Il «capro espiatorio» degli ebrei prefigura il sacrificio di Gesù?
03/10/2013 di Redazione Toscana Oggi
Daniela Nucci
http://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risp ... io-di-Gesu
Una domanda a partire dalla festa ebraica dello «yom kippur» (dell’espiazione). Risponde Giovanni Ibba, docente di ebraismo alla facoltà Teologica dell'Italia centrale.
Percorsi: Spiritualità e teologia
La festa ebraica dello «yom kippur» (dell’espiazione) nella quale il capro espiatorio prende su di sè i peccati di Israele e morendo redime tutto il popolo, poteva essere un riferimento per Gesù che offre la sua vita per la salvezza dell’uomo?
Lo yom kippur si riferisce a un giorno dell’anno che Dio ha comandato di dedicare all’espiazione per i peccati del popolo, come si vede nel capitolo 16 del Levitico. In questa sezione del testo biblico si legge che due capri verranno presi da Aronne e posti davanti alla tenda del convegno.
Dopo aver tirato la sorte sui due animali, viene deciso quale dei due sarà sacrificato al Signore (YHWH) e quale ad Azazèl, forse un demone che si credeva vivesse nel deserto. Quello destinato al Signore verrà scannato come sacrificio per il peccato del popolo e poi seguiranno complessi riti di aspersione del sangue dell’animale; poi, finiti tutti i gesti purificatori, Aronne prenderà tutti i peccati purificati dal primo capro e li porrà, con l’imposizione delle mani, sul secondo animale. Il capro verrà condotto nel deserto e lì lasciato. Il testo spiega che «così porterà sopra di sé tutte le (…) colpe in una regione remota». Collocare le colpe degli israeliti su un capro che dovrà andare nel deserto, quindi un luogo lontano da quello in cui vive il popolo, è indubbiamente una sorta di esorcismo, un allontanamento del male al di fuori.
Entrambi i capri hanno una funzione importante rispetto alla questione dell’espiazione. Ora, rispetto a Gesù, la questione va affrontata premettendo che il problema del peccato nel pensiero ebraico è fondamentale e complesso e che, al tempo di Gesù, la questione era molto sentita. La funzione sacerdotale (Aronne) nell’adempiere il comando del sacrificio espiatorio è stata a volte messa in relazione con il ministero di Gesù che, oltre ad essere lui stesso visto come sacerdote (vedi lettera agli Ebrei, ma si parla di un sacerdozio che difficilmente è collegabile con quello aronitico di cui sopra) è stato visto anche come vittima sacrificale (vedi l’ecce Agnus Dei, ma anche in questo caso ci sono problemi a collegarlo col capro espiatorio, come si vedrà più avanti) per i peccati dell’uomo.
Le prime comunità cristiane ravvedevano una correlazione tra il capro espiatorio (quale?) di Levitico 16 e la vicenda di Gesù, morto per i peccati dell’uomo? È bene rilevare che la questione è molto più articolata di quanto si possa pensare. Innanzitutto, è da capire se per espiazione dei peccati s’intende la stessa cosa del perdono dei peccati di cui parla Gesù. Detto in parole semplici, l’espiazione dev’essere intesa come un atto mediante cui il popolo può ricominciare a vivere senza il peso di peccati, spesso involontari, che impedirebbero una conduzione di vita adeguata e alla presenza del Signore. L’espiazione riguarda qualcosa che è stato commesso e confessato. Il perdono di cui parla Gesù invece è invece un’azione più radicale, simile a quella sperata da profeti come Isaia, Ezechiele o Geremia e il cui soggetto dell’azione del perdonare è Dio stesso e non un intermediatore come il sacerdote, anche se esso opera in nome suo.
