di vero nella narrazione di Putin?
Il tema della denazificazione è esclusivamente propagandistico e ad uso interno. Putin parla di “nazismo” ucraino per far apparire, agli occhi dell’opinione pubblica russa, la guerra contro l’Ucraina come la “Grande Guerra Patriottica”, come chiamano in Russia la Seconda Guerra Mondiale. In grandissima parte, i russi ci credono. Ma è propaganda: l’ultra-nazionalismo (come il Battaglione Azov, citato in continuazione come “prova”) è poco diffuso in Ucraina, al massimo il 6% ed è anche scorretto equipararlo al nazismo vero.
Quindi a cosa mira Putin?
L’obiettivo chiave, reale, è la “neutralità” dell’Ucraina. Molti dei commentatori occidentali usano questo termine pensando al modello austriaco o svedese. Ma a Mosca si intende una differente forma di neutralità: la finlandizzazione. Dunque, condizioni analoghe a quelle imposte dall’Urss alla Finlandia dopo la Seconda Guerra Mondiale. In Finlandia, dietro al paravento della neutralità, i sovietici mantenevano l’egemonia dell’economia, della cultura e della politica. Non si poteva profferire nemmeno una parola contro Mosca. Così finirebbe l’Ucraina, in caso di vittoria russa.
La propaganda che la Russia rivolge all’Occidente è incentrata sulla lotta al Grande Reset e al Nuovo Ordine Mondiale. Il filosofo Alexander Dugin contrappone il “Grande Risveglio” russo al “Grande Reset” occidentale. Quanto è autentica questa causa?
L’idea che in Ucraina si stia combattendo uno scontro metafisico è una tattica confezionata dagli eredi del Kgb per far passare il concetto che esista, in Occidente, un complotto plutocratico. La teoria del complotto, di grandi imprenditori e filantropi (spesso identificati in miliardari di origine ebraica) intenti a scristianizzare l’Occidente e corromperlo moralmente, è un tipico strumento della propaganda sovietica e russa, non da oggi. Ha fatto breccia anche nella classe intellettuale conservatrice occidentale, soprattutto perché sfrutta elementi di realtà.
Quali?
È reale un’ideologia (non una cospirazione) che io definisco “mass-radicale” o “radicalismo di massa”. Questa ideologia è pre-totalitaria e cerca di mettere le radici in tutto l’Occidente, promuovendo i suoi “valori”: lotta di genere, emancipazione Lgbt, ecologismo radicale, scomparsa dei confini nazionali, dominio della tecnica, manipolazione dell’essere umano, fino all’idea di una “nuova normalità”, dunque una società pianificata. Questa ideologia agisce moltiplicando all’infinito i diritti. Il caos che ne risulta richiede, poi, l’imposizione di un ordine autoritario, un tecnocrate forte che stabilisce quali diritti riconoscere e quali sopprimere. Questo è il rischio reale che corre l’Occidente, su cui fa leva il Cremlino.
Cosa è vero e cosa no, in sintesi?
L’ideologia radicale di massa è reale ed è molto diffusa. La teoria del complotto, invece, è propaganda del Cremlino.
E perché molti conservatori credono alla propaganda del Cremlino?
Disgustati o giustamente preoccupati dall’ideologia radicale di massa dell’Occidente e dalle sue pulsioni totalitarie (come abbiamo visto negli ultimi due anni di regime sanitario), sono caduti nelle braccia di un altro nemico, speculare e opposto. È un errore ricorrente nella storia contemporanea: credere che un virus totalitario possa essere combattuto con un altro virus totalitario.
Se il nazional-comunismo dovesse trionfare, cosa ci toccherebbe subire?
Dobbiamo distinguere fra quel che progetta di fare in Russia e quel che potrebbe succedere in Occidente. In Russia lo vediamo all’opera, con l’instaurazione di un regime poliziesco all’interno ed espansionista all’estero. Il nazional-comunismo si basa sui concetti di sangue e suolo: dove c’è sangue russo, quella è Russia. L’espansione è la strada da seguire. Per l’Europa, invece, si punta a conquistare l’egemonia politica ed economica, per sfruttare la ricchezza occidentale, senza distruggerla, ma privandola della sua componente liberale. È la stessa strategia che il Pcus aveva adottato ai tempi dell’Eurocomunismo (con Enrico Berlinguer in Italia): dare una fiducia limitata a leader locali per completare un’opera di penetrazione politica ed economica. Occupare tutti i gangli della società, cancellare la dissidenza o a ridurla a una dimensione irrilevante. Nella vita pubblica non si potrebbe più mettere in discussione l’egemonia del Cremlino.
