La Sindrome della Regina Rossa di certi venetisettembre 2018
https://www.vicenzareport.it/2018/09/si ... ssa-veneti Vicenza – Nell’indipendentismo veneto la Sindrome della Regina Rossa – ovvero dover correre sempre più velocemente solo per rimanere sul posto – è presente da tempo. Un’analisi pubblicata recentemente ha suscitato molto interesse e consenso, oltre naturalmente a qualche critica sui social network dov’era stata rilanciata. Prenderemo quindi a pretesto una di queste osservazioni per approfondire ulteriormente l’argomento.
Un lettore (R. B.) ammette che le constatazioni fatte sullo stato dell’indipendentismo veneto sono corrette. Che c’è una brace che brucia sotto la cenere. Tuttavia sostiene che c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, e chi mezzo vuoto. Che l’analisi critica pubblicata, rischia di fare il gioco degli avversari naturali (lui li chiama: gli Unionisti). Poi passa a rammaricarsi del fatto che ad essere eletto in Regione Veneto, nel 2015, sia stato Antonio Guadagnini e non Alessio Morosin, fondatore e guida del movimento «Indipendenza Veneta» (IV).
Prosegue ammettendo che il tradimento del «Patto» (scritto e pubblicato) che ha portato alla creazione di «Stato Veneto» (SV), è moralmente ed eticamente disgustoso, ma asserisce che bisogna prendere atto che oggi solo quest’ultimo (=Guadagnini) può presentarsi alle elezioni regionali del 2020 senza l’impegnativo onere della raccolta firme. Pertanto l’intenzione di presentarsi uniti (SV + IV) resta per lui, e altri come lui, un’idea positiva in quanto si uniscono le forze per ottenere almeno i 200 mila voti del 2015. E conclude: saranno gli elettori indipendentisti a premiare o punire i singoli candidati della lista unita, favorendo quelli che si sono sempre dimostrati affidabili e coerenti.
Questo preteso indipendentista veneto (che per tifoseria valuta “buono” Morosin, e “cattivo” Guadagnini) non vuole prendere atto che le azioni impolitiche di molto secessionismo veneto le hanno create gli stessi supposti separatisti. Non c’è solo Guadagnini che è “cattivo”. A ben riflettere nemmeno l’avvocato Morosin è tanto “buono” se lo si osserva come demolitore e costruttore di partiti pseudo federalisti, autonomisti, indipendentisti è stato abbastanza attivo. Si veda qui.
Molti ritengono che se al posto di Antonio Guadagnini fosse stato lui a consigliere regionale, quasi sicuramente non sarebbe cambiato nulla. Come non è cambiato nulla quando era insediato (dal 1990 al 1995 in quota all’allora Liga Veneta – Lega Nord, a quel tempo autonomista, federalista, poi indipendentista, secessionista e quant’altro affine), e considerato che non sono note azioni o proposte legislative che abbiano sortito effetti in nessuna delle suddette materie.
Di più: come non considerare che allora quel gruppo contava sette consiglieri, più qualche altro “simpatizzante”? R. B. non sembra essere sfiorato dalla considerazione che “moralmente ed eticamente disgustoso” è non solo chi non rispetta i patti, ma anche coloro che turandosi il naso accettano di cooperare con il reo. E la questione dell’esenzione delle firme è appunto la questione assimilabile ai trenta denari di biblica memoria. Infatti, colpevole è chi commette una mancanza, come lo è chi ne è complice e sodale.
Questo preteso indipendentista, “in nome del realismo politico”, scrive: «Non so quale nuovo ‘assetto istituzionale’ auspicare», e ciò delude molti elettori, poiché i catalani come gli scozzesi prima di loro sapevano a priori quale assetto istituzionale gli indipendentisti (una volta eletti) avrebbero realizzato. Non è così per l’indipendentismo veneto. Finora si sono letti opuscoli sull’autodeterminazione (alcuni peraltro ben fatti) che magnificavano, tra l’altro, il fatto che i 20-21 miliardi di euro (in realtà circa 15/16) che il Veneto “perde” con lo Stato italiano, sarebbero meglio impiegati.
Ma la sostanza è che per avere l’avanzo di quei miliardi bisognerebbe mantenere la stessa tassazione. A Indipendenza Veneta trascurano che secondo l’osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” (qui), in Italia, dal 2012 al 2017 sono stati 878 i casi di suicidio legati a motivazioni economiche, mentre 608 sono stati i tentati suicidi. I dati aggiornati al 2° semestre del 2017, hanno visto 56 vittime contro le 47 dei primi 6 mesi dell’anno, per un totale di 103 casi. In sostanza, anziché avere i politici “romani” che sperperano, avremmo i loro omologhi veneti a farlo, sempre a danno dei contribuenti autoctoni? Visto che nessuna proposta di riforma, in questa sola materia, è nota.
Del resto nel suo sito istituzionale IV scrive testualmente: «[…] all’obiettivo dello Stato veneto indipendente possono infatti concorrere indistintamente soggetti idealmente schierati su posizioni differenti e spesso contrapposte. […] IV non tende a definire un modello sociale.», è dunque chiaro che questo movimento non non produrrà nessuna bozza di nuova organizzazione istituzionale. E prosegue: «il movimento dà la possibilità di operare con tutte le energie a disposizione, non per dividere, ma per unire tutte le componenti della società veneta verso il comune obiettivo dell’indipendenza del Veneto». Insomma, in SV + IV si punta tutto sull’elezione alla Regione Veneto, poi si vedrà.
Pensare d’ottenere l’indipendenza per avere un’Italia in miniatura non sembra ai più la soluzione. Dopo di che, proprio l’esperienza Guadagnini dovrebbe convincere che la prefigurazione della soluzione dei problemi dell’autodeterminazione va fatta a priori, perché dopo i politicanti, avendo il potere, troveranno sempre le scappatoie per non cederlo. I fautori della secessione esaltano il referendum per l’autonomia (vinto in Veneto con circa 2,3 milioni di voti); ma questo, appunto, è per l’autonomia. Se politicamente qualcuno lo legge in maniera diversa fa parte delle strumentalizzazioni della politica. Infatti, è da dimostrare che quei milioni di voti sarebbero tutti per la separazione. Proprio perché i veneti sono messi come la Catalogna, è ingenuo se non strumentale ai politicanti, voler far credere di poter cambiare il governo con il consenso del governo. È un ossimoro, appunto!
L’indipendentismo veneto, poi, infarcisce i propri discorsi con il desiderio d’avere una democrazia simile a quella svizzera. Però azioni concrete per ottenere il corretto uso di tali strumenti: referendum, proposte di legge e di delibera d’iniziativa popolare, recall o revoca dei “rappresentanti” prima della fine del loro mandato, ed altro ancora, che a livello locale ci sono (e, ovviamente, sono stati edulcorati dalla partitocrazia) non se ne sono ancora viste. Altri sono i soggetti impegnati a produrre petizioni in questa direzione. Già nel 2013, per esempio, ne hanno depositate alle Regione Veneto (qui) e altrove. Gli Statuti del Comune di Vignola (MO), [vedi Art. 9 – Gli Istituti di Democrazia Diretta, e successivi (qui) o quello della Provincia di Bolzano (qui), solo per non formulare un lungo elenco, ci dicono che è possibile.