Il perdono si esplica nel cristianesimo soprattutto nel momento del battesimo, dove il catecumeno fa l’esperienza di una purificazione mediante lo Spirito che lo rende nuovo in un modo sostanziale. Tale purificazione può essere intesa come un perdono, ma non solo nel senso di una rimozione delle tracce dei peccati, come appunto poteva avvenire durante lo yom kippur, ma anche e soprattutto come rimozione della causa stessa dei peccati. Gesù, dopo il battesimo, opera con lo Spirito una purificazione interiore dell’uomo, un perdono che precede il peccato stesso, se così si può dire.
La risposta di Pietro, riportata in tre modi differenti nei sinottici, alla domanda di Gesù sulla propria identità è al riguardo significativa: Gesù è il Figlio del Dio vivente (Mt 16,13-20); è il Cristo (Mc 8,27-30); è il Cristo di Dio (Lc 9,18-21). Tutti i tre titolo attribuiti a Gesù riguardano un personaggio che non è né sacerdote nel senso del Levitico, né vittima sacrificale come s’intende nel testo biblico. Se Gesù fosse visto come capro espiatorio, allora i romani che lo crocifiggono sono sacerdoti. I titoli espressi dai sinottici indicano indiscutibilmente, soprattutto Matteo e Luca, che Gesù non ha la stessa funzione del sacerdote nel rito dell’espiazione, e nemmeno di quello del capro espiatorio, in quanto il sacrificio di quest’ultimo è destinato ad estinguersi in un certo tempo. Ciò che fa Gesù riguarda il perdono, e questo era una cosa che solo Dio si pensava potesse fare. Gesù è un uomo, ma è anche Figlio del Dio vivente o Cristo di Dio. Il senso è che, come Figlio o Cristo di Dio, egli ha le caratteristiche, mediante lo Spirito, per poter operare quello che solo Dio può fare. Con l’espiazione, in qualche modo, il problema del peccato non è risolto in modo definitivo; con Gesù il perdono avviene con la sua vita e il suo insegnamento una volta per sempre.
Vorrei infine sottolineare che non si deve parlare di un «superamento» dell’espiazione con il perdono di Gesù. Il primo rimane sempre valido nella misura in cui esso rende cosciente l’uomo della sua natura e, quindi, della sua totale dipendenza dal suo Creatore; il secondo, pur operando alla radice della natura umana, non esclude il continuo richiamo che Israele fa nel ricordare che l’uomo dipende dal Signore. Sul piano dei segni vorrei anche dire che la vicenda di Gesù termina con la crocifissione e questo, almeno sul piano simbolico, non ha nulla a che vedere né con lo sgozzamento del primo capro, né con l’allontanamento del secondo nel deserto.
Yom Kippur
https://it.wikipedia.org/wiki/Yom_Kippur
Yom Kippur (יום כפור yom kippùr, "Giorno dell'espiazione") è la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell'espiazione. Nella Torah viene chiamato Yom haKippurim (Ebraico: יום הכיפורים, "Giorno degli espiatori"). È uno dei cosiddetti Yamim Noraim (Ebraico, letteralmente "Giorni terribili", più propriamente "Giorni di timore reverenziale"). Gli Yamim Noraim vanno da Rosh haShana a Yom Kippur, che sono rispettivamente i primi due giorni e l'ultimo giorno dei Dieci Giorni del Pentimento.
Yom Kippur è la ricorrenza ebraica con maggiore Qedushah; Shabbat è giorno "solenne" con Qedushah maggiore rispetto agli altri oltre questo giorno di redenzione.
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Fino alla distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.), una delle cerimonie più importanti era l'offerta del "capro emissario", o "capro espiatorio" (Levitico 16:8-10) che ogni anno, nel giorno di Kippur, veniva mandato a Azazel. Azazel è una parola oscura che non si trova in nessuna altra parte della Bibbia ebraica. La parola può derivare da 2 parole, ez, che significa capro, e azel, che significa partenza. La Mishnah (Yoma cap. 6) ed il Talmud (Yoma, fogli 66-67) descrivono in dettaglio il trasporto di questo capro all'esterno del Tempio e di Gerusalemme, verso il deserto cui conduceva i peccati del popolo ebraico. Il Talmud e Rashi, il più autorevole commentatore della Torah, spiegano esplicitamente che Azazel è il nome di un precipizio dove il capro sacrificale veniva precipitato.
