Il falso mito che i monaci salvarono e migliorarono l'agricoltura in Europa, ponendo le basi per la rinascita medievale del continente???
Come i monaci salvarono la civiltàCap. 3° Estratto da: Thomas E. WOODS, Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale,
Ed. Cantagalli, Siena 2007
http://ora-et-labora.net/monachesimocivilta.htmlI monaci ebbero un ruolo determinante nello sviluppo della civiltà occidentale; eppure, a considerare la pratica più antica del monachesimo, difficilmente si sarebbe potuta immaginare l'enorme influenza che esso avrebbe esercitato sul mondo esterno. Tale influenza risulta meno sorprendente se si richiamano a mente le parole di Cristo: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in sovrappiù» [Matteo 6, 33; NdT]. La storia dei monaci è racchiusa in queste semplici parole.
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Benché lo scopo di un monaco nel ritirarsi in un monastero fosse quello di coltivare una vita spirituale più disciplinata e, per meglio dire, di lavorare per la propria salvezza in un ambiente e sotto un regime che favorisse questo scopo, il suo ruolo nella civiltà occidentale si sarebbe dimostrato fondamentale. Sebbene i monaci non intendessero compiere azioni memorabili per la civiltà occidentale, tuttavia con il passare del tempo essi seppero apprezzare la missione a cui i tempi sembravano chiamarli.
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Le arti praticheLe persone più istruite pensano che il maggior contributo dato dai benedettini alla civiltà occidentale sia l'attività di studio e culturale in senso lato. In verità, i benedettini coltivarono in modo notevole un altro aspetto della civiltà occidentale, ossia ciò che potremmo definire "le arti pratiche". L'agricoltura è un esempio particolarmente significativo. Nel primo Novecento Henry Goodell, presidente di quel che sarebbe poi diventato il Massachusetts Agricultural College, celebrò «l'opera che questi grandiosi monaci svolsero lungo un arco di millecinquecento anni. I benedettini salvarono l'agricoltura quando nessun altro avrebbe potuto salvarla; la esercitarono nell'ambito di un nuovo stile di vita e di nuove condizioni di vita, in un tempo in cui nessun altro osava cimentarsi con l'agricoltura» . Le fonti documentarie su questo punto sono considerevoli: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa», sostiene uno studioso. «Ovunque andassero», sottolinea un altro studioso, i benedettini «trasformarono terra desolata in terra coltivata. Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste. Furono i benedettini a trasformare la Germania in una terra fruttifera». Un altro storico ricorda che «ogni monastero benedettino era una sorta di «college» agrario per l'intera regione in cui era situato». Persino lo statista e storico francese del Novecento François Guizot, che non nutriva particolari simpatie per la Chiesa Cattolica, osservò: «I monaci benedettini furono gli agricoltori d'Europa. La pulirono su larga scala, associando agricoltura e predicazione».
Nella vita monastica svolse un ruolo importante il lavoro manuale, al quale la Regola benedettina si richiamava espressamente. Sebbene la Regola fosse nota per la sua moderazione e la sua avversione per le punizioni eccessivamente severe, cogliamo spesso i monaci nell'atto di farsi carico di un lavoro difficile e poco attraente, dal momento che per loro tali opere erano canali di grazia e opportunità di mortificazione della carne. Ciò fu certamente vero riguardo all'opera da loro svolta nel disboscamento e nella bonifica delle terre. L'opinione prevalente sugli acquitrini era che fossero fonti di pestilenza di nessun valore. Ma i monaci prosperarono in tali luoghi e abbracciarono le sfide che essi presentavano. In breve tempo riuscirono a costruire argini e a prosciugare la zona paludosa e a trasformare in fertile terra agricola ciò che era stato fonte di malattia e sporcizia .
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Ovunque andassero, i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda e, in moltissimi luoghi, le vigne più amene. I monaci facevano scorta di acque provenienti dalle sorgenti, al fine di distribuirle durante le siccità. I monaci dei monasteri di Saint Laurent e di Saint Martin, visto che le acque delle sorgenti si disperdevano inutilmente nelle pianure di Saint Gervais e Belleville, decisero di deviarle su Parigi. In Lombardia i contadini appresero dai monaci l'arte dell'irrigazione, che contribuì in modo determinante a render celebre quella regione in tutta Europa per la sua fertilità e le sue ricchezze. Inoltre, i monaci furono i primi a lavorare per il miglioramento delle razze di bestiame, sottraendo quest'opera al caso .
