PERCHE' SOVRANISTI
Superare le polemiche e restituire alla Nazione un'opzione politica unitaria e finalmente vincente
24/02/2017 05:40
http://www.ilgiornaleditalia.org/news/p ... NISTI.html
Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Tutti i percorsi che hanno oggi portato la destra italiana a schierarsi su posizioni sovraniste, sono stati difficili e tortuosi. Per questo è molto improbabile tentare di scaricare queste contraddizioni del passato, solo su chi oggi sta organizzando il Movimento Nazionale per la Sovranità.
Potremmo ricordare che Storace se ne andò da Alleanza Nazionale nel 2007 perché il nostro partito stava aderendo al Ppe e che il primo corteo sulla sovranità monetaria, con ben 20.000 persone, fu organizzato proprio da lui nel 2012. Potremmo controbattere che il Governo Monti su sostenuto fino all’ultimo da tutti gli attuali vertici di Fratelli d’Italia con voti di fiducia e di approvazione del Fiscal Compact (salvo Crosetto), mentre io e soprattutto Storace eravamo ben lontani dal Parlamento e dal Governo. Potrei rimarcare che quando sono arrivato in FdI nel 2013 i loro parlamentari europei facevano ancora parte del Ppe e che dovemmo faticare non poco, fino alle europee del 2014, per schierare quel Movimento su posizioni di critica radicale dell’euro. Potremmo.. ma a che servirebbe? A continuare a tirarci fango addosso, alimentando quell’immagine di rissa continua che segna la destra italiana ormai da troppo tempo.
Quindi “scurdammoce 'o passato”? No, semplicemente, invito tutti a sostituire ogni ridicolo scaricabarile personale con una seria analisi storica e culturale. Al “sovranismo” tutta la destra italiana è arrivata in ritardo e per passaggi successivi. Ci siamo liberati con fatica dalle lenti deformanti di un europeismo di maniera e dalle analisi di comodo degli economisti di regime, per comprendere fino in fondo i danni prodotti dal Governo Monti e l’intollerabile sottomissione in cui ci tengono da anni la Commissione europea e il Ppe della Merkel.
Per questo è importante fare tesoro delle esperienze avute, per costruire un fronte unito e vincente. Dobbiamo scongiurare divisioni e faide all’interno del Polo sovranista – inevitabilmente guidato, dati in numeri in campo, dalla Lega di Salvini – per evitare di arrivare deboli e divisi al confronto con l’altra parte del centrodestra, quella aderente al Ppe e schierata su posizioni liberal-popolari. Dobbiamo rivendicare le primarie del centrodestra per far scegliere ai nostri elettori il leader e il programma, in modo che l’unità del nostro schieramento non si fondi su pericolosi compromessi al ribasso. In tutta Europa i due spezzoni del centro-destra – quello liberal-popolare e quello sovranista - sono schierati su fronti contrapposti, in Italia c’è ancora tempo e spazio per tentare di evitare questo esito perdente. La fine dell’ultimo Governo Berlusconi con una “trama di palazzo” organizzata da Bruxelles e dal Quirinale, dovrebbe insegnare molte cose a tutti quanti noi. Non so se riusciremo a raggiungere un tale obiettivo, che darebbe all’Italia il ruolo di un vero laboratorio politico a livello europeo. Ma, almeno, risparmiamoci il triste spettacolo di una destra lacerata e preoccupata soprattutto di recriminare sulle scelte del passato.
