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è il paese dove la maggior parte dei cittadini veramente produttivi versano più contributi pensionistici in cambio di pensioni più basse e più tassate, e non adeguate al costo della vita; con il più alto numero di ingiustificate pensioni d'oro, doppie e triple pensioni, baby pensioni e false pensioni d'invalidità;Bolla previdenzialehttps://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_previdenzialeSi definisce bolla previdenziale o bolla pensionistica, in un sistema pensionistico senza patrimonio di previdenza la differenza tra il debito pensionistico latente e il patrimonio preda, in assenza di un patrimonio di previdenza. Coincide con la somma per tutti gli iscritti ad un sistema pensionistico pubblico del furto intergenerazionale relativo a ciascuno, pensionato o lavoratore attivo.
Nel caso di assenza totale del patrimonio dell'ente previdenziale gestore del sistema pensionistico, la bolla previdenziale coincide con il debito pensionistico latente. La bolla previdenziale si forma all'avvio dei sistemi pensionistici senza patrimonio di previdenza sia nel caso del modello previdenziale universale sia nel caso del modello previdenziale corporativo fascista.
La bolla previdenziale si forma sia con la creazione artificiale di un elevato debito pubblico implicito ovvero di un elevato debito pensionistico latente al quale non corrispondono versamenti di contributi obbligatori per le assicurazioni obbligatorie nel rispetto dell'equilibrio finanziario attuariale, sia con l'utilizzo dei fondi versati per la previdenza per altre spese correnti.
La bolla previdenziale è quindi una costruzione fittizia della politica per giustificare legalmente un elevato livello di spesa corrente primaria per le pensioni, visto che nei sistemi pensionistici pubblici (primo pilastro della previdenza) le pensioni si pagano con le imposte come chiarito nella teoria costituzionale nel diritto della previdenza sociale.
In un sistema pensionistico privato fully funded, l'indice di patrimonializzazione deve essere del 100% o superiore. Il patrimonio di previdenza ha la funzione di trasferire il proprio risparmio previdenziale attuale nel futuro, quando verrà utilizzato per i bisogni del pensionato.
In un sistema pensionistico pubblico con indice di patrimonializzazione nullo o lontano dal 100%, il trasferimento di risparmio è tra generazioni, nello stesso tempo e non nel futuro ed avviene con l'imposizione della tassazione da parte dello Stato. Più le generazioni che si trasferiscono la ricchezza non sono in equilibrio demografico o economico, come ad esempio nella fase di avvio di un sistema pensionistico con il modello previdenziale corporativo fascista più si ha una amplificazione della bolla previdenziale.
Caratteristica fondamentale per la creazione della bolla previdenziale è che chi paga le promesse pensionistica attuali, lo fa nella convinzione che un domani tali vantaggi saranno assicurati anche a lui, anche se ciò è smentito dalla documentazione ufficiale. Il sistema si basa quindi su una asimmetria informativa dovuta all'utilizzo di un gergo finanziario non comprensibile agli utenti e sulle affermazioni rassicuranti degli esperti (politici, sindacati, professori universitari, commissioni parlamentari) sulla sostenibilità del sistema pensionistico in realtà insostenibile per definizione.
Nel caso in cui si manifesta l'evidenza della disparità di trattamento tra le generazioni o dovuta a diversi livelli di tassazione o a diversi livelli delle prestazioni previdenziali, si può compromettere la sostenibilità sociale dei sistemi pensionistici pubblici in quanto gli stessi si basano sulla coesione sociale.
Il 99% delle pensioni degli ex Enel supera i contributi versati6 maggio 2015
http://www.firstonline.info/News/2015/0 ... UtMDZfRk9M (Enel in testa) fra il 2000 e il 2014 supera la somma che si otterrebbe con il metodo contributivo, ovvero calcolando l’assegno sulla base dei contributi effettivamente versati. E’ quanto emerge da un’indagine Inps sull'ex Fondo elettrici , che ora è uno dei maggiori fondi speciali gestiti dall’Istituto pubblico e si avvia a chiudere il 2015 con un disavanzo di 1.972 milioni, oltre a un debito di 30 miliardi.
Secondo l’analisi, che rientra nell'operazione "Porte aperte" dell'Inps, il 79% dei trattamenti in essere è più alto del 20-40% rispetto a quanto risulterebbe se fosse calcolato con il metodo contributivo e soltanto una pensione su 100 del Fondo elettrici risulterebbe più generosa con il ricalcolo contributivo.
“Le variazioni sono significative”, scrive l’Inps. Ad esempio, un funzionario andato in pensione a 61 anni nel 2013 titolare, a gennaio 2015, di una pensione lorda mensile di 3100 euro, percepisce una prestazione di 900 euro più alta di quella che avrebbe ottenuto con il ricalcolo contributivo. Il vantaggio aumenta a fronte di età di pensionamento più basse.
I privilegi nelle regole di calcolo della pensione che hanno prodotto questi squilibri sono principalmente due: 1) fino al 1992 la retribuzione usata per il calcolo della pensione era riferita agli ultimi 6 mesi e non agli ultimi 5 anni come per il fondo lavoratori dipendenti; 2) l'aliquota di rendimento era fissata al 2,514%, e non al 2%.
“Il Fondo elettrici è stato istituito nel 1956 – ricorda l’Inps –. Dal 1° gennaio 2000, data di soppressione del fondo, i nuovi lavoratori del settore vengono iscritti al Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti (FPLD), mentre ai lavoratori che facevano già parte del Fondo Elettrici prima di quella data vengono applicate le regole previste per il soppresso fondo, diverse da quelle applicate agli iscritti al FPLD”.
