«Quella vignetta di Charlie Hebdo è come una scoreggia in pubblico». Parola di VernacoliereLorenzo Maria Alvaro
02 settembre 2016
http://www.vita.it/it/article/2016/09/0 ... aro/140598 L’intervista a Mario Cardinali, direttore del mensile satirico. «La libertà non è soltanto dare aria alla bocca. La tavola del settimanale francese sul terremoto e la pasta è una provocazione fine a se stessa, becera e inutile»
Charlie Hebdo, il celebre giornale satirico francese, divenuto ancora più conosciuto –tristemente- per l'attentato di cui fu fatto oggetto da terroristi islamisti, oggi è tornato su tutte le prime pagine.
Questa volta però la ribalta se l'è meritata per una vignetta. Nel mirino dei disegnatori francesi però non c'era qualche terrorista, la Chiesa Cattolica, Il Papa o Maometto. Questa volta l'obbiettivo erano gli italiani. In particolare quelli colpiti dal terremoto. Naturalmente il disegno ha subito infiammato un feroce dibattito su satira, libertà di espressione e censura. Vita ha deciso di rivolgersi ad una isituzione, la principale pubblicazione satirica italiana: il Vernacoliere. A risponderci il direttore Mario Cardinali.
Ha avuto modo di vedere la vignetta incriminata?
Sì, per caso. Mi sembra una provocazione fine a se stessa. Becera e inutile
Ora il punto è: ma c'è una definizione di satira?
Non ci sono caratteristiche precise. È un bisogno dell’anima e dell’intelletto di rompere i coglioni. Ognuno la intende come vuole. Poi c’è l’humus culturale in cui si è nati che detta altre differenze. In genere è un opporsi all’ordine e alla visione generale.
Dunque questa vignetta va presa per com'è...
Un momento. Qui non c’è satira. Dov'è questa satira.? Che tipo di ordine si vuole mettere in discussione? Per me è una cosa squallida, anche mentalmente. Dov’è la dissacrazione? Cosa si dissacra così? I morti? La natura?
Allora qualche tratto per tracciare un identikit della satira c'è...
Se c'è una caratteristica è che la satira serve per far riflettere. Spingere a riflettere su qualcosa. Per questo è pessimista. Ma qui non so dire su cosa dovrei riflettere. Quelle lasagne sono penose. Soprattutto per chi si definisce satirico.
Quindi sul Vernacoliere non avreste pubblicato niente del genere?
Io non solo non avrei mai pubblicato una cosa del genere. Non avrei mai neanche lavorato con qualcuno che me l’avesse proposta. Non lo vorrei con me qualcuno che pensa una cosa del genere.
Però c'è chi dice che questa è censura. Che sarebbe un attentato alla libertà di espressione...
È una solenne cazzata. La libertà di espressione non è soltanto dare aria alla bocca. Ruttare e scoreggiare in mezzo alla gente non è libertà. La censura è una prepotenza altrui che vuole soffocarmi. Qui non c’è nulla da soffocare. La società non è solo un insieme di obblighi e libertà. C’è anche l’incontro di intelligenze e di comprensioni. Quando si soffocano intelligenze e comprensioni è lì che c’è censura. Dov’è l’intelligenza di quella vignetta? Non è solo lecito, è anche doveroso dire che quella vignetta è una schifezza. Sarebbe come non opporsi agli stupidi che si mettono l’anellino nel buco del culo.
Mi scusi, a cosa si riferisce?
Intendo dire che siamo pieni di mode insignificanti e stupide. Piercing, tatuaggi e via dicendo. Perché non si può dire che sono stronzate? Questa vignetta come queste mode sono un attentato alla mia intelligenza, e quindi la mia intelligenza reagisce.
Se dovesse rispondere a tono cosa farebbe?
Non ci penso neanche. Non è degna di risposta. È come il vomito di un ubriaco o un rutto. Una cosa che non si può prendere in considerazione. La famosa vignetta del piatto di spaghetti con la pistola era satira. Perché aveva un messaggio e colpiva una questione vera. Questa non è nulla. È solo cattivo gusto.
C'è chi dice che il cattivo gusto è soggettivo. Non lo è?
È vero, è un’espressione complicata. Ma esiste un canone generale. Ciò che offende l’intelligenza è di cattivo gusto ad esempio. Anche se è vero che anche la stupidità può avere un senso. Invece qui non c’è nemmeno quello. Siamo di fronte alla voglia di colpire senza motivo. Un disegno che l’unica cosa che smuove è il pensare di aver appena visto una stronzata. Non è stupidità ma voglia di essere stupidi per fare male.