Capro espiatorio in J.G. Frazer e René Girard
07 sabato Jun 2008
Posted by Giovanni Pistolato in Antropologia
https://pistolato.wordpress.com/2008/06 ... ene-girard
Il capro espiatorio era una capra che durante le feste ebraiche dello Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione, veniva allontanata nel deserto in seguito a un rito nel quale il sacerdote del tempio di Gerusalemme, ponendo le mani sulla testa dell’animale,confessava tutti i peccati del popolo d’Israele. Il rito, meticolosamente descritto nella Bibbia ( Levitico, 16 ), aveva come fine quello di espiare tutte le colpe del popolo ebraico, addossate simbolicamente alla capra, la quale si rendeva protagonista di tale espiazione andando a morire nel deserto.
L’espressione ‘capro espiatorio’ ha poi assunto un senso figurato e precisamente indica un individuo o un gruppo sociale che viene selezionato per portare la colpa di una calamità e la cui espulsione rappresenta l’espiazione della colpa stessa. In realtà, la ricerca del capro espiatorio è qualcosa che trascende il concetto di giustizia e la cui origine va identificata piuttosto nell’atto irrazionale di ritenere una o più persone responsabili di una determinata situazione problematica, che può essere di qualsiasi genere.
In questo scritto tratterò unicamente le versioni che ne hanno dato gli antropologi James George Frazer ne ‘Il Ramo d’oro’ e René Girard ne ‘Il capro espiatorio’.
Prima di tutto va sottolineata una differenza fondamentale nella trattazione di questo argomento da parte dei due celebri antropologi: il Frazer esamina il capro espiatorio in una dimensione prettamente religiosa e rituale, limitandosi ad elencarne i principali esempi nel mondo antico e primitivo, senza indagare la cosa in termini etnologici. Per intenderci, il Frazer non analizza l’espressione ‘capro espiatorio’ in base al significato che tutti intendiamo quando affermiamo di un individuo o di una minoranza che essi servono da capro espiatorio a una maggioranza, ma interpreta questo fenomeno esclusivamente come una categoria religiosa a cui in passato corrispondevano determinati riti.
René Girard studia invece l’argomento da una prospettiva diversa, discutendo attorno al meccanismo inconscio della rappresentazione e dell’azione persecutoria e ragionando unicamente sul senso figurato dell’espressione.
James George Frazer
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René Girard
René Girard ( nato ad Avignone nel 1923 e tuttora in vita) è un celebre antropologo e critico letterario. Autore di diversi testi appartenenti al campo dell’antropologia filosofica ( “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”, “ La violenza e il sacro”, etc.) la sua opera ha avuto ripercussioni su studi di psicologia, storia, teologia e sociologia. La sua teoria principale è quella che vede nel sacrificio la via d’uscita dalla violenza ‘mimetica’, ovvero imitativa. Girard analizza principalmente le origini della violenza e il legame strettissimo che congiunge quest’ultima al sacro, e concepisce l’Uomo come il più mimetico di tutti gli animali, ovvero il più portato in assoluto all’imitazione. La sua è una prospettiva cristiana, cosa che gli è valsa numerose critiche, nonostante egli abbia più volte affermato che la sua opera va letta esclusivamente per il suo contenuto antropologico e considerata come una qualsiasi teoria scientifica.
Ne ‘Il capro espiatorio’ (1982) prende in esame il meccanismo persecutorio che si cela dietro il fenomeno del capro espiatorio, dandone infine un’originale interpretazione.