Negli anni, “il Fondo ha conosciuto una progressiva erosione del proprio patrimonio – prosegue l’Istituto –, diventato negativo all’inizio del nuovo millennio ed ha ad oggi un debito complessivo di quasi 30 miliardi. Il Fondo è stato in disavanzo sin da quando confluito nel FPLD. Il disavanzo è peggiorato nel corso del tempo e presumibilmente raggiungerà i 2 miliardi nel 2015, anche perché dal 2000 non ci sono più nuovi iscritti e quindi le entrate contributive tendono progressivamente ad azzerarsi”.
Infine, la legge Monti–Fornero ha istituito un contributo di solidarietà dal 2012 al 2017 a carico degli iscritti e dei pensionati del Fondo, il cui ammontare dipende dal “periodo di iscrizione antecedente all’armonizzazione conseguente alla legge n.335/1995, e alla quota di pensione calcolata in base ai parametri più favorevoli rispetto al regime dell’assicurazione generale obbligatoria”.
Pensioni, "negli altri Paesi Ue tassate il 30% in meno". Pesano no tax area, evasione e balzelli localiStefano De Agostini
11 dicembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... li/2223574La Penisola è al quinto posto in Europa per pressione fiscale. Secondo Carla Cantone, segretario del sindacato europeo dei pensionati, su un assegno da 1.500 euro "da noi si pagano 600 euro di tasse, in Germania 60". A Parigi, Berlino, Londra e Madrid sono esentati dalle imposte tutti quelli che ricevono meno di 9mila euro l'anno, in Italia il tetto è a 7.750
Non sarà certo l’unico motivo dell’esodo, ma di sicuro è una buona ragione per fare le valigie: le pensioni italiane sono tra le più tassate d’Europa. In questa poco gratificante classifica, ci piazziamo al quinto posto. Così è presto spiegato il motivo per cui sempre più anziani si trasferiscono all’estero. L’allarme era stato lanciato da Tito Boeri, presidente dell’Inps: lo Stato sborsa un miliardo di euro all’anno per pagare le loro prestazioni previdenziali. Il numero dei pensionati emigrati è passato dai 2.553 del 2010 ai 5.345 nel 2014, raddoppiando nel giro di quattro anni. Fuggono anche da una no tax area ristretta, da un elevato livello di evasione fiscale, dal cumulo di balzelli regionali e comunali. Tutte peculiarità nostrane che determinano l’alta tassazione delle pensioni nel nostro Paese.
Italia quinta in Europa per pressione fiscale sui pensionati – Per avere una dimensione della pressione fiscale che devono sostenere i pensionati italiani, basta guardare le statistiche che fornisce Bruxelles e in particolare il rapporto sull’adeguatezza delle pensioni 2015, messo a punto dalla Commissione europea. Nella classifica che premia “i sistemi più favorevoli in termini di benefici fiscali per i pensionati rispetto ai salariati”, il nostro Paese si piazza al quintultimo posto. Insomma, siamo quinti nell’Unione per pressione fiscale su quanti hanno lasciato il lavoro.
“Negli altri Paesi d’Europa, i pensionati pagano in media il 30% in meno di tasse rispetto all’Italia – spiega Carla Cantone, segretario del Ferpa, il sindacato europeo dei pensionati – Prendiamo una pensione da 1.500 euro. Da noi si pagano 600 euro di tasse, in Germania 60 euro“. A fornire ulteriori numeri, ci pensa un rapporto Confesercenti relativo al 2013, lo stesso anno su cui si basa la ricerca europea. Il documento prende in esame un anziano tra i 65 e i 75 anni, senza familiari a carico, che vive a Roma, con un reddito di circa 20mila euro annui. La pressione fiscale che gravava su questo pensionato era pari al 20,73%. Se avesse abitato in Spagna, avrebbe pagato il 9,5%, nel Regno Unito il 7,2%, in Francia il 5,2%. Fino ad arrivare allo 0,2% della Germania, dieci volte in meno dell’Italia. E in quattro Paesi – Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Lituania – le pensioni sono addirittura esenti da tasse.
Ma in Francia e Spagna la pensione è ancora funzione degli ultimi stipendi – In questo contesto, vanno però ricordate le differenze nel calcolo delle pensioni tra i diversi Paesi in questione. Mentre in Italia è in vigore il sistema contributivo, basato su quanti contributi il lavoratore versa nella sua carriera, Francia e Spagna hanno mantenuto il retributivo, in cui l’assegno è legato al livello delle retribuzioni percepite. In Germania si usa invece un sistema misto, detto a punti. Una via di mezzo che si avvicina di più al contributivo: l’assegno si calcola sulla base dei cosiddetti punti-pensione, acquisiti pagando i contributi e lavorando. Infine, c’è il caso particolare del Regno Unito, dove il sistema pubblico prevede un meccanismo di ripartizione tendenzialmente omogeneo per tutti, ma circa il 50% dei lavoratori può contare su un fondo pensione privato.
L’anomalia della no tax area italiana – Le ragioni di questa disparità vanno ricercate in diversi fattori. Innanzitutto, c’è la questione no tax area. Anche se le tasse per i pensionati italiani sono alte, bisogna dire che i meno abbienti non le pagano. Questo grazie alla cosiddetta no tax area, cioè quel limite di reddito al di sotto del quale i contribuenti sono esentati dalle imposte. Ma anche qui l’Italia dimostra di essere indietro rispetto all’Europa. Lo studio Confesercenti mostra come in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, un pensionato che nel 2013 aveva un reddito di circa 9mila euro non pagava tasse. In Italia sì. E le imposte erodevano il 9% del reddito. Questo perché il limite della no tax area italiana è più basso rispetto ai partner europei. Da noi sono esentati i pensionati con un reddito fino a 7.500 euro, se non hanno compiuto 75 anni, o fino a 7.750 euro, se si tratta di over 75.
