L'offensiva turca in Siria infiamma tutta la regioneLaura Cianciarelli
10 ottobre 2019
https://lanuovabq.it/it/loffensiva-turc ... icrvm25nvsLa penetrazione turca nella regione curda della Siria sta riaccendendo i conflitti che covavano sotto la cenere. Le truppe di terra sono entrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano mentre i raid aerei hanno colpito obiettivi fino a 30 km all'interno del Paese. Russia e Iran contrari all'offensiva, il governo di Damasco deve ancora decidere l'obiettivo da perseguire.
Bombardamenti turchi contro i curdi in Siria
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dato avvio alla nuova campagna in territorio siriano. “Le Forze armate turche” – si legge nel breve comunicato – “insieme all'Esercito siriano libero hanno lanciato l'operazione Primavera di pace, con l'obiettivo di prevenire la creazione di un corridoio del terrore a sud del confine turco e portare pace nell'area”.
Una mossa che non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno. Da tempo, infatti, Ankara minacciava l'invasione del territorio nordorientale siriano allo scopo di creare una zona cuscinetto – dell'estensione di circa 30-40 chilometri –. Con una triplice finalità: “liberare il territorio dal terrorismo”, impedire che la nascita di uno Stato curdo oltre il confine meridionale della Turchia galvanizzasse i curdi presenti nel Paese; e ricollocare i profughi siriani rifugiatisi in Turchia.
Finora, tuttavia, le ambizioni turche erano state frenate dalla presenza nell'area delle truppe statunitensi, per le quali i curdi siriani hanno rappresentato un alleato chiave nella lotta contro lo Stato Islamico. Negli ultimi mesi, inoltre, il progetto condiviso per una “safe zone” sembrava essersi finalmente concretizzato: Ankara e Washington avevano raggiunto un accordo per la creazione del c.d. “corridoio di pace”, eseguendo anche le prime fasi del piano, quali il ritiro delle Syrian Democratic Forces (Sdf) dalle loro roccaforti nel nord-est della Siria e alcuni pattugliamenti congiunti turco-statunitensi.
Segnali positivi che, tuttavia, non sono risultati sufficienti, almeno nella prospettiva turca. Più volte, infatti, Ankara ha accusato gli Stati Uniti di non “aver fatto abbastanza” per la realizzazione della zona cuscinetto, arrivando anche a lanciare un ultimatum a Washington - scaduto alla fine di settembre - con il quale Erdogan minacciava un intervento unilaterale della Turchia nel nord della Siria.
Dalle parole ai fatti. Compresa la serietà della minaccia turca, domenica scorsa (6 ottobre), il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la decisione di disimpegnarsi dalla Siria, ritirando le truppe statunitensi e dando de facto il “via libera” alla campagna di Ankara.
Pochi giorni dopo, il 9 ottobre scorso, le truppe turche – con l'appoggio dall'Esercito siriano libero, i ribelli sostenuti da Ankara negli anni della guerra civile siriana – hanno lanciato la campagna militare contro i curdi siriani. Ventiquattro ore più tardi, le truppe di terra turche sono penetrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano, raggiungendo la città di Tal Abyad. Alcuni raid aerei avrebbero inoltre centrato obiettivi situati fino a 30 chilometri all'interno del Paese.
Niente pace, dunque, per la Siria, la cui mappa del conflitto appare nuovamente stravolta. Abbandonati dagli Stati Uniti, i curdi potrebbero infatti rivolgersi al governo siriano - dal quale hanno cercato di rendersi autonomi negli ultimi anni - o alla Russia, affinché riempiano il vuoto lasciato dalle truppe americane. Prospettiva caldeggiata anche da Mosca che, pur capendo le esigenze di sicurezza di Ankara, sta spingendo Damasco a negoziare con i curdi per fare fronte comune e salvaguardare l'integrità territoriale della Siria. Contrario all'offensiva turca, anche l'Iran - altro importante alleato di Bashar Al-Assad -, che ha intimato ad Ankara di ritirare le proprie truppe dal territorio siriano, dando il via ad alcune esercitazioni militari non preannunciate al confine con la Turchia, verosimilmente in funzione deterrente.
Per nulla scontata, invece, la risposta di Damasco. Le forze pro-Assad si starebbero concentrando nei pressi di Manbij e Deir Ez-Zour, ma non è ancora chiaro quale sia il loro obiettivo: se sostenere i curdi contro le ingerenze esterne o approfittare dell'offensiva per riprendere possesso del territorio. Dal marzo 2016, infatti, il territorio corrispondente alle aree di Afrin, Al-Jazira, Kobane, Tal Abyad e Shahba farebbe parte di uno “Stato curdo”, mai riconosciuto ufficialmente da Damasco.
