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Quelli che amano la Russia di Putin, il suo nazionalismo imperialista, cristiano e autocratico
Noi stiamo con la Russia di Putin
https://www.facebook.com/groups/1761482714098169
Un punto di vista sinistrato
L’internazionale identitaria, dal Congresso della famiglia a Gianluca Savoini
Il fronte culturale
Chi sono i protagonisti della rete che dall'estrema destra tradizionale si sviluppa fino al mondo pro-family. Fino alla Lega di Matteo Salvini
Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino
https://irpimedia.irpi.eu/operazionemat ... culturale/
L’estrema destra europea, ma anche quella globale, ha trovato negli ultimi anni una formula estremamente efficace per rinnovare il suo linguaggio e “vestire di nuovo” i vecchi concetti di nazionalismo e razzismo: l’ideologia identitaria, ispirata, ma non direttamente promossa, proprio da Putin e dalla Russia odierna. In passato il consenso a questa fazione politica è stato marginale alle urne, invece negli ultimi anni, i partiti che hanno adottato questa retorica sono cresciuti enormemente.
In Italia la testimonianza è la Lega di Matteo Salvini, partito che a partire dal 2015 ha cambiato pelle, staccandosi dalle logiche nordiste dell’epoca di Umberto Bossi, per cercare invece nella dinamica “identitario” contro “globale”, in particolare attraverso la presunta lotta all’immigrazione di massa, la sua nuova cifra.
L’internazionale sovranista è un pacchetto ideologico, quasi un franchise della politica, che i partiti possono adottare a loro piacimento. La Russia di Putin ne è riferimento culturale per via della linea dura in politica estera, della difesa dei valori tradizionali, della reputazione di forza autocratica che gode di enorme consenso popolare.
I partiti di estrema destra che hanno seguito le strategie identitarie hanno guadagnato il consenso di vecchi “moderati” spaventati da migranti e minoranze che pretendono il riconoscimento dei loro diritti civili e hanno ridato linfa in questo modo al vecchio nazionalismo.
In questa trasformazione le idee di estrema destra hanno assunto delle caratteristiche che le fanno sembrare più moderate e accettabili, quando al contrario sono fedeli alla linea e all’idea politica che le ha generate inizialmente, come in una forma di infiltrazione culturale che pesca in egual misura tra anti-globalisti a destra e sinistra. Il cavallo di Troia con cui penetrare lo schieramento della destra liberale sono stati i movimenti pro-life, che già al loro interno contenevano entrambe le anime, cristiano-democratica e tradizionalista.
Cristianesimo tradizionalista
I tradizionalisti cattolici sono una corrente minoritaria che contesta la modernizzazione dell’istituzione ecclesiastica a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965). Ha rappresentanti all’interno delle stessa Chiesa e propone un ritorno a un cattolicesimo meno «terreno», meno «ecumenico», meno «soggettivista» (e di contro più «comunitario») e meno dialogante con gli altri culti.
L’eccessiva libertà, secondo i tradizionalisti, ha cominciato a inquinare la fede, portando a imbarbarimenti, crisi d’identità, eccessivo individualismo. Un esempio di dottrina anti-modernista è quella professata dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel 1970 dall’arcivescovo cattolico Marcel François Lefebvre. Scomunicato nel 1988 da Papa Giovanni Paolo II, ha partecipato a Cité Catholique, movimento tradizionalista e antimarxista di cui hanno fatto parte monarchici e nazionalisti francesi.
La Fraternità è intitolata a Papa Pio X in quanto autore della lettera apostolica Il nostro mandato apostolico in cui si legge: «I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti». I lefebvriani sono fra le voci più critiche al papato di Francesco, mentre hanno avuto molte affinità con la visione teologica di Benedetto XVI.
