Regeni un sinistro nazi comunista agente dei nazi maomettani fratelli mussulmani, infiltrato contro Al-sisi?
Questi del Fatto scrivono il contrarioRegeni, procura di Giza: "Fu ucciso da agenti segreti dei Fratelli Musulmani" 18 febbraio 2016
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/0 ... ni/2477452 Giulio Regeni “sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano”. Lo scrive il quotidiano filo-governativo egiziano Al Youm 7 online, citando fonti vicine alla procura egiziana che indaga sul caso. Le stesse fonti aggiungono che “il procuratore egiziano e la sua controparte italiana stanno raccogliendo tutti gli elementi possibili per individuare l’autore del crimine”.
“La procura di Giza sud, guidata dal presidente Ahmed Naji, sta portando avanti gli sforzi per svelare i misteri e le circostanze” della morte del 28enne ricercatore italiano, riferisce il sito egiziano, che parla di “importanti indizi raccolti dopo aver ricevuto il rapporto medico e un resoconto dalle chiamate in entrata e uscita” (dal telefono, ndr) di Regeni. “Il team d’indagine italiano, composto da sette membri, è in stretto contatto con l’ufficio del procuratore generale” egiziano, afferma Al Youm 7, con l’obiettivo di “aggiornarsi sugli ultimi sviluppi dell’indagine” da parte egiziana e per “metterli a confronto” con i risultati ottenuti da loro.
In giornata il Copasir era tornato a occuparsi del caso. “Ci aspettiamo di capire che tipo di collaborazione possa arrivare dall’Egitto sulla vicenda Regeni”, in particolare “stiamo facendo pressioni per far sì che ci sia dialogo tra polizia locale, la loro autorità giudiziaria e i nostri uomini che sono lì, i Ros e la polizia”, ha detto il presidente Giacomo Stucchi, parlando con la stampa dopo l’audizione a San Macuto del direttore dell’Aise, Alberto Manenti. Stucchi ha sostenuto, poi, che in Egitto la situazione “è ingarbugliata e che sono stati fatti errori incredibili“, riferendosi alla “mancanza di dialogo tra le loro forze in campo”, che sono “coordinate in modo diverso da come avviene da noi”.
Nel corso dell’audizione il capo degli 007 “ha confermato come Regeni non avesse alcuna collaborazione con le nostre agenzie di intelligence”, ha aggiunto il senatore leghista. Non è esclusa, invece, la possibilità che le ricerche che il giovane italiano stava conducendo al Cairo siano state utilizzato da altri: “Ma si tratta di illazioni – ha sottolineato Stucchi – del resto tutti quelli che scrivono report su Paesi in cui ci sono situazioni tanto delicate possono attirare l’attenzione di tanti soggetti, anche di servizi. Ma si tratta in ogni caso di fonti aperte, non classificate, reperibili facilmente su internet”.
Stucchi ha ricordato come “Manenti ha ricostruito, giorno per giorno, anzi ora per ora, la cronologia degli avvenimenti”, ripercorrendo “quanto accaduto dal momento della scomparsa di Regeni a quello del ritrovamento del corpo, nonché i contatti e le informazioni avute dall’ambasciata italiana e dai servizi”. Mentre sul fatto che lo stesso direttore dell’Aise fosse in Egitto proprio in quelle ore, è stato lo stesso Stucchi a confermare come quel viaggio era in agenda da prima che scoppiasse il caso Regeni.
Caso Regeni, Leader Fratelli musulmani: "Incastrato da una faida tra i servizi"22 aprile 2016
http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 230dc.html Sul caso Regeni, il giovane ricercatore italiano torturato e assassinato in Egitto, interviene Amr Darrag, un ex ministro ed membro del direttivo dei Fratelli musulmani, oggi in esilio dopo che il movimento islamico è stato sciolto e represso dal regime del presidente Adel Fattah al Sisi. Secondo Darrag il giovane è stato "stritolato" in una faida interna tra i servizi segreti egiziani,"uno scontro tra le tre forze di sicurezza": la General Intelligence, cioè l'intelligence civile, contraria ad al Sisi, l'Intelligence militare - che è stata guidata dallo stesso generale oggi presidente - e la National Security, che ha compiti simili all'Fbi statunitense.