Salta all’occhio anche la disparità rispetto ai lavoratori dipendenti, dove l’asticella arriva a 8mila euro. “E’ un graffio pesante all’uguaglianza – afferma Cantone – La povertà è povera per tutti. Non solo per i lavoratori. Anzi, aggiungo che per un anziano può essere anche peggio, perché deve sostenere le spese non indifferenti per le medicine“. Con la legge di Stabilità 2016, il governo si è impegnato ad alzare di 250 euro le soglie per i pensionati, arrivando a 7.750 euro per gli under75 e 8mila euro per gli over75. Peccato che la norma scatterà solo nel 2017, anche se lo stesso Pd sta lavorando a un emendamento per anticipare la misura al 2016.
Evasione fiscale e addizionali locali, le peculiarità italiane – Poi, viene da sé che in Italia le tasse sui pensionati sono alte perché, in generale, la pressione fiscale è particolarmente elevata. “L’alto livello di tassazione è una caratteristica tipica italiana che riguarda sia i lavoratori sia i pensionati – spiega David Natali, professore di Scienze economiche all’università di Bologna e ricercatore dell’Ose, Osservatorio sociale europeo – E questo dato si collega a un tasso di evasione fiscale superiore rispetto alla media europea. Si tratta di vasi comunicanti: se tutti pagassimo le tasse, le pagheremmo un po’ meno”.
Un’altra particolarità italiana sono le varie addizionali regionali e comunali, che aggravano ulteriormente il carico fiscale sulle spalle dei pensionati. “In Europa, la regola è un solo sistema di calcolo, c’è un’unica tassa – aggiunge Carla Cantone – In Italia invece dobbiamo pagare le tasse al governo nazionale, a quello regionale, a quello comunale”. Un altro particolare che certo non trattiene i pensionati dall’idea di trasferirsi all’estero.
Anche in Europa stanno alzando le tasse sulle pensioni – A questo punto, ci si aspetterebbe che l’Italia seguisse l’esempio dei propri vicini e riducesse le tasse sulle pensioni. E invece accade il contrario. “Con le riforme introdotte nell’ambito della crisi – dice il professor Natali – in molti Paesi si va verso un aumento delle tasse sulle pensioni. E’ il caso della Grecia, del Portogallo, ma anche della Germania: qui ora una parte dell’assegno previdenziale è esentasse, mentre entro il 2040 l’imposizione fiscale riguarderà la totalità dell’importo”. Anche perché un’alta tassazione non implica necessariamente una pensione misera. E il caso italiano lo dimostra. “Il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la prima pensione e l’ultima retribuzione, in Italia non è basso – prosegue Natali – Per chi comincia a lavorare a 25 anni, rimane in attività per 40 anni e ha un reddito allineato alla media del Paese, in Italia la pensione corrisponde all’80% dell’ultima retribuzione ottenuta. In Germania, questo tasso si ferma al di sotto del 60%. Le pensioni italiane sono tra le più tassate, ma di certo non sono povere”.
Dalle Canarie alla Thailandia, i bonus fiscali per i pensionati – Detto questo, resta il dato dell’esodo dei pensionati dall’Italia. E di sicuro l’alta pressione fiscale non ne scoraggia la fuga. Non a caso, tra le mete preferite di questa migrazione rientrano diversi Stati che offrono una tassazione più leggera. Molti anziani, per esempio, fanno rotta verso le isole Canarie, che fanno parte della Spagna ma godono di un regime fiscale di favore. Tanto per cominciare, l’imposta sul reddito è calcolata sulla base di scaglioni che vanno dal 12% a un massimo del 22,58%. Ma poi interviene tutta una serie di agevolazioni che abbattono ulteriormente gli oneri del contribuente. Ci sono bonus per chi ha figli o il coniuge a carico e importanti sconti per chi apre un’impresa, mentre l’aliquota Iva ordinaria si ferma al 7% e quella per prodotti di lusso arriva al 13,5%. In più, sono previsti sgravi per l’affitto di case che aumentano nel caso di chi abbia superato i 65 anni. L’anziano che emigra nella vicina Tunisia, invece, potrà godere dell’esenzione fiscale sull’80% della propria pensione. Sul restante 20%, pagherà tasse in base a un’aliquota che varia dal 15% al 35% a seconda del reddito. Un aspetto importante per le persone di una certa età è la salute, e in Tunisia ai pensionati italiani è assicurata una copertura medica totale, come avviene all’interno dell’Europa. Anche nel vicino Marocco è prevista una defiscalizzazione dell’80% sulla pensione proveniente dall’Italia.
Dal Mediterraneo al Sud-est asiatico. In Thailandia, la tassazione dei redditi procede per scaglioni, dal 5% a un massimo del 35%. Ma anche in questo caso, sono previste diverse deduzioni, che possono arrivare a un massimo di 120mila bath, circa 3.100 euro. Si applicano per i redditi di attività professionali, per i single e per i contribuenti con coniuge o figli studenti a carico. Si possono dedurre anche gli interessi passivi sui mutui accesi per comprare casa e le donazioni per enti caritatevoli. L’Iva si ferma al 7%. Altra meta gettonata dagli anziani italiani è Panama. Qui, l’attrattiva non è tanto data dagli sgravi fiscali, quanto dalle agevolazioni concesse nelle spese di tutti i giorni. Basta avere un assegno da mille dollari mensili, circa 800 euro, per ottenere il visto come residente pensionato e godere di una serie di sconti, che vanno dal 20 al 30%, su trasporti pubblici, servizi medici, bollette, ma anche ristoranti, hotel e tasse aeroportuali.