In molte occasioni il buon esempio dei monaci servì da ispirazione e modello, grazie soprattutto al grande rispetto e alla grande reverenza da loro portati al lavoro manuale in generale e all'agricoltura in particolare. «L'agricoltura era caduta in una fase di declino», secondo uno studioso; «le paludi avevano preso il posto di campi un tempo fertili, e gli uomini che avrebbero dovuto lavorare la terra disprezzavano l'aratro considerandolo degradante». Ma quando i monaci emersero dalle loro celle per andare a scavare canali di scolo e arare i campi, «la loro fatica ebbe un effetto magico, e si tornò alla nobile, a lungo disprezzata, industriosità» . Papa san Gregorio Magno (590-604) ci racconta una storia rivelatrice a proposito dell'abate Equizio, un missionario del VI secolo famoso per la sua eloquenza: un messo del Papa giunse al suo monastero in cerca di Equizio, andò di filato allo scriptorium, aspettandosi di trovarlo tra i copisti, ma non lo trovò: i calligrafisti spiegarono semplicemente: «È laggiù nella valle, che falcia l'avena» .
I monaci furono pionieri anche nella produzione del vino, che usavano sia per la celebrazione della Santa Messa sia per il loro consumo quotidiano, che la Regola di san Benedetto espressamente permetteva. La stessa scoperta dello champagne si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna.
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I monaci furono anche importanti inventori e sperimentatori. I cistercensi, un ordine benedettino tendenzialmente riformista stabilitosi a Citeaux nel 1098, sono particolarmente famosi per la loro abilità tecnologica. Grazie alla grande rete di comunicazione esistente tra i vari monasteri, la competenza tecnologica poté diffondersi rapidamente, ragione per cui troviamo sistemi idraulici molto simili in monasteri molto distanti l'uno dall'altro, anche migliaia di chilometri. «Questi monasteri», scrive uno storico, «furono le unità economicamente più efficaci mai esistite in Europa, e forse nel mondo» .
Il monastero cistercense di Chiaravalle, in Francia, ci ha lasciato un resoconto del XII secolo riguardante l'uso che in quel luogo si faceva dell'energia idraulica, che rivela in quale misura sorprendente le macchine fossero diventate essenziali alla vita europea. Generalmente la comunità monastica cistercense dirigeva la propria fabbrica. I monaci usavano l'energia idraulica per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni, e per la conciatura. Come sottolinea Jean Gimpel nel suo libro «The Medieval Machine» («La macchina medievale»), il resoconto in oggetto si sarebbe potuto scrivere settecentoquarantadue volte, ovvero il numero dei monasteri cistercensi presenti in Europa nel XII secolo. Lo stesso livello di perizia e successi tecnologici si sarebbe potuto osservare in pressoché tutti i monasteri cistercensi .
Il mondo dell'antichità classica non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale. Ciò avvenne, in misura enorme, nel mondo medievale; un fatto simboleggiato e rispecchiato dall'uso che i cistercensi fecero dell'energia idraulica [...].
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I monaci consiglieri tecniciI cistercensi furono noti anche per la loro abilità metallurgica. «Nella loro rapida espansione in tutta Europa», scrive Jean Gimpel, i cistercensi devono aver «giocato un ruolo nella diffusione di nuove tecniche, poiché l'alto livello della loro tecnologia agraria era pari alla loro tecnologia industriale. Ogni monastero possedeva una fabbrica modello, spesso ampia come la chiesa, da cui distava appena pochi passi, e l'energia idraulica guidava le macchine delle varie industrie situate al primo piano» . Talvolta i monaci ricevevano in dono depositi di minerale di ferro, quasi sempre con le forge che servivano per estrarre il ferro, talaltra acquistavano depositi e forge. Sebbene avessero necessità di ferro, col tempo i monasteri cistercensi avrebbero cominciato a vendere le eccedenze di questo minerale; addirittura, dalla metà del Duecento fino a tutto il Seicento i cistercensi furono i principali produttori di ferro della regione della Champagne. Sempre desiderosi di aumentare l'efficienza dei propri monasteri, i cistercensi usavano come fertilizzante le scorie prodotte dalle fornaci, giacché la loro concentrazione di fosfati le rendeva particolarmente utili a questo scopo .
Tali opere furono parte di un più ampio fenomeno di impegno tecnologico da parte dei monaci. Come osserva Gimpel, «Il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà» (26). Secondo un'altra fonte, i monaci furono «gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l'Europa dopo l'invasione dei barbari (...). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo, del ferro, dell'allume o del gesso, o la metallurgia, l'escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come "piastre del focolare", non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta l'Europa .
