I falsari e la realtà
Niram Ferretti
14 luglio 2020
http://www.linformale.eu/i-falsari-e-la-realta/
Su “Bet Magazine Mosaico” organo ufficiale della Comunità ebraica di Milano del 13 luglio appare un appello dal titolo, Contro l’annessione: una voce ebraica italiana, una protesta globale. Già il titolo, nella sua iperbole, evoca un orizzonte assai ampio, tuttavia il respiro dello scritto è corto, quasi asfittico, diremo, nonostante l’entusiasmo del titolatore.
Il pezzo si associa vibrantemente a un altro appello, quello promosso e capeggiato a maggio da settanta parlamentari del centrosinistra e indirizzato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, allo scopo di condannare Israele nella sua intenzione di estendere la propria sovranità su una porzione di territori della Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank).
A leggere alcune delle firme in calce alla protesta ebraica su Mosaico, non si può fare a meno di notare quanto, alcune di esse, rappresentino il fior fiore della Haskalah diasporica italiana, ovvero la rappresentanza degli ebrei illuminati e giusti per i quali, i correligionari che dissentono appartengono proverbialmente alla categoria guarescana dei trinariciuti.
L’appello è un esemplare breviario di luoghi comuni stagionati e falsità consolidate che farebbe la letizia dell’ufficio propaganda dell’OLP o dell’Autorità Palestinese, con l’aggiunta di nuove gemme.
Vediamoli.
Portatori di sensibilità politiche e religiose differenti, ci accomuna la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, oggi, al piano di annessione previsto…L’annessione unilaterale di porzioni della Cisgiordania rappresenta un colpo fatale per la realizzazione di un futuro di giustizia e pace tra israeliani e palestinesi e viola il diritto internazionale.
La sensibilità comune è un collante forte, ma non basta a trasformare la realtà in fiction. I territori “palestinesi” sono tali geograficamente, in quanto ubicati al di fuori di Israele. Solo in questo senso eminentemente toponomastico si possono definire “palestinesi”. Non esiste, infatti, sui territori della Giudea e Samaria alcun detentore sovrano legittimo dal 1948 ad oggi. Il massimo che si possa dire, in ossequio al diritto internazionale, è che essi siano contesi, tuttavia, vi è una forte, anzi fortissima legittimità israeliana su di loro, sancità dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, mai abrogato nelle sue disposizioni originarie.
Il termine “occupazione” consegue all’abbaglio di fare credere che essi siano palestinesi di dotazione e che gli israeliani vi permangano abusivamente. Le parole stregano, non solo quelle dei poeti, ma soprattutto quelle di megafoni solerti al servizio della propaganda, come ben sapeva il dottor Goebbels. Altra fola perpetrata ad arte e tutta giocata sull’ambiguità del termine. Va aggiunto inoltre che il concetto stesso di “occupazione” è stato svuotato di senso con gli Accordi di Oslo e in modo evidente con l’Accordo Provvisorio del 1995 il quale, all’articolo XI stabilisce che i poteri civili e l’autorità in tutti i territori sia esercitata dall’Autorità Palestinese con l’esclusione dell’Area C, sulla quale il potere dell’Autorità Palestinese non si estende. Lo stesso Accordo stabilisce all’Articolo XII(1), stipulato, come gli altri, con i palestinesi, che Israele abbia il diritto di permanere a tutela difensiva degli insediamenti ebraici e della loro popolazione. In altre parole, “l’occupazione” riguarderebbe la salvaguardia israeliana sulla popolazione ebraica legittimamente insediata nella porzione di territorio che le compete.
“Annessione” è altro termine fraudolento, così come è del tutto falso affermare che l’estensione di sovranità, perchè questo è, sarebbe in violazione del diritto internazionale. Quale diritto internazionale? Gli autori o l’autore dell’appello non lo dice. Si limita al flatus vocis della formula. In verità non può esservi annessione laddove i territori in oggetto sono già stati allocati a Israele nel 1922 dal Mandato Britannico per la Palestina, e sui quali Israele ha piena legittimità giuridica di estendere la propria sovranità.