Ci sono domande provocatorie – ma non tanto – alle quali SV + IV non sanno o non vogliono rispondere:
Come mai nessun pseudo leader indipendentista veneto si è mai speso per ottenere i corretti strumenti di democrazia diretta a livello di Enti Locali?
Che cos’è la democrazia diretta se non un deterrente per gli abusi del potere?
Perché invece di spendersi in elezioni infruttuose o scarsamente premianti, gli attivisti di queste formazioni non operano per “dare l’assalto” con petizioni ad hoc ai vari Statuti di Comuni, Province e Regione per l’introduzione di corretti istituti di democrazia diretta? Bolzano docet!
La partitocrazia, ovviamente, metterà i bastoni tra le ruote, ma queste azioni non potrebbero avvantaggiarsi della «affezione» dei cittadini-elettori-contribuenti veneti più di quanto non sia ora possibile?
Alcuni osservano semplicemente che non è saggio giocare con le carte truccate dell’avversario (elezioni). Le vicende dell’indipendentismo catalano sono lì a far riflettere. R.B., da “tifoso”, non prende nemmeno in esame che Alessio Morosin è comprensibilmente un ambizioso. E in questo non c’è nulla di male, s’intende. Egli conosce le leggi elettorali italiane, e sa perfettamente che non è facendo il gregario che potrà essere eletto.
Salvo un caso fortuito come quello materializzatosi con Antonio Guadagnini. Di qui il “girovagare” di entrambi dentro e fuori partitini di nessuna potenza elettorale, e scarsa o nulla progettualità istituzionale. Morosin (e i suoi sostenitori), quello di buono che può aver fatto, è da semplice cittadino (la promozione della risoluzione 44/2012 dal titolo: “Il diritto del popolo veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione”, presentata il 5 ottobre 2012 da 21 Consiglieri in carica, e approvata il 28 novembre 2012.
Ancora, il 28 aprile 2015 Morosin partecipa a Roma alla discussione della Corte costituzionale per sostenere la L.R. 16/2014 relativa al referendum consultivo sull’indipendenza. Una partecipazione in difesa della legge, ovviamente, che tuttavia sarà cassata dalla suprema corte che dichiara inammissibile l’intervento dell’associazione Indipendenza Veneta. L’unico vantaggio appare quello professionale, laddove un ambizioso avvocato ha avuto modo di esercitare in un così alto Foro.
In questo panorama c’è chi valuta più positive le iniziative politiche dei cittadini organizzati, ma non in forma di movimento politico o partito tradizionale. Viste proprio le esperienze citate di Bolzano, Vignola (Modena) e altrove, sembra che non sia indispensabile sedere nelle istituzioni. Non sono pochi coloro che sostengono che se Morosin (& Co.) ha voglia di fare, può continuare a farlo da “uomo qualunque”. E dunque, perché non si spende e incoraggia i suoi seguaci per ottenere strumenti di democrazia diretta reali ed efficaci? Chi non è d’accordo sul fatto che la democrazia diretta è un deterrente per gli abusi del potere?
Che l’avvocato Morosin possa avere ambizioni a diventare “rappresentante” in Regione o altrove lo si può comprendere. Non per questo in molti sono disposti a concederli la loro approvazione politica. E questo, ovviamente, vale anche per chiunque altro abbia le sue “strategiche” idee, e voglia percorrere la stessa strada politica. Del resto la stessa Catalogna sembra avviarsi ad una diversa autonomia, ed il loquace ed eclettico Luca Zaia su questo si sta impegnando.
Un gran numero di elettori sono convinti del fatto che se le liste degli indipendentisti prendono circa il 2%, è perché non è chiaro il loro progetto istituzionale. Non è poi con un partito che si rivoluziona il “sistema partitocratico”. L’esperienza della Lega Nord, dell’Italia dei Valori, del M5S e altri ancora, è lì a documentarlo. Erano dei “rivoluzionari”, degli antagonisti; sono diventati parte del problema partitocratico. Piuttosto alcuni auspicano altre possibili aggregazioni in sostituzione della forma partito tradizionale. Si prefigura la nascita di «organizzazioni single issue» (per singola questione), in grado di riunire i propri aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefissato.
Gli iscritti sarebbero così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; e verrebbe meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo, tipica della partitocrazia. L’esperienza di Bolzano è lì a confermare la praticabilità della proposta. Mentre per le candidature e le elezioni un metodo (del resto in essere anche nella Serenissima Repubblica di Venezia) potrebbe essere quello del ballottaggio. A questo punto c’è chi si chiede se SV + IV sarebbero più coerenti laddove anziché definirsi indipendentisti si qualificassero per quello che appaiono: autonomisti. Ovviamente chi non vuole impegnarsi nell’esercizio della riflessione speculativa è libero di farlo, ma non per questo otterrà l’indipendenza del Veneto.
Gli strateghi dell’indipendenza senza un indirizzoEnzo Trentin
ottobre 2018
https://www.vicenzareport.it/2018/10/st ... -indirizzo Vicenza – Mercoledì 10 ottobre, sui social network) si poteva leggere questo messaggio del professor Carlo Lottieri: «Gli ultimi sondaggi danno i nazionalisti italiani della Lega, in Veneto, intorno al 50%.
C’è da disperarsi? No. I miei amici indipendentisti devono sapere che la volatilità elettorale è altissima e sono tutti giganti di argilla. Non solo: la catastrofe è alle porte e alla fine la realtà detta le sue leggi. Se l’Italia è in bancarotta, i suoi ministri si troveranno presto “sotto processo”. Si tratta quindi, ora, di costruire una proposta realmente alternativa: un progetto fatto di persone, luoghi, media, associazioni e iniziative che possa essere pronto a cogliere la finestra di opportunità. Il gigante parafascista non durerà a lungo: non abbiamo, quindi, tempo da perdere.»
Nel leggerlo mi torna alla mente quanto il drammaturgo russo Ivan Tourgueniev scriveva: «Esiste una tristezza che non è possibile consolare né dissipare, la tristezza della vecchiaia che ha coscienza di se medesima.». Ecco, dal profondo della mia senescenza, ho la tristezza d’aver scritto per anni le stesse cose del mio buon amico Carlo Lottieri, d’essere andato in lungo e in largo a tenere conferenze, a parlare ad un pubblico che sembrava non capire, che cercava la soluzione prêt à porter, immediatamente risolutiva.
Giovanni Dalla Valle, uno psichiatra anglo-veneto che per anni si è speso per la causa della autodeterminazione, in collaborazione con numerosi altri volonterosi, anni or sono ha dato l’avvio a un “Libro bianco” per l’indipendenza del Veneto, che nelle intenzioni doveva essere propedeutico a un progetto istituzionale innovativo. La cosa è rimasta in itinere. Non ha ancora raggiunto il suo completamento. Tra i tanti comparti del predetto nuovo assetto rifondativo c’era quello della Difesa, che qui espongo in riassunto, partendo ovviamente da alcune premesse:
La Costituzione italiana è una dichiarazione di princìpi che non ha nessuna concretezza. Si veda il suo articolo 11, a proposito di Difesa.
Coprire le guerre barattandole come ‘operazioni di pace’ è un modo per aggirare la Costituzione e turlupinare i cittadini che ancora vi credono.
Tutti sappiamo che con la formula ipocrita ‘peacekeeping’ si mascherano operazioni militari di aggressione in altri Paesi. Noi abbiamo più di 30 operazioni militari all’estero che ci costano circa 1.500 milioni l’anno. Solo l’operazione Leonte in Libano può essere considerata una vera missione di pacificazione perché le forze militari italiane si interpongono fra due comunità, hezbollah libanesi e israeliani, che altrimenti si massacrerebbero senza pietà.