Darrag ritiene che la General Intelligence stia oggi "speculando" sull'uccisione di Regeni contro al Sisi, a leggere i giornali vicini a questo servizio, mentre gli altri giornali di fatto ignorano la questione del ricercatore di Cambridge. Ma perché Giulio Regeni è stato ucciso? Darrag non ha molti dubbi in merito: "(...) Giulio Regeni non è stato ucciso nonostante fosse uno straniero: è stato ucciso perché era uno straniero. Perché era uno straniero e studiava i sindacati". In Egitto - spiega ancora il membro dei Fratelli musulmani - "le teorie complottiste sono realmente diffuse. So che per voi è difficile da immaginare, ma qui tutto è ricondotto a una cospirazione straniera. Inclusa la rivoluzione che è iniziata la "dai lavoratori del Delta del Nilo", cioè dai sindacati, che sono "l'unica forza davvero temuta dal regime" per la loro capacità di mobilitazione.Quindi, secondo Darrag, hanno "davvero fermato Regeni per capire chi fosse e con chi era in contatto" e, come è già capitato in passato, Regeni è morto. "Non credo che la morte di Regeni sia stata voluta. Nel senso: l'obiettivo era strappargli informazioni, non assassinarlo".
Ieri fonti anonime dell'intelligence egiziana, secondo quanto riportato dall'emittente televisiva locale "Ghad al Arabi" avevano affermato che Giulio Regeni sarebbe stato detenuto dalla polizia e trasferito presso una struttura della Sicurezza nazionale lo stesso giorno in cui è scomparso il 25 gennaio, nell'anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir.
Le fonti hanno riferito che il ricercatore italiano sarebbe stato fermato insieme ad un cittadino egiziano da agenti della polizia in borghese nei pressi della stazione della metropolitana Gamal Abdel Nasser. Tuttavia, in seguito fonti del ministero dell'Interno hanno smentito che la polizia abbia arrestato lo studente.
Circa la ricostruizione dell'intelligence, non è chiaro se la persona fermata con l'italiano fosse un suo conoscente, così come non è stato reso noto il motivo per cui i due sarebbero stati fermati: quel giorno la sicurezza nella capitale era stata rafforzata nel timore di proteste contro il governo. Secondo le fonti, inoltre, i due sarebbero stati portati presso la stazione di polizia di Izbakiya, nei pressi del centro del Cairo, a bordo di un minibus bianco con targa delle forze di sicurezza. Dopo circa 30 minuti, Regeni sarebbe stato trasferito a Lazoughili, un complesso della Sicurezza nazionale egiziana.
Regeni, l'Egitto attacca Fico: "Una posizione ingiustificata"Giuseppe Aloisi - Ven, 30/11/2018
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 09811.htmlIl Parlamento egiziano è intervenuto sulla posizione del presidente Fico. Quanto dichiarato dal grillino sul caso Regeni sarebbe ingiustificato. Il ministro Moavero, intanto, convoca l'ambasciatore in Farnesina
Quanto detto ieri dal presidente della Camera Roberto Fico sul caso di Giulio Regeni ha prodotto degli effetti: il Parlamento egiziano, nel corso della giornata di oggi, ha parlato di quella di Fico come di una "pozione ingiustificata".
Durante la giornata di ieri, il pentastellato aveva reso noto di voler porre un freno alle relazioni intecorrenti tra l'istituzione che presiede e l'assise parlamentare egiziana: "Con grande rammarico - aveva dichiarato - annuncio ufficialmente che la Camera dei deputati sospenderá ogni tipo di relazione diplomatica con il Parlamento egiziano fino a quando non ci sará una svolta vera nelle indagini e un processo che sia risolutivo".
A fare da sfondo a questa vicenda c'è sopratutto l'indagine aperta dalla Procura di Roma, che coinvolge sette persone facenti parte dei servizi segreti della nazione nordafricana. Ma da quella che tempo fa si chiamava Assemblea del Popolo è arrivata una replica dura: l'organismo parlamentare egiziano ha messo in evidenza la presunta natura ingiustificata di quanto dichiarato da Fico.
Si parla, come riportato pure su Repubblica, di una vera e propria disapprovazione. Gli egiziani, in sintesi, contestano al presidente della Camera di aver fatto questa mossa prima ancora della chiusura dell'inchiesta: "Lo Stato egiziano - viene specificato all'interno del comunicato - ha interesse nel rivelare i dettagli di quanto accaduto a Regeni considerando che la morte è avvenuta sul proprio territorio, come confermato a tutti i livelli e anche dal presidente del Parlamento, Ali Abdel Aal, a Fico durante i loro incontri al Cairo e a Roma".