Riabilitati nel 2009, in termini di diritti civili sono contro l’aborto, i matrimoni omosessuali e ogni visione della famiglia “laica”. Sul piano politico, hanno da sempre avuto credenti vicini all’estrema destra. Nel 2013 sono stati gli unici a voler celebrare il funerale di Erich Priebke, ex SS morto a Roma. In un’intervista rilasciata al sito di notizie della Fraternità, a settembre 2019, il presbitero generale, don Davide Pagliarini, afferma: «L’impressione che molti cattolici hanno attualmente è quella di una Chiesa sull’orlo di una nuova catastrofe». Aggiunge: «Amoris Laetitia [esortazione apostolica sull’amore nella famiglia di Papa Francesco, ndr] rappresenta, nella storia della Chiesa di questi ultimi anni, quello che Hiroshima e Nagasaki rappresentano per la storia del Giappone moderno: umanamente parlando, i danni sono irreparabili».
Tra i movimenti pro-life mondiali, i più importanti sono quelli di base in Russia e Stati Uniti. La loro collaborazione va oltre la semplice condivisione dell’idea di famiglia già dal crepuscolo della Guerra fredda. Era l’ottobre 1974, quando il dissidente politico Aleksandr Ogorodnikov ha fondato Christian Seminar, un movimento cristiano che cercava di ravvivare la fiamma della fede nell’atea Unione sovietica.
Il Comitato permanente sull’intelligence della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti nel 1980 scrive che in due anni il movimento è arrivato ad avere oltre 2 mila militanti e nel 1978 Ogorodnikov è finito in carcere per «parassitismo». Nelle sue dissertazioni sul rapporto tra politica e religione, Ogorodnikov citava i sermoni di Billy Graham, il pastore battista americano che per primo, in piena Guerra fredda, si è recato in Russia. Il figlio Franklin è membro dal 2016 dell’Evangelical Executive Advisory Board, un comitato di consulenti che ha l’obiettivo di «aiutare Mr Trump su temi importanti come gli evangelici e le persone di fede in America».
Alle accuse provenienti da diverse associazioni, che sostengono che tale comitato violi le leggi federali della suddivisione tra Stato e Chiesa, gli stessi membri rispondono seraficamente che in fondo il Board, formalmente, non esiste. Eppure Graham nel 2019 ha incontrato il presidente della Duma Vyacheslav Volodin, sotto sanzione negli Stati Uniti dal 2014, in un incontro ufficiale caldeggiato da uomini dell’amministrazione Trump allo scopo di discutere le relazioni bilaterali tra i due Paesi.
Tracce dello stesso slittamento della religione nella sfera politica si trovano anche in Russia.
Il 4 marzo Vladimir Putin con un colpo di mano ha fatto approvare alla Duma una nuova Costituzione che potrà mantenerlo al potere fino al 2036. Nel suo discorso di preambolo alla votazione, Putin ha messo in discussione il principio di laicità dello Stato: «La Federazione russa, unita da una storia millenaria, preservando la memoria degli antenati che ci hanno trasmesso ideali e fede in Dio, così come la continuità nello sviluppo dello stato russo, riconosce l’unità statale stabilita storicamente».
Per lo Stato c’è solo la fede in Dio. Questa posizione istituzionale è frutto della vicinanza dell’arcivescovo di Mosca Kirill I al presidente russo. È la guida spirituale che invocano i più tradizionalisti al posto del “modernista” Francesco, il punto di riferimento di una teoria che secondo cui Mosca è la terza Roma, quella che non cadrà mai. Non farà la stessa fine di Roma e Costantinopoli, le due capitali della cristianità d’Occidente e d’Oriente. Parola di Filofej, monaco del XVI secolo che per primo coniò questa formula.
Sembrano nozioni di storia, invece sono dottrina politica.
Mentre Putin il 6 gennaio, giorno del Natale ortodosso, andava in visita a Damasco ad annunciare ai suoi leali alleati che la capitale della Siria rifiorirà, la Chiesa di Mosca tagliava i ponti con i patriarcati di Alessandria d’Egitto e Costantinopoli, rei di aver riconosciuto alla Chiesa ucraina, un tempo sotto la Russia, una sua indipendenza (autocefalia).
