Tutto il tempo del mondo
di Giorgio Masiero
Il mondo è eterno o fu creato? e, nel secondo caso, la creazione richiese 6 giorni o 14 miliardi di anni?
http://www.enzopennetta.it/2017/03/tutt ... -del-mondo
Alla voce Genesi del suo “Dizionario Filosofico” (1764), Voltaire irride alla Bibbia (e i credenti delle religioni del Libro) appellandosi alla ragione e alla scienza, in particolare alla “fisica migliore”, quella newtoniana di cui era un grande ammiratore. Il filosofo illuminista se la prende col concetto ebraico di creazione ex nihilo, perché dovrebbe essere evidente a tutti, scrive, che la materia è eterna, come già i Greci proclamavano al contrario degli Ebrei ignorantoni. Ma il passo biblico che più diverte Voltaire è “l’inversione” temporale tra la creazione del Sole posta dalla Genesi al quarto giorno e la creazione della luce posta al primo: “L’autore della Genesi […] per una singolare inversione dell’ordine delle cose, fa creare il sole e la luna addirittura quattro giorni dopo la luce. Non riusciamo a capire come ci possano essere un mattino e una sera prima che ci sia un sole: c’è qui una confusione che è impossibile sbrogliare. Quell’autore «ispirato» si conformava ai vaghi e rozzi pregiudizi del suo popolo. Dio non pretendeva di insegnare la filosofia agli ebrei; certo, avrebbe potuto innalzare il loro spirito fino alla verità, ma preferì abbassarsi fino a loro”.
Oggi la “fisica migliore”, cioè la relatività generale e la teoria quantistica dei campi, hanno sorpassato la teoria newtoniana: insegnano che l’universo non è eterno, ma che la materia ed anche lo spazio e il tempo nacquero 14 miliardi di anni fa da un’esplosione di energia, dalla quale per successive differenziazioni sorse tutto il resto. E insegnano che il nostro sole si è formato circa 5 miliardi di anni fa, nella seconda metà del tempo trascorso dall’Inizio. Se questa è la vera storia del mondo, qualcuno tra i “rozzi” ebrei, cristiani e musulmani potrebbe sentirsi tentato di sorridere della saccenza di Voltaire…, invece non ci si deve meravigliare più di tanto, perché fino a pochi anni fa la grande maggioranza degli scienziati la pensava ancora come gli antichi Greci e Voltaire!
“Se l’universo esiste da sempre, non c’è alcun bisogno di postulare una base soprannaturale alla sua esistenza”, si consolava Bertrand Russell col gesuita Frederick Copleston in un dibattito radiofonico alla BBC del 1948, “l’universo è lì, e questo è tutto”. E ancora nel 1959, un sondaggio tra gli scienziati americani pubblicato su Scientific American dava lo stesso risultato. Tra le domande principali si chiedeva la stima più probabile dell’età dell’universo. Due terzi degli intervistati risposero in coro che, si sa, la Bibbia dice “In principio…”, ma che questa è solo una bella storia perché ovviamente non ci fu nessun principio, come già Platone ed Aristotele avevano insegnato.
Appena 6 anni dopo, nel 1965, avvenne la kuhniana rivoluzione di paradigma: Arno Penzias e Robert Wilson scoprivano l’eco del Big bang nell’oscurità del cielo notturno e da un giorno all’altro la verità scientifica si capovolse da un universo eterno ad un universo con inizio. Il concetto assurdo, tutto e solo ebraico, di creazione ex nihilo divenne un’evidenza! Certo, già da 4-5 decadi c’erano le equazioni di Einstein, i calcoli di Lemaître, le osservazioni di Hubble, tutte belle cosette che Russell sapeva e buoni indizi d’un principio dell’universo…, ma fu l’immagine della radiazione cosmica di fondo ad essere la prova decisiva, la pistola fumante che convertì tutti quanti a giurare sull’Inizio.