Enzo Moavero Milanesi, che è il ministro degli Affari Esteri, ha tuttavia eccepito l'esistenza di "notizie molto deludenti rispetto alle rassicurazioni ricevute nei mesi scorsi". Il membro dell'esecutivo gialloverde ha invitato l'ambiasciatore egiziano a presentarsi presso la sede del dicastero che presiede.
Il fine della convocazione sembra quello di accelerare i tempi per giungere finalmente alla verità. Hisham Badr, che è il diplomatico in questione, ha dal suo canto ribadito che: "L'impegno del suo governo per fare luce sul caso non può essere messo in discussione, che la collaborazione giudiziaria deve assolutamente continure e che è intenzione delle autorità egiziane proseguire le indagini nonostante le difficoltà riscontrate".
L'invettiva del comboniano: "Ora basta, Regeni se l'è cercata"Lucio Di Marzo - Mar, 12/09/2017
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lin ... 40708.html Le parole sconfessate dal parroco. "E allora quanti sono morti in misione?"
Dice che "Giulio Regeni se l'è cercata", ribadisce che i media non dovrebbero parlare di lui "uno solo, che è andato a fare il furbo e sapeva benissimo dove si stava andando a infilare, mentre ogni giorno muoiono migliaia di poveri".
Ha scatenato il caos la testimonianza missionaria del comboniano padre Piero Ferrari, invitato dalla Diocesi a parlare durante la messa delle 18.30 a San Bartolomeo al Mare, sulla Riviera Ligure.
Parole, quelle contro il ricercatore italiano, torturato e ucciso dopo essere stato fatto sparire in Egitto, che hanno indignato prima i fedeli e poi la parrocchia, che ha sottolineato di non avere scelto di invitare il comboniano.
"Ci sono guerre dimenticate e invece si parla tanto di Regeni", dice il padre comboniano dal parallelismo, sostenendo di non essere l'unico missionario con il dente avvelenato. E non ci sta il parroco don Renato Elena, che all'indomani dell'invettiva di padre Ferrari, secondo cui "certo, gli egiziani avranno esagerato, ma ce le tiriamo addosso le bastonate", replica dicendo se lo stesso si dovrebbe pensare di quanto sono rimasti uccisi in missione.
Intanto in Egitto l'attenzione si concentra sulla sorte di Ibrahim Metwaly, uno dei legali che con la Commission for Rights and Freedom assiste la famiglia di Regeni nella ricerca della verità. Atteso a Ginevra per parlare di diritti umani, è sparito dopo essere stato visto l'ultima volta in aeroporto.
Giulio tradito dalla sete di rivoluzione. E lo strano silenzio dei "suoi" giornaliLuigi Guelpa
Dom, 07/02/2016
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 21229.html Il ricercatore giramondo voleva raccontare storie di ribellione contro il regime Dal "Manifesto" ai media egiziani si alza un muro di gomma: "Mai conosciuto"
Tutti sembrano volersi smarcare da Giulio Regeni: dal Manifesto, all'agenzia di stampa Nena, portale indipendente che tratta cronaca e tematiche del Maghreb e del Medioriente.