Chiesa e Stato sono strumenti della stessa entità superiore: la Grande Russia. Diversi entrambi dalle loro reciproche espressioni in Oriente e Occidente, sono una forza terza, indipendente, che sta facendo proseliti sia sul fronte politico, sia su quello spirituale. È il sogno del Movimento Internazionale Eurasiatista, forza politica fondata da Dugin.
Torniamo alle alleanze dei movimenti religiosi tra Russia e Stati Uniti.
Il terreno comune è la difesa delle famiglie tradizionali, baluardo contro ciò che non è conforme alla parola di Dio. La causa in cui si riconoscono è quella della “vita”: famiglie numerose, no aborto, no unioni omosessuali, no emancipazioni che infrangono le secolari regole della società. Anche nel caso dei movimenti pro-life i pilastri sono in Russia e negli Stati Uniti. L’architrave che reggono è l’Organizzazione mondiale delle famiglie (Iof), sigla che tiene insieme formazioni simili in tutto il mondo. Ogni anno la Iof presiede il Congresso mondiale delle famiglie (Wcf), che nel marzo 2019 si è tenuto a Verona.
Presidente di Iof è Brian Brown, tessitore delle relazioni tra politica e mondo pro-life. Grande sostenitore di Donald Trump, l’attivista ha raccolto attraverso la piattaforma americana ActNow.com oltre 7 milioni di dollari da destinare alle politiche dei conservatori. La sua rete diplomatica si modella sull’esempio di personaggi a cavallo tra chiesa e politica. Insieme a Billy Graham, il pioniere è l’ex candidato alle primarie repubblicane nel 2012 Newt Gingrich, la cui moglie Callista, dal 2017 è ambasciatrice Usa in Vaticano.
Le accuse di finanziamenti russi ai partiti identitari
Francia
L’allora Front National, partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen, nel 2014 ha ottenuto un prestito da una banca russa.
Ungheria
Nel 2017 viene assunto a lavorare per il governo il lobbista tedesco Klaus Mangold, “Mr Russia” per i media di Germania e Ungheria. Secondo quanto emerge nei Panama Papers, ha una società nell’Isola di Man insieme all’oligarca Boris Abesirov Berezovsky.
Austria
L’Fpo, partito alleato della Lega, nel 2017 ha firmato un contratto con Russia Unita, il partito di Putin, simile a quello firmato dal partito di Matteo Salvini. In Austria a maggio 2019 l’Fpo è finita coinvolta in un quello che è stato definito lo “scandalo Ibiza”: due politici di primo piano in un video girato nell’isola spagnola hanno accettato la proposta di una finta donna d’affari russa che diceva di essere figlia di un potente oligarca per sostenere il partito.
Tra i finanziatori del mondo pro-life in Russia ci sono oligarchi che troviamo nell’entourage di Putin riconducibili al sistema della “lavatrice”.
Il nome più importante è quello di Vladimir Yakunin, ex membro del Kgb, ex presidente delle ferrovie russe, cofondatore del Dialogue of Civilization (Doc) di Ruben Vardanyan è finanziatore e membro del Comitato di sorveglianza. Sua moglie Natalia Yakunina è uno dei trustee dell’organizzazione internazionale. Yakunin oggi è sotto sanzioni in Europa e Stati Uniti per il suo ruolo di finanziatore dei separatisti filorussi in Ucraina. È ritenuto molto vicino al presidente Putin.
Nel 2014 il Wcf doveva svolgersi a Mosca, ma sono sopraggiunte le sanzioni per la Crimea a rendere impossibile sia finanziare che partecipare all’iniziativa per i cittadini statunitensi. L’evento si è svolto ugualmente proprio grazie al patrocinio di alcuni personaggi di spicco come Yakunin e Konstantin Malofeev, all’epoca ritenuto astro nascente degli oligarchi vicini alla Chiesa ortodossa di Mosca.