Nessuna delle numerose risoluzioni ONU prodotte negli anni a ritmo serrato contro lo Stato ebraico con il copioso concorso degli Stati musulmani e arabi, e nelle quali viene ribadita la presunta illegalità della presenza israeliana in Cisgiordania e degli insediamenti ivi presenti, ha valore sul piano legale, non essendo alcuna delle risoulzioni in oggetto giuridicamente vincolante.
Gli stessi Accordi di Oslo del 1993-1995 prevedono che la questione relativa alla distribuzione e all’eventuale cedimento dei territori da parte israeliana avvenga nel contesto di negoziati tra le parti. Dopo 25 anni e dopo il costante rifiuto arabo di accettare le proposte israeliane, da Camp David nel 2000, a Taba nel 2001, e in seguito con la proposta fatta da Ehud Olmert ad Abu Mazen nel 2008, anch’essa respinta, è giunta l’ora di riconoscere il fallimento degli Accordi e procedere a legalizzare una porzione (il 30%) dei territori.
La tanto invocata pace a cui l’appello fa riferimento, non è mai giunta a realizzarsi, unicamente e inequivocabilmente, in virtù della indisponibilità araba a ogni intesa con Israele, cominciando dal 1947 in sede ONU, quando, dopo la Risoluzione 181, in cui il territorio demandato agli ebrei dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, veniva ulteriormente decurtato a favore degli arabi, essi rigettarono la Risoluzione e procedettero ad attaccare il nascituro Stato ebraico nel 1948 allo scopo di annientarlo. Ad oggi in nessun documento ufficiale sia dell’OLP che dell’Autorità Palestinese è riconosciuta la legittimità esistenziale di Israele. Vi è stato solo ed unicamente da parte dell’Autorità Palestinese un riconoscimento formale di fatto.
Se portata a termine, l’annessione consoliderà de jure la discriminazione sistematica dei palestinesi, negando i loro diritti individuali e collettivi. Inoltre il Primo Ministro israeliano ha dichiarato che hai residenti palestinesi dei territori annessi non verrebbe conferita la cittadinanza.
Così come la gatta frettolosa fece i gattini ciechi, il falsario poco esperto crea patacche grossolane. Basterebbe conoscere le disposizioni vigenti degli Accordi di Oslo per sapere che nella tripartizione delle aree della Cisgiordania, A, B e C, l’Autorità Palestinese ha piena giurisdizione legale e politica sulla prima, e in parte sostanziale anche sulla seconda, e che, unicamente l’Area C è demandata al controllo politico e militare israeliano. L’eventuale estensione di sovranità sul 30% dei territori circoscritti nel perimetro di tale area, lascerebbe agli arabi palestinesi ivi dimoranti la la loro specificità, non facendoli diventare automaticamente cittadini israeliani, nella prospettiva di un futuro Stato palestinese nei quali confluirebbero. E questa sarebbe una forma di “discriminazione”?
La criticità di questo progetto è resa ancora più acuta dal quadro all’interno del quale si inserisce, il ‘Deal of the Century’ del Presidente Trump, che dietro la falsa promessa della creazione di uno Stato palestinese, prospetta in realtà una entità priva di continuità territoriale e di sovranità politica.
I falsari che accusano di falsità chi non lo è sono pari alle donne di facili costumi che danno lezioni di virtù, suscitano sconcerto e ilarità. La continuità territoriale di un possibile Stato palestinese, per le evidenti caratteristiche geografiche del territorio in essere, non può essere omogenea. Nonostante ciò, il piano di pace targato Trump prevede un notevole investimento in infrastrutture nel quale sarebbe anche ipotizzato un collegamento tra la Cisgiordania e Gaza. La sovranità sullo Stato palestinese sarebbe pienamente demandata agli arabi palestinesi, tuttavia, lo Stato non potrebbe avere un proprio esercito così come altri Stati, il Liechtenstein, Monaco, Panama, Grenada, senza per questo che la loro sovranità sia diminuita.
I fatti parlano sempre il linguaggio inequivocabile della realtà, l’ideologia, di cui, questo appello è impregnato come una spugna, si incarica di sostituirli con dei simulacri.
Il nuovo governo Netanyahu, con la annunciata decisione di estendere la sovranità israeliana a circa il 30% della Giudea e Samaria, ha aperto un gigantesco vaso di Pandora che ha scatenato le prevedibili reazioni contrarie della comunità internazionale con a capofila l’Alto Rappresentante degli affari esteri UE Josep Borrell e il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres. Seguita o anticipata da più o meno tutti i rappresentanti degli Stati Occidentali ad esclusione dell’Amministrazione Trump.