Le attività dei monaci spaziavano da curiosità interessanti al decisamente pratico. All'inizio dell'XI secolo, per esempio, un monaco di nome Eilmer volò con un aliante per più di 180 metri; la sua impresa fu ricordata per i successivi tre secoli . Secoli dopo, il bresciano Francesco Lana Terzi (1631-87), non un monaco ma un padre gesuita, proseguì in modo più sistematico lo studio del volo, guadagnandosi l'onore di essere chiamato il padre dell'aviazione. Il suo libro «Prodromo alla arte maestra», del 1670, fu il primo a descrivere la geometria e la fisica di un vascello volante.
I monaci annoverarono anche abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo notizia fu costruito dal futuro Papa Silvestro II per la città tedesca di Magdeburgo intorno all'anno 996. Orologi molto più sofisticati furono fabbricati in seguito da altri monaci. Nel Trecento un monaco di Glastonbury, Peter Lightfoot, costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti, che oggi è conservato, in eccellente stato, nel Museo della Scienza di Londra.
Sempre nel Trecento, Riccardo di Wallingford, abate dell'abbazia benedettina di Saint Albans - nonché uno degli iniziatori della trigonometria occidentale - si distinse per il grande orologio astronomico che disegnò per quel monastero. Qualcuno ha osservato che un orologio che lo eguagliasse in finezza tecnologica non si sarebbe visto per almeno due secoli. Il magnifico orologio, una meraviglia del suo tempo, non è sopravvissuto, distrutto, forse, durante le confische di monasteri effettuate nel Cinquecento per volontà di Enrico VIII. Tuttavia, gli appunti di Richard sul disegno dell'orologio hanno permesso agli studiosi di riprodurne un modello e persino una ricostruzione a grandezza naturale. Oltre a registrare il passare del tempo, l'orologio poteva prevedere con accuratezza le eclissi lunari.
Gli archeologi stanno ancora scoprendo l'estensione delle competenze e dell'abilità tecnologica dei benedettini. Nei tardi anni Novanta del Novecento, l'archeometallurgo Gerry McDonnell dell'Università di Bradford, in Inghilterra, ha scoperto le prove, vicino all'abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire settentrionale, di un grado di raffinatezza tecnologica che va nella direzione delle grandi macchine della Rivoluzione industriale del Settecento. (L'abbazia di Rievaulx fu uno dei monasteri che Enrico VIII fece chiudere negli anni Trenta del Cinquecento nell'ambito del suo piano di confisca dei beni della Chiesa). Esplorando i frammenti di Rievaulx e Laskill (sede decentrata a circa sessanta chilometri dal monastero), McDonnell ha scoperto che i monaci avevano costruito una fornace per estrarre ferro dal minerale di ferro.
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McDonnell è certo che i monaci fossero vicinissimi a costruire fornaci per la produzione, su larga scala, di ferro battuto - forse l'ingrediente chiave che inaugurò l'era industriale - e che la fornace di Laskill fosse servita da prototipo. «Gli elementi chiave sono che ogni anno si teneva un raduno di abati e che i cistercensi avevano i mezzi per far circolare da un capo all'altro dell'Europa i progressi tecnologici», ha dichiarato McDonnell. «La disgregazione dei monasteri spezzò questa rete di "trasferimento di tecnologia"». I monaci «avevano il potenziale per passare ad altiforni che non producessero nient'altro che ferro battuto. Erano pronti per farlo su grande scala. Spezzando quel monopolio virtuale, Enrico VIII ne spezzò il potenziale» .
Sembra insomma che fu solo la soppressione dei monasteri per volere di un re avido a impedire ai monaci di inaugurare l'era industriale e dare così inizio all'esplosione economica e demografica, nonché all'innalzamento dell'aspettativa di vita. Perché ciò avvenisse dovettero passare due secoli e mezzo.
La parola scrittaPer quanto onorato, il lavoro dei copisti era difficile e impegnativo. Su un codice monastico sono annotate queste parole: «Colui che non sa scrivere immagina che ciò non sia una fatica, ma sebbene soltanto tre dita tengano la penna, è il corpo intero a stancarsi». I monaci si trovavano spesso a lavorare nel freddo più inclemente. Un monaco copista, implorando la nostra simpatia mentre completava una copia del commentario di san Girolamo al «Libro di Daniele», scrisse: «Buoni lettori che usate quest'opera, vi prego, non dimenticate colui che la copiò: era un povero fratello di nome Luigi, che, mentre trascriveva questo volume, portato da un paese straniero, sopportò il freddo e fu obbligato a portare a termine di notte quel che non era capace di scrivere alla luce del giorno. Ma Tu, Signore, concedi, ti prego, piena ricompensa alle sue fatiche» (35).