Girard afferma che tutto l’ordinamento culturale trova le sue radici nel sacrificio, il quale implica una vittima scelta per caso o che magari non ha nulla a che vedere con l’evento accaduto. Condizione di base per la ricerca di un capro espiatorio è uno stato di crisi, che comporta l’indebolimento delle istituzioni normali e favorisce l’istituzione di folle, cioè di assembramenti popolari spontanei, che finiscono col sostituirsi interamente a istituzioni indebolite o con l’esercitare su di esse una pressione decisiva. Le circostanze che danno vita a queste crisi sono cause esterne come epidemie, inondazioni, carestie, oppure cause interne, come discordie politiche o conflitti religiosi. In casi di tal genere si verifica una radicale rovina del sociale stesso, la fine delle regole e delle differenze che definiscono gli ordini culturali, dal momento che il crollo delle istituzioni cancella o comprime le differenze gerarchiche. La crisi dunque, comporta una indifferenziazione generalizzata: infatti la confusione produce l’insorgere delle folle e gli uomini in questo stato si assomigliano in maniera disordinata in un solo luogo, nello stesso momento. La folla tende sempre alla persecuzione in questi casi perché le cause naturali di ciò che la sconvolge non possono interessarla. La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause naturali. Dunque cerca una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza; i suoi membri quindi sono sempre dei persecutori in partenza, perché pensano di purgare la comunità dagli elementi impuri che, secondo loro, la corrompono. Essi arrivano sempre a convincersi che un piccolo numero di individui, spesso uno solo, possa rendersi estremamente nocivo all’intera comunità, malgrado la sua debolezza relativa.
Girard sostiene la presenza di accuse caratteristiche nelle persecuzioni collettive. Quest’ultime riguardano: crimini di violenza che hanno per oggetto gli esseri verso i quali la violenza è più criminale (come re, padri, individui inermi, bambini…), crimini sessuali (incesti, stupri, bestialità) e crimini religiosi (profanazione di templi o edifici religiosi, mancata osservazione di un dettame religioso, etc.). Tutti questi crimini, a guardar bene, si rivolgono contro le fondamenta stesse dell’ordine culturale, le differenze familiari e gerarchiche senza le quali non vi sarebbe ordine sociale.
In altri casi, succede spesso che nella scelta delle vittime non siano determinanti dei crimini, quanto piuttosto l’appartenenza a certe categorie particolarmente esposte alla persecuzione. Queste categorie sono sempre minoranze etniche o religiose, le quali tendono a polarizzare contro di sé l’odio delle maggioranze. Nella società occidentale ad esempio gli Ebrei sono stati frequentemente perseguitati; lo stesso è accaduto ai musulmani in India e, caso ancor più celebre, ai cristiani durante l’Impero Romano.
Esiste anche un terzo criterio di selezione vittimaria: accanto a criteri religiosi ed etnici infatti ve ne sono anche di puramente fisici. La malattia, l’instabilità mentale, le deformità genetiche e le mutilazioni accidentali tendono anch’esse a polarizzare i persecutori.
In generale, più ci si allontana dallo stato sociale comune, più aumentano i rischi di persecuzione, e lo si vede facilmente non solo nel caso di coloro che stanno in fondo alla scala sociale, ma anche di quelli che la presiedono: i ricchi, i potenti, i sovrani, i detentori del potere. La storia dell’umanità infatti è piena di monarchi e governatori uccisi dalle folle in periodi di crisi, nella speranza e nella convinzione che con l’eliminazione fisica di quest’ultimi si potesse tornare a uno stato di normalità.
Infine, ultimo criterio di selezione vittimaria è quello che colpisce gli stranieri: nell’ottica degli indigeni essi sono incapaci di rispettare le vere differenze e il più delle volte o non hanno gusto o sono privi di buoni costumi. In realtà, a far paura dello straniero non è tanto l’altro νόμος, una cultura differente, ma l’anomalia, l’anormalità. Per tutti gli individui scorgere la differenza fuori dal sistema è terrificante perché fa capire la verità del sistema, la sua relatività e la sua fragilità, nonché la sua mortalità.
