Il caso Libia
Sarah Abed
21 aprile 2017
https://www.facebook.com/norberto.fratt ... 3546000333
1. In Libia non c'era la bolletta dell'elettricità; l'elettricita' era gratuita per tutti
2. Non c'erano interessi sui prestiti, le banche in Libia erano di proprietà statale e prestiti erogati a tutti i suoi cittadini a zero per cento di interessi per legge.
3. Avere una casa era considerato un diritto umano in Libia.
4. Tutti gli sposi in Libia ricevevano 60.000 dinari (34.470 sterline) dal governo per acquistare il loro primo appartamento, per aiutare a mettere su famiglia.
5. Istruzione e trattamenti medici erano gratuiti in Libia. Prima di Gheddafi solo il 25% dei libici era alfabetizzato. Oggi la cifra è dell'83%.
6. Se i libici avessero voluto intraprendere una carriera agricola, avrebbero ricevuto terreni agricoli, una casa agricola, attrezzature, semi e bestiame per dare inizio alle loro fattorie... tutto gratis.
7. Se i libici non riuscivano a trovare l'istruzione o le strutture mediche di cui avevano bisogno, il governo li finanziava per andare all'estero. Perché non solo è stato pagato, ma hanno ottenuto 1585 sterline al mese per alloggio e indennità auto.
8. Se un libico comprava una macchina, il governo sovvenzionava il 50 per cento del prezzo.
9. Il prezzo della benzina in Libia era di 0.09 sterline al litro. NOVE PENCE!!!!!
10. La Libia non aveva debito estero e le sue riserve ammontavano a 103 miliardi di sterline - che ora sono congelate a livello globale.
11. Se un libico non fosse in grado di ottenere un impiego dopo la laurea, lo stato pagherebbe lo stipendio medio della professione, come se fosse stato impiegato, fino a quando non si trovasse un impiego.
12. Una parte di ogni vendita di petrolio libica è stata accreditata direttamente sui conti correnti di tutti i cittadini libici.
13. Una madre che ha dato alla luce un figlio ha ricevuto 3447 sterline.
14. 40 pagnotte di pane in Libia costavano 0.10 sterline. DIECI PENCE!!!
15. Il 25 per cento dei libici ora ha una laurea universitaria.
16. Gheddafi ha realizzato il più grande progetto di irrigazione del mondo, noto come progetto Great Manmade River, per rendere l'acqua facilmente disponibile in tutto il paese deserto.
Gheddafi ha scritto: "Vogliono fare alla Libia quello che hanno fatto all'Iraq e quello che vogliono fare all'Iran. Vogliono riprendersi il petrolio, nazionalizzato dalle rivoluzioni di questi paesi. Vogliono ristabilire basi militari chiuse dalle rivoluzioni e installare regimi clientelari che subordineranno la ricchezza e il lavoro del paese agli interessi aziendali imperialisti. Tutto il resto sono bugie e inganno. ”
http://www.mintpressnews.com/sex-slaver ... ../227478/
http://ireport.cnn.com/docs/DOC-884508
http://www.globalresearch.ca/hillary-cl ... ../5502444
https://sarahabed.com/.../21/the-us-cru ... democracy/
Quante menzogne che scrivete:
https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_gue ... e_in_Libia
https://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_g ... e_in_Libia
Il terrorismo libico e la risposta di Reagan
L'attentato alla discoteca di Berlino e il bombardamento americano sul suolo libico nel 1986
11 giugno 2009
https://www.corriere.it/politica/09_giu ... aabc.shtml
MILANO - «Qual è la differenza tra le azioni di Bin Laden e l'attacco contro la Libia di Reagan nel 1986? Non era terrorismo quello?», ha dichiarato il leader libico Muammar Gheddafi nel suo discorso a Palazzo Giustiniani. Ma cosa successe nel 1986? Perché gli Usa cercarono di uccidere Gheddafi?
LA STORIA - Per capire la catena di eventi che portò l'allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan ad ordinare un attacco contro il leader libico, bisogna partire dal 5 aprile 1986, quando agenti dei servizi segreti libici realizzarono un attentato alla discoteca «La Belle» di Berlino, piena zeppa di militari americani in libera uscita. Morirono 3 persone ed altre 250 rimasero ferite.