Pensionati in fuga dall'Italia: vita da ricchi con la stessa pensione e i risparmidi Chiara Daina | 11 maggio 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05 ... rmi/955591Per l’Istat sono 473mila gli over 60 che vivono all’estero, in Paesi dell'Unione europea, ma anche nel Caribe, in Asia e Maghreb. Partono soprattutto per motivi economici, perché stanchi dello stile di vita e di pensioni insufficienti e sono attirati da Stati con un regime fiscale agevolato. La testimonianza a ilfattoquotidiano.it: "La mia seconda vita è a Sofia. Voglio che le mie ceneri siano gettate nel Mar Nero"
L’Italia non è nemmeno un Paese per vecchi. Oggi i pensionati sono in fuga insieme ai giovani. Per l’Istat sono 473mila gli over 60 che vivono all’estero. Gli ultimi a partire lo fanno soprattutto per motivi economici. Nel nostro Paese un pensionato su due prende meno di mille euro al mese. E così fa le valigie chi non vuole rinunciare allo status di un tempo. Chi altrimenti dovrebbe trasferirsi a casa del figlio per arrivare a fine mese. Chi è deluso dalla politica, dallo sfacelo dell’economia, dalla maleducazione delle persone. Chi è in cerca del benessere, lontano da ansie e stress e possibilmente al caldo. Chi dopo la morte del coniuge non ce la fa più a frequentare i soliti luoghi. Costa Rica, Thailandia, Filippine, Colombia, Brasile e Cuba dove, secondo l’Inps, i pensionati italiani da 20 nel 2010 sono passati a 70 dopo l’apertura delle frontiere a gennaio 2013. E ancora Panama, Canarie, Tunisia, Marocco, Capo Verde, Kenya e Bulgaria sono le mete di ritiro più gettonate nell’ultimo anno. Le nuove terre di residenza dove qualcuno desidera perfino essere seppellito.
La gentilezza della Thailandia – “Qui la gente è gentile e ti saluta per strada”, dice Antonio Mammato, 65 anni, che due anni fa ha salutato la costiera amalfitana per trasferirsi a Phuket, in Thailandia (dove vivono 350 pensionati italiani, cioè 200 in più rispetto a tre anni fa). Il senso di sicurezza che avverte per strada lo fa respirare: “Posso lasciare il motorino con il casco nelle zone più affollate e nessuno me lo ruba”. Ingegnere ed ex dipendente comunale: “Ho chiuso lo studio dopo la morte di mia moglie nel 2001. Per ora vivo di risparmi ma sono in attesa della pensione Inpdap, mille euro netti al mese: qui è lo stipendio di un dirigente!”. Antonio vive in un monolocale di fronte all’università, per l’affitto spende cento euro al mese, più 15 euro circa per le bollette, e giura: “La stanza mi serve solo per dormire, il resto del giorno lo passo fuori. Il clima è sempre bello”. E dell’Italia dice: “Sembra un formicaio impazzito. Io non voglio più vivere così”. In Thailandia si può permettere di tutto: “Pago 1,20 euro per un pasto, 2,50 per una camicia e 4/5 per un paio di pantaloni. E 200 euro di tasse all’anno. Ho una bella macchina e vivo nel quartiere più esclusivo dell’isola”. Se fosse rimasto in Italia non avrebbe potuto mantenere lo stile di vita di quando lavorava. Anche la compagnia non gli manca. “Ho tanti amici italiani”.
Come Giovanni Giurlanda, 62 anni, di Padova, ex impiegato di banca, dal 2006 in Thailandia. “Sono partito perché non sopportavo l’idea di starmene da solo con le mani in mano”, racconta Giovanni, divorziato dal 2002. Cosa fa in Thailandia adesso? “Vivo! Ho scoperto uno stile semplice e più naturale: vado in spiaggia e a pescare quasi tutti i giorni, gli abitanti vivono alla giornata e ti trasmettono molta serenità”. Giovanni prende duemila euro di pensione. Si è comprato una casa dove abita con la sua nuova compagna. “Un altro motivo per cui me ne sono andato dall’Italia è l’arroganza delle persone, la poca serietà dei politici e la situazione che non si smuove. Ero stanco di tutto questo, davvero”.
Al sole di Tenerife – La signora Elena, toscana di nascita, nella vita precedente faceva la stilista a Milano. Poi tre anni fa ha voltato pagina, a Tenerife. Oggi studia spagnolo e sta all’aria aperta con le amiche. Perché ha fatto le valigie? “Non per soldi. In Italia soffrivo di mal di schiena. Qui mi sono ripresa: il microclima delle Canarie mi aiuta sia fisicamente sia psicologicamente. Poi, mi creda, non ho più potuto assistere al degrado culturale, alle piccole industrie che chiudevano a favore delle grandi catene. Ai governi vergognosi. È stato troppo umiliante”. Quali sono i vantaggi dell’isola? “Il clima, caldo e non piovoso tutto l’anno, e il fatto di essere nell’Unione Europea con un’impostazione da Paese nordico: burocrazia e sanità efficiente, ordine, pulizia, ambiente curato. Mi fa sentire rispettata”. Pensa di rientrare in Italia? “Mai. Neanche nella tomba. Voglio essere seppellita qui”.
Panama, Costa Rica, Belize: alla ricerca di regimi fiscali agevolati e qualità di vita – “In un anno le richieste di pensionati sono aumentate del 30 per cento – dice Alessandro Castagna, responsabile di Voglioviverecosì, il portale dedicato a chi vuole cambiare vita -. Andalusia e isole Canarie sono le destinazioni più frequenti perché sono abbastanza vicine, fanno parte dell’Unione Europea, godono di un buon sistema sanitario, c’è poca criminalità, burocrazia efficiente e la lingua è facile”. La conferma arriva anche da Massimo Dallaglio di Mollotutto, altro sito web utile per farsi un’idea delle opportunità oltreconfine -. Gli anziani vogliono informarsi sulle mete migliori, sul costo della vita, su come si fa a trasferire residenza e pensione all’estero. Noi abbiamo referenti italiani in loco con cui possiamo metterli in contatto. In generale – precisa Dallaglio – attirano i Paesi con un regime fiscale agevolato, per esempio la Tunisia, dove si sborsa il 25 per cento di tasse sul 20 per cento di reddito. E c’è un accordo che garantisce ai pensionati italiani una copertura medica totale.