Intorno al mondo pro-vita ci sono organizzazioni che più stabilmente cercano di influenzare la politica e non solo con il denaro. Non sono sigle molto note, eppure innervano le principali battaglie pro-life che si consumano nei Parlamenti di tutto il mondo
Filantropo e imprenditore, Malofeev dal 2014 non può più entrare in area Schengen in quanto finanziatore dei filo separatisti russi in Crimea. È proprietario di una “televisione patriottica”, Tsargad TV, di cui Aleksandr Dugin è commentatore di punta. Tra le amicizie di Malofeev ci sono Matteo Salvini e soprattutto Gianluca Savoini, ex portavoce del leader della Lega, strettissimo collaboratore che ha permesso di allacciare rapporti con il mondo degli uomini d’affari vicini a Putin.
Con l’Associazione culturale Lombardia-Russia e quelle simili disseminate tra il Nord e il Centro Italia, Savoini ha costituito un gruppo d’interesse composto da imprenditori contro le sanzioni alla Russia e desiderosi di fare affari con Mosca. Al momento, Savoini è indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale per l’affaire Metropol: il 18 ottobre 2018 ha contrattato quella che per gli investigatori appare un finanziamento illecito alla Lega da 65 milioni di euro, nascoste in una finta compravendita di petrolio, a cui avrebbero dovuto partecipare Eni e l’azienda russa Rosneft.
L’affaire Metropol
Il 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol di Mosca si svolge una strana trattativa. Da un lato del tavolo, ci sono tre italiani: il leghista Gianluca Savoini, l’avvocato Gianluca Meranda e il suo collaboratore Francesco Vannucci. Dall’altro, tre russi: Andrey Yuryevich Kharchenko e Ilya Andreevich (nessuna relazione con Vladimir), più un terzo uomo, ancora sconosciuto.
Meranda, conclamato passato tra le file della massoneria, rappresenta una banca d’affari inglese, Euro-lb, che poi lo scaricherà. Yakunin è un collaboratore di Vladimir Nicolaevich Pligin, sotto sanzioni a seguito dell’invasione della Crimea: all’epoca era presidente della Duma, il parlamento russo. Ex deputato dal 2003 al 2016, Pligin attualmente ricopre la carica di consigliere del presidente della Duma Viaceslav Volodin e di vice presidente della Commissione per gli affari internazionali nel Consiglio generale del partito di Vladimir Putin, Russia Unita. Kharchenko, invece, è un membro del partito di Aleksandr Dugin.
Secondo l’ipotesi su cui sta indagando la procura di Milano, la trattativa per una presunta partita di petrolio sarebbe stata intavolata allo scopo di far pervenire alla Lega una stecca da 5,5 milioni di dollari, tramite Gianluca Savoini. I nomi dei protagonisti della trattativa emergono dalla registrazione dell’incontro, resa disponibile online dal sito di BuzzFeed, della quale i giornalisti Giovanni Tizian e Stefano Vergine hanno dato conto in una serie di articoli pubblicati da l’Espresso e in un volume dal titolo Il libro nero della Lega. Proprio Stefano Vergine, su richiesta della procura, ha consegnato agli inquirenti il file audio.
Intorno al mondo pro-vita ci sono organizzazioni che più stabilmente cercano di influenzare la politica e non solo con il denaro. Non sono sigle molto note, eppure innervano le principali battaglie pro-life che si consumano nei Parlamenti di tutto il mondo. Scelgono temi, strategie, parole d’ordine.
La Political network of values (Pnv), piattaforma di politici e attivisti che si incontra una volta all’anno per promuovere dibattiti e proposte di legge comuni pro-life. One of Us, altra organizzazione-ombrello in cui si riconoscono tutte le sigle che partecipano alle marce per la vita di tutto il mondo, che si propone come soggetto in grado di produrre proposte di legge, petizioni, campagne da oltre di milioni di sostenitori in tutta Europa. Una in 28 Paesi dell’Unione europea «per la tutela dell’embrione» ha prodotto 1,6 milioni di firme , di cui un terzo raccolte in Italia.