Le conseguenze dell'offensiva turca potrebbero anche travalicare i confini siriani, riguardando direttamente l'Occidente. Nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, l'ideologia dell'Isis è ancora molto viva tra i suoi seguaci, in particolare negli ex territori del califfato, dove si nascondono numerose cellule dormienti.
Costrette a ricollocarsi per affrontare la minaccia turca, le forze di sicurezza curde potrebbero abbandonare il territorio nord-orientale della Siria – in cui si concentra la presenza dei jihadisti -, lasciando il fronte scoperto e vulnerabile. Ad aggravare la situazione anche lo “stand-by” in cui è stata posta la missione a guida Usa impegnata nella lotta allo Stato Islamico in Siria, proprio in concomitanza con l'avvio dell'operazione “Primavera di pace” (9 ottobre).
La diminuzione delle forze di sicurezza a guardia delle prigioni curde, nelle quali sono detenuti gli jihadisti, rischia di favorire l'evasione dei membri dell'Isis, tra cui numerosi foreign fighters. Proprio in concomitanza con l'avvio dell'offensiva turca, nel campo di Al-Hol, i detenuti hanno attaccato le guardie e dato fuoco alle tende in cui risiedono. Senza contare i “danni collaterali” dei raid aerei turchi. Il giorno successivo all'avvio della campagna militare (10 ottobre), è stata colpita una prigione gestita dai curdi, nella quale sarebbero stati detenuti alcuni tra i più pericolosi combattenti, arruolatisi nelle file dell’Isis e provenienti da circa 60 diversi Paesi.
LA GUERRA CHE NON FINISCE PER DECRETONiram Ferretti
13 ottobre 2019
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Nella sua lettera a Donald Trump del dicembre 2018, dopo avere rassegnato le dimissioni da Segretario alla Difesa, il Generale James Mattis, scriveva.
"Una convinzione fondamentale che ho sempre sostenuto è che la nostra forza come nazione è indissolubilmente legata alla forza del nostro sistema unico e completo di alleanze e partnership. Mentre gli Stati Uniti rimangono la nazione indispensabile per il mondo libero, non possiamo proteggere i nostri interessi o svolgere quel ruolo in modo efficace senza mantenere forti alleanze e mostrare rispetto per quegli alleati. Come lei, ho detto fin dall'inizio che le forze armate degli Stati Uniti non dovrebbero essere i poliziotti del mondo. Invece, dobbiamo usare tutti gli strumenti del potere americano per provvedere alla difesa comune, incluso fornire una leadership efficace alle nostre alleanze. Le 29 democrazie della NATO hanno dimostrato questa forza nel loro impegno a combattere al nostro fianco in seguito all'attacco dell'11 settembre contro l'America. La coalizione Defeat-ISIS di 74 nazioni è un'ulteriore prova.
La mia opinione su come trattare gli alleati con rispetto e sull'avere una visione lucida sia sugli agenti maligni che su i concorrenti strategici sono fortemente sostenute e informate da oltre quarant'anni di approfondimento su questi temi. Dobbiamo fare tutto il possibile per far spingere un ordine internazionale che sia maggiormente favorevole alla nostra sicurezza, prosperità e ai nostri valori, e siamo rafforzati in questo sforzo dalla solidarietà delle nostre alleanze".
I punti esposti da Mattis sono chiari. Gli Stati Uniti, per come è configurato il mondo, per i loro interessi ramificati, per la tutela dell'ordine mondiale, non possono permettersi di fare ciao ciao con la manina e lasciare il resto del pianeta a sbrigarsela da solo. E il motivo è molto semplice, non perchè debbono fare da bandante agli altri, ma perchè se lo facessero si darebbero la zappa su i piedi. Chi non capisce questa cosa non ha la più pallida idea di cosa sia la geopolitica.
Ora, apprendiamo da Mark Esper, successore di Mattis alla Difesa che “Non abbiamo abbandonato i curdi. Vorrei essere chiaro su questo. Non li abbiamo abbandonati. Nessuno ha dato il via libera a questa operazione da parte della Turchia - esattamente il contrario. Ci siamo spinti molto indietro a tutti i livelli perché i turchi non iniziassero questa operazione ”.
Si resta davvero basiti. Siamo alla negazione totale dei fatti, della realtà. E' stato Donald Trump, dopo una telefonata con Erdogan. a dare il via libera all'operazione turca nel nordest della Siria. E' un fatto graniticamente incontestabile. Ed è una decisione che Trump stesso ha difeso chiaramente e inequivocabilmente. Nessuno può smentirla.