Anche in Costa Rica, dopo un pagamento mensile in base al reddito (massimo cento euro), si ricevono le cure completamente gratis. Mentre in Belize, altra nuova meta di ritiro, i vantaggi fiscali vanno dal rimborso di tutte le spese necessarie per il cambio di residenza, allo sconto del 50 per cento su tutte quelle di soggiorno temporaneo sostenute prima di acquistare o affittare una casa, sulle assicurazioni mediche e i biglietti aerei. E a Panama – aggiunge – per chiunque abbia una pensione governativa o corporativa di almeno 700 euro al mese la residenza è quasi automatica”.
“In Tunisia vita da re per chi non ha problemi di salute” – Adriano Martelli, 66 anni, ex infermiere, si è rifatto una vita in Tunisia, raggiunta quattro anni fa. Con la sua pensione, da 900 euro, a Torino si era dovuto trovare un secondo lavoro per sopravvivere. “Da quando sono qui ho guadagnato quindici anni. Non ho mai preso un raffreddore, e ho smesso di prendere le pastiglie per gastrite, mal di testa e pressione, non ne ho più bisogno”. Ha scelto questo Stato perché ci abitavano già degli amici. “Alla fine del mese in Italia non mi rimaneva più niente: 400 euro per un monolocale da 30 metri quadri, poi le bollette e le spese per la macchina”.
A Susa, città turistica tunisina, ha preso in affitto un piano di una casa sul mare: oltre cento metri quadrati, arredato, per 260 euro al mese. E ne spende altri 150 per cibo e detersivi. “Vivo con poco più di 400 euro al mese e faccio una vita da re: ho la donna delle pulizie, otto telefoni cellulari (il prezzo è di circa 20 euro l’uno), una tv, faccio shopping e vado al ristorante almeno due volte alla settimana. Un pasto mi costa circa cinque euro”. Adriano in Tunisia non ha più bisogno dell’auto. “Mi muovo con i pulmini pubblici: si fermano dove vuoi tu, basta alzare la mano. Il biglietto non costa neanche 50 centesimi. Anche i taxi sono economici: un euro per sette chilometri”. Unico neo: la sanità. “Le strutture sono fatiscenti. Consiglio di venire qui soltanto a chi non ha problemi di salute”.
Nel 2013 l’Inps ha registrato 250 pensionati residenti in Tunisia, quasi cento in più rispetto al 2010. Renato Fortino è socio dell’agenzia “Case in Tunisia”, nata nel 2008, che si occupa di assistere in loco chi è intenzionato a stabilirsi nel Paese (dal permesso di soggiorno al trasferimento della pensione, apertura del conto in banca fino ai corsi di francese e arabo). “Nel 60 per cento dei casi si tratta di pensionati che in Italia prendono dai 500 ai 600 euro al mese, reddito che una volta trasferito in Tunisia è lordo e di questo l’80 per cento è defiscalizzato, mentre la base imponibile è solo sul 20 per cento del rimanente (pari a circa il 6/7 per cento). Questo target cerca case in affitto da 180 a 230 euro al mese, di solito con una camera da letto e salone. Ma non ci sono solo i piccoli pensionati – precisa Fortino – Abbiamo seguito anche ex medici, direttori di banca, imprenditori, dirigenti statali, che qui lievitano il loro potere di acquisto. Ultimamente arrivano italiani di mezza età tagliati fuori dal mercato del lavoro che qui provano a reinventarsi: dal maestro di tennis all’istruttore cinofilo e psicologo”.
“Addio Lecco, spargete le mie ceneri nel Mar Nero” – La Bulgaria è l’ennesimo Eldorado per anziani: quelli italiani sono 364 contro i 106 di tre anni fa. Franco Luigi Tenca, 66 anni, è uno di questi. Vive nella capitale, Sofia, da ottobre 2009. Ex camionista di Mandello del Lario, in provincia di Lecco, separato dal 2005 e in pensione dal 2007 con 1200 euro al mese. È stato intervistato dalle Iene e dopo che il servizio è andato in onda, a gennaio, la sua casella di posta elettronica è stata presa d’assalto: 1600 mail in dieci giorni da parte di pensionati, tutti italiani, di cui il 20 per cento già residente all’estero: “Mi hanno scritto dalle Canarie, Francia, Svizzera, Belgio, Germania, Lituania, Sudafrica, Mauritania, Congo, Brasile, Filippine e New York”, dice Franco, ancora incredulo. Gli hanno chiesto di tutto: “Come si sta, dov’è la Bulgaria, quante tasse ci sono, se c’è l’euro, se è vero che l’assicurazione della macchina costa un terzo (vero), quanto tempo serve per avere il trasferimento della pensione lorda e della residenza”. Risposta: “Dipende da quanto impiega il Comune italiano di residenza a mandarti il certificato di cambio di residenza. A me lo hanno spedito dopo 20 giorni ma c’è chi aspetta anche 5 mesi. Comunque qui nel giro di una settimana l’ufficio immigrazione ti fornisce la tua carta d’identità bulgara. Prima però devi presentare un documento di riconoscimento italiano, un contratto di affitto e un conto corrente in una banca locale, che apri subito con 50 euro. Dopodiché vai in ambasciata per l’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, cioè l’Aire”.