Come salvarsi?
La sfida è duplice. Non dobbiamo cascare nella trappola totalitaria: una persona libera deve combattere sia contro il radicalismo di massa, sia contro il nazional-comunismo propagandato in Occidente da Dugin. Deve accusarli apertamente. La lotta contro il regime sanitario di questi due anni è la stessa che oggi si deve combattere anche contro il nazional-comunismo. Perché il secondo sarebbe una medicina peggiore del male.
ANCORA SUI PRODI CAVALIERI ANTINAZISTI DEL GRANDE ZAR VLADIMIR I.
30 marzo 2022
https://www.facebook.com/groups/salviam ... 3978496511
È notizia di questi ultimissimi giorni: il presidente russo Putin ha appena onorato e promosso il famigerato leader ceceno Ramzan Kadyrov al rango di tenente generale dell'Esercito della Federazione Russa.
https://www.thetimes.co.uk/article/noto ... -5qhm0t8l7
Ma chi è Ramzan Kadyrov?
Figlio di un altrettanto famigerato leader secessionista ceceno, Akhmat Kadyrov, oggi Ramzan ha 45 anni e fin dal 2007 è Presidente della Repubblica Autonoma di Cecenia; dal 2011 poi è addirittura <<Capo a vita>> della stessa Cecenia, nominalmente una provincia autonoma russa, in realtà un feudo personale del clan Kadyrov, che prima Akhmat poi, dopo il suo omicidio, ancor più il figlio Ramzan, succedutogli per gentile concessione di zar Vladimir, hanno 'normalizzato' a forza, soffocando letteralmente nel sangue ogni pur labile voce critica.
Vittime non solo oppositori e critici politici della secolare dominazione russa sulla piccola nazione caucasica, ma anche gay e lesbiche, deportati in appositi lager: nell'aprile 2017, dopo un ennesimo vertice bilaterale con Putin a Mosca, intervistato dalla stampa russa Kadyrov ha negato, a modo suo, tutte le ricorrenti accuse di crimini contro l'umanità, 'argomentando' che non hanno alcun fondamento perché <<gay e lesbiche, in Cecenia, non esistono!>> (=anche perché muoiono per la fame e le torture nei suddetti lager...).
https://www.independent.co.uk/news/worl ... 43466.html
E non esistono perché nel suo personale feudo ceceno Kadyrov, un musulmano integralista, ha imposto la Shari'a, la famigerata legge coranica, in base alla quale i c.d. 'sodomiti' possono essere 'giustiziati' (e dunque per il solo fatto di esistere...), andando persino oltre la stessa legislazione russa, notoriamente omofoba ma non sino al punto da mettere gli omosessuali a morte; può farlo essendo notoriamente devoto a Putin, in nome e per conto del quale ha, appunto, sanguinosamente 'normalizzato' la Cecenia, ottenendo in cambio di governarla proprio come un suo feudo islamico personale, gestito con la brutalità di un regime totalitario, con una combinazione di vecchi metodi stalinisti, da professionali aguzzini del KGB, e nuovi metodi islamisti, da tagliagole della Shari'a.
https://www.theguardian.com/world/2017/ ... -gay-purge
https://www.nytimes.com/2017/04/21/worl ... -gays.html
https://www.independent.co.uk/news/worl ... 26791.html
https://www.huffingtonpost.co.uk/entry/ ... baf540b892
Una feroce e sistematica repressione totalitaria aiutata dalla fattiva collaborazione delle autorità della Federazione Russa putiniana, che non esitano nemmeno a riconsegnare gli omosessuali ceceni fuggiti alla sbirraglia islamista di Kadyrov:
https://www.voanews.com/a/europe_two-ga ... 01757.html
Una feroce e sistematica repressione totalitaria che è la vera, drammatica e per ciò nascosta faccia della tanto vantata 'normalizzazione' putiniana della Cecenia:
https://www.glistatigenerali.com/geopol ... -di-putin/
Una feroce repressione evidentemente capace di colpire, sino ad oggi, anche ben oltre la Cecenia, sino in Europa, con le proprie squadre di assassini:
https://www.theguardian.com/world/2019/ ... an-kadyrov
Resta tuttora senza risposta una domanda: quanto è credibile la <<Crociata Antinazista>> bandita dal prode zar Vladimir I in Ucraina, se è portata avanti con i tagliagole islamisti ceceni del sanguinario capoclan Kadyrov (ed anche con i mercenari russi del neonazista comandante Dmitry Utkin, altro fedelissimo di Putin)?