Per il Manifesto Regeni aveva scritto almeno tre articoli, dove raccontava dell'opposizione ad Al-Sisi, della disoccupazione e degli effetti della crisi economica sulla società egiziana. Il taglio dei servizi partiva dalla prospettiva dei movimenti operai e del sindacalismo indipendente. Per la pubblicazione dei suoi articoli il ricercatore originario di Fiumicello aveva chiesto di non essere citato o di poter usare uno pseudonimo, «Antonio Drius», utilizzato di fatto soltanto in un'occasione. Difficile quindi risalire all'autore quando i servizi venivano pubblicati online e sul cartaceo con il generico «redazione». Come del resto è accaduto in alcune circostanze con l'agenzia Nena. La stessa che proprio ieri ha divulgato un comunicato nel quale precisa «di aver avuto un solo contatto diretto con il giovane, tramite mail. Giulio ha proposto un articolo sul sindacalismo egiziano. Abbiamo accettato la sua proposta e pubblicato il suo articolo il 14 gennaio 2016. Né prima né dopo abbiamo avuto altri contatti con Giulio». Eppure il servizio del 27 dicembre, firmato «della redazione», e dal titolo «Dissidenti e stampa nel mirino in attesa del 25 gennaio», è riconducibile a Regeni. Non solo per lo stile e il tema trattato, ma anche per il materiale messo a disposizione di Nena e recuperato dall'associazione di diritti civili Egyptian Coordination for rights and freedoms (Ecrf). Non è un mistero che Regeni fosse stato a più riprese nella sede di El Hamed Shaaban Street, al Cairo, per conversare con il direttore Mohamed Lofty e raccogliere materiale per i suoi servizi. Come quello che stava preparando su Ismail Iskandarani, reporter e ricercatore presso il Centro egiziano per i diritti economici e sociali, arrestato il 9 dicembre scorso per affiliazione ai Fratelli Musulmani. Iskandarani scriveva per Noon Post, blog di informazione piuttosto critico con Al-Sisi e il suo governo. Regeni voleva perfezionare l'arabo anche per poter scrivere su giornali come quello, non avendo molto spazio sulla stampa italiana, poco recettiva sulle tematiche proposte. Per il Noon Post scriveva anche Falaq Al Dossari, la giornalista egiziana che dice di aver visto uno «straniero» arrestato alla fermata della metropolitana di Giza, al Cairo, il 25 gennaio. Alla fine sembra essere sempre una questione di mail. Nessuno ammette di aver conosciuto Giulio in carne ed ossa. I rapporti con Nena e il Manifesto erano epistolari. Si evince un desiderio di protezione, ieri come oggi, dopo il suo barbaro assassinio. Una morte che è la conseguenza di una passione, quasi febbrile, nel raccontare storie inclini alla rivoluzione e alla ribellione verso un qualsiasi sistema. Passione che risale ai tempi del liceo e al suo soggiorno a Santa Fé, nel New Mexico. Una località strategicamente importante, a due passi da quel Messico patria di uno dei suoi idoli, il subcomandante Marcos, rivoluzionario messicano, ex portavoce dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Avrebbe voluto intervistarlo, per ricalcare le orme dello scrittore Manuel Vazquez Montalban che incontrò Marcos nel febbraio del 1999. Il rischio in prima fila, senza però avere gli strumenti per affrontarlo con le dovute misure di sicurezza. Per scrivere una verità artigianale a distanza di sicurezza dai possenti macchinari dell'informazione, gli stessi che oggi sostengono di non aver pubblicato un solo pezzo di Giulio Regeni e di conoscerlo solo attraverso lo schermo di un computer.
"Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia"L'autopsia conferma la pista dell'omicidio politico. Lo scontro tra apparati della sicurezza egiziana e i tentativi di depistaggio
di CARLO BONINI e GIULIANO FOSCHINI
08 febbraio 2016
https://www.repubblica.it/esteri/2016/0 ... -132942342 ROMA - Se è vero che un corpo senza vita "parla" né più e né meno come un testimone, oggi si può dire che, nel suo martirio, Giulio Regeni abbia consegnato la chiave che porta ai suoi carnefici. E dunque che l'inchiesta della Procura di Roma sul suo omicidio possa partire da due solide circostanze di fatto. Perché sostenute entrambe delle prime conclusioni dell'autopsia eseguita nella notte tra sabato e domenica dal professor Vittorio Fineschi. La prima: le lesioni sul corpo di Giulio (compresa quella letale al midollo spinale con la frattura di una vertebra cervicale) provano che l'omicidio ha una mano e un movente politici. La seconda: nella loro raggelante crudeltà, le sevizie inflitte al ragazzo hanno un inequivocabile format dell'orrore. Proprio degli interrogatori che le polizie segrete riservano a coloro che vengono ritenuti "spie", come nel caso di Giulio. "Colpevole", agli occhi dello "squadrone della morte" che lo aveva sequestrato la sera del 25 gennaio, di giocare troppe parti in commedia. Ricercatore universitario, giornalista con pseudonimo per un "quotidiano comunista" ("il Manifesto"), militante politico per la causa delle opposizioni al regime.
LO SQUADRONE DELLA MORTE
A Giulio Regeni sono state strappate le unghie delle dita e dei piedi. Sono state fratturate sistematicamente le falangi, lasciando tuttavia intatti gli arti inferiori e superiori. E' stato mutilato un orecchio. Chi lo ha sistematicamente seviziato era convinto di poter ottenere informazioni che il povero Giulio non poteva consegnare semplicemente perché non le aveva. Perché non era la "spia" che i suoi aguzzini ritenevano lui fosse. I boia hanno infierito su un inerme. Lo hanno appunto lavorato alle mani, ai piedi e quindi al tronco. Colpendolo ripetutamente al torace, alle costole, alla schiena, dove l'autopsia ha refertato numerose fratture.