Nel frattempo Franco è diventato referente per Mollotutto e quasi ogni settimana accoglie gruppi di pensionati che vengono qui per un sopralluogo. “La mia mail è
franco.tenca@alice.it. Pubblicatela pure!”. Franco vive con la nuova moglie, una signora bulgara della sua età, in un appartamento in centro di 50 metri quadri, che gli costa al mese 20 euro di affitto: “Mia moglie è inquilina dai tempi del regime comunista e il canone è rimasto uguale”. Altrimenti per un alloggio arredato della stessa superficie si spendono 200 euro. Cinquanta euro in più per 80 metri quadrati. Per le bollette? “40 euro al mese di elettricità e 12 per l’acqua. Qui non c’è il gas, abbiamo il boiler e il piano di cottura elettrico”, spiega Franco. E la spesa? “300 euro al mese per due persone. Anche il fisco non strozza: circa il 18 per cento di tasse e il sei per cento se sei pensionato”. Risultato: “Oggi vivo da nababbo e non più da barbone come in Italia, dove al venti del mese ero costretto ad attingere ai risparmi, che a forza di fare così sarebbero finiti alla svelta”. Svantaggi? “La lingua, ma la gente è cordiale e appena può ti aiuta, mi ricorda gli italiani negli anni ‘60 e ’70”. La Bulgaria è entrata nell’Unione europea nel 2007 ma non ha adottato l’euro: “La moneta è il lev e vale quasi due euro”, risponde Franco alle decine di pensionati che gli continuano a scrivere. Tornerà a Lecco prima o poi? “Assolutamente no. Voglio che le mie ceneri siano gettate nel Mar Nero”.
Ecco i Paesi europei dove si va in pensione primaChiara Bussi
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ADNIlSLBLa più generosa tra i big d’Europa appare la Francia, almeno sulla carta. Qui chi ha iniziato a lavorare prima dei 16 anni può chiedere la pensione anticipata per «lunga carriera». Ottenerla però non è facile, perché occorre rispettare alcuni requisiti molto rigidi. In altri casi, sempre Oltralpe, si può lasciare il lavoro a 57, 58, 59 e 60 anni, a seconda dell’età di inizio dell’attività e dei contributi maturati, mentre l’età legale è di 62. «Indicare un modello - chiarisce però subito Joachim Ragnitz, direttore dell’Istituto Ifo di Dresda esperto di demografia e previdenza - non è possibile, perché ciascun Paese ha messo in campo sistemi diversi a seconda delle tradizioni storiche e degli sviluppi demografici».
Ecco l’assegno per chi esce a 63 anni
Mentre in Italia si discute sull’Ape, il prestito per l’anticipo pensionistico (si veda l’articolo sopra), Il Sole 24 Ore ha compiuto un viaggio virtuale tra i regimi degli altri. Nell’Unione europea - secondo le elaborazioni del Cesifo di Monaco di Baviera sulla banca dati Missoc della Commissione Ue - sono 23 i Paesi (inclusa l’Italia) che attualmente consentono l’anticipo della pensione. In cinque (Danimarca, Svezia, Irlanda, Olanda e Gran Bretagna) non esiste invece attualmente una formula di questo tipo.
Nei Paesi che la prevedono l’allungamento delle aspettative di vita e l’occhio sempre più attento alla sostenibilità dei conti pubblici hanno portato a una stretta dei requisiti negli ultimi anni. «Il periodo contributivo richiesto per il pensionamento anticipato - spiega Anna D’Addio, economista della divisione politiche sociali dell’Ocse - è aumentato per esempio in Belgio, Austria e Slovenia. Diversi Stati (Austria, Belgio, Grecia, Spagna e Croazia) hanno invece innalzato di un paio d’anni l’età minima per poter usufruire dell’anticipo. Altri, come l’Italia, l’hanno legata all’evoluzione dell’aspettativa di vita». Secondo le elaborazioni della Commissione Ue queste tendenze sono destinate a intensificarsi ancora, di pari passo con l’aumento dell’età pensionabile. «Con l’invecchiamento della popolazione che minaccia la sostenibilità dei conti pubblici - spiega Ragnitz - la priorità in Europa non è tanto una più ampia diffusione del pensionamento anticipato, quanto l’allungamento della vita lavorativa. In alcuni casi è possibile però introdurre una certa flessibilità, anche con una penalizzazione dell’assegno». È quello che succede in 14 Paesi europei, dove chi si ritira prima dal lavoro subisce una decurtazione. In 12 di essi, inoltre, è previsto contemporaneamente un bonus per restare al lavoro più a lungo.
Pensioni, anticipo di 3 anni e 7 mesi. Ape a costo zero sotto i 1.200 euro per le categorie disagiate
Restringendo il focus sui big d’Europa, Francia e Germania prevedono un’ampia scelta di opzioni di pensionamento anticipato. La prima, oltre alla possibilità già citata, con la legge del 2014 ha rivisto le regole per le professioni usuranti. Così, come stabiliscono le ultime novità introdotte nel luglio 2015, chi lavora in catena di montaggio o entra a contatto con agenti chimici pericolosi può chiede l’anticipo a 60 anni. I fattori usuranti sono dieci, ciascuno con un punteggio prestabilito. A seconda del livello raggiunto il lavoratore può scegliere tra corsi di formazione, riduzione dell’orario e uscita anticipata. I portatori di handicap possono invece lasciare il lavoro a partire dai 55 anni in presenza di determinati requisiti. Per chi sceglie l’anticipo Parigi prevede una penalità media del 5%, mentre chi resta più a lungo ha un premio della stessa entità.
In Germania possono andare in pensione anticipata senza decurtazioni i dipendenti e gli autonomi che hanno maturato 45 anni di contributi. Una formula frutto di un accordo bipartisan Cdu-Spd nel 2014. «Si è trattato - sottolinea Ragnitz - di una mossa puramente elettorale, in contraddizione con le altre scelte, come il prolongamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni entro il 2027, e dai costi elevati». La Germania è però il Paese con il più ampio ventaglio di opzioni che consentono un atterraggio più morbido tra lavoro e pensione. Così chi ha maturato 35 anni di contributi può lasciare il lavoro a 63 anni, ma questa volta con un assegno ridotto del 3,6% all’anno. O le donne nate prima del 1952 con almeno 15 anni di contributi che hanno potuto anticipare l’uscita a partire dai 60 anni. E possono contare su un pensionamento anticipato a 63 anni anche i disoccupati, a determinate condizioni. Berlino prevede invece un incentivo del 6% per chi lavora più a lungo. In Spagna, secondo le regole stabilite dalla riforma del 2011 e modificate con il decreto reale del 2013, si può andare in pensione a 63 anni, ma solo con 35 anni di contributi. Con l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni entro il 2027 anche l’età minima per l’anticipo salirà a 65 anni. Madrid registra la riduzione più marcata dell’assegno: tra il 6 e l’8%, seguita da Slovacchia (6,5%) e Portogallo (6%). Per chi resta, invece, il premio varia tra il 2 e il 4 per cento.