https://www.ilgiorno.it/mondo/dmitry-ut ... -1.7431725
Putin nemico del popolo
IL FOGLIO DI OGGI
30 MARZO 2022
I veri responsabili dei suoi crimini sono i russi che scelgono di non vedere cosa fa un macellaio. Il presidente russo raccontato da Anna Politkovskaja, giornalista di Novaja Gazeta uccisa nel 2006
Anna Politkovskaja è stata una giornalista di inchiesta russa, molto critica con Vladimir Putin e molto attiva sui temi dei diritti. Il 7 ottobre 2006, mentre lavorava per il suo giornale, Novaja Gazeta, giornale indipendente che due giorni fa è stato costretto a chiudere i battenti a seguito della nuova legge sulla stampa voluta dal governo russo, Politkovskaja è stata assassinata a Mosca. Quello che segue è un suo articolo raccolto da Adelphi in un libro dedicato alla giornalista pubblicato nel 2004.
Ho riflettuto a lungo sul perché ce l’ho tanto con Putin. Che cosa me lo fa detestare al punto da dedicargli un libro. Non sono un suo oppositore politico, sono solo una cittadina russa. Una moscovita quarantacinquenne che ha potuto osservare l’Unione Sovietica all’apice della sua putrefazione comunista, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e non vuole ricascarci. (…)
Mi sono prefissa di concludere il libro oggi, 6 maggio 2004. Ancora poche ore, e il 7 maggio del 2004 Putin, tipico tenente colonnello del kgb sovietico con la forma mentis – angusta – e l’aspetto – scialbo – di chi non è riuscito a diventare colonnello, con i modi di un ufficiale dei servizi segreti sovietici a cui la professione ha insegnato a tenere sempre d’occhio i colleghi, quell’uomo vendicativo (alla cerimonia di insediamento non è stato invitato nessun rappresentante dell’opposizione o di qualunque partito che non sia in completa sintonia con il suo), quel piccoletto che ci ricorda così da vicino l’Akakij Akakievi gogoliano in cerca del suo cappotto, tornerà a insediarsi sul trono. Sul trono di tutte le Russie. (...)
Una breve parentesi. Non su Putin, ma su noi russi. I putiniani – quelli che l’hanno messo dov’è, che volevano che salisse al trono una prima volta, quelli che ora siedono nell’ufficio del presidente e di fatto guidano il Paese (non il governo, che esegue le volontà del presidente, e non il Parlamento, che ratifica le leggi che il presidente vuole) – seguono con grande attenzione le reazioni dell’opinione pubblica. Non è vero che se ne infischiano. E ciò significa una cosa importantissima: i veri responsabili di quanto sta accadendo siamo noi. Noi, e non Putin. Il fatto che la nostra reazione a lui e alle sue ciniche manipolazioni si sia limitata a sparuti borbottii da cucina gli ha garantito l’impunità nei primi quattro anni di mandato. La nostra apatia è stata senza confini e ha concesso a Putin l’indulgenza plenaria per i quattro anni a venire. Le nostre reazioni a quel che ha detto e fatto non sono state solo fiacche, ma impaurite. Abbiamo mostrato di aver paura dei Cekisti, inducendoli a perseverare nel trattarci da popolo bue. Il kgb rispetta solo i forti, i deboli li sbrana. E lo dovremmo sapere, ormai. Invece ci siamo scelti la parte dei deboli e siamo stati sbranati. La paura è pane per i denti di un Cekista. Non c’è nulla di meglio, per lui, del sentire che la massa che vorrebbe sottomettere trema come una foglia. Era ciò che volevano. Giornali e televisione traboccavano della nostra paura. L’opposizione non faceva che ripetere quanto grande fosse il pericolo – e dunque la sua paura – che Putin fosse rieletto... E anche lei è stata sbranata. (...)