Ovviamente l’inizio del mondo non implica un creatore come il Dio biblico, a cominciare dal fatto che i 6 giorni della Creazione raccontati dalla Genesi non paiono uguali ai 14 miliardi di anni dell’evoluzione cosmica e biologica raccontati dalla fisica e dalla paleontologia. Si può credere anche, come Stephen Hawking e tanti altri – forse i due terzi degli scienziati nel 2017 – che l’universo sia stato creato “dalle leggi della fisica, attraverso una fluttuazione quantistica” (Il grande disegno, 2010). Se l’ateismo filosofico dei secoli passati si poggiava sull’eternità della materia, l’ateismo “scientifico” di oggi si consola con l’eternità delle equazioni della fisica gravitazionale e quantistica. Vediamo allora la storia scientifica del mondo:
L’era di Planck – ciò che accade fino a 10^-43 secondi dall’Inizio a temperature di 10^32 gradi – non è attualmente sondabile dalla fisica, perché richiederebbe una teoria della gravitazione quantistica che ancora non c’è.
All’era di Planck succede l’epoca della Grande Unificazione, in cui i campi elettromagnetico, debole e forte sono uniti, lo spazio arriva a 10^-31 metri, i tempi hanno scale di 10^-36 secondi e la temperatura scende a 10^27 gradi.
A 10^-11 secondi e alla temperatura di 10^15 gradi avviene la scissione tra i campi elettromagnetico e debole. Nasce la luce.
Dopo un centimillesimo di secondo, alla temperatura di 10^12 gradi si ha il confinamento dei quark in adroni: nasce la materia, stabilizzata in protoni e neutroni, che si combinano in nuclei di deuterio, che a loro volta si combinano a formare nuclei di elio. La radiazione, disaccoppiata dalla materia, si raffredda fino a costituire il fondo rilevato da Penzias e Wilson.
Dopo 3 minuti, alla temperatura di 10^5 gradi, elettroni e protoni formano gli atomi di idrogeno.
Dopo alcuni miliardi di anni gli atomi di idrogeno sparsi per l’universo si aggregano a formare le prime stelle, le cui caldere sintetizzano in una decina di miliardi di anni gli elementi più pesanti e poi esplodono in supernovae.
Un frammento di supernova, dopo una lunga deriva spaziale viene agganciato da una giovane stella (il Sole), divenendo suo pianeta (la Terra).
Qualche decina di milioni di anni dopo, quando la Terra è ancora fluida e rovente, un asteroide la urta di striscio, staccandone un pezzo, che viene agganciato dalla gravità divenendo suo satellite (la Luna). La presenza del satellite stabilizza l’orbita della Terra intorno al Sole, consentendo l’evento successivo.
Poi, 3 miliardi e 600 milioni di anni fa, accade nella Terra un evento importante per i suoi futuri abitanti: dall’incessante combinazione, scomposizione e ricombinazione chimica degli atomi nasce una molecola con la capacità di riprodurre copie identiche di sé, salvo qualche “errore” di tanto in tanto. È l’inizio della vita sulla Terra e dell’evoluzione biologica per errori di copiatura.
Questa a grandi tappe è la storia del mondo, dall’inizio ad oggi, così come ricostruita dall’ultima specie apparsa sulla Terra con i mezzi della scienza sperimentale. Ci sono alcuni aspetti oscuri da chiarire, ma la scienza è giovane rispetto alla storia del mondo e conta centinaia di migliaia di ricercatori impegnati a far luce. Ci sono questioni destinate a rimanere per sempre oscure alla tecno-scienza? In un vecchio articolo ne indicavo almeno 3, motivando le mie ragioni. Una è proprio l’origine – che è una cosa diversa dai momenti iniziali dopo la nascita – dell’universo: io giudico l’idea d’un Big bang assoluto un mito moderno, una teoria destinata come tutte ad essere sostituita da una diversa più efficace ed efficiente nella storia futura e volubile della scienza naturale. A me, la concezione platonica di “leggi della fisica” poste in eterno fuori dal mondo non si sa come né perché, che un bel giorno si stufano di star sospese sul nulla e, via una fluttuazione quantistica, dànno origine ad un ambaradan finemente progettato a produrre in 14 miliardi di anni i cervelli dei fisici teorici dedicati a studiarle e glorificarle…, beh l’idea di queste Super-leggi mi lascia perplesso, a dir poco. Io sposo l’opzione scettica di Steven Weinberg: “Possiamo tracciare la storia dell’espansione del cosmo indietro nel tempo, fino al primo milione di anni, ai primi tre minuti o al primo milionesimo di secondo, ma non sappiamo […] chi fu a far partire l’orologio. Probabilmente non lo sapremo mai, come non potremo mai comprendere il perché delle leggi ultime della natura” (Science 230, 1985); e di Tommaso d’Aquino di 7 secoli prima: “Che il mondo non sia sempre esistito è tenuto soltanto per fede, e non può essere provato con argomenti conclusivi” (Summa Theologiae, IV, q. 46, a. 2). Cosmologia scientifica non è cosmogonia poetica.