La verità è che si sono accorti (non ci voleva un genio) che la decisione di dare il via libera alla Turchia è stata una decisione sbagliata. Lo avevano capito in molti, anche all'interno del GOP. E in molti, anche assai vicini al presidente. E' poi successo un fatto rilevante che potrebbe avere un peso sul piano elettorale, e Trump è molto attento al piano elettorale anche in vista delle prossime elezioni. I cristiani evangelici, suoi granitici sostenitori lo hanno apertamente criticato per avere lasciato i curdi alla mercè dei turchi. Ci ha fatto caso.
C'è poi un altro fattore che riguarda il teatro di guerra, si tratta dei 10,000 prigionieri dell'ISIS sotto tutela curda, e il rischio concreto che, liberati, ricostituiscano nuove cellule jihadiste. E' sempre Mattis che lo ha sottolineato,
“Potremmo volere che una guerra sia finita; possiamo persino dichiararla finita. Puoi ritirare le tue truppe come ha fatto il presidente Obama in Iraq pagandone e conseguenze, ma il "nemico ottiene il voto", diciamo nell'esercito. E in questo caso, se non manteniamo la pressione, allora ISIS si riprenderà. È assolutamente scontato che torni".
Tutta la retorica sentimentale dei soldati americani morti (e ne sono morti davvero pochi ultimamente), tutta la retorica isolazionista del "se la sbrighino da soli", "sono guerre loro", purtroppo si deve scontrare con la realtà.
La guerra contro il radicalismo islamico, la guerra contro il jihadismo, non è finita e non finisce quando lo dichiara Trump o chiunque altro. È una guerra in corso da decenni e durerà ancora molto a lungo e gli Stati Uniti sono uno dei bersagli principali insieme a Israele.
Non resteranno immuni da attentati, violenza a fanatismo lasciando il Medioriente e illudendosi di potersi rifugiare in una inesistente isola felice.
Quando Trump sarà stato consegnato all'archivio della storia il jihadismo sarà esattamente lì dove si trova adesso.
Spartizione siriana: vantaggi per tutti, tranne i curdiGianandrea Gaiani
13 ottobre 2019
https://lanuovabq.it/it/spartizione-sir ... s.facebookÈ facile prevedere la vittoria dei turchi sulle deboli milizie curde nel Nordest della Siria. La Turchia (come gli Usa e la Coalizione) è una presenza illegale in Siria. La reazione debole di Russia e Usa all'Onu fa intendere però che la mossa turca fosse concordata. Una spartizione che avvantaggia tutte le parti, tranne i curdi.
Siria settentrionale, soldati turchi al fronte
Se le prospettive politiche dell’offensiva turca in Siria appaiono quasi scontate, quelle militari lasciano aperte alcune incognite, specie se si vogliono valutare gli sviluppi a medio-lungo termine. Tutte le forze militari straniere presenti in Siria "illegalmente", quindi senza il consenso del governo di Bashar al-Assad, devono lasciare il Paese, ha detto ieri il presidente russo Vladimir Putin. "È qualcosa che dico apertamente ai nostri colleghi: il territorio siriano deve essere liberato dalla presenza militare straniera e l'integrità territoriale siriana deve essere ripristinata", ha detto Putin.
Una valutazione che può apparire scontata, tenuto conto che i militari russi costituiscono la sola presenza militare straniera richiesta dal governo di Damasco, ma che ha il merito di evidenziare un dato che nel mondo non ha avuto l’impatto che avrebbe meritato anche in termini di rispetto de diritto internazionale. La presenza in Siria di truppe della Coalizione statunitensi, britanniche e francesi è del tutto illegale in termini giuridici. Anzi, costituisce un atto di aggressione e di guerra nei confronti dello Stato siriano. La Coalizione anti-Isis a guida USA è stata invitata a intervenire in Iraq dal governo di Baghdad, ma non da quello di Damasco. Al tempo stesso anche la presenza turca nel nord del paese, da Idlib ad Afrin e oggi lungo tutta la frontiera fino ai confini iracheni, è del tutto illegittima. Una premessa spesso ignorata in Europa da media e politica, sempre attenti però su altri scenari (dalla Crimea, alla Cisgiordania all’immigrazione illegale) a evidenziare proprio gli aspetti legati al diritto internazionale.