Arriva il 14 marzo. Si vota. Tutto procede come pianificato al Cremlino. La vita torna a essere quella di sempre. I burocrati ricominciano a rubare a testa bassa. In Cecenia riprendono i massacri: la breve pausa durante le elezioni aveva acceso una speranza in chi aspettava la pace da cinque anni. Come vuole la tradizione asiatica, prima della seconda elezione presidenziale due alti comandanti ceceni avevano deposto le armi ai piedi del leader. I loro parenti erano stati prelevati e furono trattenuti come prigionieri fino a che i comandanti non ebbero dichiarato di stare con Putin e di aver rinunciato all’indipendenza. Dalla cella in cui si trovava, anche Chodorkovskij scrisse al presidente delle lettere contrite. Il tracollo della Iukos era lento e inesorabile. Venne Berlusconi in visita ufficiale, e la prima domanda che pose all’amico Vladimir fu come si facesse a incassare il settanta per cento dei voti. Putin non poté dargli una risposta precisa, tanto più che, se anche l’avesse fatto, il caro Silvio – europeo – non avrebbe capito. Insieme sono andati a Lipeck, in provincia, a inaugurare una fabbrica di lavatrici e a godersi uno spettacolo dell’Aeronautica militare. In televisione Putin continua a tirare le orecchie ai suoi più alti funzionari. È così che ce lo fanno vedere, di solito: nel suo ufficio, al Cremlino, mentre ascolta le relazioni dei funzionari, oppure mentre dispensa uno dei suoi monologhi-ramanzina. Le riprese sono sempre ben studiate, estrema è la cura dell’immagine, nulla è lasciato alla discrezione del singolo o al caso. Putin è stato presentato al popolo per Pasqua, a quasi un mese dalla sua rielezione. Durante la celebrazione del rito pasquale nella Chiesa del Redentore (l’antica cattedrale di Mosca ricostruita ex novo, in cemento, al posto di una piscina scoperta), al fianco del presidente, come in una parata militare, si segnavano in modo goffo e clownesco il primo ministro Fradkov e la nuova eminenza grigia del Cremlino Dmitrij Medvedev, l’ometto basso basso con la testa grossa a capo dell’ufficio del presidente. Medvedev si faceva il segno della croce portando la mano alla testa e ai genitali. Una scena ridicola. Come Putin, anche lui strinse la mano al “compagno” Patriarca, invece di baciargliela come prescrive il rituale. Il Patriarca sorvolò. Gli addetti alle pubbliche relazioni del Cremlino saranno anche solerti, ma sono ignoranti in materia religiosa e non avevano saputo istruirli adeguatamente. Accanto a Putin c’era anche il sindaco di Mosca Jurij Lužkov, che l’aveva “costruita”, quella chiesa. Lužkov è l’unico che si sia segnato come si conviene. Il Patriarca si è rivolto a Putin chiamandolo “Sua Eccellenza” e scandalizzando tutti quanti. Pertanto la Pasqua, celebrata in presenza di così numerosi esponenti del kgb tra gli alti ranghi politici, è diventata la festa di precetto più importante in Russia, un analogo della parata del Primo maggio di altri tempi. L’inizio della celebrazione fu ancora più comico della stretta di mano al Patriarca. La televisione di Stato trasmise a reti unificate, in diretta, la Via crucis intorno alla Chiesa del Redentore che precedeva la messa. Per quanto malato, il Patriarca volle prendervi parte. Lo speaker – credente e teologicamente edotto – spiegava ai telespettatori che fino a mezzanotte, come vuole la tradizione ortodossa, le porte della chiesa dovevano restare chiuse, a simboleggiare il masso posto davanti all’entrata della grotta in cui era stato deposto il corpo di Cristo. Dopo la mezzanotte i fedeli che avevano preso parte alla Via crucis avrebbero atteso che le porte si aprissero. Il primo a varcare la soglia della chiesa vuota dove Cristo era già risorto sarebbe stato il Patriarca. (…)
Più o meno in quei giorni, l’8 aprile, due gemelle cecene di nove mesi furono dichiarate shahid – martiri della fede. Morte prima ancora di imparare a camminare. La storia è la solita. Dopo il 14 marzo in Cecenia erano riprese le operazioni militari. L’esercito – lo “Stato Maggiore operativo per la direzione della Guerra al terrorismo”, come lo chiamano adesso – aveva annunciato che stavano dando la caccia a Basaev e che era “in corso un’operazione su larga scala per annientare i membri delle bande armate”. Basaev non venne catturato, ma l’8 aprile, verso le due del pomeriggio, nell’ambito di quella stessa operazione un missile cadde su una casa colonica di Rigach. Morirono tutti: una madre e i suoi cinque figli. La scena che si presentò agli occhi del padre – Imar-Ali Damaev – era di quelle che trasformerebbero qualunque persona dura di cuore in un pacifista o in un kamikaze. La moglie ventinovenne di Imar-Ali, Maidat, era già morta ma stringeva a sé la figlia Džanati (quattro anni), l’altra figlia Žaradat (tre anni), il maschio Umar Chaži (due anni) e la piccolissima Zara, di nove mesi. L’abbraccio della madre non era servito a salvare nessuno di