Ciò premesso c’è da prendere atto che l’Italia sin dalla sua unità nel 1861 (a seguito di plebisciti farlocchi del 1859-1860-1866) ha sempre condotto guerre d’aggressione, e la truppa delle forze armate è sempre stata composta da coscritti che non potevano dissentire.
Fiorenzo Peloso, un federalista e indipendentista inascoltato, mi ricorda che le forze armate composte da professionisti (carabinieri, bersaglieri, guardia civil, guardia svizzera, guardia di finanza, giannizzeri, lagunari, sommergibilisti, aviatori e militari d’ogni altro generale) sono tutti “soldati”, ossia come dice la parola stessa sono “al soldo”. Chiamarli mercenari può sembrare esagerato o offensivo a seconda dei punti di vista, ma la definizione sul dizionario coincide: “mercenario” è colui che presta la propria opera in cambio di un compenso. Anticamente si chiamava salario. I militari fanno anche un giuramento di obbedienza assoluta agli ordini di una gerarchia di comando, ed è storicamente dimostrato che assecondano esclusivamente i desiderata del potente, o prepotente, di turno. L’essenziale è che costui paghi il soldo ai soldati.
La difesa della legalità e del civile convivere dei cittadini non è la loro priorità assoluta, è semplicemente una doverosa, ma secondaria, espressione statutaria, che essendo secondaria cambia appunto col cambiare del padrone: da repubblica a monarchia, dalla dittatura fascista a quella del proletariato pari sono. Drammaticamente molto spesso sono proprio i difensori dell’ordine i peggiori nemici dei cittadini che “ufficialmente” dovrebbero difendere:
Come fu a Torino nel 1864 in Piazza Castello e San Carlo.
Come fu 15 anni prima a Genova quando i bersaglieri di Lamarmora bombardarono l’ospedale, fucilarono centinaia di inermi cittadini, razziarono e stuprarono impuniti quella “vile e infetta razza di canaglie”, parole testuali usate dal re Savoia per definire i genovesi, mentre si felicitava col Gen. Lamarmora del riuscito massacro per difendere l’ordine pubblico.
Come fu a Bronte nel 1860
Come fu a Pontelandolfo e Casalduni Pontelandolfo_e_Casalduni nel 1861.
Come fu a Gaeta nello stesso anno: Gaeta massacrata da Cialdini, su ordine di Cavour. Nel crollo di una breccia nei bastioni di protezione larga circa 30-40 metri muoiono 316 artiglieri napoletani e 100 civili. Gli artiglieri piemontesi gioiscono per il grave danno arrecato alle difese borboniche e incominciano a gridare “Viva l’Italia” così forte che si sente fin dentro le mura di Gaeta.
Come fu nel 1898 in mezza Italia e soprattutto a Milano, quando il Gen. Bava Beccaris e i suoi soldati difensori dell’ordine pubblico spararono a bruciapelo ai milanesi che, affamati, chiedevano semplicemente del pane.
Fiorenzo Peloso non insiste oltre e conclude menzionando la recentissima dura violenza di Stato della Guardia Civil spagnola, nel 2017, contro la pacifica gente di Barcellona che voleva solo votare (Europa dove sei?) o l’icona del cinese davanti al carro armato in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989: uno dei più eclatanti esempi di “difesa dell’ordine pubblico” da parte di soldati, che forti della consueta totale impunità di Stato, hanno compiuto l’ennesima strage di migliaia di cittadini indifesi. La piazza evidentemente è un luogo deputato per le stragi Stato.
Se ci fosse ancora qualcuno che volesse giustificare tali atti “di servizio” compiuti dai soldati per difendere la legalità (non la legittimità che è un’altra cosa) e giustizia, consiglio di trascurare per un po’ la tastiera e fare un viaggio “autentico” in un qualsiasi paese del Centro-Sudamerica, dell’Asia o peggio ancora dell’Africa dove corruzione e violenza sui cittadini da parte dei soldati sono all’ordine del giorno. Poi in tutta onestà intellettuale si potranno fare analisi e valutazioni sul significato di mercenario e di difesa dell’ordine pubblico nel corso dei secoli.
Dopo i processi di Norimberga (dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946) contro i protagonisti dello Stato nazionalsocialista che uccisero milioni di civili innocenti non dovrebbe più essere ammessa la giustificazione: «Non siamo colpevoli! Noi abbiamo solo eseguito gli ordini superiori.» Eppure… Insomma i soldati sono un deterrente necessario all’illegittimità, ma ancor più necessario dovrebbe essere che allo Stato sia impedito di usarli contro la propria gente, proprio perché i soldati per definizione non sono autorizzati a pensare autonomamente.
Come riflessione consiglio una lettera di Don Lorenzo Milani: «L’ubbidienza non è una virtù», dove tra l’altro è scritto: «Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire, e soprattutto domandarvi, come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.»
In Italia ci sono degli ex militari di leva che da anni promuovono una legge d’iniziativa popolare per ottenere riconoscimenti onorifici, anche se non onerosi da parte dello Stato. Sostengono d’aver servito con onore la patria. Ovviamente io non discuto. Forse non conoscono o ignorano Friedrich Dürrenmatt laddove scrisse: «Patria è lo Stato se sta per compiere assassini di massa.» Solo gli alpini, nel 1997, a Reggio Emilia, dove si radunarono in 400 mila, tra pochi applausi e tanti fischi, sfilando davanti al presidente Oscar Luigi Scalfaro, impassibile, ma visibilmente preoccupato, che assiste a una forma di protesta, più in là duramente repressa dalla dirigenza dell’Ana. Quegli alpini ripiegarono un enorme tricolore lungo cinquanta metri proprio davanti al palco sul quale il capo dello Stato seguiva la sfilata nel bicentenario del tricolore. Dopo quell’episodio, guai a riprovarci!
Ai giorni nostri assistiamo all’impennata delle spese militari che non sono da ritenersi del tutto razionali. Si veda qui e qui. Per questo quella parte del “Libro bianco” di cui sopra doveva sembrare promettente agli indipendentisti veneti. In esso sostanzialmente si indicava un servizio militare di militanza simile a quello svizzero.
Si è guardato alla Svizzera che ha il maggior numero di ricoveri antinucleari al mondo. La Svizzera poi ha sempre avuto un esercito di cittadini talmente civile che quando sono esonerati dal servizio militare possono acquistare le loro armi individuali: il fucile, la rivoltella e il relativo munizionamento per conservarlo in casa propria. Non per questo in quelle valli si vive come nel mitico Far West. Di contro va preso atto che è il tiranno colui che vuole l’esclusiva delle armi.
In Svizzera solo pochi sono i militari a tempo pieno. Non è poi insolito che una persona che è dirigente industriale, faccia parte della gerarchia militare. Questo sistema fa sì che siano rare le discordie politiche, essendo il settore pubblico e quello privato, sostanzialmente, nelle stesse mani. Fin dagli anni 1930 in Svizzera il potere è in mano al complesso industriale-militare. Si è dimostrata una forma di “governo” molto efficiente. La Svizzera è rimasta estranea alle grandi guerre poiché l’élite al potere non ne avrebbe tratto alcun vantaggio.