Gli Stati Uniti da quel momento individuarono lo Stato libico come uno stato terrorista. La risposta americana non si fece attendere. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1986, aerei americani bombardarono la Libia, provocando la morte di una ventina di persone tra cui anche quella di una bambina, la figlia adottiva di Gheddafi. Quest'ultimo, probabile bersaglio del raid, rimase miracolosamente illeso. Per ritorsione il Colonnello ordinò il lancio di due missili Scud contro una stazione radio Usa a Lampedusa. I missili non colpirono il bersaglio. Ma questo fatto aumento la tensione tra l'Occidente e la Libia.
L'attacco americano non frenò però la politica «terrorista» della Libia. Il 21 dicembre 1988 il volo PanAm da Londra a New York esplode, a causa di una bomba, sulla cittadina scozzese di Lockerbie. Nell'attentato morirono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie. Due uomini, accusati di appartenere ai servizi segreti libici, furono individuati come i presunti responsabili. Abdelbaset ali Mohamed al-Megrahi fu condannato all'ergastolo nel gennaio 2001 dopo un processo di 84 giorni presso una corte scozzese, mentre Al Amin Khalifa Fhimah fu assolto. La Libia fu accusata anche per aver compiuto un attentato il 19 settembre 1989 al volo della compagnia francese «Uta» partito da Parigi per Brazzaville, esploso per una bomba a bordo, in cui morirono 170 persone, tra cui 9 italiani.
La possibilità di tenere il processo di Lockerbie fu dovuta alla decisione della Libia di cambiare atteggiamento nei confronti della comunità internazionale. Nel 1999 Tripoli consegna infatti i sospettati di Lockerbie e l'Onu sospende le sanzioni che colpivano il Paese. Le sanzioni furono definitivamente revocate nel luglio 2003 in seguito ad un accordo fra Usa, Gran Bretagna e Libia. Quest'ultima accetta di pagare 2,7 miliardi di dollari alle famiglie delle vittime di Lockerbie e rinuncia al terrorismo come strumento di lotta politica. Nello stesso anno Tripoli risarcirà anche le vittime della discoteca «la Belle» di Berlino, rinunciando anche al tentativo di costruire armi nucleari.
Ricorda 2011: Primavera araba libica e caduta di Gheddafi
Lo Spiegone
Enrico La Forgia
24 agosto 2021
https://lospiegone.com/2021/08/24/ricor ... -gheddafi/
Nel febbraio 2011, durante le prime fasi delle proteste, poi evolutesi in insurrezioni, che coinvolsero diversi Paesi della regione e furono soprannominate “Primavere arabe”, il popolo libico diede voce al proprio malcontento. Quelle che iniziarono a Bengasi come proteste contro il sistema corrotto, inefficiente e repressivo orchestrato da Mu’ammar Gheddafi, sfociarono ben presto in una guerra civile.
Le conseguenze del conflitto, durato fino a ottobre 2011, caratterizzano lo scenario libico ancora oggi ed è per questo che è importante ricordare quella che fu accolta da molti come la possibilità di una democratizzazione del Paese, ma che si rivelò la prima fase di un conflitto durato dieci anni.
Le prime proteste a Bengasi e la repressione di Gheddafi
Il 16 febbraio, a poco più di un mese dall’immolazione di Mohamed Bouazizi (il pescatore tunisino che si diede fuoco in segno di protesta per le condizioni socio-economiche del Paese), alcune famiglie di Bengasi scesero in piazza chiedendo il rilascio di Fetih Tarbel. Quest’ultimo, avvocato e attivista, era coordinatore di un movimento che chiedeva verità e giustizia per delle esecuzioni avvenute in un carcere libico nel 1996, il “massacro di Abu Selim”.
Al rifiuto di disperdersi dei manifestanti, le forze di polizia intervennero in maniera violenta, causando trentotto feriti. Tuttavia, il risultato ottenuto fu totalmente l’opposto di quello sperato e le strade della città cirenaica si riempirono di manifestanti intenzionati a mostrare la loro rabbia nei confronti del regime del raìs.