loro, furono tutti uccisi dalle schegge. Poco distante giaceva il corpicino di Zura, la gemella di Zara. Maidat non aveva avuto braccia e tempo a sufficienza per raccogliere sotto di sé anche la quinta figlia, e a Zura non era riuscito di gattonare fino a lei. Imar-Ali raccolse le schegge del missile e risalì al numero di matricola: 350 F 5-90. Non fu difficile: il numero era rimasto intatto. Il mullah del villaggio vicino annunciò che le vittime sarebbero state tutte dichiarate martiri della fede, shahid. Come tali le seppellirono, quella sera stessa: senza lavare i corpi, senza sudari, con gli abiti con cui la morte se li era presi. E Imar-Ali Damaev di Rigach è diventato padre di cinque martiri. Perché ce l’ho tanto con Putin| Perché il tempo passa. Quest’estate saranno sei anni che la seconda guerra cecena è iniziata affinché Putin potesse diventare presidente. E non se ne vede la fine. All’epoca i bimbi shahid non erano ancora nati, ma dal 1999 a oggi tutte le stragi di bambini – tra le bombe e le pulizie etniche – sono rimaste impunite: i carnefici non sono mai finiti sul banco degli imputati. Putin non l’ha mai preteso, sebbene abbia fama di “amico di tutti i bimbi”. In Cecenia i militari continuano a comportarsi com’è stato loro permesso da che la guerra è iniziata: pensano di essere in un poligono di tiro senza nessuno intorno, bambini compresi. Questa strage di innocenti non ha scosso il Paese. Nessuna televisione ha mostrato le immagini dei cinque piccoli ceceni uccisi. Il ministro della Difesa non si è dimesso seduta stante (perché è un amico di Putin e perché è uno dei papabili alle presidenziali del 2008). Non ha lasciato il suo posto nemmeno il comandante dell’Aeronautica militare. È rimasto tutto com’era. Il comandante in capo non ha indirizzato una sola parola di conforto o di condoglianze a quel padre rimasto solo. Il mondo continua a ribollire attorno a noi. In Iraq sono stati ammazzati degli ostaggi. Popoli e nazioni hanno chiesto a chi li governa e alle organizzazioni internazionali di ritirare le truppe per salvare la vita di quanti stanno facendo il loro dovere. Da noi niente. La morte di quei bambini assurti a martiri non solo non ci ha spinti a chiedere di ritirare le truppe, ma nemmeno a iniziare un dibattito su quanto sta accadendo in Cecenia con l’intento di aprire una strada al dialogo, alla pacificazione, alla smilitarizzazione e a tutto ciò che consegue alla fine di un conflitto. Perché ce l’ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per una faciloneria che è peggio del latrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci. Io la penso così. Altri avranno punti di vista differenti. Nonostante la strage, la gente continua a sperare che il mandato presidenziale si prolunghi fino a dieci anni. Di solito è il Cremlino, nella persona di Vladislav Surkov, a creare l’ennesimo movimento giovanile pro-Putin. Surkov, vicecapo dell’ufficio del presidente, non è solo un gran tessitore di alleanze, ma anche il miglior PR del Paese – dove “pubbliche relazioni” diventa sinonimo di menzogna, inganno e parole invece che fatti. I movimenti politici nati da un decreto del Cremlino sono in gran voga a casa nostra, affinché l’Occidente non sospetti che il nostro sia un sistema monopartitico, autoritario e non-pluralistico. E così spuntano gruppi che prendono nomi del tipo Marciamo insieme, Cantiamo insieme, Per la stabilità1 e altre varianti della Gioventù comunista di un tempo. Il tratto distintivo di questi movimenti parapolitici pro-Putin è che il ministero della Giustizia – solitamente incline a creare difficoltà a chi tenta qualche passo in politica – li registra in quattro e quattr’otto, senza lungaggini burocratiche. E come primo atto pubblico il neonato movimento annuncia che si adopererà a favore dell’estensione del mandato per l’amato presidente. Putin ha ricevuto un regalo simile anche il 7 maggio, il giorno del suo insediamento. Alla fine di aprile il movimento per la stabilità aveva, infatti, già avviato la procedura per estendere il mandato a colui che il popolo aveva eletto appena un mese prima (Putin quale garante della stabilità del Paese, dunque). I membri del minuscolo movimento pretendevano anche il riesame delle privatizzazioni (si legga: siamo contro Chodorkovskij e pro-Putin). La Commissione elettorale di Mosca è stata assai solerte nell’accogliere la richiesta di quei giovani ‘stabilizzatori’ e nel promuovere un referendum sull’estensione del mandato presidenziale. Così abbiamo accolto il giorno dell’insediamento, il 7 maggio 2004. Putin, che – per puro caso – si è ritrovato ad avere un potere enorme, lo ha gestito con conseguenze catastrofiche per la Russia. E se non mi piace è anche perché nemmeno noi piacciamo a lui. Non ci sopporta. Ci disprezza. Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico Cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino.
