Il mito di Benito Mussolini, l'uomo forte e divinizzato, preso a modelloinvece era un fanfarone, irresponsabile, tronfio e vigliacco
Mussolini l'ultimo Cesarehttps://www.facebook.com/BmluC/videos/1864713067180829Benito Mussolini - Proclamazione della sovranità italiana sull'impero Etiopico(9 Maggio 1936)
http://www.polyarchy.org/basta/document ... .1936.htmlNota
In un linguaggio tronfio e vuoto, in cui la logica e la realtà escono massacrate dalla politica, Mussolini proclama la costituzione dell'impero. Un impero di cartapesta, costruito sull'impiego criminale dei gas che hanno decimato l'esercito etiope. L'impero crollerà nello spazio di alcuni anni e assieme ad esso i nefasti sogni di gloria del popolo italiano.
Ufficiali, sottufficiali, gregari di tutte le Forze Armate dello Stato in Africa e in Italia, Camicie Nere della Rivoluzione, Italiani e Italiane in patria e nel mondo, ascoltate!
Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal Gran Consiglio del Fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino dell'Etiopia oggi, 9 maggio, XIV anno dell'Era Fascista.
Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria integra e pura come i legionari, caduti e superstiti, la sognavano e la volevano.
L'Italia ha finalmente il suo Impero.
Impero fascista perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano; perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane.
Impero di pace, perché l'Italia vuole la pace per sé e per tutti, e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose incoercibili necessità di vita.
Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell'Etiopia. Questo era nella tradizione di Roma che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino.
Ecco la legge, o Italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro, come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:
1) I territori e le genti che appartenevano all'Impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia.
2) Il titolo di Imperatore viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d'Italia.
Ufficiali, sottufficiali, gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia, Camicie Nere, Italiani e Italiane, il popolo italiano ha creato col suo sangue l'Impero, lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.
In questa certezza suprema levate in alto, legionari, le insegne, il ferro e i cuori a salutare, dopo quindici secoli, la, riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni?
[la folla prorompe in un altissimo « Sì »]
Questo grido è come un giuramento sacro che vi impegna innanzi a Dio ed innanzi agli uomini, per la vita e per la morte.
Camicie Nere, Legionari - Saluto al Re!
Decreto costitutivo dell'Impero (9 Maggio 1936)
Art. 1. - I territori e le genti che appartenevano all'Impero d'Etiopia vengono posti sotto la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia. Il titolo di Imperatore d'Etiopia è assunto, per sé e per i suoi successori, dal Re d'Italia.
Art. 2. - L'Etiopia è retta e rappresentata da un Governatore generale che ha il titolo di Viceré, da cui dipendono anche i Governatori dell'Eritrea e della Somalia. Dal Governatore generale Viceré d'Etiopia dipendono tutte le autorità civili e militari dei territori sottoposti alla sua giurisdizione. Il Governatore generale Viceré d'Etiopia è nominato con decreto reale, su proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per le Colonie.
Art. 3. - Con decreti reali, da emanarsi su proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per le Colonie, sarà provveduto a stabilire gli ordinamenti dell'Etiopia.
Art. 4. - Il presente decreto, che ha vigore dal giorno della sua data, sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, proponente, è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge.
Benito Mussolini, in un libro l'amicizia tra il Duce e l'islam23 Aprile 2017
http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... lmani.html E' un tema poco esplorato, quello del rapporto tra Fascismo e nazismo da una parte e musulmani dall'altra. Ma negli ultimissimi tempi, due libri hanno fatto luce su questi rapporti, evidenziando come fossero forti e strutturali, in una chiave sopratutto anti-ebraica. "Bambini in fuga" di Mirella Serri racconta sopratutto del forte legame non solo ideologico tra Adolf Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme. In "Mussolini e i musulmani", invece, Giancarlo Mazzucca e Gianmarco Walch si concentrano sul fascino che islam e mondo arabo ebbero sul Duce.