Anche il colpo di grazia ha le stimmate degli interrogatori da "squadroni della morte". Chi era di fronte a Giulio, in quel frangente probabilmente seduto o legato su una sedia, gli ha afferrato la testa facendola ruotare repentinamente di lato oltre il punto di resistenza. Mettendo così fine a un'agonia i cui tempi, oggi, restano ancora incerti.
"Il ragazzo è stato ucciso dieci ore prima di essere ritrovato" scrivono i medici legali egiziani nel referto ma per dare una risposta certa i professori italiani hanno bisogno di attendere le analisi.
I TABULATI E LA RETATA
I primi esiti dell'autopsia si incrociano con un paio di cricostanze che, allo stato, il nostro team investigativo al Cairo ha potuto accertare. La prima. Come è stato possibile ricostruire dai tabulati del suo cellulare, Giulio è stato sequestrato il 25 gennaio poco dopo essere uscito di casa: forse era diretto a una festa, forse prima ha incontrato degli attivisti politici. In ogni caso il suo cellulare, mezz'ora dopo essere uscito di casa si sarebbe spento per non riaccendersi mai più.
La seconda. Nello stesso frangente di tempo e di luogo, quel 25 gennaio, è stata condotta una retata proprio nella zona nella quale Giulio doveva transitare. Il che lascerebbe pensare a una "cattura" csuale. Non mirata.
L'INTERVENTO DI AL SISI
C'è infine una terza circostanza, rilevante quanto le prime due. L'American University del Cairo, dove Giulio era ricercatore, è da tempo oggetto dell'attenzione del Mukhabarat, il Servizio segreto egiziano che fa campo al Ministero dell'Interno. Un apparato chiave del regime di Al Sisi. Ma in feroce concorrenza con i servizi segreti militari (dai cui ranghi proviene il generale e oggi presidente Al Sisi) e i Servizi di Informazione della Polizia. "L'intervento di Al Sisi ha sbloccato la macchina amministrativa" ha detto ieri l'ambasciatore Maurizio Massari. Dopo l'incontro del presidente egiziano con il ministro Guidi, Regeni è stato ritrovato in quel fosso, mezzo nudo, con i media che parlavano di un incidente stradale. Tutti pezzi farlocchi di uno stesso puzzle. Giulio, lo scienziato scambiato per una spia, potrebbe essere stato giustiziato per una guerra che non era la sua.
Regeni, Maha Abdelrahman e la "ricerca partecipata" sotto la lente dei pm: come si è arrivati all'interrogatorio della prof di Laura Cappon10 gennaio 2018
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... JWW-JUG3JI A quasi due anni di distanza dalla morte di Giulio Regeni, il ricercatore di Fiumicello ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016 alla periferia del Cairo, la Procura di Roma ha interrogato Maha Abdelrahman, la professoressa di Cambridge che supervisionava la tesi di dottorato del giovane friulano. L’interrogatorio arriva dopo la richiesta del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e del sostituto, Sergio Colaiocco, di un ordine di rogatoria alle autorità britanniche lo scorso ottobre. Nel documento i magistrati chiedevano l’interrogatorio formale della professoressa e l’acquisizione dei suoi tabulati telefonici tra gennaio 2015 e febbraio 2016.
L’audizione della docente egiziana potrebbe porre fine a quasi due anni di polemiche in cui le autorità italiane hanno spesso puntato il dito contro l’Università di Cambridge e la docente, responsabile, secondo la Procura, di aver inviato Regeni a lavorare su un tema politicamente sensibile e con metodi troppo rischiosi.
Il tutto ha inizio alcuni giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, il 12 febbraio. A Fiumicello si celebrano i funerali del ricercatore e gli inquirenti italiani prelevano la professoressa Abdelrahman per un interrogatorio, lei si rifiuta di rispondere e di consegnare loro pc e telefoni. Alcune settimane dopo, il 26 febbraio, il quotidiano La Repubblica sostiene che la Procura di Roma sia sempre più convinta che la causa della morte di Regeni siano i suoi studi sui sindacati indipendenti. Alcuni mesi dopo la Abdelrahman sceglie di rispondere via mail alla polizia del Cambridgeshire.
Da allora, le polemiche sulla responsabilità di Cambridge e della supervisor di Giulio si sono riaccese seguendo spesso il flusso a intermittenza delle informazioni e degli elementi forniti sull’omicidio dalle autorità del Cairo alla procura di Roma.