Sul piano militare la penetrazione turca ha già raggiunto in alcuni settori la decina di chilometri, circa un terzo della profondità di 30/32 chilometri prevista dall’operazione lanciata da Ankara per costituire la fascia di sicurezza. Almeno tre i caduti turchi nelle prime 24 ore dell’offensiva, ma sarebbero di più i miliziani dell’Esercito Siriano Libero alleato di Ankara e impiegato come “apripista” contro le forze curde. Venerdì sera il comando turco ha annunciato di aver eliminato 399 “terroristi”, termine con cui vengono indicati i combattenti delle Unità di protezione popolare (YPG) curde. Numeri forse esagerati dalla propaganda ma non c’è dubbio che Ankara sta impiegando senza risparmio né esitazioni armi pesanti e artiglieria, come dimostra anche il bombardamento della base americana di Kobane, evacuata dalle truppe Usa che secondo il Pentagono non avrebbero subito perdite. Danni collaterali, per una volta statunitensi, che confermano la volontà turca di assumere il controllo di tutte le città del nord della regione curda del Rojava da cui potrebbero venire cacciati 2,5 milioni di curdi, da rimpiazzare nei piani di “ingegneria etnica e demografica” di Ankara con 3 milioni di profughi siriani arabi.
Difficile poi non notare come quell’Occidente tutto che si commosse e trepidò per la resistenza curda quando Kobane rischiava di cadere nelle mani dell’Isis oggi non fa una piega di fronte all’invasione della stessa città da parte di truppe turche e milizie islamiste aderenti alla Fratellanza Musulmano, non meno jihadista dell’Isis. Sono, del resto, scarse le possibilità delle YPG di fermare i circa 10mila militari turchi e i loro alleati siriani dell’ESL (14 mila uomini impiegati nell’operazione): i curdi non dispongono né di velivoli né di una reale capacità di difesa contraerea. È vero che gli USA hanno abbondantemente armato e finanziato l’YPG per combattere l’Isis, ma solo con armi di impiego terrestre dal momento che lo Stato Islamico non disponeva di forze aeree. Per questo oggi le YPG, pur contando su circa 35mila combattenti in tutta la Siria orientale, non sono in grado di opporre una costante resistenza frontale all’avanzata nemica pur mettendo in atto imboscate, azioni di disturbo e bombardamenti di mortai che colpiscono il territorio turco. I pochi mezzi pesanti a disposizione sono i carri T-55 e i cingolati BMP-1 sottratti all’Isis che a sua volta li aveva sottratti all’esercito siriano. Sul medio lungo termine però la capacità dei curdi di mantenere una forte pressione sul nemico all’interno della fascia di sicurezza potrebbe incrinare la capacità politica di Ankara di sopportare costi finanziari e umani dell’occupazione della fascia di sicurezza.
Persino Israele nel 2000 dovette abbandonare la “fascia di sicurezza” nel Libano meridionale a fronte dell’insofferenza della società di fronte ai caduti registrati in quei territori. Possibile che anche i turchi subiscano nel tempo un simile logoramento anche se i recenti attacchi dell’Isis contro le postazioni curde lungo il confine turco lasciano intendere che Ankara abbia già un’intesa con le milizie del Califfato per contrastare i curdi in tutta la Siria orientale. Un’ipotesi che potrebbe vedere la tanto temuta liberazione da parte delle autorità turche dei 12mila combattenti del Califfato detenuti nelle prigioni del nord della Siria che i curdi stanno abbandonando sotto l’incalzare delle truppe di Ankara.
A breve termine i curdi sembrano destinati a rifugiarsi tra le braccia del governo siriano e dei russi, che due anni or sono avevano sconsigliato le autorità curde dal fidarsi delle promesse statunitensi. Damasco, che soffre la carenza di truppe e ha il grosso delle sue forze di prima linea schierate intorno a Idlib, ultima roccaforte delle milizie ribelli, ha tutto l’interesse a riprendere il controllo dei pozzi di gas e petrolio dell’est oggi in mano a curdi e truppe americane così come ha interesse a farli presidiare dai curdi inquadrati all’interno dello Stato siriano con un’ampia un’autonomia e con il supporto di Mosca.
Del resto la posizione morbida assunta da Russia e Stati Uniti di fronte a una risoluzione dell’Onu di condanna ad Ankara, induce a credere che vi sia un fondamento alle indiscrezioni sull’intesa raggiunta alcune settimane or sono in base alla quale Mosca e Damasco avrebbero accettato l’invasione turca del nord in cambio del via libera per schiacciare i ribelli a Idlib. Un accordo gradito forse anche a Donald Trump che avrebbe così l’opportunità di ritirare l’ultimo migliaio di soldati americani ancora schierati in Siria. Un compromesso che comporta vantaggi, limitati ma pur sempre vantaggi, per tutti tranne ovviamente per i curdi.