La Corte dei conti indaga sul debito di Roma
Dopo quella penale, aperta un’inchiesta dei pm contabili sul «caso derivati» Il «buco» miliardario risale al 2002 sotto la gestione dell’ex sindaco Veltroni
24 Agosto 2016
http://www.iltempo.it/roma-capitale/201 ... ma-1018022
Anche la Corte dei conti vuole vederci chiaro su come è stato gestito il risanamento del debito storico del Comune di Roma. I magistrati della Procura contabile del Lazio, così come hanno fatto i colleghi del penale, hanno aperto un fascicolo sulla base dell’esposto presentato dall’attuale assessore al Bilancio Marcello Minenna e dal capo di gabinetto del sindaco Carla Raineri prima delle elezioni, quando entrambi erano al fianco del commissario straordinario Francesco Paolo Tronca. Nella denuncia si chiede ai pm di verificare se le mosse messe in campo da Massimo Varazzani, ex commissario straordinario per la gestione del debito di Roma Capitale, abbiano causato un danno all’erario del Campidoglio. In particolare, i due denuncianti hanno chiesto di accertare se in relazione al «caso derivati» l’operato di Varazzani sia stato corretto. Era stata l’amministrazione guidata dall’ex sindaco Walter Veltroni ad acquistare nel 2002 prodotti finanziari derivati, i cui effetti disastrosi si sono ripercossi sulle casse di Roma Capitale sotto forma di debiti. Nel 2008, con l’elezione di Alemanno, il governo Berlusconi diede il via libera alla creazione della gestione commissariale, una sorta di «bad company» interna al Comune che doveva provvedere al risanamento del debito accumulato fino a quel momento. Basti pensare che si è arrivati a toccare quota 32 miliardi di euro. Oggi, invece, si attesta attorno ai 12 miliardi: 3 miliardi e 224 milioni di euro per quanto riguarda il debito non finanziario e 8 miliardi e 768 milioni di euro per quanto riguarda il debito finanziario. A Varazzani venne quindi affidato il compito di controllare le pretese dei creditori e autorizzare il Comune al pagamento. Ed è proprio questo il punto contestato nell’esposto. Secondo Minenna e Raineri, l’ex commissario non avrebbe convocato tutti i creditori, violando la par condicio creditorum e «favorendo» le banche. Varazzani aveva ottenuto una linea di credito da 5 miliardi per disfarsi dei derivati, portando come garanzie i 500 milioni di euro messi a disposizione ogni anno della gestione commissariale: 300 milioni dallo Stato e 200 milioni dal Comune, racimolati grazie all’addizionale Irpef dello 0,9% (la più alta d’Italia) e l’euro versato al Campidoglio per ogni volo atterrato e decollato da Ciampino e Fiumicino. Il danno ipotizzato nella denuncia deriverebbe dagli interessi di questa operazione: i 5 miliardi, considerati i tassi d’interesse e le spese per il prestito, sono costati 7 miliardi. Questa l’ipotesi su cui si lavoreranno i magistrati contabili, per stabilire se la strategia di Varazzani abbia effettivamente favorito gli istituti di credito che avevano emesso i derivati, aggravando la situazione debitoria del Comune. I pm di viale Mazzini si avvarranno dell’ausilio della Guardia di Finanza, a cui la Procura penale guidata da Giuseppe Pignatone ha già affidato una delega d’indagine. Il sindaco Virginia Raggi, durante la sua campagna elettorale, aveva fatto della ristrutturazione del debito di Roma, «un debito che è principalmente finanziario e nei confronti delle banche», uno dei punti fondamentali del suo programma. Fatto sta che secondo quanto spiegato dall’attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito di Roma Capitale, Silvia Scozzese, durante un’audizione in commissione Bilancio della Camera: «Né i piani di rientro finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008». Attualmente, infatti, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune di Roma, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore. Si tratta di circa 5.100 posizioni riferibili a procedure non definite, per larga parte relative a procedure espropriative e a contenzioso, per un importo pari a quasi 2 miliardi di euro. A ciò si aggiunge il fatto che la gestione commissariale ha ereditato dal Comune di Roma nove contratti derivati, di cui due risultano ancora aperti alla data del 30 settembre 2015. Entrambi hanno come controparte Banca Opi, sono stati stipulati il 24 luglio 2007 e scadono il 31 dicembre 2030. «Il rischio è che già nel 2016 – ha spiegato la Scozzese – si potrebbe verificare una crisi di liquidità se emergessero nell’anno pagamenti per debiti non finanziari superiori a 539 milioni di euro».
Roma, debito fuori controllo: c'è lo spettro del fallimento
Venerdì 7 Ottobre 2016
di Oscar Giannino
http://www.ilmessaggero.it/roma/campido ... 11221.html
Ieri il neo assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, ha escluso l’ipotesi di un default per la Capitale, ma la situazione è più che emergenziale. I problemi più rilevanti sono quattro. C’è un debito finanziario di 1,2 miliardi, gestibile a seconda dei flussi di entrate proprie del Campidoglio. C’è il nodo della rata annuale di ammortamento del debito da 13 miliardi circa, in gestione separata commissariale. C’è inoltre uno squilibrio patrimoniale di oltre un miliardo del Gruppo Roma Capitale, creato dal saldo netto tra crediti e debiti delle società partecipate comunali che al Gruppo fanno riferimento, e che può rapidamente chiamare all’esigenza di ricapitalizzazioni. E infine c’è un quarto problema: la continua emersione dai conti ereditati di debiti fuori bilancio, residui attivi e passivi.