DI ORIGINALLY PUBLISHED IN ENGLISH BY THE HARVILL PRESS UNDER THE TITLE “PUTIN’S RUSSIA”
Mosca. «Infanga l'Urss»: così la Corte suprema russa chiude la ong Memorial
Marta Ottaviani
martedì 28 dicembre 2021
https://www.avvenire.it/mondo/pagine/mo ... g-memorial
Il più antico gruppo per la difesa dei diritti umani, fondato dal Nobel per la pace Sakharov, raccontava le epurazioni dell'era staliniana ed era un simbolo della democratizzazione post-sovietica
Un supporter di Memorial protesta davanti alla sede della Corte Suprema a Mosca. Nel cartello la scritta: "Noi siamo Memorial"
Un supporter di Memorial protesta davanti alla sede della Corte Suprema a Mosca. Nel cartello la scritta: "Noi siamo Memorial" - Ansa
«My budem zhit vsegda», noi vivremo per sempre. Era scritto su un cartello fuori dalla Corte Suprema di Mosca, poco prima che venisse emessa la sentenza sulla chiusura dell’organizzazione Memorial International. Un verdetto che, purtroppo, era stato ampiamente annunciato ed è stato reso noto appositamente sotto Capodanno, quando tutta la Russia è avvolta dal clima ovattato delle feste.
Memorial International, la più importante organizzazione di denuncia dei crimini del comunismo (e non solo) è stata chiusa perché viola l’ormai tristemente nota legge sugli agenti stranieri. Il provvedimento, in vigore dal 2012, bolla come «agenti stranieri», un’espressione che in Unione Sovietica era comparata a quella di «spia», le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero e le cui azioni sono ritenute contrarie agli interessi della Russia. Sotto la sua mannaia, nel giro di pochi mesi, hanno cessato le pubblicazioni o sono stati chiusi numerosi media di opposizione e Ong. Fra queste, c’è anche la Fondazione Anti Corruzione di Alexeij Navalny, il maggiore oppositore al presidente Vladimir Putin, a sua volta in carcere, ufficialmente per appropriazione indebita.
In particolare, Memorial è stata accusata di aver «denigrato la memoria dell’Unione Sovietica» e delle sue vittorie, e di aver riabilitato i «criminali nazisti». Durante l’udienza di ieri un pubblico ministero ha affermato che Memorial «crea una falsa immagine dell’Urss come stato terrorista e denigra la memoria della Seconda guerra mondiale». Quella di Mosca come potenza vincitrice sul nazismo e liberatrice di Berlino è un’immagine alla quale decine di milioni di russi sono molto affezionati e sulla quale si basa buona parte della retorica nazionalista.
Il fato a volte sa essere davvero spietato e ha voluto che questa sentenza arrivasse a tre giorni dal trentesimo anniversario della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Segno che la componente ideologica può essere venuta a mancare e che il sistema economico possa essere in parte cambiato. Ma la repressione del dissenso e la quasi totale mancanza di una vera opposizione, accentuatasi dal 2010 in poi, rendono la differenza fra i due periodi sempre più labile.
«Si tratta di una sentenza politica, che arriva dai livelli più alti dello Stato – hanno detto da Memorial ad Avvenire, senza menzionare direttamente il presidente, Vladimir Putin –. Una decisione che colpisce non solo il nostro lavoro di indagine storica, ma anche quanto fatto per difendere i diritti umani. E si tratta di un messaggio terribile per la società civile russa. Da questo momento ormai davvero nessuno può sentirsi al sicuro. Questa sentenza dimostra anche la mancanza di indipendenza della magistratura».