Nel VI secolo un senatore romano in pensione [senatore dell'Impero Romano d'Oriente; NdT], di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo, Cassiodoro fondò nell'odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di una bella biblioteca - la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi conoscano anche solo per sentito dire - ponendo in primo piano l'importanza della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei papi .
Sorprende, però, che non sia a Vivarium, ma ad altre biblioteche e ad altri «scriptoria» monastici che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina antica nella sua quasi totalità. Quando non furono salvate e trascritte dai monaci, le opere dell'antichità latina furono conservate dalle biblioteche e dalle scuole associate alle grandi cattedrali del Medioevo (37). Così, anche quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che avrebbe salvato.
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La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi, che altrimenti sarebbero andate perdute.Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell'odierna Svizzera, aveva una scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere a lezioni di greco antico, ebraico e arabo .
Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.
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L'ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l'una e gli altri. [...]
Rinascita dell'anno Millehttps://it.wikipedia.org/wiki/Rinascita ... anno_MilleL'aspetto più sensazionale di questa espansione dell'Occidente[24] è, a detta degli storici, l'aumento della popolazione che però non si può calcolare in modo certo per l'assenza di documenti anagrafici ma che risulta evidente da una serie di prove indirette come ad esempio l'aumento dell'estensione delle terre messe a coltura. Tra XI e XII secolo ci sono documenti che testimoniano il dissodamento estensivo di terre vergini: lo provano le carte contrattuali con cui i feudatari concedono vantaggiose opportunità per coloro che si insedino e coltivino le terre incolte. Nei catasti si trovano piante a scacchiera o a spina di pesce dei terreni coltivati. Ulteriore prova l'aumento delle decime che la Chiesa riscuote dai contadini: il prevosto della cattedrale di Mantova alla fine del XII secolo annota che in meno di un secolo le terre di proprietà della Chiesa sono state «truncatae et aratae et de nemoribus et paludibus tractae et ad usum panis reductae.» (dissodate ed arate risanate dai boschi e dalle paludi e riutilizzate per trarne pane.)
Quando si parla di estensione delle superfici coltivabili si pensa in genere alle terre strappate alla foresta ma si dimentica che questa era una fonte di sopravvivenza per i villaggi contadini che in essa trovavano gli animali da cacciare, la legna per scaldarsi, le ghiande per i loro animali, spesso un ruscello dove pescare e integrare la loro povera dieta: la foresta spesso è tanto preziosa quanto la terra coltivabile. Dalle foto aeree e dall'esame dei pollini risulta indubbio che la foresta sia arretrata in quest'epoca, ma è piuttosto il suo margine che viene intaccato: il sottobosco che offre meno resistenza al diboscamento spesso praticato con il fuoco o con mezzi primitivi.
Vengono ora messe a coltura anche le terre meno fertili, le terre fredde. Si realizzano veri e propri dissodamenti collettivi di grandi dimensioni, di cui il più vistoso è quello che si verificò nei Paesi Bassi dai "contadini delle paludi", gli agricoltori fiamminghi che faranno sorgere dal mare i "villaggi di diga". Il conte di Fiandra Roberto II donerà all'incirca nell'anno 1090 all'abbazia di Bourbourg lo scorre (terra strappata al mare) e tutto quello che i monaci riusciranno a togliere al mare (quicquid ibi accreverit per iactum maris)[26]
È questa l'epoca in cui con sforzi giganteschi viene bonificata dalle paludi e dagli acquitrini la pianura padana e in cui i versanti degli Appennini vengono dai signori feudali divisi in lotti e assegnati a quei contadini che s'impegnino a liberarli dalla vegetazione e a coltivarli.
Secondo recenti calcoli questo fu l'andamento della crescita di una popolazione contraddistinta dalla brevità di vita e dall'elevata mortalità infantile ma anche dalle numerose nascite e formazioni di gruppi familiari caratterizzate dalla giovane età: verso il 1050 la popolazione europea è stata stimata in 46 milioni nel 1100 era di 48 milioni, 50 verso il 1150 e 61 verso il 1200.
Questo imponente aumento della popolazione dell'Occidente cristiano fece crescere di conseguenza i corpi da nutrire, vestire, alloggiare e le anime da salvare.