Sul fronte dei contenziosi giudiziari, il movimento conta sull’American center for law and justice (Aclj) e sul suo centro europeo, lo European centre for law and justice (Eclj): le due organizzazioni sfidano Stati membri di Usa e Unione europea alla Corte federale oppure alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
In Italia Gregor Puppinck, avvocato che guida il centro europeo, è colui che ha condotto la battaglia per reintrodurre il crocifisso nelle classi nel 2010 e 2011. Nel nel 2012 è stato scelto da Luca Volonté, allora eurodeputato, per realizzare uno studio sui «prigionieri politici». Quel documento ha permesso la bocciatura in seno al Consiglio d’Europa del rapporto Strasser, documento che avrebbe dovuto indagare sulla detenzione arbitraria degli oppositori politici in Azerbaijan. Questa vicenda ha innescato il caso giudiziario in cui è coinvolto l’allora eurodeputato italiano.
Volontè, che per la Pnv è un consulente storico, è oggi a processo per corruzione internazionale a Milano. In primo grado è stato assolto dall’accusa di riciclaggio ma secondo la procura, la sua fondazione Novae Terrae avrebbe incassato 2 milioni e 390 mila euro da quattro società riconducibili alla famiglia Aliyev, dittatori azeri che avevano tutto l’interesse alla bocciatura (così come poi effettivamente avvenne) del rapporto per evitare sanzioni di tipo economico da parte dell’Ue. Denari che hanno portato Volontè al centro dello scandalo Laundromat.
Presidente e fondatore di entrambi i centri è Jay Alan Sekulow: un nome di primo piano nella destra conservatrice cristiana d’America. Dal 2017 fa parte del team di avvocati del presidente americano Donald Trump, a parcella per gestire il caso Russiagate.
La matrioska
Alexey Komov è ambasciatore all’Onu del Congresso mondiale delle famiglie e al contempo presidente onorario dell’associazione Lombardia-Russia, di cui fanno parte politici della Lega molto vicini a Matteo Salvini, come Gianluca Savoini.
Cerimoniere onnipresente nelle occasioni diplomatiche dell’internazionale identitaria, dal 2013 è presenza fissa anche alle convention della Lega, partito che ha sempre dichiaratamente espresso le sue simpatie per la Russia. È una sorta di assistente di Konstantin Malofeev, oligarca ormai un po’ in disgrazia che sostiene le tesi di Alexander Dugin. Komov è il trait d’union tra universo pro-life e politica, sia in Russia, sia negli Stati Uniti, sia in Italia.
Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino
Embargo alla Russia, il Veneto si ribella: «Zaia tratti con Putin»
Alda Vanzan
6 ottobre 2014
https://www.ilgazzettino.it/nordest/pri ... 26943.html
VENEZIA - La Regione Veneto dichiara "guerra" alle sanzioni che l’Unione europea - e quindi l’Italia - ha inflitto alla Russia di Vladimir Putin. E, autonomamente, si dice pronta a trattare con Mosca per far cessare l’embargo nei confronti dei prodotti veneti. «Per il Veneto l’embargo è una autentica tragedia - dice il governatore Luca Zaia - L’Italia in questo momento guida il semestre europeo ma è completamente assente. Io ho il dovere di difendere i veneti».