Al contrario, nel 1978 questo Paese era al secondo posto nella graduatoria della prosperità mondiale, e nel settembre 2017, per il nono anno consecutivo, la Svizzera è stato il Paese con l’economia più competitiva al mondo secondo il Forum economico mondiale (WEF). Invariato, rispetto al 2016, il quintetto in testa alla graduatoria, con la sola differenza che gli Stati Uniti guadagnano la seconda posizione a scapito di Singapore. Olanda e Germania restano quarta e quinta. L’Italia si classifica al 44esimo posto.
Se la furia delle guerre mondiali ha risparmiato la Svizzera non lo si deve affatto – come pure tanti credono – alla sua dichiarata neutralità. Quale Hitler se n’è mai preoccupato? No. Se nessuno ha invaso la Svizzera è perché questo Paese ha sempre potuto contare su un efficientissimo deterrente militare; abbinato alla sua propensione a “far affari” (=contrattualismo, sinonimo anche di federalismo) con entrambe le parti in conflitto. Per esempio, gli svizzeri tennero ai nazisti pressappoco questo discorso: «Invadeteci, e ogni svizzero fra i 18 e i 50 anni d’età si nasconderà sulle Alpi per portare un’interminabile guerra d’attrito. D’altro canto, se sarete tanto furbi da non invaderci, saremo lietissimi di fornirvi i migliori prodotti della nostra industria, fra le più avanzate del mondo. A pagamento, s’intende.»
E questo è esattamente ciò che avvenne. Ma non solo gli elvetici fornirono alla Germania hitleriana cannoni antiaerei, generatori di corrente, strumenti di precisione, macchine utensili; non solo permisero ai nazisti di servirsi delle loro ferrovie per far affluire rifornimenti al loro alleato Mussolini; essi chiesero e ottennero altro in cambio. Energia. Carbone dalla Ruhr. Elaborarono una formula pignola, precisa e dettagliata: per ogni tonnellata di materiale bellico in transito, tot quintali di carbone. Tale patto permise alla Svizzera di restare indenne e sopravvivere ai cinque lunghi anni di conflitto. Poiché la Svizzera non ha un grammo di carbone né una goccia di petrolio, e l’energia elettrica non sarebbe bastata. Funzionò. I tedeschi non toccarono la Svizzera. E le fornirono energia sufficiente, non solo a mandare avanti il Paese, ma a farlo prosperare mentre il resto d’Europa cadeva in rovina.
Per un gran numero di “strateghi dell’indipendenza del Veneto”, questo tipo di organizzazione è una garanzia contro i soprusi del potere, e dovrebbe tenere lontani gli autoctoni da un conflitto in Europa; soprattutto se si trattasse di un conflitto nucleare tattico come nei vaticini di qualche stratega d’oltre Atlantico si ipotizza. Una situazione così terribile, che Philippe Grasset situa al punto terminale dell’abolizione del sacro in Occidente, scrivendo: «hanno perduto la percezione del sacrilegio – e la perdita del sacro porta necessariamente la perdita del senso di possibilità della catastrofe, minaccia cosmica che implica il fatto nucleare…”.»
Politica, la lotta per l’autonomia è subdolaottobre 2018
https://www.vicenzareport.it/2018/10/po ... ia-subdola Vicenza – Iniziamo da un brano dell’intervento – pubblicato anche sulla rivista «Miglioverde», del professor Paolo Bernardini durante il convegno di “Liberamente”, “think tank sull’indipendentismo veneto”, tenutosi a Ospedaletto Euganeo (Padova), il 6 ottobre 2018, dove tra l’altro affermava: «Vorrei solo ribadire, per prima cosa, la mia assoluta fede nella bontà dell’indipendenza del Veneto. E vorrei mettere a punto solo alcuni concetti, chiarire alcune posizioni, che immagino saranno abbondantemente discussi oggi. l’indipendenza del Veneto deve essere vista come meta finale di un processo che potrebbe svolgersi in molti modi, anche attraverso la conquista di porzioni sempre più nette di autonomia. Ma occorre sempre distinguere, concettualmente, tra autonomia e indipendenza: non necessariamente la prima porta alla seconda, ma soprattutto, non necessariamente quelli che si battono per la prima, ovvero l’autonomia, credono veramente nell’indipendenza. Molto spesso, e non solo per quel che riguarda il Veneto, la lotta per l’autonomia è subdola, non è al servizio del Veneto ma dello Stato centrale.»
Partiamo dunque da qui per l’ennesima speculazione intellettuale, assumendo – ancora una volta – il ruolo degli agitatori di idee. Come premessa però, ecco i principali rivendicazionismi che rischiano di polverizzare gli Stati europei attraverso forti movimenti secessionisti o hanno partiti politici che spingono per una maggiore autonomia:
Italia – non ci sono solo gli indipendentisti veneti; ci sono anche i lombardi, i sardi, i siciliani, i toscani e gli alto atesini che sono stanchi di sopportare la convivenza con la pseudo democrazia italiana.
Belgio – la questione dei fiamminghi e dei valloni è troppo nota per doverla qui ricordare. In Belgio vivono due popoli, distinti e distanti, che parlano lingue diverse e sono di etnia diversa. Nei decenni scorsi si arrivò quasi alla guerra civile, ma oggi si è trovato un modo di vivere comune. La situazione, per intenderci, è come quella della Cecoslovacchia, e non è detto che si finisca nello stesso modo.
Francia – anche i nostri cugini d’Oltralpe hanno da anni i loro problemi con gli indipendentisti. Corsica, Bretagna, Occitania, tutti vorrebbero andarsene. Lo stesso capita nei Territori d’Oltremare.
In Corsica, alle elezioni regionali nel 2015 ha vinto il partito indipendentista nato dalla fusione di “Femu a Corsica” autonomista, e di “Corsica libera” indipendentista con il 35,5% dei voti contro la sinistra che ha ottenuto il 28,5%, la destra con il 27% e l’estrema destra di Marine Le Pen sotto il 10%. Ma difficilmente gli indipendentisti Corsi da soli vincerebbero se Parigi concedesse oggi un referendum. La maggior parte dei Corsi vuol restare francese per continuare a percepire le pensioni statali, e godere degli impieghi nell’amministrazione francese dove la loro massiccia presenza assomiglia a quella dei meridionali nell’amministrazione pubblica italiana. La Corsica conta circa 300.000 abitanti. Si calcola che almeno il 60% sia a favore della Francia. Tuttavia tra i giovani prevale il sentimento indipendentista.
Germania – C’è chi aspira all’indipendentismo, pur avendo tutti religione e lingua comune. Accade in Baviera, dove esistono alcuni gruppi favorevoli alla secessione da Berlino, come il Beyernpartei.
Paesi dell’Est – oltre ai Balcani, l’indipendenza è chiesta dai russofoni in Romania, dagli abitanti della Transnistria nei confronti della Moldavia, da minoranze ucraine e russe. La questione dei curdi, oggi di strettissima attualità, andrebbe trattata a parte.
Regno Unito – Scozia, Cornovaglia e Galles vorrebbero l’indipendenza, per non parlare dei possedimenti oltremare. Com’è noto la Scozia ha già avuto il suo referendum legale. Lo ha perso per poco. Ora si comincia a parlare di un nuovo referendum per l’autodeterminazione, anche se non si è arrivati a predirne la data.