Nell’estate del 2016 alcuni quotidiani italiani attaccano Cambridge definendo l’atteggiamento dell’ateneo “un muro di gomma”. Il punto in questione, stavolta, è la trasferta del pubblico ministero Sergio Colaiocco a Londra. Allora, i docenti che supervisionavano il lavoro di Giulio si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. A seguito di una nota di Cambridge che sottolineava che l’ateneo non si era mai rifiutato di collaborare, piazzale Clodio chiarisce che non c’era nessuna rogatoria indirizzata all’università ma solo nei confronti dei singoli professori.
Ad agosto del 2016 la polemica viene rilanciata anche dall’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. “Ho chiesto al Primo Ministro inglese Theresa May di spendere la sua autorevolezza nel chiedere ai docenti di Cambridge di collaborare con le autorità giudiziarie italiane”, diceva il premier a La Repubblica. “Non capisco per quale motivo i professori di una così prestigiosa università globale pensino che l’Italia possa accettare il loro silenzio, che mi sembra inspiegabile. È morto un ragazzo italiano, torturato. Dobbiamo alla sua famiglia la verità. E chiunque ne possieda anche solo un pezzetto ci deve aiutare, subito”.
Le parole di Renzi scatenano un nuovo polverone riaprendo il dibattito sia a livello politico che accademico. Numerosi docenti da allora continuano, infatti, a spendersi per difendere la reputazione della docente egiziana e puntano il dito sugli interessi economici italiani in Egitto che non si sono mai fermati nemmeno nei 14 mesi di assenza dell’ambasciatore italiano al Cairo. Al centro c’è sempre la scelta del metodo della “ricerca partecipata” (consiste nel lavoro sul campo fatto di interviste ed esperienza sul campo) che è stata ripetutamente difesa da numerosi accademici come “una normale fase di ricerca nel percorso che porta alla scrittura di una tesi di dottorato”.
Lo scorso novembre la notizia della rogatoria da parte della Procura di Roma ha portato a un nuovo attacco alla docente di Cambridge di ritorno da un anno di aspettativa per motivi di salute. Le domande che i giudici italiani rivolgono alla supervisor di Regeni sono 5 e vertono sulla scelta della ricerca, delle domande fatte ai sindacalisti e su un presunto report che Giulio avrebbe consegnato alla docente alcune settimane prima di svanire nel nulla. L’articolo de La Repubblica in cui si avanzano i sospetti sulla professoressa suscita un’ondata di indignazione tra gli accademici: 250 professori di numerosi atenei internazionali firmano una lettera in difesa di Maha Abdelrahman mentre sul IlFattoQuotidiano.it Gilbert Achrar, professore della Soas di Londra e firmatario del documento, conferma che il ricercatore di Fiumicello era fermamente convinto della sua scelta sull’argomento.
Intanto, continuano le analisi del faldone di mille pagine consegnato a fine dicembre dagli inquirenti egiziani alle autorità italiane. Solo dopo una faticosa traduzione si potrà capire se quei fascicoli, contenenti anche gli interrogatori di alcuni ufficiali egiziani, potranno finalmente portare alla ricostruzione dei 9 giorni trascorsi tra la sparizione di Regeni e il ritrovamento del suo corpo senza vita.
Giulio Regeni, 250 accademici firmano una lettera di supporto alla sua tutor: "L'articolo di Repubblica è fuorviante" Laura Cappon
28 novembre 2017
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... te/4005965 “Giulio voleva fare ricerca sui sindacati indipendenti da anni, cioè da prima del colpo di Stato del 2013, e questo argomento non era assolutamente pericoloso”. Gilbert Achcar è professore alla Soas, la School of Oriental and African Studies, di Londra e ha conosciuto Giulio Regeni diversi anni fa, quando il giovane italiano si recò nel suo ufficio per proporgli la sua tesi di dottorato sulle organizzazioni sindacali egiziane che si erano formate dopo la rivoluzione di Piazza Tahrir.
Il professor Achcar ha deciso di parlare a Ilfattoquotidiano.it perché è il firmatario, assieme più di 250 esponenti del mondo accademico internazionale, di una lettera a supporto di Maha Abdelrahman, la professoressa di Cambridge che supervisionava il lavoro di Giulio Regeni, il ricercatore friulano trovato senza vita il 3 febbraio 2016 alla periferia del Cairo.