Facciamo un passo indietro. L’assestamento di bilancio 2016 votato a fine luglio in Campidoglio e impostato dall’allora assessore Minenna è stato un puro atto dovuto. Per rispettare la scadenza di legge, senza avere il tempo né l’intenzione di compiere alcuna scelta strutturale. La voce più rilevante era lo stanziamento di 90 milioni previsti per il salario accessorio nel 2017 e 2018, una delle gravi questioni createsi in passato tenendo gli occhi chiusi sui finti salari di produttività spalmati per tutti fino, in alcun i casi, a oltre il 50% della retribuzione ordinaria. Altre voci apparivano in singolare e inesplicato contrasto con la situazione certificata dall’ex commissario Tronca solo 60 giorni prima, a fine maggio. Secondo il rendiconto finale della gestione Tronca in cassa allora risultavano solo 13 milioni di euro, mentre a luglio secondo il documento Minenna erano saliti a ben 800, computando però per cassa poste non traducibili in liquidità immediata. Qualche giorno fa il sindaco Raggi ha disposto ad alunni disabili e municipi l’assegnazione di 9 milioni su 11 “trovati”, ha detto, nelle disponibilità di tesoreria. Lodevole, ma il problema da affrontare è purtroppo di tutt’altro ordine di grandezza. Il Campidoglio non potrà impostare di qui a 10 settimane il preventivo 2017 senza una ricognizione a 360 gradi dei diversi fattori che concorrono al suo squilibrio strutturale. E poiché per farlo occorre tempo, con tutto il rispetto i 100 giorni sin qui persi sono un cattivo inizio.
LE SCOPERTE
Per avere un’idea di quanto temibilmente ballerine siano le scoperte speleologiche, per così dire, che continuano ad avvenire scavando nei conti di Roma, basti pensare che secondo la Ragioneria capitolina nel primo semestre 2106 già erano emersi 46 milioni non computati nel preventivo 2016, tra nuova spesa corrente e debiti fuori bilancio. A seguito dell’assestamento votato dall’attuale giunta a fine luglio l’Oref, cioè l’Organo di Revisione Economico-Finanziaria del Campidoglio, ha innalzato vertiginosamente la stima fino a 234 milioni di debiti fuori bilancio.
La nuova giunta partirà probabilmente dall’esame di sostenibilità della rata annuale di ammortamento dovuta a Cdp per l’anticipazione di cassa del debito di 13 miliardi, affidato alla gestione separata commissariale guidata da Silvia Scozzese. Che ha avvisato per tempo, a fine 2015, che dal 2017 i flussi prevedibili di cassa generati non saranno tali da sostenerne più la gestione ordinaria e il rientro. Perché, appunto, il bilancio del Campidoglio resta strutturalmente squilibrato.
D’altro canto, i romani sono già al massimo delle sovra aliquote Irpef e Irap sommando Comune e Regione: pagano 750 euro l’anno oltre la media nazionale.
Non pesa solo la rata annuale di ammortamento del debito. Come ha puntualmente dovuto ammettere ieri l’assessore Mazzillo, è la macchina comunale a essere divenuta incapace di entrate proprie in percentuali accettabili. Perde oltre 100 milioni di affitti l’anno sul suo patrimonio immobiliare, sconta 7,1 miliardi di crediti non incassati tra entrate tributarie, multe, tariffe per servizi e canoni. Non riesce a processare l’anno più del 10% degli arretrati Imu. E dal 2008 si sono aggiunti 2,3 miliardi di spese correnti non liquidate ai fornitori, che il commissario Tronca ha iniziato a ridurre. Da asili, mense, affitti e mercati, il Campidoglio riesce a incassare solo 900 milioni l’anno aggiuntivi ai trasferimenti centrali e alle tasse: rispetto ai 4 miliardi di euro di Milano, che ha meno della metà degli abitanti della Capitale.
LE IDEE SUL RIORDINO
Intervenire sul conto economico ordinario postula avere idee estremamente chiare sul riordino del perimetro e dell’organizzazione dell’intera macchina capitolina. Purtroppo a tutti i livelli, dagli assessorati centrali ai Municipi, c’è un problema di gestione e controllo dei dati, di regole, e di risorse umane. Se ci fermiamo alle maggiori stazioni appaltanti gare per lavori e forniture, nel perimetro capitolino e delle sue controllate maggiori siamo a quota 150, che sfiora addirittura le 300 unità se comprendiamo anche quelle per modesti importi. Occorre integrare i sistemi informatici oggi non interfacciati e usati da ogni Dipartimento e Municipio per gestire appalti, gare e affidamenti, che compartimentano e ostacolano ogni processo centralizzato di controllo. E superare la prassi invalsa di attribuire ogni singolo affidamento alla valutazione del dirigente responsabile del procedimento, senza omogeneità di criteri. E bisogna cessare di aggirare gli obblighi di gara attraverso il frazionamento degli importi.