Spagna – Come è noto, non c’è solo la Catalogna, ci sono anche i Baschi. Ci sono poi le enclaves di Ceuta e Melilla, che aspirano all’indipendenza o al ricongiungimento col Marocco, cosa che Rabat chiede da anni. Ci sono le Canarie, e movimenti autonomisti sono esistenti anche in Galizia, Aragona e Andalusia, malgrado le ampie autonomie che lo Stato spagnolo concede.
Svizzera – E’ forse la nazione che ha risolto meglio il problema: lingue diverse, ordinamenti diversi, leggi diverse per ogni Cantone, e tutti vivono in armonia e prosperità. Anche grazie ad un federalismo autentico e non di facciata. Nel 1979 il Giura diventò il ventiseiesimo Cantone della Confederazione Svizzera.
Fatta questa presentazione, è necessario prendere atto che l’indipendentismo veneto è considerato il più effervescente della penisola, e la galassia di movimenti e partiti di quest’area possono semplicisticamente essere così suddivisi:
Al primo gruppo appartengono coloro che si dicono a favore dell’autodeterminazione ma, al momento, operano per l’autonomia della Regione. Dicono di voler perseguire la via istituzionale, e di rifarsi in particolar modo all’esperienza catalana. Tuttavia una corretta lettura degli ultimi decenni (vale a dire dalle elezioni regionali del 1985 che videro i primi due autonomisti-federalisti eletti in Regione Veneto) suggerisce che non c’è stata alcuna chance.
Al contrario, sin dall’inizio la partitocrazia li ha “imbrigliati” e “blanditi”. Il primo eletto è poi partito dalla Regione Veneto per arrampicarsi sino a diventare Sottosegretario agli esteri di un governo italiano. Emblematico è il caso del secondo autonomista, federalista, indipendentista, che stravaccato per ben tre legislature in Regione Veneto (esibendosi nel frattempo nella specialità di metter su e buttar giù partitini, per poi ritornare alla “casa madre” Lv-Ln), di risultati determinanti per questi tre obbiettivi non ne ha conseguito alcuno. Eppure “duttile”, “agile” e “disinibito” ha fatto l’assessore per la Giunta di Giuseppe Pupillo (ex comunista) e quella di Aldo Bottin (ex democristiano), svolgendo, appunto, il ruolo di foglia di fico per la partitocrazia. In tal modo “addomesticando” il voto dei suoi elettori. Addirittura una terza persona appartenente a quest’area, è stata eletta al Parlamento Europeo; ma anche lì risultati non se ne sono visti.
Centrodestra e centrosinistra li hanno cooptati nelle loro politiche facendo promesse poi non mantenute, e fagocitandoli nelle loro strategie al fine di far credere all’elettorato che anche i partiti tradizionali erano favorevoli a riforme significative. Dell’attuale esponente di questo gruppo di “indipendentisti” abbiamo già trattato qui. Per tutti questi “rappresentanti” sembrerebbe valere l’aforisma di Goran Mrakic (uno scrittore serbo di Romania) «Ha tutte le caratteristiche di un politico moderno. È passato attraverso tutti i partiti.»
Insomma, ad oggi, la via istituzionale non ha prodotto nulla nemmeno in Catalogna; fatta eccezione per le manganellate della Guardia Civil. Di più, sottolinea l’esule Carles Puigdemont: «sul federalismo, un punto questo annunciato mille volte ma che non è mai stato realizzato. Se 40 anni fa il governo spagnolo ci avesse offerto una sorta di federalismo, come quello tedesco, ora non chiederemmo l’indipendenza» (qui). Men che meno (vedi sopra) in Corsica.
Lo abbiamo già scritto: non si tratta di persone particolarmente malvagie. La loro cultura politica è quella partitocratica, e la partitocrazia ha disilluso la stragrande maggioranza degli elettori che oramai disertano le urne. Le minuscole riforme che si affacciano ora all’orizzonte creano disagio, malumore, inappagamento, e arrivano dopo oltre 33 anni. Il sistema di voler cambiare il governo con il consenso del governo risulta abbastanza fantapolitico. Qualcuno – a proposito di costoro – benevolmente afferma che bisogna prendere atto del fatto che anche quelli che fanno la danza della pioggia credono nella propria magia.
Nel secondo gruppo vi sono (ci sia consentita una semplificazione) i veneti-venezianisti. La loro magia vuole la Serenissima com’era e dov’era, ma mancano i Patrizi-mercanti e i loro Schei. Il tessuto produttivo veneto è diminuito di oltre il 25%, e c’è una crescita economica piatta. I suicidi di imprenditori sono centinaia. Dal 2012, sono in totale 937 in Italia (con prevalenza in Veneto) i casi di suicidi per motivazioni economiche registrati dall’Osservatorio “suicidi per motivazioni economiche”, della Link Campus University; mentre sale a 661 il numero dei tentati suicidi. Nei primi sei mesi del 2018 l’Osservatorio ha proseguito il proprio monitoraggio semestrale, da cui emerge un numero di vittime pari a 59, in aumento rispetto alle 47 registrate nella prima metà dello scorso anno, mentre sono 53 i tentati suicidi. I posti di lavoro buoni della classe media sono andati persi, i redditi reali delle famiglie sono stagnanti, le pensioni sono a rischio, malgrado i bla-bla-bla del governo le tasse non calano, i giovani laureati o più preparati vanno all’estero per lavorare.
Nel terzo gruppo ci sono i memori delle ampie facoltà di autogoverno che vigevano nei liberi Comuni che nacquero proprio nel centro-nord di questa penisola intorno all’anno 1.000. Perorano una conduzione della cosa pubblica per mezzo del “controllo e bilanciamento reciproco”, con strumenti di reale democrazia diretta.
Non per nulla nella cosiddetta Civiltà Comunale s’era formata una forte “borghesia” che, anche sotto le successive Signorie, i banchieri, i mercanti e gli “investitori”, aveva edificato monumenti e grandi opere nelle città venete che risalgono quasi tutte ad epoca pre-veneziana.
Costoro non scordano poi, che malgrado l’oligarchia veneziana fosse ingessata, nei Domini di Terraferma (detti anche Stato da Tera) ci furono parecchie “autonomie” ed è anche per questo che vennero mantenuti i telai nelle case cittadine, i diritti sui boschi, il pascolo comunitario, i campi comuni, e molto altro ancora. Con il libro di Alan Sandonà: “Leges et statuta communis Cartrani – Gli Statuti di Caltrano del 1543” (qui), il Comune dell’alto-vicentino, con relativo patrimonio montano (che si era costituito già verso il 1.200, come si rileva da altre pubblicazioni) inquadra storicamente e giuridicamente quella realtà che quasi cinque secoli fa scaturiva da quelli Statuti approvati dall’apposita commissione operante a Vicenza per conto della “Dominante”, dove – tra l’altro – erano i circa 800 abitanti a fissare l’aggravio fiscale da riconoscere a Venezia, e non il contrario come oggi avviene con l’Italia.
I sedicenti autonomisti-indipendentisti che siedono attualmente in Regione Veneto o aspirano a candidarsi alle elezioni regionali per accomodarsi su quelle “careghe”, da molti elettori sono considerati degli Zio Tom che non fanno i ribelli e non capeggiano rivolte. Troppi sono i privilegi che concede loro lo Stato italiano. Analogamente sono considerati dei “Tartuffe” coloro che si assoceranno a loro per concorrere alle regionali del 2020. Come hanno scritto Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: «La Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po’ in Parlamento, un po’ nei consigli di amministrazione, un po’ ai vertici delle municipalizzate, un po’ nelle segreterie. Basta un po’ di elasticità.» in fondo aveva ragione Henry Louis Mencken: «Ci sono degli uomini politici, che sarebbe bene chiamare politicanti, i quali, se avessero come elettori dei cannibali, prometterebbero loro missionari per cena.»