Così, il 17 febbraio, grazie anche all’uso di Internet e social network, venne indetta la “Giornata della collera” e numerose manifestazioni furono organizzate in diverse città della Libia orientale, soprattutto a Bengasi e Beida. Preoccupato dalle possibili conseguenze delle proteste, che nei Paesi confinanti, Tunisia ed Egitto, avevano già portato al rovesciamento dei regimi al potere, Gheddafi decise di dispiegare le forze armate nelle città coinvolte. Il bilancio fu di quindici morti, ma le proteste non accennarono a fermarsi e, anzi, dilagarono nel resto della regione. Nonostante l’utilizzo delle forze armate, Beida, Bengasi, Derna e altri centri abitati caddero rapidamente sotto il controllo degli insorti, mentre membri dell’esercito e della politica iniziarono a disertare dalle fila del regime, sostenendo l’inutilità di tale violenza contro il loro stesso popolo.
L’insurrezione a Tripoli e l’inizio della prima guerra civile libica
Dopo cinque giorni di proteste e scontri in Cirenaica, l’insurrezione raggiunse anche Tripoli, capitale della Libia e storicamente centro del potere di Gheddafi. Ebbe inizio così la prima guerra civile libica. Infatti, la spaccatura in seno alle istituzioni politiche e militari del Paese pareva ormai insanabile. Parte delle forze armate disertanti l’esercito del regime si schierò al fianco dei rivoltosi, dando inizio a violenti scontri a fuoco con le forze fedeli al dittatore libico, in quel momento ancora in controllo della città.
Constatato l’inizio dell’insurrezione anche nella capitale e preoccupato dalla perdita di elementi preziosi nei propri ranghi, Gheddafi ricorse all’aviazione militare pur di reprimere la rivolta. Nella sola Tripoli, i jet militari causarono all’incirca duecentocinquanta vittime. La brutalità di tale azione costò al raìs il sostegno dei suoi stessi rappresentanti alle Nazioni Unite, che accusarono il dittatore di genocidio e invocarono l’intervento della comunità internazionale. Tra il 22 e il 24 febbraio caddero in mano agli insorti anche diverse città del Fezzan e della Tripolitania. Misurata, città a pochi chilometri da Tripoli e snodo fondamentale per le infrastrutture del Paese, venne messa sotto assedio dalle forze ribelli, ormai dotate di armi e mezzi militari, ottenuti grazie al sostegno di parte delle forze armate, ma anche dei servizi segreti delle maggiori potenze occidentali (Stati Uniti, Regno Unito e Francia in primis).
La caduta in mano ribelle di importanti città e l’allargamento dell’insurrezione a tutta la nazione rappresentarono un punto di svolta nella storia del conflitto. Il 24 febbraio, infatti, nella città di Beida, ex ufficiali e politici del regime si riunirono per la prima volta fondando il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), autorità a capo delle forze rivoltose. Pochi giorni dopo la fondazione del CNT, Gheddafi apparì in pubblico per la prima volta dall’inizio della guerra civile, con un discorso che preannunciava un intervento ancora più deciso e violento:
«Chi attacca la costituzione merita la pena di morte. La meritano tutti coloro che cercano attraverso la forza o attraverso qualsiasi mezzo illegale di cambiare la forma di governo. Non ho dato l’ordine di sparare sulla gente, ma se sarà necessario lo farò e bruceremo tutto».
Successivamente, nel tentativo di riguadagnare supporto, Gheddafi diede la colpa della rivolta ai servizi segreti delle potenze occidentali e ad al-Qaeda nel Maghreb. Tali accuse, usate per “inaugurare” la feroce controffensiva del regime, che per alcune settimane respinse le forze ribelli fino alla Cirenaica, rappresentarono un punto di non ritorno nelle relazioni tra i libici e Gheddafi. Quest’ultimo, infatti, declinò l’offerta di abbandonare il Paese e di non venir processato in cambio della fine del regime, pervenutagli proprio dagli insorti l’8 marzo. Pochi giorni dopo, la comunità internazionale ruppe il silenzio e Gheddafi parve avere i giorni contati, pur non rassegnandosi.
L’intervento delle Nazioni Unite e l’inizio della fine
Il 17 marzo, a fronte della sempre più brutale controffensiva gheddafiana, le Nazioni Unite dichiararono una no-fly zone sui cieli della Libia (risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite). Due giorni dopo, alcuni Paesi favorevoli all’intervento iniziarono, separatamente, le operazioni militari atte a far rispettare la no-fly zone (bombardamento di obiettivi strategici militari e abbattimento dei velivoli da guerra del regime). Il 25 marzo, le operazioni militari delle potenze occidentali verrano unite in “Unified Protector”, missione sotto egida NATO.