Opposta alla cosmogonia scientista atea di Hawking & C. c’è anche una cosmogonia scientista di stretta ortodossia biblica, che vado a descrivere nel prosieguo di questo articolo. Essa parte dalla domanda: che cosa significano 14 miliardi di anni? in che sistema di riferimento sono calcolati? non sarà che in un sistema di calcolo emendato degli antropomorfismi, che abbondavano nell’ingenuo ragionamento volterriano, i tempi fisici si riducono ai 6 giorni biblici?
Dopo Einstein infatti, come tutti sanno, il tempo non è quella cosa assoluta di Aristotele e di Newton, come se fosse misurata da un Orologio stante fuori dal mondo; piuttosto è una quantità relativa, misurabile da tanti orologi diversi che si possono idealmente collocare in qualsiasi corpo celeste – ad esempio, in ciascuno dei miliardi di miliardi di pianeti che popolano l’universo – e che darebbero per lo stesso evento durate distinte, differenti anche di molto e solo eccezionalmente uguali. Cosicché quando un fisico afferma che il nostro universo ha 14 miliardi di anni dà per sottinteso che l’età è misurata nel sistema di coordinate spazio-temporali e nel campo gravitazionale della Terra. Vale a dire che i 14 miliardi di anni ci risultano dalla nostra specifica collocazione dentro l’universo, qui e ora.
Al Big bang non nacquero solo la luce, materia e lo spazio, anche il tempo è un prodotto dell’esplosione! Il tempo è in fisica moderna una dimensione inseparabile dallo spazio e le quantità che misuriamo di spazio e tempo con metri ed orologi sono dipendenti dalle quantità di materia ed energia stanti nelle vicinanze, che misuriamo con bilance ed altri strumenti. Un minuto sulla Luna scorre più veloce d’un minuto sulla Terra, mentre sul Sole scorre più lentamente. Il tempo sul Sole si dilata e se vi potessimo collocare un orologio, le sue lancette si muoverebbero più lentamente che sulla Terra, appena più lentamente ma con un effetto misurabile. Comunque, se vivessimo sul Sole, non ci accorgeremmo di nulla, perché il cuore insieme al resto della nostra biologia sarebbero sincronizzati con il tempo locale. La differenza (la “relatività generale”, appunto, detta generale perché tien conto della gravità) risulta quando si misurano i tempi di un evento di un sistema gravitazionale con gli orologi di un altro sistema: allora, a causa della gravità e della velocità, le misure dei tempi, locale e non locale, risultano diverse.
La dilatazione temporale è fisica standard, è stata misurata sperimentalmente utilizzando orologi atomici (capaci di misurare differenze di nanosecondi) posti su aerei. Gli orologi a bordo degli aerei sono risultati leggermente più veloci rispetto a quelli al suolo. L’effetto è tanto significativo che i satelliti artificiali dedicati ai servizi GPS hanno bisogno di sottoporre i loro orologi a correzione. In laboratorio sono state addirittura misurate dilatazioni temporali dovute a differenze di altezza di meno di un metro. Ci sono milioni di luoghi nell’universo in cui, per effetto del campo gravitazionale massiccio presente nelle vicinanze, la durata di un evento misurata in loco risulterebbe enormemente moltiplicata quando misurata dalla Terra; ci sono milioni di luoghi dove un giorno misurato là diventerebbe centinaia di migliaia di giorni misurati da qua.