Insomma, gli Zio Tom e collaborazionisti vari sembrano aver fatto il loro tempo. Tra un preteso referendum digitale per l’indipendenza del Veneto (2014), avvallato da Osservatori Internazionali, e un referendum regionale per l’autonomia (2017), entrambi vinti con milioni di voti, ma entrambi con scarsa efficacia; rimangono milioni di veneti delusi e insoddisfatti dello satus quo. Parrebbe dunque giunto il momento per gli autentici indipendentisti di passare alla redazione di un coerente progetto politico-istituzionale innovativo, convincente, condiviso, al fine di avere istituzioni locali e scambi globali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza.
Alberto PentoTrentin scrive: "Parrebbe dunque giunto il momento per gli autentici indipendentisti di passare alla redazione di un coerente progetto politico-istituzionale innovativo, convincente, condiviso, al fine di avere istituzioni locali e scambi globali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza."
Sì, incominciando con il mettere a punto una storia credibile di tutti i veneti, non riducibile a quella della sola Venezia; una storia vera e credibile che ancora manca (che metta in luce ogni aspetto specialmente quelli che finora sono stati trascurati, omessi, nascosti e falsificati e che costituiscono i limiti, i difetti, le mancanze, le impossibilità, le contraddizioni), tralasciando ogni dogmatismo, mitismo e idolatrismo; un progetto all'insegna del massimo realismo dove si tenga ben presenti i vincoli italiani dovuti al fatto imprescindibile che la maggioranza dei veneti, oggi si sente e si vuole veneta e italiana, e poi non ultima e non meno importante dovrebbe essere la prospettiva europea che costituisce il nostro futuro.
Bisognerebbe partire dalla base più comune e universale che c'è al mondo ossia quella dei diritti (e doveri e valori) umani universali (anche se non condivisa dai nazi maomettani, e proprio per questo ancora più valida) e all'interno di questi valori trova sistemazione l'audeterminazione degli uomini e delle loro cumunità, con le loro culture e tradizioni tra cui anche la religione più diffusa.E sopratutto nessun ritorno al passato che appunto è passato.
Basta fanfaroni politicanti e storicanti con le loro idolatrie politiche, religiose e storiche e i loro culti feticisti dei simboli.
Chiedere al potere di riformare il potere. Che ingenuità!Enzo Trentin
14 novembre 2018
https://www.vicenzareport.it/2018/11/ch ... mment-5496 Vicenza – Mi sia consentito d’iniziare parafrasando Giovannino Guareschi al fine di speculare su espressioni, comportamenti e conseguenze civili e politiche sui nostri giorni. Chi sono? Sono un ex giornalista che adopera trecento o più parole. Federalista in una repubblica contraddistinta dall’accentramento dei poteri anche quando propone un regionalismo che spaccia per decentramento amministrativo. Ho in uggia i partiti politici in un Paese che continua a destreggiarsi tra pseudo sinistra-destra e sovranisti-populisti. Sostengo l’iniziativa privata in tempi di statalismo becero e inefficiente. Sono assertore di un nuovo progetto politico di autodeterminazione in tempi di antinazionalismo. Non sono un indipendente, bensì un anarchico, un uomo libero, ma sovversivo.
Il fatto è che un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. L’idea di una repubblica fondata sulla partitocrazia non era quella per la quale gli Alleati vincitori della seconda guerra mondiale stimolarono e affrettarono l’avvio dei lavori della Costituente le cui sedute si svolsero fra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948, perché nella visione degli Alleati c’era la nascita di uno Stato federale, come avvenne per la Repubblica Federale Tedesca (Rft) o Germania Ovest.
Che la repubblica italiana abbia qualche “peccato originale” lo si rileva consultando la prima relazione antimafia, dalla quale emerge che nella Costituente c’erano numerosi mafiosi, più alcune decine di massoni dichiarati. In un rapporto segreto del 18 febbraio 1946, il generale dei carabinieri Amedeo Branca scrisse: «II movimento agrario separatista siciliano e la mafia da diverso tempo hanno fatto causa comune; anzi, i capi di tale movimento, tra i quali don Lucio Tasca, si debbono identificare per lo più con i capi della mafia nell’Isola.»
Tra i costituenti c’era anche Bernardo Mattarella, padre di Sergio, attuale presidente della Repubblica Italiana, che nella fase iniziale del secondo dopoguerra era stato sospettato da alcuni di essere «…tra i referenti nel rapporto tra la DC e la mafia». Di questo nel 1992 venne accusato anche dall’ex ministro Claudio Martelli: “Bernardo Mattarella secondo gli atti della Commissione antimafia e secondo Pio La Torre (1976), fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la DC“. Secondo lo storico Giuseppe Casarrubea, Mattarella era ritenuto vicino al boss di Alcamo Vincenzo Rimi, considerato in quegli anni al vertice di Cosa nostra.
Un altro “padre costituente in pectore” fu Frank B. Gigliotti, mafioso e massone 33esimo livello, componente Oss, ora Cia. Lucky Luciano fornì a Gigliotti i nomi da contattare in Sicilia per favorire lo sbarco degli Alleati del 10 luglio 1943 (vedi qui). Tornò in Italia nel 1947, per influenzarne la politica. Quanto è credibile una Costituzione che da pseudo democratica è diventata partitocratica? Nel suo ultimo saggio, Dimitri Orlov nota che: «se la cultura e la società restano intatte, il resto dell’umanità, una volta che si renda conto che il sistema è truccato a suo danno in favore dello 0,01%, può organizzare una rivoluzione. Ma se la società e la cultura sono minate e distrutte prima, non avranno la coesione sociale e lo spirito pubblico necessario a questa impresa».
Le lotte tra fazioni partitocratiche sono governate dal pensiero così ben formulato dal sindacalista e rivoluzionario russo Michail Pavlovič Tomskij: «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione». È così che sul continente europeo, il totalitarismo è diventato il peccato originale dei partiti. Il fatto che esistano non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi.
La questione da esaminare è se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda così la loro esistenza desiderabile. Ma se individui appassionati, inclini per via della passione al crimine e alla menzogna, si compongono allo stesso modo in un popolo vero e giusto, allora è bene che il popolo sia sovrano. Una costituzione democratica è buona se per prima cosa realizza nel popolo questo stato di equilibrio, e soltanto in seguito fa in modo che le volontà del popolo siano eseguite.
L’autorità del popolo, in democrazia, non dipende affatto da sue presunte qualità sovrumane come l’onnipotenza e l’infallibilità. Dipende invece dalla ragione esattamente contraria, dall’assunzione cioè di tutti gli uomini, e del popolo tutto intero, come necessariamente limitati e fallibili. Questo punto a prima vista sembra contenere una contraddizione che deve essere chiarita. Come ci si può affidare alla decisione di qualcuno, come gli si può attribuire autorità, quando gli si riconoscono non meriti e virtù, ma vizi e manchevolezze? La risposta sta nella generalità, per l’appunto, dei vizi e delle manchevolezze.