Da dove viene la satira?
sabato 3 settembre 2016
Riccardo Giardina
http://letterarteblog.blogspot.it/2016/ ... atira.html Noi siamo figli della storia come tutta la cultura che ci circonda, compresa la risata. Recentemente si è molto parlato di satira, diritto alla satira, onnipotenza della satira, centralità della satira. Ma la satira cos'è? Dove finisce la satira e inizia il buon gusto? Non posso rispondere a tutto insieme ma iniziamo a vedere insieme, ovviamente per sommi capi, dove nasce la satira.
La satira NON nasce nel mondo latino. O almeno, non la satira come la intendiamo noi oggi. "Satura tota nostra est" scriveva Quintiliano in un noto passo, citando Lucilio come il fondatore di quest'arte di cui Orazio fu il suo più celebre successore. Il termine "Satura" fa riferimento a "Satura Lanx", un vassoio pieno di primizie da offrire agli dei. Ma già nell'altissimo Medioevo, come attesta Isidoro di Siviglia, non si era certi di questo significato. Il concetto base era, comunque, un insieme di cose, di argomenti diversi, di elementi dispari mischiati assieme. Ma di certo non la presa in giro spietata che, come vedremo tra poco, nasce nel 1700.
Facciamo un passo in avanti al Medioevo che concepiva una risata completamente diversa: il Carnevale. La cultura popolare che dilagava nei così detti "secoli bui" era diffusa tra tutte le classi sociali, dallo sporco popolano all'altrettanto sporco ma più decorato nobile. Una comunione di risata e di spirito che investiva tutta una comunità più volte l'anno in periodi diversi e prolungati. Una beffa continua, comune, in cui tutti ridevano di tutti, in netta contrapposizione alla normalità, alla rigidità della quotidianità. Il mondo alla rovescia colpiva tutti gli ambienti, anche quelli ecclesiastici con fenomeni come il "risus paschalis" e varie parodie di messe e celebrazioni liturgiche in chiave buffonesca. Insomma, il punto fondamentale è la comunione di risata, l'indifferenziazione sociale continua e duratura per determinati periodi in contrapposizione al mondo normale. Senonché, col passare degli anni, questo inizia a prendere nettamente posizione sopra il Carnevale schiacciandolo e riducendolo sempre più. Il nobile, presto seguito dal borghese, si stacca dal mondo popolare e si astrae socialmente su un piano più elevato, diverso, di netta superiorità morale e materiale.
Il 1700 è il secolo in cui questa tendenza, per motivi storico-sociali, si solidifica sempre più fino a fossilizzarsi. Il Carnevale perde il senso e nasce, quindi, una nuova forma di comicità: la satira, appunto. Questa è indirizzata, come oggi, verso i potenti, i regnanti, i nobili. A produrla non sarà il ceto basso ma medio alto che si avvale di una cultura superiore. Tuttavia le immagini, così grottesche e ridicole, erano di facile comprensione anche per il popolano, che quindi partecipava come spettatore al riso. Una risata, quindi, che va dal basso verso l'alto, unidirezionale, e non comune. Non vi è autoironia ma solo un bersaglio da colpire il più forte possibile. La satira nasce qui.
Col tempo questa forma di presa in giro si è solidificata ed allargata, accostandosi anche ad altri generi di ampio raggio, che coprono più persone contemporaneamente a più livelli. Si è passati a prendere in giro intere culture, non senza una certa supponenza intellettualoide alle spalle, religioni e popoli. Per questo sentir parlare di satira legata a Charlie Hebdo mi fa storcere il naso: nelle vignette vedo sempre più un mirino puntato sui più invece che sui diretti responsabili. La caricatura di un imprenditore che mangia una lasagna fatta di cadaveri e cemento è satira. Raffigurare italiani stereotipati coperti dal sangue no, secondo me. È solo pessimo gusto. Perché dando per scontato (cosa che comunque non è nella nostra società) il diritto di espressione, sopraggiunge poi il diritto alla critica. La stessa presa in giro nei suoi termini, modi ed espressioni può essere criticata o, a sua volta, presa in giro. Ma che la satira debba essere universale e sempre garantita per definizione è una convinzione frutto più di frase fatte che di una seria preparazione sui limiti della parola e della sua forza.
Il mio invito è proprio questo, anche per il futuro. Siate critici. Non limitatevi alla mera constatazione di un fatto (Charlie Hebdo è libero di pubblicare quello che vuole) ma abbiate il coraggio di criticarlo (che non vuol dire per forza in negativo, può anche essere in positivo) argomentando, che a vedere la realtà siamo capaci tutti. Grazie.