Vediamo di capire meglio, senza ricorrere alle formule della relatività generale. L’universo è cominciato da un granellino e di lì si è espanso. Tuttora lo spazio si espande, ed anzi lo fa a velocità accelerata, pare. Come risultato, quando osserviamo qui e ora una successione di eventi che hanno avuto luogo nello spazio profondo lì e allora, fuori della nostra galassia, poiché la luce proveniente da questi eventi viaggia a velocità costante attraverso spazi in continua dilatazione, anche la sequenza temporale degli eventi viene dilatata. Se vogliamo stimare la durata propria – misurata in loco – di eventi successivi distanti, occorre apportare nei nostri calcoli un’opportuna correzione che tenga conto della dilatazione spaziale. L’effetto si chiama “red shift”, spostamento verso il rosso, niente di speciale se non forse per qualche lettore non tecnico.
Facciamo ora un “Gedankenexperiment” come piaceva ad Einstein, un esperimento ideale da condursi miliardi di anni fa quando tutto cominciò. Mettiamoci subito dopo il Big bang nei panni immaginari d’un volterriano “autore ispirato” e tecnologizzato, dotato di orologio e anche di un laser, che per i fisici che verranno trasmetta una volta al secondo (il suo secondo, come misurato dai suoi orologi nucleari) un impulso di luce portante il messaggio “INVIO A VOI UN MESSAGGIO OGNI SECONDO”. Gli impulsi viaggiano nel novello spazio-tempo che va nascendo ed espandendosi. La luce viaggia a 300.000 km/sec, cosicché due impulsi successivi sono separati da 300.000 km, ma ciò vale soltanto all’inizio del loro viaggio cosmico, perché la separazione crescerà man mano che il loro viaggio proseguirà nello spazio durante i miliardi di anni, in conseguenza dell’espansione dello spazio che li separa. Quando due impulsi successivi arriveranno miliardi di anni dopo, qui sulla Terra, di quanto tempo risulteranno separati? di un secondo? No di certo. Di un anno? Vediamo i calcoli.
Il rapporto tra le durate terrestri odierne e le durate locali al Big bang, misurate all’apparizione dei primi nuclei atomici, cioè dopo il primo centimillesimo di secondo, quando si ha il confinamento dei quark in adroni, è all’incirca dato dalla temperatura di confinamento 10^12: infatti, rapportato alla temperatura attuale della radiazione cosmica di fondo (2,7 °K), quel numero c’informa di quanto maggiore fosse la frequenza della radiazione allora rispetto ad oggi, ovvero quanto più corta fosse misurata allora la durata temporale rispetto ad oggi. Cosicché dopo il primo impulso, il successivo sarà ricevuto sulla Terra non un secondo dopo, ma 10^12 secondi dopo.
Adesso, Lettore, devo segnalarti una coincidenza: moltiplicati per il fattore di trasformazione 10^12, 6 giorni al Big bang diventano… 16 miliardi di anni misurati oggi dalla Terra. Dopo il concetto esclusivamente biblico nella storia del pensiero umano di creazione ex nihilo, questa consonanza quantitativa tra il racconto biblico della Creazione divina e il racconto scientifico dell’evoluzione cosmico-biologica può impressionare! Certamente ha impressionato un razionalista come Antony Flew, che da campione mondiale dell’ateismo si è convertito ad apostolo del deismo. Io sono impressionato meno, confesso, a cagione del mio scetticismo sulle capacità della fisica odierna a descrivere affidabilmente condizioni così estreme dell’universo, ed anche per la scelta di questi ortodossi di far ticchettare gli orologi a partire dall’era dell’adronizzazione. Non conosco l’ebraico antico e non mi arrischio, neanche lontanamente, ad interpretare nelle vesti di Maimonide o di Nahmanide le prime parole della Bereshit “In principio Dio creò il cielo e la terra…”. Prima di concludere però, sento il dovere di aggiungere che scienziati diligenti e pii hanno ulteriormente affinato i calcoli, fino a far coincidere esattamente i 13,798 miliardi di anni dell’universo secondo la Nasa con i 5 giorni e mezzo per la creazione di Adamo secondo gli esegeti della Torah. Ma non annoierò i lettori con questi dettagli.