Nei mesi successivi, le operazioni militari dei Paesi occidentali impedirono l’entrata in Libia di armi (embargo implementato da navi da guerra nei maggiori porti libici) e mercenari, soprattutto sudanesi e malesi, largamente utilizzati da Gheddafi. Tali operazioni favorirono le truppe ribelli, che durante l’estate riuscirono a respingere una seconda controffensiva dei lealisti e a conquistare Tripoli, forzando Gheddafi a nascondersi a Sirte, sua città natale.
Ad agosto, le forze ribelli erano ormai in controllo di tutta la Libia, fatta eccezione per alcune aree di Sirte e Bani Walid, storicamente leali a Gheddafi. Il 16 settembre, la bandiera del CNT sventolava sul palazzo del governo di Sirte, mentre Bani Walid cadde a ottobre. La conquista delle ultime città lealiste comportò, però, un’ondata di violenze generalizzate e diffuse: i ribelli, memori delle brutalità perpetrate dai mercenari sudanesi e subsahariani ingaggiati da Gheddafi nella prima parte del conflitto, giustiziarono tutti gli stranieri accusati di essere al soldo del regime, mentre le donne di origine subsahariana furono stuprate e torturate.
La morte di Gheddafi e la fine di quarantadue anni di regime
Il 21 ottobre, le ultime sacche di resistenza nella città di Sirte furono sconfitte. Gheddafi, che si era rifugiato nella città ad agosto, dopo la caduta di Tripoli, tentò di guadagnare il deserto con la sua scorta, nella speranza di continuare la lotta. Sbaragliati i posti di blocco dei ribelli, il convoglio fu intercettato e attaccato dall’aeronautica francese. Pochi minuti dopo, miliziani del CNT giunsero sul posto, catturando Gheddafi e uccidendolo brutalmente.
Il corpo, prima di venire seppellito in una località ignota, fu esposto in pubblico. Le violenze e le brutalità commesse dai miliziani ribelli, facenti parte di tribù con interessi diversi e spesso in competizione tra loro, preannunciarono le violenze degli anni seguenti: il CNT non fu mai in grado di evitare la formazione di nuove milizie a base tribale, pronte a combattersi tra di loro per terreni e risorse. L’Occidente, temendo una situazione simile a quella in Iraq, maturata dopo l’intervento del 2003, rifiutò di esercitare il ruolo del “gendarme” schierando forze di terra sul territorio. Come risultato di un processo di democratizzazione lasciato in balia degli interessi di clan e milizie, nel 2014 scoppiò la seconda guerra civile libica, che vide lo scontro tra le forze di Serraj e quelle di Haftar per ben sei anni. Ancora oggi, il futuro della Libia appare poco chiaro, nuove tensioni potrebbero sfociare in conflitto da un momento all’altro.
Fonti e approfondimenti
Beaumont, Peter, “‘War weary’ Libya reflects ten years on from Gaddafi and Arab spring”, The Guardian, 26/4/2021.
Boduszyński, Mieczystaw, e Duncan Pickard. 2013. “Tracking the ‘Arab Spring’: Libya Starts from Scratch”. Journal of Democracy. 24(4): 86-96.
Erdag, Ramazan. 2017. “Libya in the Arab Spring. From Revolution to Insecurity”. Palgrave Macmillan.
Editing a cura di Niki Figus
L’estremismo islamico in Libia ai tempi di Gheddafi
Mauro Indelicato
22 Maggio 2020
https://it.insideover.com/terrorismo/l- ... ddafi.html
L’estremismo islamico in Libia è ancora oggi un fenomeno molto presente e che incide in diverse regioni. Ma le sue radici affondano tra gli anni Ottanta e Novanta, quando i gruppi jihadisti hanno iniziato a radicarsi bene sul territorio sopratutto nell’est del Paese nordafricano. Ben presto i gruppi islamisti sono diventati i principali avversari del rais Muammar Gheddafi, il quale poi a metà degli anni Novanta ha lanciato una dura repressione.