L’accusa è di quelle gravi e senza appello: violazione del diritto internazionale. Però come quasi sempre accade, l’accusa così formulata non fornisce mai alcun dettaglio di quale legge o principio del diritto internazionale Israele violerebbe.
Talvolta però, in qualche dichiarazione o comunicato, il capo di Stato o diplomatico di turno (quasi sempre un rappresentante irlandese, svedese, lussemburghese, francese, o belga), parla di “occupazione illegale di terre palestinesi”.
A questo punto è opportuno cercare di fare chiarezza andando a ritroso storicamente per cercare di capire chi ha la titolarità legale su questi territori.
La storia, dei territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank), degli ultimi 100 anni è molto lineare: l’ONU del tempo (la Società delle Nazioni) dopo aver deciso di sottrarli all’autorità legittima ottomana, nell’ambito della risistemazione di tutto il Medio Oriente con la creazione del sistema dei mandati e di vari Stati indipendenti arabi, decise di assegnarli al Mandato per la Palestina affidato alla Gran Bretagna. Complessivamente i Mandati approvati (per il Medio Oriente), in prima battuta a Sanremo nel 1920 e successivamente ratificati dopo le paci di Sevres e Losanna furono 4: Il Mandato per la Palestina, il Mandato per il Libano, il Mandato per la Siria e per la Mesopotamia (Iraq). L’intento dichiarato era quello di gestire questi territori – diventati internazionali con il sistema dei Mandati – per renderli autonomi e farne nel tempo degli Stati indipendenti al fine di garantire l’autodeterminazione della popolazione locale.
Nel caso specifico del Mandato per la Palestina, come si evince in modo inequivocabile leggendo il preambolo, l’Art. 2, l’Art. 4, l’Art. 6 e l’Art. 7, l’intento era quello di creare uno Stato indipendente per il popolo ebraico.
Dopo l’approvazione ufficiale del Mandato del 22 luglio 1922, la Gran Bretagna in qualità di autorità mandataria e in base all’art. 25 del Mandato stesso, decise di dividere il Mandato, con un proprio memorandum presentato al Consiglio della Società delle Nazioni e da esso approvato definitivamente il 23 settembre 1922, in due unità amministrative separate: la Palestina (dove rimanevano in vigore tutti gli obblighi mandatari per la creazione dello Stato degli ebrei previsti dal Mandato stesso) e la Transgiordania retta dall’Emiro Abdallah con l’intento di creare uno Stato arabo precluso agli ebrei (una sorta di Stato judenrein ante litteram) visto il divieto agli ebrei di risiedervi imposto dalle autorità inglesi in modo arbitrario e forse anche illegale. Il “confine amministrativo” tra le due porzioni del mandato correva lungo il fiume Giordano (si veda la cartina 1).
In estrema sintesi si può affermare che il Mandato per la Palestina, quando è nato, è nato “duplice” ad ovest del Giordano per un futuro Stato del popolo ebraico, e uno ad est del fiume per il popolo arabo. Le cose sono proseguite così fino al 1946, quando la Gran Bretagna, in qualità di autorità mandataria riconobbe il fatto che la Transgiordania, dal quel momento, era in grado di diventare uno Stato indipendente, che divenne così l’attuale Giordania.
Ciò che rimaneva in vigore come Mandato internazionale amministrato dalla Gran Bretagna era la Palestina, cioè la porzione di territorio ad ovest del Giordano, quindi compresi anche i territori di Giudea e Samaria, ovvero il territorio istituito per creare lo Stato degli ebrei.
Nell’aprile del 1947 gli inglesi decisero di rinunciare ad amministrare il Mandato per la Palestina e di rimetterlo all’ONU, che nel 1946 era subentrata alla Società delle Nazioni assumendone tutti gli obblighi ancora in essere. La questione dei Mandati in vigore – quello per la Palestina non era l’unico ancora operante – fu disciplinata con l’art. 80 dello Statuto.
La decisione inglese fu presa per un duplice motivo: l’impossibilità economica di mantenere la presenza militare nel territorio e soprattutto per la sempre maggiore ostilità della locale popolazione ebraica e araba ormai in procinto di combattere una vera a propria guerra civile.