L’organizzazione già ieri ha fatto sapere che farà appello in Cassazione per annullare la sentenza e di essere pronta ad arrivare fino alla Corte Europea dei Diritti Umani. La sezione italiana dell’organizzazione ha chiesto un incontro con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio per sollecitare un suo intervento ufficiale. «Se l’appello dovesse andare male – hanno spiegato ancora da Mosca ad Avvenire – troveremo il modo di continuare a lavorare come comunità di volontari, che poi è come siamo nati. Anche se sappiamo che questo potrebbe rendere la nostra vita ancora più difficile». Se fuori dai confini nazionali, Memorial International è conosciuta e molto rispettata per il suo lavoro di denuncia storica, il mese scorso, un sondaggio del Levada Centre, istituto di ricerca indipendente e anch’esso iscritto nella lista degli agenti stranieri, ha rivelato che appena un terzo dei russi è a conoscenza dell’esistenza dell’organizzazione. Durante la conferenza di fine anno, Putin ha difeso la legge sugli agenti stranieri, dicendo che negli Stati Uniti è in vigore un provvedimento analogo ancora più severo.
Intanto, la comunità internazionale si mobilita. Amnesty International ha definito la chiusura di Memorial «un attacco alla società civile» e un «tradimento alla memoria delle vittime dei gulag».
DA SAPERE
L’Ong Memorial è stata fondata nel 1989 da un gruppo di dissidenti, fra cui il premio Nobel per la Pace, Andrej Sakharov. È l’unica organizzazione a possedere un archivio che documenta i crimini commessi durante il periodo sovietico, raccolti grazie a un capillare lavoro portato avanti su tutto il territorio dell’ex Urss da decine di volontari che appoggiano l’associazione. Grazie a Memorial è stato possibile fare luce sulle persecuzioni contro milioni di persone e l’ubicazione di alcune fosse comuni nelle quali sono stati fatti scomparire i «nemici del popolo».
Soldati russi intercettati, le telefonate agghiaccianti a casa: "Ruba tutto". Saccheggi e crimini, orrore senza fine
Giada Oricchio
31 marzo 2022
https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/3 ... -31048395/
Furti, saccheggi e fame. C’è tutto l’orrore della guerra nelle telefonate intercettate dai servizi segreti ucraini e pubblicate dal profilo Twitter “Ukraine”. In questi 40 giorni di invasione, i soldati russi hanno raso al suolo città salvaguardando le infrastrutture, ma rubando in case e negozi abbandonati dai civili in fuga. Sull’account si legge: “Si tratta di vere e proprie chiamate intercettate i soldati russi in Ucraina chiamano i loro cari in Russia per raccontare come sta andando finora. Saccheggi e crimini di guerra inclusi. Condividete! Il mondo deve conoscere la verità su ciò che stanno facendo alle nostre case e alle nostre persone”. Le conversazioni private dei soldati russi con i familiari sono terribili. Si sente un militare raccontare a una donna: “Dove siamo andati? Un po’ a saccheggiare in giro”, “Non un po’, alla grande” gli fa eco un commilitone. E ancora: “Ieri ho sparato a un’auto”, “Bravo, spara a quei figli di put**na, finché non sei tu va bene, spara a quei fo**uti drogati e nazisti” risponde una voce femminile russa. Rubano pellicce e oggetti di valore: “Adesso hai due cappotti di visone e Dasha uno di volpe artica. Abbiamo preso il controllo della casa, ci vivono 20 di noi, abbiamo bevuto un cognac da 7mila rubli. Forse c’è anche la Coca cola, alla fine mi poterò via un televisore di 70mila rubli. Siamo autorizzati a portare via”.
I soldati russi trafugano perfino utensili di ferramenta, saldatori, frullatori e tritacarne. Qualcuno lamenta la fame. Masoprattuto c'è l’agghiacciante ammissione di uccisioni deliberate sui civili: “Le abbiamo fermati, spogliati e controllati, eravamo indecisi se lasciarli andare, alla fine abbiamo sparato loro nella foresta perché potevano rivelare la nostra posizione”. Ci sono perfino risatine davanti ai cadaveri degli ucraini. Colloqui criminali dalle tenebre dell’animo umano.