“Ho deciso di firmare quella lettera dopo l’articolo apparso su La Repubblica lo scorso 2 novembre”, continua il professore. Che ricorda le conversazioni avute con Regeni e conferma come il ricercatore di Fiumicello fosse fermamente convinto della sua scelta sulla ricerca: “Quell’articolo è oltraggioso e denigratorio per una docente che noi stimiamo. Dovevamo reagire perché non è stata certo lei a mandare Giulio a morire – spiega – La scelta è caduta poi su di Cambridge e non sulla mia università per una semplice questione di fondi. Inoltre, nessun ricercatore era mai stato in pericolo sino a quel momento: se qualcuno aveva dei problemi con i servizi di sicurezza veniva allontanato dal Paese e non di certo torturato e ucciso”.
Nel pezzo contestato dagli accademici si annunciava l’invio da parte della Procura di Roma di un ordine europeo di investigazione alla “United Kingdom Central Autorithy” (Ukca), l’organo britannico giudiziario di collegamento con le magistrature dei paesi Ue, a carico di Maha Adelrahman. Nell’ordine era contenuta la richiesta di interrogatorio formale dell’accademica e l’acquisizione dei suoi tabulati telefonici, mobili e fissi, utilizzati tra il gennaio 2015 e il 28 febbraio 2016, per ricostruirne la rete di relazioni.
Gli inquirenti italiani lamentano il silenzio dell’ateneo britannico nonostante la professoressa Abdelrahman abbia in realtà comunicato per due volte con i magistrati italiani. La prima occasione è stata il giorno dei funerali di Giulio a Fiumicello (in questo contesto i magistrati italiani contestano che, a differenza degli altri conoscenti di Giulio, la docente non ha consegnato loro pc e telefoni), mentre alcuni mesi dopo ha scelto di rispondere con una mail alla polizia del Cambridgeshire.
“Per quanto sia comprensibile che alcune di queste domande (formulate dalla Procura di Roma, ndr) possano essere rilevanti per l’indagine italiana, troviamo il resoconto de La Repubblica tendenzioso, nonché volutamente fuorviante l’analisi di tali questioni”, ribatte il documento. “Nonostante una serie di indizi inconfutabili indichino chiaramente le responsabilità della polizia egiziana, La Repubblica tenta di attribuire parte della responsabilità per l’omicidio di Giulio alla professoressa Abdelrahman. Il quotidiano, inoltre, sosteneva che la tutor di Giulio lo avesse “incaricato” di lavorare su un argomento che lei sapeva essere pericoloso, e che Giulio stesso era riluttante a perseguire. In sostanza si affermava che fosse stata lei a scegliere il tema di ricerca, i metodi, gli oggetti e persino le domande di Giulio”.
Anche sulla questione del metodo di ricerca partecipativa impiegato da Giulio, gli accademici specificano che “qualunque scienziato sociale potrebbe verificare che questa è, di fatto, la metodologia di ricerca ideale per studiare questioni contemporanee”. A firmare la lettera ci sono diversi nomi prestigiosi dell’accademia internazionale tra cui Khaled Fahmy, professore di storia di Cambridge, lo stesso ateneo della professoressa Abdelrahman, e diversi accademici italiani. “Abbiamo messo insieme le forze perché ognuno di noi in queste settimane ha riflettuto e ha pensato di dover rispondere a questo articolo”, spiega Andrea Teti, professore associato dell’Università di Aberdeen che ha curato la traduzione in italiano della lettera. “Dobbiamo difendere la reputazione della professoressa Abdelrahman e di quella del mondo accademico”.
Il testo integrale della lettera
Noi sottoscritti respingiamo categoricamente le accuse malevole e totalmente infondate rivolte alla Professoressa Maha Abdelrahman nel quotidiano italiano La Repubblica il 2 novembre 2017. La Professoressa Abdelrahman, una studiosa di fama internazionale all’Università di Cambridge, è stata supervisor di Giulio Regeni, un dottorando italiano che stava svolgendo ricerche sui sindacati indipendenti egiziani, quando fu rapito, torturato e assassinato all’inizio del 2016. Esistono prove schiaccianti circa il coinvolgimento delle forze di sicurezza egiziane nell’omicidio di Giulio, tanto che Declan Walsh, corrispondente dal Cairo per il New York Times, scrisse nell’agosto 2017 un articolo d’inchiesta molto dettagliato, secondo il quale il governo degli Stati Uniti sarebbe in possesso di “prove incontrovertibili sulla responsabilità ufficiale egiziana”, anche se non è in grado di rendere pubbliche le prove senza comprometterne la fonte.