Del resto i partiti post-ideologici sono “illegittimi” nel modo più radicale. Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti; una res nullius esposta al saccheggio. Per pensare a un rimedio, bisognerebbe essere capaci di ripensare radicalmente la democrazia contemporanea. E avere il coraggio di pensare a una democrazia senza partiti. Quanto alla favola del voto “democratico” consiglio la visione di questo breve filmato.
https://www.facebook.com/sebastiano.riv ... 2949187048Stante questa situazione egemonica e insoddisfacente della partitocrazia, e constatato che lo Stato italiano sta letteralmente crollando sotto l’incapacità, l’incuria, la corruzione e le mafie, molti cittadini hanno rivolto la loro attenzione e le loro speranze all’autodeterminazione dei popoli per rifondare nuove strutture sociali. Ma costoro cosa fanno? Fondano nuovi partiti! E addirittura molti sedicenti “sovversivi” dall’indipendentismo sono ripiegati all’autonomia. Giusto quello che pare delinearsi in Catalogna. Ma l’autonomia promessa da Luca Zaia & Co. quale sarà? Le indiscrezioni sinora giunte non sono rassicuranti. Per i tempi poi… malgrado le promesse e i proclami stiamo ancora aspettando!
Alcuni di questi “sovversivi” si giustificano dicendo: «Se non passasse l’autonomia Veneta, non ci perderebbe solamente la faccia il ministro delle autonomie Erika Stefani, ma sarebbe una sconfitta cocente anche per Luca Zaia e Matteo Salvini. Un errore politico che pagherebbero carissimo. Attualmente un elettore su due in Veneto propende per votare Lega, ma se l’autonomia non arrivasse, sarebbe un errore politico che costerebbe molto al loro partito. […] La lega non potrebbe permettersi un errore del genere, l’effetto domino nefasto, sarebbe alimentato in tutto lo stivale e quello che Salvini ha costruito con fatica sarebbe irrimediabilmente perduto. Perché i Veneti hanno una caratteristica. Non scordano mai un torto subito!»
Sulla questione: “perdere la faccia”, Umberto Bossi ha sicuramente perso la sua, tuttavia siede ancora in Parlamento. E se mi dovessero chiedere un elenco di chi ha perso la faccia e siede ancora nelle istituzioni, mi rifiuterei di prestarmi all’opera. Troppo vasto il lavoro per un anziano pensionato come me. Eppoi non trascuriamo che molti politici sono persone “eccezionali”, hanno la faccia come il c…! Ma quello che sorprende di questi autonomisti pseudo indipendentisti – privi di un progetto istituzionale condiviso – che ad ogni piè sospinto citano l’esperienza catalana, è che sembrano scordare quanto è successo da quelle parti.
Come viene scritto qui:
https://francais.rt.com/opinions/54975- ... n-division Gli indipendentisti sembrano anche aver trascurato numerosi aspetti strategici, giuridici e amministrativi. Intanto la questione essenziale della sicurezza delle frontiere terrestri, marittime e aeree di un futuro Stato, e quella di un programma fiscale degno di questo nome che permetta di finanziare l’insieme delle amministrazioni sono state accennate in un modo molto evanescente. […] Indubbiamente la Catalogna possiede una cultura ed una lingua ricche, è dotata di confini geografici ben identificati, d’altra parte la sua popolazione non condivide un progetto politico comune, poiché più della metà di essa si dice favorevole al fatto che la regione rimanga parte integrante del regno spagnolo. […] “Il problema è che c’è una carenza di maturità politica del campo indipendentista”, confida un vecchio compagno di strada di Carles Puigdemont, deluso, che chiede l’anonimato. “Non ci prende sul serio nessuno in Europa, perché non abbiamo saputo dimostrare di avere un programma, e neanche una visione politica o economica di ciò che intendiamo realizzare. Restiamo centrati sul fatto che vogliamo l’indipendenza, ma rifiutiamo di seguire le regole, anche quelle del diritto internazionale […] diciamo che vogliamo restare in Europa, ma non vogliamo accettare il fatto che se la Catalogna ottiene l’indipendenza, ne sarà esclusa d’ufficio. Questo modo di fare politica era destinato alla sconfitta” E conclude: “Se vogliamo veramente l’indipendenza, dobbiamo accettare che bisogna seguire un processo legale che richiederà degli anni”.
I fondatori di nuovi partiti o movimenti indipendentisti veneti trascurano il fatto che, non solo in Catalogna come in Spagna, in Italia e da qualche altra, parte uno dei problemi che più preoccupano i cittadini oggi, dopo la disoccupazione, la corruzione e la crisi economica, è quello della politica e dei politici. La cattiva reputazione dei politici, che deteriora le istituzioni, ha le sue radici nelle malformazioni tipiche delle avariate democrazie contemporanee: i poteri del Parlamento sono largamente esercitati dai partiti, ed essi non rispettano la democrazia sostanziale, ovvero eludono le regole e gli strumenti della democrazia diretta.
Sulla «inutilità» dei sedicenti indipendentisti l’ennesimo esempio ci viene fornito dal Consigliere Regionale Antonio Guadagnini. Egli si guarda bene dall’agire per eliminare il ridicolo referendum consultivo, o sostenere le proposte popolari di democrazia diretta che giacciono da anni in Regione Veneto.
https://piudemocraziavenezia.wordpress. ... ia-diretta Pensa d’agire da indipendentista promuovendo la presentazione del libro del Prof. Andrea Favaro dal titolo “Io Sovrano, discussione sui fondamenti teorici dell’autodeterminazione” (Mercoledì 14 novembre alle ore 12, presso il Consiglio Regionale del Veneto a palazzo Ferro-Fini). Un’azione che indipendentemente dal valore dell’opera e del suo autore, corrisponde a pestare l’acqua nel mortaio; ossia fa una fatica inutile. Mentre si guarda bene dal progettare un nuovo assetto sociale per la organizzazione di quel “potere costituente” che propaganda di perseguire. Questa reticenza implica un tipo di corruzione che la legge penale non punisce, ma che incoraggia l’espansione di altre forme punibili. E quando hai rinunciato a supportare ciò che nell’interesse della collettività veneta, gettando via princìpi e convinzioni, l’unico compenso è assicurarsi un beneficio personale.
Insomma, la mancanza di un progetto politico-istituzionale che faccia da supporto all’autodeterminazione del Veneto, è la stessa mancanza che viene imputata agli indipendentisti catalani. Ma mentre i catalani portano in piazza milioni di persone, la manifestazione più numerosa degli indipendentisti veneti fu a Bassano del Grappa, (vedi qui) il primo dicembre 2013, con circa tremila persone
https://www.bassanonet.it/news/14913-in ... e_day.html .
Quello che gli autonomisti-indipendentisti non sembrano considerare è che Giordano Bruno già sapeva come funzionavano le cose, e infatti fu messo al rogo il 17 febbraio 1600 in Campo dé Fiori a Roma. Da allora ad oggi, a parte i roghi, non è cambiato nulla, e le sue parole certi autonomisti-indipendentisti dovrebbero scolpirsele nella mente e nel cuore: «Che mortificazione! Chiedere al potere di riformare il potere. Che ingenuità!»