E l’Italia? Nel nostro Paese, che vanta il record europeo della spesa pensionistica rispetto al Pil (16,5%), oggi, dopo la legge Fornero e la manovra del 2016, esistono sei opzioni di anticipo. A queste potrebbe presto aggiungersi l’Ape. «Lo strumento - dice Anna d’Addio - deve essere visto come un modo per assicurare una maggiore flessibilità e non come meccanismo per generare più posti di lavoro per i giovani nel lungo periodo liberando quelli occupati dagli anziani. Non c’è infatti alcuna prova tangibile che questo accada in realtà». La capacità della misura di rispondere a una domanda di maggiore flessibilità senza pesare in modo eccessivo sui conti pubblici, aggiunge, «dipenderà anche dal modo in cui sarà effettivamente attuato».
“Pensioni, il furto di Stato ai pensionati”Umberto Franchi
http://www.loschermo.it/umberto-franchi ... pensionatiLUCCA – In Italia negli ultimi 30 anni hanno “riformato” per ben 8 volte le pensioni… non c’è stato governo di destra o di sinistra che non abbia smontato mattone per mattone la struttura portante del sistema pensionistico conquistato con le lotte operaie e studentesche dell’autunno caldo del 1969. Il fine è stato quello di far sparire un diritto sancito dagli articoli 36 e 38 della Costituzione: chiudere il ciclo lavorativo della propria vita con dignità e serenità. Per questo fine si sono inventate bugie clamorose sul costo pensionistico più alto d’Europa, statistiche mistificanti, falsi buchi di bilancio dell’Inps, fondi privati e pubblici aperti o chiusi, false illusioni…
Oggi si perpetua l’ultima truffa chiamata APE ( anticipo pensioni) dove il lavoratore che ha pagato tutti i contributi e potrebbe andare in pensione in modo dignitoso, deve invece aspettare fino a 67 anni di età (legge Fornero) oppure andare con 3,7 mesi di anticipo dando alle banche ed assicurazioni per tutta la vita (20 anni) una parte della propria pensione : su una pensione di 1500 euro mensile circa 300 euro al “prestito bancario”
Ma perchè si sta perpetrando anche questo misfatto?
Prima considerazione:
– l’ultima legge anticostuzionale ( quella Fornero), ha preso a pretesto il buco dell’INPS per portare la realtà pensionistica allo sfacello dove le pensioni con il nuovo calcolo contributivo sono di entità inferiori del 60 % rispetto al precedente calcolo retributivo, dove l’allungamento dell’età pensionabile in prospettiva supererà i 70 anni di età.; dove i lavoratori che avevano maturato il diritto di andare in pensione con 40 anni di contributi devono aspettare antri 5/6 anni anche se svolgono attività pesanti ed usuranti.
Inoltre la riforma ha creato 480.000 lavoratori “esodati”, per oltre la meta di essi non c’è la possibilità di andare in pensione, non avranno ammortizzatori sociali e nemmeno la possibilità di trovare un altro lavoro, generando casi di disperazione suicida come quello di Giuseppe Bulgarella “un suicidio sulla coscienza di Monti”.
Il governo sostiene che la scelta dell’ API è abbligata altrimenti sarebbero serviti 10 miliardi che sarebbero andati ad incrementare il buco dell’INPS ?
Ma perchè chi governa non dice da cosa dipende oggi il deficit dell’INPS ?
Il motivo è questo :
La legge n. 201 del 2011 ha stabilito l’unificazione tra gli istituti pensionistici dei lavoratori dei settori privati (INPS) con quelli dei settori statali e pubbliche amministrazioni ( Inpdap ed Enpas);
a fine anno anno 2011 le casse dell’INPS che riscuotevano i contributi pensionistici sia dalle imprese private che dai lavoratori, erano attive di 10 miliardi, ma con l’unificazione dell’INPS con Inpdap e Anpas, l’Inps ha iniziato ad andare in deficit, non perchè le pensioni dei lavoratori erano troppo alte… ma a causa dei mancati pagamenti dei contriuti pensionistici a carico sia degli Enti Locali che dello Stato. Cioè lo stato commette un furto, perchè anziché fare pagare i contributi (come alle imprese private) o ripianare il deficit degli Enti locali e della macchina statale che non hanno pagato i contributi assicurativi ai propri dipendenti, preferisce (di fatto) farli pagare ai lavoratori riducendo le prestazioni pensionistiche ed aumentando l’età pensionabile !
Nella fusione (2011) tra Inps e Inpdap Enpas c’èrano già 23,7 miliardi di euro di contributi non pagati dallo stato nel fondo Inpdap, che si è accollato l’INPS andando in deficit.
Quindi va sottolineato che : lo sato attraverso il governo Monti Fornero e dopo con Renzi, prende a pretesto il deficit fittizio per ridurre le pensioni ed aumentare l’età pensionabile dei lavoratori del settore privato dove le casse INPS erano in attivo divenute passive solo per scelta dello stato .
Seconda considerazione:
anche nel 2016 l’Inps prevede di chiudere in rosso di 11,2 miliardi , ma perchè? Sempre per la stessa ragione dei mancati riscossione dei crediti che l’INPS vanta nei confronti dello stato a cui va anche aggiunta tutta la questione dell’assistenza.
Come sappiamo tutti i lavoratori dipendenti, alimentano le casse dell’INPS con una esosa trattenuta mensile sulla busta paga. Quindi i soldi che gestisce l’Inps per le pensioni sono soldi (nostri) di chi lavora… e non dello Stato, ed il medesimo non dovrebbe metterci le mani.