Nonostante una serie d’indizi inconfutabili indichino chiaramente responsabilità della polizia egiziana, La Repubblica tenta di attribuire parte della responsabilità per l’omicidio di Giulio alla Professoressa Abdelrahman. L’articolo elenca le seguenti domande, che il pubblico ministero italiano vorrebbe porre alla Professoressa Abdelrahman: 1. Chi scelse il tema specifico della ricerca di Giulio? 2. Chi scelse il supervisor che avrebbe seguito il lavoro sul campo di Giulio al Cairo? 3. Chi scelse il metodo di ricerca partecipata che Giulio applicò alla sua ricerca? 4. Chi formulò le domande che furono poste agli ambulanti che Giulio stava intervistando? 5. Giulio condivise i risultati delle sue ricerche con la Professoressa Abdelrahman?
Per quanto sia comprensibile che alcune di queste domande potrebbero essere rilevanti per l’indagine italiana, troviamo il resoconto de La Repubblica tendenzioso, nonché volutamente fuorviante l’analisi di tali questioni. Ad esempio, La Repubblica insinua che la Professoressa Abdelrahman abbia “incaricato” Giulio di lavorare su un argomento che lei sapeva essere pericoloso, e che Giulio stesso era riluttante a perseguire. Inoltre, La Repubblica insinua che sia stata lei a scegliere il tema di ricerca, i metodi, gli oggetti e le domande di ricerca di Giulio.
Troviamo assurde queste insinuazioni. Esse dimostrano una fondamentale ignoranza delle procedure riconosciute a livello internazionale nello stilare un progetto di dottorato, nonché nello svolgimento dello stesso. I supervisors accademici non scelgono i loro studenti di dottorato; piuttosto, sono gli studenti che scelgono i supervisors. I supervisors di un dottorato non impongono i loro programmi di ricerca a studenti ignari; gli studenti, di solito, lavorano in una determinata area di ricerca per un po’ di tempo prima di intraprendere un dottorato, e poi cercano un supervisor [specializzato] in quell’argomento. Nel caso di Giulio, lui aveva maturato per anni un interesse per i sindacati indipendenti, e aveva lavorato in Egitto ben prima ancora di rivolgersi alla Professoressa Abdelrahman come suo supervisor. Sulla questione del metodo di ricerca partecipativa impiegato da Giulio, qualunque scienziato sociale potrebbe verificare che questa è, di fatto, la metodologia di ricerca ideale per studiare questioni contemporanee.
Queste e altre insinuazioni contenute nell’articolo denotano un’ignoranza intenzionale, una volontà di travisare e distorcere i fatti, nonché la volontà di inventare menzogne elementari.
Di fatto, non sarebbe stato possibile né per la Professoressa Abdelrahman né per chiunque altro prevedere ciò che sarebbe successo a Giulio. Il pericolo peggiore che alcuni ricercatori stranieri in Egitto avrebbero potuto temere al momento della scomparsa di Giulio era l’espulsione dal paese. Col senno di poi, La Repubblica insinua che la tragedia occorsa a Giulio avrebbe potuto essere prevista. Questo è inoppugnabilmente falso.
Un ultimo punto importante su cui La Repubblica sbaglia: la Professoressa Abdelrahman NON ha rifiutato di parlare con le autorità italiane. Ai funerali di Giulio a Febbraio 2016, fu interrogata per un’ora e mezza dal procuratore italiano. Il 15 giugno 2016, rispose per iscritto a molte domande supplementari poste dal pubblico ministero italiano e dichiarò di essere disponibile a rispondere a qualsiasi ulteriore domanda. Fino al momento in cui è stata presentata la rogatoria alla quale si riferisce l’articolo de La Repubblica, non vi erano state ulteriori comunicazioni da parte delle autorità italiane. Non solo ma, rispondendo alla rogatoria, la Professoressa Abdelrahman ha accettato di buon grado di essere nuovamente interrogata.
Giulio non fu l’autore della sua tragedia. Né la Professoressa Abdelrahman fu in alcun modo responsabile della morte di Giulio. La responsabilità per il rapimento, per la tortura e per la morte di questo brillante studente di Cambridge ricade direttamente sul regime egiziano. Ed è necessario che i giornalisti d’inchiesta seri facciano luce sulle zone d’ombra.