La rivoluzione agricolaLo sviluppo agricolo già iniziato nell'età carolingia è causa ed effetto della rivoluzione demografica. L'aumento della produzione di prodotti agricoli è dimostrato non solo dalla quantità delle terre messe a coltura ma anche dalla qualità delle pratiche agricole che si avvantaggiano di progressi tecnici. La prima di queste innovazioni tecnologiche fu l'uso dell'aratro pesante a ruote e a versoio, che permetteva di incidere la terra più a fondo rispetto al più primitivo aratro di legno a chiodo, che scalfiva appena il terreno.
Si è detto che questa dell'XI secolo fu la vera "età del ferro", sempre più utilizzato a partire dal Mille, anche se ancora parzialmente negli strumenti, soprattutto agricoli, che conservano manici in legno. Tuttavia gli attrezzi in ferro erano molto costosi, e ancora alla fine del Trecento un contadino abitante della montagna bolognese doveva lavorare quattro giorni per potersene permettere uno. Richiama l'uso del ferro la diffusione nei paesi anglosassoni del cognome Smith (fabbro). È questa innovazione che segna un'inversione di tendenza rispetto alla più evoluta civiltà orientale e pone le premesse delle moderne innovazioni tecnologiche.
Questo nuovo tipo di aratro, essendo infatti in ferro e più pesante, permetteva l'aratura anche di terreni freddi e duri: essendo poi il solco più profondo, si dava maggiore protezione e nutrimento ai semi che attecchivano meglio e producevano di più.
Insieme con l'aratro si adottò un nuovo modo di attaccare gli animali, migliorandone l'efficacia della trazione. Sino ad allora si era utilizzato il cosiddetto pettorale, una cinghia in cuoio che attraversava trasversalmente il petto degli animali attaccati, che ne venivano quasi soffocati. In seguito si passò al collare di spalla, (giogo) chiamato anche collare rigido o collare imbottito, per il cavallo, e giogo frontale per il bue.
Calendario (l'aratura), 1000 circa, miniatura, Cotton ms. Tiberius B. V., f. 3r., Londra, British Library
Gli animali con il collo così libero, respiravano liberamente e ne veniva sfruttata tutta la forza esercitata dal collare o dal giogo che faceva pressione sulle spalle. Si è calcolato che la trazione in questo modo aumentasse di quattro, cinque volte. La ferratura degli zoccoli del cavallo permetteva poi di utilizzare questo animale finora escluso per l'aratura perché meno potente del bue, conferendogli un'andatura più spedita e sicura. Certo il cavallo era meno forte del bue, ma più veloce e soprattutto meno costoso, e inoltre, con gli anni, era stato migliorato per fini bellici. per cui il suo rendimento alla fine si rivelò superiore del cinquanta per cento rispetto ai buoi. Il cavallo era più resistente e poteva prolungare la giornata di lavoro di almeno un paio d'ore, quando ad esempio si doveva profittare in fretta delle condizioni climatiche favorevoli per l'aratura e la semina. Inoltre si cibava di avena, che veniva coltivata con la rotazione triennale e svolgeva anche la funzione di arricchimento del suolo. Per i contadini che avevano il loro campo lontano il cavallo era un comodo mezzo di trasporto che permetteva, inoltre, la formazione di popolose borgate rurali al posto dei piccoli e sperduti villaggi, permettendo uno stile di vita semiurbano con i vantaggi sociali conseguenti.
Un altro grande cambiamento in agricoltura fu l'adozione di una forma di avvicendamento triennale delle colture che consentiva uno sfruttamento più intensivo dei terreni. In assenza di concimi chimici i campi in passato, dopo il raccolto, venivano lasciati a riposo perché recuperassero le sostanze nutritive: era la parte della terra non coltivata, chiamata maggese, che riguardava all'incirca la metà del campo coltivabile. L'anno successivo si operava all'inverso, attuando quello che si definisce avvicendamento biennale. In seguito si introdusse invece la rotazione triennale: il terreno veniva diviso in tre parti all'incirca uguali e solo un terzo è lasciato a riposo: in questo modo la produzione saliva dalla metà all'incirca ai due terzi della produzione possibile con un aumento di un sesto della produzione su tutta la terra coltivabile e di un terzo rispetto al metodo biennale. Ma non si tratta solo di un miglioramento quantitativo: cambia anche la qualità delle colture. Una parte del terreno, infatti, viene seminata in autunno per i raccolti invernali (ad esempio frumento e segale) l'altra è seminata in primavera ad avena orzo o legumi per i raccolti estivi. Solo un terzo del campo viene lasciato a riposo e nell'anno seguente si alternano le colture. Da questo nuovo metodo deriva un triplice vantaggio: con i raccolti d'avena si nutrono le bestie e gli uomini; in caso di carestie in una stagione si può sperare nell'altro raccolto della stagione successiva, ma soprattutto si ottiene una variazione della dieta e l'introduzione in essa dei legumi, fondamentali per il loro apporto di proteine.