Vista l’impossibilità di trovare un accordo tra arabi ed ebrei (gli arabi non volevano in nessun modo permettere la creazione di uno Stato degli ebrei), l’Assemblea Generale interpellata sulla questione, con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, decise la partizione del territorio del Mandato per la Palestina. Con questa Risoluzione l’Assemblea Generale, non fece altro che una “raccomandazione” alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, di procedere alla spartizione territoriale del Mandato (vedi cartina 2), così come era stata suggerita dalla commissione ONU, l’UNSCOP, incaricata di studiare come risolvere il problema di convivenza tra ebrei e arabi all’interno del territorio mandatario (su questo torneremo in dettaglio più avanti).
Questo suggerimento fu accettato dagli ebrei ma fu rifiutato dagli arabi che, con l’aiuto degli Stati arabi confinanti, decisero di espellere tutti gli ebrei che abitavano nel territorio mandatario.
Gli ebrei che vivevano nel territorio mandatario decisero di proclamare la loro indipendenza il 14 maggio 1948, in virtù anche delle disposizioni mandatarie che prevedevano la creazione di uno Stato per il popolo ebraico.
Immediatamente il nuovo Stato fu attaccato da 5 eserciti arabi oltre che dalla locale popolazione araba. Nel 1949 furono firmati gli armistizi tra Israele e l’Egitto, la Giordania, il Libano e la Siria. Successivamente Israele come Stato indipendente fu ammesso in seno all’ONU come 59° Stato membro. L’ammissione di Israele all’ONU aveva una peculiarità: non aveva confini ufficiali e ben definiti ma linee armistiziali provvisorie. Rispetto ai confini mandatari Israele aveva perduto i territori di Giudea e Samaria – che la Giordania aveva illegalmente occupato e nel 1950 annesso – e la Striscia di Gaza a sud occupata illegalmente dall’Egitto (vedi cartina 3).
Questa situazione provvisoria si protrasse fino al 1967. Senza che mai Israele rinunciasse alla rivendicazione dei territori persi durante la guerra di indipendenza. La rivendicazione territoriale israeliana aveva (e ha) il suo fondamento nel principio, internazionalmente utilizzato per stabilire i confini dei nuovi Stati, dell’Uti Possidetis con il quale si sono stabiliti tutti i confini degli Stati mediorientali nati dal rispettivi mandati: Libano, Siria, Iraq e non da ultimo la Giordania nata come abbiamo visto dal medesimo Mandato per la Palestina da cui è nato Israele.
Israele, nel 1967, uscito vincitore dalla guerra dei Sei Giorni riconquistò i territori di Giudea, Samaria e Striscia di Gaza. Inoltre conquistò il Golan e la penisola del Sinai.
Tra il 1979 e il 1982, Israele dopo aver firmato il trattato di pace con l’Egitto si ritirò dalla penisola del Sinai stabilendo il confine internazionale con l’Egitto sul confine preesistente tra Egitto e Mandato per la Palestina.
Nel 2005 Israele decise di rinunciare alla sovranità sulla Striscia di Gaza e di trasferite tutta la popolazione ebraica presente, affidando le competenze del territorio all’ANP nata con gli Accordi di Oslo del 1993-1995.
Diversa è la situazione di Giudea e Samaria, che dal 1950 sono noti anche come West Bank o Cisgiordania dal periodo di occupazione illegale giordana. Questi territori come si accennava furono riconquistati da Israele con la guerra del 1967. Quindi Israele, conquistando e amministrando, questi territori non ha compiuto nessun atto illegale per il diritto internazionale per due motivi: 1) Israele come Stato aggredito dalla Giordania ha il diritto ai territori in base all’art. 51 dello Statuto dell’ONU. Cosa riconosciuta dalle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza. 2) per il principio del diritto internazionale: ex iniura non oritur ius (un atto illegale non genera legge) cioè la precedente illegale occupazione giordana non ha mai dato diritto alla Giordania al possesso dei suddetti territori. In conclusione i territori di Giudea e Samaria o sono territori internazionali non assegnati (quindi territori contesi) oppure appartengono ad Israele che li rivendica per il principio dell’uti possidetis.