Il fondamentalismo islamico in Cirenaica
L’ascesa del fondamentalismo islamico in Libia è possibile riscontrarla soprattutto in Cirenaica. Qui diversi gruppi sono riusciti a fare breccia, sulla scia della diffusione delle idee più radicali che a fine anni Ottanta imperversava in tutto il mondo islamico. Sono due le principali ragioni per le quali il fondamentalismo ha messo radici in Cirenaica. La prima è di natura geografica: la regione dell’est della Libia ha subito le influenze dal vicino Sudan, lì dove i gruppi jihadisti iniziavano ad operare e ad essere molto attivi. In secondo luogo, la Cirenaica ha sempre rappresentato una spina nel fianco per Gheddafi, al potere dal 1969 ed accusato dalle tribù di questo territorio di privilegiare la Tripolitania.
Il sistema sociale libico è infatti molto caratterizzato dall’importanza delle tribù, al cui interno l’interesse familiare ha sempre prevalso su quello nazionale. Secondo diversi gruppi tribali della Cirenaica, Gheddafi ha distribuito le ricchezze prevalentemente in Tripolitania, tralasciando invece l’altra storica regione libica. Nell’est del Paese si viveva dunque con un forte senso di insofferenza nei confronti del potere gheddafiano. L’estremismo islamico in tal senso ha quindi rappresentato un appoggio per andare contro il rais. E le idee radicali hanno quindi iniziato a diffondersi, soprattutto negli ambienti più ostili a Gheddafi.
Per avere un’idea del dilagare dal fondamentalismo islamico in Cirenaica, basti pensare che tra gli anni Novanta e il 2000 un miliziano di Al Qaeda su cinque operante in Iraq era di origine libica e, in particolare, proveniente dall’est del Paese. La città di Derna è quella che storicamente in assoluto ha sempre fornito un gran numero di foreign fighter alla causa islamica. Le scuole terroristiche in Cirenaica sono divenute tra le più importanti ed al contempo pericolose di tutto il medio oriente.
La posizione di Gheddafi contro il fondamentalismo
Gheddafi è salito al potere nel 1969 portando avanti ideali nasseriani, figli del panarabismo socialista che in quegli anni ha instaurato diverse nuove repubbliche in nord Africa ed in medio oriente. L’idea di società del rais, illustrata nel suo Libro Verde del 1977, appare laica e con diversi richiami alla “democrazia delle masse”. Ma in questa visione, c’è anche spazio per un importante ruolo dell’Islam. Gheddafi non ha mai nascosto la portata centrale della religione musulmana nel suo progetto di unificazione del mondo arabo. Tanto è vero che nel 1992 lo stesso rais ha rivelato di un’offerta da parte di alcuni gruppi fondamentalisti volta a consegnargli il titolo di “califfo”.
Una richiesta da lui rifiutata, ma che fa ben intuire come alcuni tratti della sua ideologia politica, quali l’anticolonialismo ed il ruolo della religione nella società, possano a prima vista sembrare in comune con l’ideale islamista. Tuttavia, la formazione nasseriana di Gheddafi gli ha sempre fatto condannare la linea dei Fratelli Musulmani. Inoltre, in più occasioni ha definito come “folli” coloro che hanno compiuto atti terroristici in nome dell’Islam, come disse in un’intervista a metà degli anni Novanta:
Per loro dovrebbero aprirsi i manicomi e non le galere
Inoltre poi, Gheddafi ha condannato l’idea di portare la jihad in Europa: “Se noi oggi rivendichiamo il diritto di invadere l’Europa – ha dichiarato ancora in un’intervista ad Angelo Del Boca – Allora dobbiamo giustificare i Paesi europei che in passato ci hanno invaso”.
L’integralismo islamico dunque, viene visto da Gheddafi come una minaccia sia per il suo Paese che, più in generale, per l’interpretazione e l’immagine dell’Islam. Di conseguenza, il rais nei gruppi fondamentalisti vede un nemico da combattere.
La repressione di Gheddafi
Nell’ottica del colonnello, però, ad emergere è soprattutto il fatto che in quel frangente storico i movimenti islamisti costituiscono la vera unica opposizione al suo potere. Dunque, l’obiettivo a quel punto diventa quello di stanare quanto prima ogni recrudescenza del fenomeno. Per questo vengono inviati in Cirenaica reparti speciali e forze di sicurezza, il cui intento è quello di individuare e sgominare le varie cellule terroristiche insediate nell’est del Paese.