Questi sono i vari stereotipi della persecuzione e, secondo Girard, essi sono tutti riscontrabili nel mito greco, il quale tra l’altro ha la caratteristica di partire molto spesso da una situazione di crisi per concludersi poi con un vero e proprio ritorno all’ordine. Il caso più eclatante è il mito di Edipo trattato nell’ “Edipo re” da Sofocle. La peste devasta Tebe; ed ecco il primo segnale. Edipo è responsabile perché si è macchiato di parricidio e di incesto con sua madre, crimini che appartengono alle categorie prima esposte: ed ecco il secondo stereotipo. Per mettere fine all’epidemia, il responso dell’oracolo esige che si cacci via da Tebe l’abominevole criminale. Altro stereotipo: Edipo, come dice il nome stesso, zoppica; è dunque fisicamente deforme. Infine, è straniero e non è uno qualsiasi, ma il re, categoria altamente esposta alla persecuzione.
Chiaramente, quanto maggiore è il numero di segni vittimari che un individuo possiede, tanto più maggiori sono le possibilità che egli attiri su di sé l’odio della massa, e alla luce di quanto appena detto Edipo è un vero e proprio agglomerato di segni vittimari.
L’argomentazione di Girard si fa ancora più interessante nel momento in cui prende in esame anche la Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento. Il capro espiatorio nei Vangeli è ovviamente il Cristo, vittima innanzitutto di una profonda crisi della società ebraica, che sfocerà nella distruzione totale dello Stato meno di mezzo secolo dopo per mano del futuro imperatore romano Tito.
I Vangeli non si servono certo dell’espressione ‘capro espiatorio’ per designare il Messia ma ne usano un’altra: agnello di Dio. Essa esprime, come capro espiatorio, la sostituzione di una vittima a tutte le altre. Ma scambiando i connotati sgradevoli e ripugnanti del capro con quelli interamente positivi dell’agnello, quest’espressione indica con maggior efficacia l’innocenza della vittima e l’ingiustizia della sua condanna, oltre che l’assenza di causa dell’odio che subisce.
L’antropologo francese afferma che i Vangeli respingono la persecuzione, e tale rifiuto risulterebbe chiaro specialmente nel racconto della passione del Cristo, in cui è più volte messa in evidenza la non colpevolezza di Gesù e l’irrazionalità dei sentimenti negativi che egli ha finito col catalizzare contro di sé. Pilato ad esempio, dopo aver interrogato Gesù, afferma: Io non trovo in lui alcun capo d’accusa. (Giovanni-18, 38). Giovanni riporta anche questa frase (15, 25): Essi mi hanno odiato senza una causa. Nella sua apparente banalità, questa sentenza enuncia il rifiuto delle accuse stereotipate e di tutto quello che le folle persecutorie accettano ad occhi chiusi. Gesù inoltre è continuamente ricollegato a tutti i capri espiatori dell’Antico Testamento; egli è la pietra scartata dai costruttori che diverrà testata d’angolo.
I persecutori di Cristo, come tutti i persecutori del resto, credono sempre nell’eccellenza della loro causa ma in realtà odiano senza causa; e soprattutto, non sanno quello che fanno: Padre mio, perdonali, perché essi non sanno quello che fanno (Luca-23, 34), affermazione che non mette in risalto solo la bontà del Cristo, ma la natura irrazionale della rappresentazione persecutoria.
Girard si serve poi di due episodi evangelici per mettere nuovamente in luce l’importanza della massa nella persecuzione di un individuo: la decisione finale di Pilato sulla sorte di Gesù e il rinnegamento di Pietro.