Un interesse che, scrivono i due autori, ebbe origine da un misto di ragioni di carattere personale e di politica estera. Nel primo caso si trattò di una affettuosa amicizia che Mussolini intrattenne con la giornalista Leda Rafanelli, detta l'odalisca, di fede musulmana, negli anni Dieci del Novecento. Nel secondo caso, negli anni Trenta, fu l'antisemitismo a spingere il capo del governo italiano e gli islamici dalla stessa parte della barricata. In quegli anni il Duce guardò con sempre maggiore attenzione ai paesi islamici, imponendo nel 1934 a Radio Bari di trasmettere programmi in lingua araba e curando i rapporti commerciali con quei Paesi, da cui, come scrive il quotidiano Il Messaggero, venne ricambiato con fervore: là nacquero infatti diversi movimenti come le Falangi Libanesi, le Camicie Verdi, il Partito Giovane Egitto e le Camicie Azzurre che seguivano il fascismo come esempio tramite il quale nazionalizzare le masse per via autoritaria.
Il feeling proseguì negli anni di guerra con il progetto di costruire in Italia una legione araba fedele alle forze dell'Asse, con la benedizione del Gran Muftì di Gerusalemme, al quale Mussolini nel '36 diede la disponibilità a fornire uomini e materiale per mettere in atto l'avvelenamento dell'acquedotto di Tel Aviv, città nella quale avevano trovato rifugio gran parte degli Ebrei in fuga dalle leggi razziali in Europa. Il piano fu poi abbandonato, ma al Gran Muftì arrivarono dal governo italiano 138mila sterline, che allora erano una cifra davvero cospicua.
Mussolini, la testimonianza choc del partigiano che uccise il DuceGiulia Ulrich - Gio, 28/04/2016
Un documento storico riporta le parole che il partigiano Walter Audisio pronunciò al dittatore
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/m ... 52223.htmlSettantuno anni fa, il 28 aprile 1945, Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci furono giustiziati dal partigiano comunista Walter Audisio (nome di battaglia "colonnello Valerio") a Giulino di Mezzegra, località in provincia di Como.
Il giorno prima Mussolini era stato arrestato a Dongo e la direzione del CLNAI aveva deciso senza indugio per la sua esecuzione immediata. Prelevato dai suoi giustizieri a Bonzanigo, l'ex duce, insieme alla Petacci, fu portato nel pomeriggio in auto in un un piccolo vialetto davanti a Villa Belmonte, un'elegante residenza di Giulino, dove fu fucilato. Questi gli ultimi minuti di vita di Mussolini secondo la testimonianza di Audisio: "Sull'auto lo feci sedere a destra, la Petacci si mise a sinistra. Io presi posto sul parafango in faccia a lui. Non volevo perderlo di vista un solo istante. La macchina iniziò la discesa lentamente. Io solo conoscevo il luogo prescelto e non appena arrivammo presso il cancello ordinai l'alt. Dissi di aver udito dei rumori sospetti e mi mossi a guardare lungo la strada per accertarmi che nessuno venisse verso di noi". "Quando mi volsi la faccia di Mussolini era cambiata: portava i segni della paura. (...) Feci scendere Mussolini dalla macchina e gli dissi di portarsi tra il muro ed il pilastro del cancello. Obbedì docile come un canetto. Non credeva ancora di morire: non si rendeva conto della realtà. Gli uomini come lui temono sempre la realtà, preferiscono ignorarla (...). Improvvisamente cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra Mussolini Benito". "Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano". "Credo che Mussolini non abbia nemmeno capito quelle parole: guardava con gli occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui. La Petacci gridò enfatica: "Mussolini non deve morire". Dico alla Petacci che s'era appoggiata a Mussolini: "Togliti di lì se non vuoi morire anche tu". La donna capisce subito il significato di quell'anche e si stacca dal condannato. Quanto a lui, non disse una sola parola: non il nome di un figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido, nulla.
Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: "Ma...ma...ma...ma signor colonnello. Ma...ma...ma signor colonnello". "Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto". "(...) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l'otturatore, ritento il tiro ma l'arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma Mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi". "Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L'autopsia constatò più tardi che l'ultima pallottola gli aveva troncato netto l'aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945".