A Bassano la grande mobilitazione dei sostenitori del referendum consultivo per l'indipendenza veneta, arrivati da 147 Comuni di tutta la regione. Col governatore Zaia in testa: “E' una rivoluzione moderna, come i catalani”Independence Day
Il passaggio della manifestazione sul Ponte degli Alpini (foto Alessandro Tich)
2013-01-12
https://www.bassanonet.it/news/14913-in ... e_day.htmlLa fossa dei leoni - di San Marco, ovviamente - è concentrata in piazzale Cadorna, sede prescelta per i comizi finali della manifestazione a sostegno del referendum consultivo per l'indipendenza veneta.
E' quanto richiede la PDL (proposta di legge) regionale 342 sottoscritta una quindicina di consiglieri regionali del Veneto - tra cui il bassanese Nicola Finco - e finalizzata all'indizione del voto referendario, riservato ai residenti nella nostra regione, per “acclarare la volontà del Popolo Veneto in ordine alla propria autodeterminazione”.
Già presentata e discussa in consiglio regionale, la proposta indipendentista è stata rispedita al mittente. Ma ora i promotori e sostenitori del Veneto Nazione ritornano alla carica, scegliendo Bassano del Grappa quale città da cui rilanciare l'urlo separatista, per fare pressing al consiglio regionale affinché la proposta referendaria “per il Veneto Repubblica indipendente e sovrana” venga finalmente accolta.
Tutti in riva al Brenta, dunque, per rispondere al richiamo dello stato maggiore del Comitato “Il Veneto Decida - el dirito de decìdare” (soci fondatori: Luca Zaia, Alessio Morosin, Indipendenza Veneta, Liga Veneta Repubblica, Comitato celebrazioni storiche della Milizia Veneta, Raixe Venete, Futuro Popolare Veneto, Veneto Stato, Veneto Stato Europa, Europa Veneta), attuale struttura di coordinamento del movimento indipendentista nei confronti di Roma, definita “soggetto legittimato passivo nel procedimento di autodeterminazione del Popolo Veneto”.
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto - che ricorda dal palco della manifestazione, applauditissimo, di essere stato “l'unico governatore a non aver festeggiato i 150 anni dell'Unità d'Italia” - è uno dei fondatori del Comitato e non manca all'appuntamento bassanese. Al suo fianco, nella prima fila del corteo, lo segue come un'ombra l'europarlamentare Mara Bizzotto.
Poco più indietro - e avendo sottoscritto la PDL 342, ne ha ben donde - notiamo puntualmente Nicola Finco. Marino Finozzi, altro leghista in giunta regionale, sfila nelle retrovie.
Ma chi pensasse che la matrice politica delle istanze separatiste sia appannaggio esclusivo del fronte Lega Nord, si sbaglia.
Tra i front-men della manifestazione c'è ad esempio il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, anch'egli co-firmatario della proposta di legge, oggi rappresentante di Futuro Popolare ma fino a ieri esponente dell'Udc.
Ci sono soprattutto - con la fascia con i colori della bandiera del Veneto e col cartello del “Comune Veneto” che ciascuno di loro rappresenta - i sindaci e i delegati dei 147 Comuni della regione che hanno approvato all'ordine del giorno del consiglio comunale la proposta di legge referendaria.
Tra questi c'è anche il Comune di Bassano del Grappa: e benché la presidente leghista del consiglio comunale Tamara Bizzotto sia presente tra i manifestanti, a reggere il cartello “Comune Veneto Bassano del Grappa (VI)” è la consigliera di Bassano ConGiunta Ilaria Brunelli.
L'assembramento in piazzale Cadorna è solo l'epilogo dell'affollato pomeriggio dell'Independence Day: col corteo partito da viale delle Fosse, transitato per le piazze e confluito - con sventolio di bandiere di San Marco e slogan libertari ripetuti ai megafoni - sul Ponte degli Alpini, andata fino a Angarano e ritorno.
E per darvi l'idea del movimentato, ma al contempo ordinato svolgimento della manifestazione vi rimandiamo alla nostra photogallery correlata al presente articolo.
In piazzale Cadorna è il momento degli interventi al microfono, e ad Alessio Morosin - autentico leader e trascinatore del movimento indipendentista - viene riservato un tributo da rockstar. Morosin si rivolge al popolo del “prossimo Stato indipendente” ricordando il 4 luglio 1776, giorno della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America: “La libertà si conquista con un atto unilaterale di indipendenza”.
“La storia italiana in Veneto è finita - prosegue il capopopolo, attizzando i presenti -. O morte italiana, o indipendenza veneta.” Morosin tocca anche l'intoccabile, e cioè “la Costituzione italiana, che noi rispettiamo come Costituzione di uno Stato straniero.” Da qui la strada obbligata dell'autodeterminazione “da conquistare in modo democratico, pacifico, con il consenso dei veneti”.
Luca Azzano Cantarutti, presidente di Indipendenza Veneta, spiega i motivi pratici della mobilitazione: “Il Comitato ha voluto questa manifestazione per chiedere a tutti i veneti di sensibilizzare il consiglio regionale affinché il Veneto decida. Chiediamo di accelerare immediatamente quel percorso politico pacifico e legale per esprimersi con il voto referendario e dire “Si” o “No” a questa domanda: vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana?”.
Standing Ovasiòn da parte di tutti i presenti.
“Sbassè e bandiere e vardeme sue bae dei oci” esordisce il governatore Luca Zaia, che invita ad abbassare cartelli e vessilli per favorire la la visuale del palco anche alla “zente da drio”.
“Il progetto di indipendenza lo seguiamo da mesi - afferma Zaia - e assemblee come queste servono a chiarire le cose. Oggi nella nostra regione ci sono 170mila disoccupati, e il senso di essere qui oggi è quello di dare ascolto ai veneti che soffrono. L'indipendenza è una grande opportunità e siamo qua per ricordare a Roma che in Veneto 7 persone su 10 parlano in veneto.” “E i lavora in veneto!” - commenta un manifestante che ascolta l'intervento vicino a chi vi scrive. “Quello dell'indipendenza è un percorso serio, legale, compatibile con le norme internazionali - prosegue il governatore -. La serietà è anche il rispetto per chi oggi non è qui: i veneti sono galantuomini, noi non andiamo a devastare le città per le manifestazioni.”
Zaia parla di “rivoluzione moderna, come i catalani” e della ferma intenzione “di riportare il provvedimento in consiglio regionale, anche se non è facile”. E richiama di nuovo “al rispetto per chi non la pensa come noi” perché “l'indipendenza non è do una parte, è di tutti.”
Da qui la necessità di “evangelizzare” quella parte di popolo veneto (maggioritaria o minoritaria? NdR) che di distacco dalla sovranità dell'Italia non vuol sentir parlare. Zaia invita a “cercare di ampliare questo consenso”, sottolinea “il federalismo dei padri costituenti” e cita addirittura Einaudi, sostenitore, nel '48, della determinazione delle autonomie locali. “Siamo qua per legittima difesa” aggiunge il governatore. Per dire “basta” alle vessazioni di uno Stato italiano dove la gente “se impica in azienda” e “con oltre il 65% della pressione fiscale”.
Gli interventi sul palco proseguono finché l'oscurità del corto pomeriggio invernale non cala sulle numerose bandiere di San Marco convenute per l'occasione dai quattro angoli del Veneto. I partecipanti arrotolano i vessilli e coi fazzoletti col Leone ancora attorno al collo riprendono la strada di casa, per molti di loro molto lunga, soddisfatti per la buona riuscita della manifestazione.
Indipendentemente da tutto.