Cosa possa produrre l’azione diplomatica di Zaia è tutto da vedere. Il dato di fatto, però, è che la giunta regionale nella seduta di ieri mattina ha approvato all’unanimità una delibera che dà mandato al governatore di "attivare ogni utile azione politico diplomatica" per riaprire le frontiere russe e, dunque, riprendere a esportare a Mosca e dintorni i nostri ortaggi, i nostri formaggi, tutti i prodotti made in Veneto. Va ricordato che il consiglio regionale del Veneto, nella seduta del 17 settembre, aveva approvato un documento - fatto proprio due giorni dopo dalla Conferenza dei presidenti dei consigli regionali d’Italia - in cui si chiedeva di “attivare ogni utile, necessaria azione politico-diplomatica per rimuovere e superare le cause e lo stato di sanzioni e di embargo tra Europa e Russia”. L’appello, però, era rivolto al Governo nazionale, alla Commissione Ue e al Parlamento europeo. Non a Zaia. Ma dall’altra parte del Canal Grande, la giunta ha deciso di affidarsi al governatore.
Ma cosa può fare Zaia? E, soprattutto, può un presidente di Regione dedicarsi alla politica estera? Più specificatamente, questa delibera di giunta è un atto politica estera? «Sì», risponde Zaia. E Federica Mogherrini, che è ministro degli Esteri dell’Italia e Alto rappresentante per la politica estera Ure in pectore, che dice? «Abbiamo il semestre europeo e non se ne è accorto nessuno», è la secca risposta di Zaia. Peraltro, acqua fresca rispetto a quanto dirà più tardi l’assessore Elena Donazzan: «L’inutile Mogherini». Tant’è, il governatore specifica: «Non ho velleità di fare il ministro italiano degli Esteri o il commissario Ue, ma io devo difendere i veneti. la politica estera a una Regione non è vietata. Le sanzioni alla Russia le potevamo evitare». E cita la «sindrome del chihuahua»: «La conoscete: "piccolo piccolo, abbaia tanto, el primo can che passa se eo magna". Ecco, non si dovevano rompere le scatole alla Russia».
Ma mentre l’Avvocatura regionale valuterà di impugnare l’impugnabile (la delibera dà mandato di "esplorare ogni utile percorso finalizzato alla presentazione di un possibile ricorso, sia in sede europea che nazionale, per rimuovere il regime delle sanzioni applicato dall’Ue"), cosa farà Zaia? «Ho ampia delega a trattare anche con l’Ambasciata e il Governo russo per dire che non condividiamo le sanzioni». Ci sono stati contatti, almeno ufficiosi? «Sì, ma non dico con chi». È la prima forma di "indipendenza" del Veneto? Zaia non risponde ma sorride. E comunque, osservano a Palazzo Balbi, se anche non si riuscisse a far togliere l’embargo, questa delibera di giunta equivarrebbe a un credito da vantare nei confronti dei russi.
L’opposizione ci crede poco. «Se Zaia va avanti così saranno lui e soprattutto il Veneto a fare la fine del chihuahua, sbranati dal dobermann tedesco», dice il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Lucio Tiozzo. Che rincara: «Quelle del presidente sono dichiarazioni inaudite: si tratta di una fuga in avanti dal sapore indipendentista ed elettoralistico ma che, in barba al ruolo del governo italiano, dell’Ue, degli accordi e delle relazioni diplomatiche, rischia di isolarci e di far saltare ogni rapporto commerciale con gli altri Paesi. Provocando così un danno pesante all’economia veneta. Penso solo alla reazione negativa della Germania, con la quale intratteniamo rapporti commerciali di importanza cruciale, di fronte a questa mossa folle».