Nel 2015 Milano ha realizzato alienazioni di beni patrimoniali del Comune per 950 milioni, Roma per 33. In compenso, il Campidoglio oggi gestisce anche aziende agricole come Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere, volte alla produzione di carni, salumi e formaggi. Naturalmente, il conto di queste aziende è in perdita. Malgrado le 72 mila unità immobiliari destinate a canone sociale nel Comune di Roma (di diversa proprietà pubblica, non solo comunale), il Campidoglio spende oltre 20 milioni di canoni sociali in proprio.
Quanto al miliardo di squilibrio delle partecipate, non è purtroppo nemmeno esso una sorpresa. Oltretutto il più dei contratti di servizio delle società scade a fine anno, e andranno riscritti con criteri di efficienza del tutto diversi. Di sicuro, il Campidoglio oggi non ha la disponibilità finanziaria adeguata per gli investimenti che sono necessari in Atac e Ama. E comunque una stima almeno approssimativa delle disponibilità non si può credibilmente fare, prima di aver definito come s’intende aggredire gli squilibri strutturali che gravano sul conto economico.
Atac, che in 5 anni ha ottenuto sussidi pubblici per 4,3 miliardi riuscendo a sommare perdite per 1,1 miliardi, ha 12 mila dipendenti con costo medio di 46mila euro, ai vertici di settore. Per l’Ama siamo ancora al punto in cui sono le cronache giudiziarie a dettare l’agenda, mentre senza una precisa scelta industriale il trattamento dei rifiuti romani continuerà a essere un affare per altre parti d’Italia.
Ci fermiamo qui. Non c’è alcun pregiudizio verso la giunta Raggi. Il duro compito che l’attende era chiaro da prima delle elezioni. La condizione di Roma impone scelte molto impegnative, che richiedono grande risoluzione, raffinata competenza, visione e padronanza di un’infinità di dettagli. E 100 giorni dicono che il tempo per addossare le colpe agli altri è finito.
Roma, debito pregresso a quota 12 miliardi
Andrea Marini 06 aprile 2016
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ACLDy01C
l debito pregresso del Comune di Roma, quello che dal 2008 è sotto il controllo della Gestione commissariale, è arrivato a quota 12 miliardi: 3,2 di natura non finanziaria (come debiti commerciali per ritardati pagamenti) e 8,8 di natura finanziaria (come mutui). A fare il punto, ieri, nella sua audizione nella commissione Bilancio della Camera è stata Silvia Scozzese,che da settembre 2015 è il commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del debito pregresso del Campidoglio.
Scozzese ha permesso di mettere un punto fermo: quando è stato predisposto il piano di rientro, nel 2008, il disavanzo ammontava a poco più di 9,5 miliardi. Quando nel 2010 è stato effettuato l’accertamento definitivo, la cifra è stata quantificata a quota 16,7 miliardi: Scozzese ha spiegato, ad esempio, che di ben 2mila pratiche di espropri, avvenuti tra il 1960 e il 1990, si è ritrovata memoria solo nel 2010. Tuttavia, non tutte le nubi si sono diradate: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito – ha detto Scozzese – sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune non è stato individuato direttamente il soggetto creditore». Soprattutto, Scozzese ha messo in guardia su una possibile crisi di liquidità per gli anni 2020-2035. Per smaltire il debito pregresso – quello “ordinario” in capo al Campidoglio, secondo l’ultimo bilancio approvato dal commissario straordinario Francesco Paolo Tronca è pari a 1,2 miliardi, ampiamente sostenibile – ogni anno viene versato un contributo statale di 300 milioni, più 200 milioni ricavati da una addizionale sui diritti di imbarco sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti di Roma e da un incremento dell’addizionale comunale Irpef dello 0,4 per cento. Eppure: «Se si esclude dal computo del debito finanziario della Gestione Commissariale il contributo atteso dal ministero dell’Economia di 880 milioni di euro – ha sottolineato Scozzese – il saldo tra entrate e uscite si prospetta negativo fino al 2039. Chiaramente nei primi anni questo scenario di crisi verrebbe attutito dal versamento degli 880 milioni di euro, spostando le difficoltà di liquidità al 2020 e fino al 2035».