Invece con i soldi che vengono versati dai lavoratori ALL’INPS e che dovrebbero essere utilizzati solo per le pensioni, a causa di una legge dello stato, l’INPS deve pagare anche il TFR del Pubblico Impiego ed il TFR più tre mensilità (all’80%) ai lavoratori delle aziende che fallite senza avere la copertura necessaria alle liquidazioni dei dipendenti;
Non è vero che la spesa per le pensioni in Italia è insostenibile perchè è più alta che nei paesi esteri … Chi afferma questo non dice che : la pensione in Italia è calcolata sulla la cifra lorda e che il pensionato restituisce allo stato circa il 27% della propria pensione tramite una trattenuta IRPF, mentre il calcolo in tutti gli altri Paesi Europei (Francia, Germania, Gran Bretagna) viene effettuato sulla pensione al netto delle trattenute fiscali. Se calcoliamo le entrate per contribuiti all’Inps e le uscite che vengono date ai pensionati al netto, l’INPS avrebbe un utile di circa 27 miliardi l’anno.
Anche per le aziende in crisi che licenziano e mettono i lavoratori in mobilità o in prepensionamento (liberandosi di lavoratori ultra-cinquantenni considerati anziani) , il costo di essi viene addebitato all’INPS. Inoltre l’INPS si fa carico anche delle spese per l’assistenza ai portatori di handicap, non autosufficienti e addirittura della cassa di previdenza dei dirigenti aziendali che a suo tempo fallì. I costi utilizzati per i pagamenti del TFR, dei lavoratori in mobilità, dei prepensionamenti, ed anche gli interventi di assistenza, negli altri Paesi Europei ( sempre citati da chi vuole tagliare le pensioni) fa carico allo Stato, in Italia all’INPS !
Ora lor signori del governo non bastano tutte queste vergogne. Essi evidentemente non ritengono le pensioni come un diritto costituzionale riguardante la retribuzione differita, ed hanno il coraggio di togliere circa il 25% della pensione a chi decidera l’anticipo di 3 anni tramite la restituzione del prestito bancario… non solo , hanno tolto la perequazione semestrale con l’adeguamento al costo della vita, hanno modificato con un decreto una sentenza della Corte Costituzionale che obbligava il governo a rendere il mal tolto ai pensionati (della legge Fornero) che agiva con il blocco delle perequazioni a chi detiene una pensione lorda superiore a tre volte il minimo (1.100 euro netti mensili), rimborsando loro una elemosina… ma la decisione ancora più grave sta ne fatto che il governo Renzi sta pensando di abolire le pensioni di reversibilità concesse ai coniugi dei pensionati deceduti. Pensioni che sono finanziate dai contributi versati e che quindi su questo il governo si appresterebbe ad operare un altro vero furto di Stato !
Ora dobbiamo domandarci, se i conti dell’INPS sono comunque in attivo, se lo Stato spende in assistenza i soldi che i lavoratori hanno dato all’INPS per la propria pensione, se la logica economica ed occupazionale vorrebbe che i lavoratori andassero in pensione prima lasciando i posti ai lavoratori disoccupati e non il contrario… perché i pensionati (che già sono i n pensione) dovrebbero accettare il taglio delle proprie pensioni tramite la non rivalutazione al costo della vita? Perche chi ha matorato 40 anni di contributi per andare in pensione deve accettare il taglio del 25% ? perché i lavoratori Italiani dovrebbero andare in pensione più tardi con pensioni decurtate tramite il contributivo?
La risposta è politica: anche il Governo Renzi vuole fare cassa con i soldi della “povera gente”, senza mettere veramente in discussione tagliando le pensioni ed i redditi vitalizi d’oro, ed i grandi patrimoni.
Italia, costi pensioni più alti d'Europa: spende meno per l'istruzionehttp://gds.it/2015/05/23/litalia-ha-la- ... one_359936 VENEZIA. Secondo la Cgia di Mestre l'Italia ha la spesa pensionistica più elevata d'Europa (il 16,8% del Pil, pari a poco meno di 270 miliardi di euro all'anno), mentre è al penultimo posto negli investimenti per l'istruzione (il 4,1% del Pil, che equivale a 65,5 miliardi di euro all'anno). In questo settore solo la Spagna presenta uno score peggiore del nostro (4% del Pil).
La nostra spesa pensionistica, spiega la Cgia, è 4 volte superiore a quella scolastica. Nessun altro Paese dell'area dell'euro presenta uno «squilibrio» così evidente. In Ue, ad esempio, le pensioni costano mediamente «solo» 2,6 volte l'istruzione, in Francia 2,7 volte, mentre in Germania 2,5. «I dati riferiti all'Italia - commenta il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant'anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomci, il passato, ovverosia gli anziani, anzichè il futuro, cioè i giovani». In Italia tra il 2003 e il 2013 la spesa pensionistica sul Pil è aumentata di 2,6 punti percentuali, attestandosi a quota 16,8%: è il record europeo, con oltre 4 punti percentuali in più della media registrata nell'area dell'euro. In termini assoluti il costo per le nostre casse pubbliche nel 2013 è stato di 269,89 miliardi di euro. In Italia ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati, contro i 18,4 milioni presenti in Francia e i 23,5 residenti in Germania. Tuttavia, rapportando il numero di pensionati al numero di occupati, il nostro Paese presenta l'incidenza più elevata di tutta l'Europa: 74,3%.
A fronte di una media continentale del 63,8%, in Francia il dato si attesta al 72,4% e in Germania al 61,6%. Per quanto riguarda l'Istruzione sempre tra il 2003 e il 2013, la spesa per la scuola è scesa dello 0,5%. Solo l'Estonia ha «tagliato» di più (0,6% del Pil). In valore assoluto investiamo 65,5 miliardi di euro all'anno che corrispondono al 4,1% del Pil.