« La coppia cereali legumi diventa normale al punto che il cronista Orderico Vitale, parlando della siccità che nel 1094 ha colpito la Normandia e la Francia, dice che essa ha distrutto segetes et legumina, messi e legumi. »
(Le Goff, Basso medioevo.)
Nel corso del X secolo si era poi rotto l'equilibrio tra le terre che il signore amministrava direttamente servendosi delle prestazioni d'opera gratuite dei servi (pars dominica) e quelle affittate ai coloni, di solito le più difficili da coltivare, (pars massaricia). Ora l'antica suddivisione della proprietà in pars massaricia e in pars dominica finisce per scomparire. Anche la pars dominica viene divisa in lotti poiché ormai i contadini riservano il più possibile del loro lavoro ai loro campi e diminuiscono sempre più i servi obbligati a lavorare per il signore. Finisce l'economia curtense e con essa il modo di pensare e di sentire «anche se gli usus non hanno perso il loro valore. All'antico torpido adagiarsi negli schemi della consuetudine orale subentra una smania di mettere per iscritto, di fissare canoni, di precisare posizioni reciproche. Non è soltanto riscossa di ceti bassi. È una nuova mentalità che si fa strada, tanto in alto che in basso.»
Si aggiunga che l'agricoltura non è un'arte inventata dai romani, mal praticata di germani in epoca preistorica e precristiana (germani considerati a torto barbari incivili ma che presero in carico l'Europa alla fine dell'impero romano) in reltà i germani erano maestri anche in agricoltura e non hanno dovuto aspettare i monaci cristiano romani per imparare l'agricoltura; si tenga conto che lo sviluppo del monachesimo in Europa coincide con l'Europa a egemonia germana e che buona parte dei monasteri erano promossi e gestiti dai germani cristianizzati re, imperatori, duchi, abati, monaci, servi della gleba e uomini liberi.Già nel IV° secolo d.C. i germani danno prova di essere dei maestri sopraffini in agricoltura, senza l'ausilio di alcun monaco cristiano:Teodosiohttp://it.wikipedia.org/wiki/Conte_Teodosio Flavio Teodosio (latino: Flavius Theodosius; ... – Cartagine, 376) fu un importante generale romano, che raggiunse il rango di Comes Britanniarum e che per questo è anche noto come Conte Teodosio. In quanto padre dell'imperatore Teodosio I, è considerato il capostipite della casata di Teodosio; per distinguerlo dal figlio, gli storici lo chiamano talvolta Teodosio il Vecchio o Teodosio Seniore
Non solo soldati, ma anche 30.000 pacifici pionieristici coloni che - come abbiamo già accennato negli scorsi anni - avevano trasformato il territorio in un Eden. Sia al di qua sia al di là del Danubio, della Mosella, del Neckar, del Reno, e del Marne. Avevano disboscato, aperto canali irrigui in questi grandi fiumi, drenato terreni, create piantagioni e pascoli e soprattutto messo a dimora i vitigni che ancora oggi sono il vanto della Renania, del Palatinato, della Bassa Giura, e dello Champagne. Avevano coltivato il luppolo pregiato, la materia prima per la birra, una bevanda che i romani disprezzavano chiamandola "urina dei barbari".
...
Teodosio requisì tutti quei bravi coltivatori, smembrò famiglie, distrusse parentadi, incolonnò i 30.000 uomini migliori, e nel senso inverso deportandoli li fece scendere, attraverso il Passo Resia, nella Val Venosta a Bolzano, poi Trento, Verona, fino al Po.
Distribuì così sulle sue sponde 60.000 braccia, per sradicare boschi, arare campi, aprire canali, fare argini al fiume; come aveva visto fare lassù nel Nord.
Ed eccoli questi deportati nella pianura Padana, a Cremona, Guastalla, Ostiglia, Occhiobello, ospiti forzati; a integrarsi poi col tempo, e a trasferire poi nel bagaglio genetico degli indigeni anche quello di Goti, Alamanni, Germani.http://cronologia.leonardo.it/storia/anno371.htm