Anche gli Accordi di Oslo, entrati in vigore dal 1995, non hanno intaccato le rivendicazioni legali di Israele perché tali accordi con la neo costituita Autorità Nazionale Palestinese sono accordi di tipo amministrativo e non statuale. Gli eventuali confini, se il processo politico in corso approderà alla soluzione di due Stati, saranno discussi tra le parti. Da dove nasce dunque l’iniziale affermazione di “occupazione illegale di terre palestinesi”? Da una interpretazione politica – non basata sul diritto internazionale – della già citata Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU.
Come si evince chiaramente dalla cartina 3, i “confini” della “Cisgiordania occupata” non coincidono con quelli proposti con la Risoluzione 181. Ma sono bensì delle linee di armistizio alla conclusione della guerra del 1948-49. Inoltre, mai nessuno Stato al mondo nonché nessuna organizzazione dell’ONU (Consiglio di Sicurezza, Assemblea Generale o altri) ha mai dichiarato Giudea e Samaria (Cisgiordania) “territorio palestinese occupato” quando fu annessa alla Giordania dal 1950 al 1967. Perché? Perché non vi erano le basi legali per farlo e non ci sono neanche oggi. Ma allora come è nata la Risoluzione 181 e qual è il suo valore legale?
Quando la Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, nell’aprile del 1947 formalizzò la sua rinuncia a continuare ad amministrare il Mandato per la Palestina, ne diede notizia formale all’Assemblea Generale convocata ad hoc (come previsto dall’art. 27 del Mandato per la Palestina). L’Assemblea Generale fu convocata in base alle disposizioni dell’art. 10 dello Statuto dell’ONU. Questo è un aspetto giuridico di fondamentale importanza. Perché, come prevede lo Statuto stesso, le decisioni dell’Assemblea Generale rientrano nell’ambito di questo articolo e non hanno potere vincolante. L’unica eccezione al questa disposizione è rappresentata dall’art. 17 che prevede la competenza vincolante dell’Assemblea Generale in materia di finanziamento delle organizzazioni dell’ONU oltre che dell’Assemblea stessa. In conclusione l’Assemblea Generale poteva solo “raccomandare” e non “decidere” sul destino del Mandato per la Palestina perché non aveva – e non ha – il titolo per poterlo fare. La cosa si evince dalla formulazione stessa della Risoluzione 181: “l’Assemblea Generale raccomanda alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria e […] il Consiglio di Sicurezza di implementare …” (cioè rendere vincolante legalmente) le raccomandazioni formulate nella Risoluzione. In pratica l’Assemblea Generale chiede ad altri due soggetti (potenza mandataria e Consiglio di Sicurezza) di attuarne le disposizioni. Perché lo chiede ad altri? Perché non ha il potere legale per poterlo fare. Infatti gli Stati arabi per giustificare la loro invasione del neonato Stato di Israele dichiararono che tale Risoluzione non aveva potere legale. E avevano ragione su questo punto.
Quindi, l’affermazione “occupazione illegale di terre palestinesi” non ha basi giuridiche perché uno Stato arabo palestinese non è mai sorto su quelle terre: per l’invasione araba e perché la Gran Bretagna e il Consiglio di Sicurezza non hanno dato seguito al suggerimento dell’Assemblea Generale. E avrebbero dovuto farlo con l’uso della forza per contrastare l’invasione araba (gli ebrei erano d’accordo sulla partizione) come previsto dalla Risoluzione 181.
Ne consegue che, se Israele non ha titolo di legittimità territoriale in Giudea e Samaria, dal punto di vista legale, non ha titolo alla sua stessa esistenza. Perché, come evidenziato, questo titolo gli deriva dal Mandato Britannico per Palestina che comprendeva anche Giudea e Samaria.
L’operazione politico-diplomatica intesa a evidenziare una pretesa violazione da parte di Israele del diritto internazionale in virtù della presenza di cittadini ebrei in quelle terre e/o la volontà di estendere la propria sovranità su di esse equivale a riconoscere l’illegittimità di Israele stesso.
La questione legata a Giudea e Samaria è solo il primo passo, da parte degli arabi, per procedere verso il vero obiettivo: la dichiarazione e il riconoscimento che tutto Israele è illegale dal punto di vista del diritto internazionale.