Si è scatenata a tutti gli effetti una guerra a bassa intensità, in cui settimana dopo settimana decine di terroristi sono stati arrestati oppure uccisi dai blitz delle forze di sicurezza. Epicentro delle operazioni era ovviamente la Cirenaica: qui ad operare erano anche alte sfere del gruppo terroristico Al Qaeda, il cui fondatore Osama Bin Laden ha operato dal vicino Sudan. Molti prigionieri sono stati trasferiti all’interno delle carceri di massima sicurezza, tra cui quello tripolino di Abu Salim. Qui il 29 giugno del 1996 almeno 1.270 prigionieri sono stati uccisi, forse a causa di una rivolta sedata dalle forze di sicurezza oppure, come hanno in seguito accusato alcune associazioni internazionali, per via di un’azione di forza del governo. Molte di quelle vittime provenivano da Bengasi, tra di loro anche gente che aveva combattuto in Afghanistan tra le fila degli islamisti. La vicenda del carcere di Abu Salim è spesso stata vista come un conto in sospeso tra i gruppi radicali ed il potere gheddafiano.
Le azioni di repressione a danno degli islamisti sono andate avanti soprattutto tra il 1993 ed il 1998. Agli inizi degli anni 2000 l’integralismo islamico, secondo le autorità tripoline di allora, non era più considerabile una minaccia per il Paese.
Il mandato di cattura contro Bin Laden del 1998
A conferma della forte azione repressiva contro i gruppi jihadisti, vi è anche l’episodio del 16 marzo 1998: quel giorno il governo di Tripoli ha infatti emesso un mandato di cattura internazionale per Osama Bin Laden. Nonostante il fondatore di Al Qaeda fosse già ben noto alle cronache e conosciuto quale personaggio più pericoloso del fondamentalismo islamico, il mandato di cattura emanato dalla Libia di Gheddafi è stato il primo trasmesso all’interpol. Bin Laden in Libia era ricercato già dal 1996 per l’uccisione di Silvan Becker, agente dei servizi segreti interni tedeschi, e della moglie. I due erano stati uccisi da una mano islamista nel marzo del 1994 proprio nel Paese nordafricano.
Il rais è stato quindi il primo a rendere esplicita la minaccia internazionale rappresentata da Al Qaeda e da Bin Laden. Pochi mesi dopo l’emanazione del mandato di cattura, l’organizzazione terroristica si renderà protagonista dell’attentato contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar Es Salam, avvenuto il 7 agosto 1998. Ed il 20 agosto successivo, l’amministrazione Clinton avvierà un raid contro Bin Laden in Sudan ed Afghanistan. Tripoli e Washington si sono dunque clamorosamente ritrovate, dopo anni di scontri politici, sulla stessa posizione. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, organizzati proprio da Bin Laden ed Al Qaeda, la Libia ha espresso la sua solidarietà agli Usa ed ha dichiarato di avere tra i propri obiettivi la lotta al terrorismo. Circostanza quest’ultima che ha contribuito nel 2004 alla fine delle sanzioni economiche contro Tripoli, inflitte sul finire degli anni ’80.
La situazione negli anni successivi allo contro
L’estremismo islamico in Cirenaica ha perso forza dopo la repressione di Gheddafi, ma non è mai sparito del tutto. A testimoniarlo è l’episodio del gennaio del 2006, quando un gruppo di manifestanti ha assaltato il consolato italiano di Bengasi a seguito dell’esposizione, da parte dell’allora ministro Roberto Calderoli, di alcune vignette ritenute blasfeme contro l’Islam. Il fatto che l’episodio sia accaduto nel capoluogo della Cirenaica è emblematico di come le idee islamiste in questa parte del Paese erano ancora ben radicate.
Non è un caso che le prime rivolte anti Gheddafi del 2011, che hanno portato poi al rovesciamento del potere del rais, siano scoppiate proprio nella parte orientale della Libia. E fazioni islamiste si sono subito inserite nei disordini, radicandosi ulteriormente in tutta la Cirenaica. A Bengasi sono sorte formazioni quali ad esempio Ansar Al Sharia, responsabile dell’uccisione dell’ambasciatore Usa in Libia l’11 settembre 2012. La stessa Bengasi, così come Derna, sono state per diversi anni occupate da estremisti il cui intento era quello di instaurare degli emirati islamici.
Oggi la regione è quasi interamente controllata dalle truppe del generale Haftar, ma gruppi terroristici sia legati ad Al Qaeda che all’Isis sono segnalati ancora molto attivi.