Nel momento in cui sentenzia l’innocenza del Cristo, Pilato non è ancora dominato dall’influsso della folla. Egli è colui che detiene veramente il potere, ma al di sopra di lui vi è la folla che, una volta mobilitata, ha la vittoria assoluta, trascina dietro di sé le istituzioni e le costringe a dissolversi in se stessa. Questa folla è “il gruppo in fusione, la comunità che si dissolve e non può più rinsaldarsi se non a spese della sua vittima, del suo capro espiatorio. Non si tratta di studiare la psicologia di Pilato, bensì si sottolineare l’onnipotenza della folla, a cui, malgrado le sue velleità di resistenza, l’autorità sovrana è costretta a inchinarsi”. Nella visione di Girard dunque, il famoso gesto del lavarsi le mani del governatore romano non è né il paradigma della codardia né uno dei più grandi esempi di democrazia del mondo antico (Pilato decide di lasciare l’ultima parola al popolo), ma piuttosto la dimostrazione del meccanismo mimetico (nella fattispecie vittimario) che la massa innesca, in situazioni come queste, su qualsiasi individuo.
L’episodio del rinnegamento di Pietro ne è un’ulteriore riprova: nemmeno i discepoli più cari in realtà possono resistere all’effetto di capro espiatorio, il che rivela l’onnipotenza della folla e della rappresentazione persecutoria sull’Uomo.
A tal proposito, Girard scrive: “All’origine del rinnegamento c’è forse una certa paura ma c’è soprattutto vergogna. La vergogna è un sentimento mimetico, è senz’altro il sentimento mimetico per eccellenza. Per provarlo, bisogna che io mi guardi con gli stessi occhi di chi mi fa vergogna. Pietro ha vergogna di quel Gesù che tutti disprezzano, vergogna del modello che si è dato, vergogna quindi di ciò che lui stesso è. Per non farsi crocifiggere il modo migliore è fare come tutti gli altri e partecipare alla crocifissione. Il rinnegamento è dunque un episodio della passione, una specie di risucchio, un breve vortice nella vasta corrente del mimetismo vittimario che spinge tutti verso il Golgota.”
Secondo Girard infine i Vangeli e la rivelazione cristiana hanno svolto un ruolo decisivo nella storia occidentale: il crollo dell’intera rappresentazione persecutoria. Respingendo quest’ultima, ne hanno smontato gli ingranaggi, mettendoli così allo scoperto. La riprova di tutto ciò starebbe nel fatto che al giorno d’oggi, più che nei secoli scorsi, crediamo sempre meno alla colpevolezza delle vittime che i meccanismi persecutori esigono. Nel mondo antico era diverso, e Girard si serve anche dell’etimologia per dimostrarlo: nel latino classico ad esempio non c’è alcuna implicazione d’ingiustizia nei termini persequi e persecutio. Anche in greco, martyr significa soltanto testimone, e sarà solo l’influenza cristiana a fare evolvere la parola verso il significato attuale di innocente perseguitato, di vittima eroica di una violenza ingiusta.
Solo i testi evangelici hanno saputo compiere il “miracolo” (così lo definisce Girard) di distogliere gli uomini dalle loro vittime, di dimostrare loro che chi perseguita lo fa senza un motivo. Hanno insegnato loro inoltre ad esplorare pazientemente le cause naturali di una crisi, senza buttarsi a capofitto su presunte cause sociali, ossia vittime.
“È in corso una rivoluzione formidabile. – scrive Girard – Gli uomini, o almeno certi uomini, non si lasciano più sedurre dalle persecuzioni, nemmeno da quelle che fanno appello alle loro credenze. Lungo tutta la storia occidentale le rappresentazioni persecutorie si indeboliscono e crollano. Questo non sempre significa che le violenze diminuiscono di quantità e di intensità. Significa tuttavia che i persecutori non possono più imporre durevolmente il loro modo di vedere agli uomini che li circondano. Ci vollero secoli per demistificare le persecuzioni medievali, bastano pochi anni per screditare i persecutori contemporanei. Responsabile di tutto ciò è la rivelazione di Cristo”.