La Regione: «No all’embargo
Il Veneto tratterà con Putin»
Zaia ha avuto il mandato formale da parte della giunta e il sostegno del consiglio Il governo: «Si tratta di pura propaganda, i territori non hanno questo potere»
ottobre 2014
https://corrieredelveneto.corriere.it/r ... 0729.shtml
Zaia ha avuto il mandato formale da parte della giunta e il sostegno del consiglio Il governo: «Si tratta di pura propaganda, i territori non hanno questo potere»
VENEZIA Luca Zaia dice e ripete che diplomazia e indipendenza sono affari molto diversi. Ma, a tutti gli effetti, la decisione assunta (con tanto di documento ufficiale approvato all’unanimità dal governo di palazzo Balbi) di convocare l’avvocatura per ricorrere contro le sanzioni europee alla Russia e provare ad andare a trattare direttamente con il presidente Vladimir Putin per allargare le maglie dell’embargo è un po’ un segnale della voglia della giunta regionale di svincolarsi dalle decisioni di politica estera prese da Roma. «L’embargo russo (deciso in risposta alle sanzioni europee per l’intervento di Mosca in Ucraina, ndr) per noi è una tragedia - è intervenuto Zaia -. E visto che Roma e Bruxelles non fanno niente ho chiesto agli avvocati se ci sono gli estremi per fare ricorso contro l’Europa e sono pronto a trattare con tutti i canali diplomatici possibili direttamente con Putin». E del fatto che la politica estera sia una prerogativa degli Stati Nazione e dell’Unione europea «chissenefrega ».
«L’agroalimentare in Veneto vale sei miliardi di euro e non faccio fatica a quantificare nel cinque-dieci per cento di questa cifra il valore delle merci che vanno in Russia - continua Zaia - Roma e Bruxelles non ci hanno chiesto nulla quando hanno deciso questo embargo inutile che sta riducendo sul lastrico decine di aziende, quindi noi non dobbiamo chiedere nulla a nessuno. Questo è il semestre europeo dell’Italia ma evidentemente Renzi ha barattato l’interesse delle aziende italiane con il posto della Mogherini (Federica, responsabile della politica estera europea, ndr). Siamo di fronte alla sindrome del chihuahua che è piccolo, abbaia tanto, ma, nel confronto fisico, viene subito sbranato ». E anche se in fin dei conti Zaia ha semplicemente adottato la risoluzione del consiglio regionale di qualche giorno fa (il presidente dell’Aula Valdo Ruffato e il presidente della commissione esteri Nereo Laroni hanno dato mandato alla giunta regionale di fare pressioni sugli organi competenti per limitare i danni dell’embargo subiti dal settore agroalimentare veneto), la dichiarazione di voler tentare l’approccio diretto con il governo russo ha fatto saltare sulla sedia i consiglieri regionali dell’opposizione. «Se Zaia va avanti così saranno lui e soprattutto la nostra regione a fare la fine del chihuahua, sbranati dal dobermann tedesco», sbotta il capogruppo del Pd a palazzo Ferro Fini Lucio Tiozzo.
«Sono dichiarazioni inaudite - continua Tiozzo -: si tratta di una fuga in avanti dal sapore indipendentista ed elettoralistico, ma che in barba al ruolo del governo, dell’Ue e degli accordi e delle relazioni diplomatiche, rischia di isolarci e di far saltare ogni rapporto commerciale con gli altri Paesi provocando un danno ben maggiore all’economia veneta ». Ancora più tranciante è la reazione del governo nelle parole del sottosegretario agli affari regionali Gianclaudio Bressa: «Finché Zaia si limita a dire boiate propagandistiche intervenendo su cose che non competono ai presidenti di Regione invece che occuparsi del Veneto non succede nulla. Al massimo possiamo farci due risate amare perché purtroppo Zaia non sta facendo quello di cui il Veneto avrebbe veramente bisogno». Fatto sta che i danni della reazione russa alle sanzioni europee si fanno sentire pesantemente sul settore primario e iniziano a toccare anche le altre aziende trascinate dai risultati dell’agroalimentare. Al momento in appena un mese di blocco delle esportazioni, il solo consorzio del Grana Padano ha perso due milioni di euro a cui si devono aggiungere un’altra decina di milioni dell’ortofrutta. «Zaia fa benissimo a voler trattare con la Federazione russa - conclude il capogruppo della Lega a palazzo Ferro Fini Federico Caner - Visto che Renzi cala le braghe davanti alla Germania, qualcuno deve pur intervenire a difesa dei nostri imprenditori e dei nostri lavoratori ».
Il Veneto ha finalmente dato il suo 'ok' all'annessione della Crimea alla Russia
Giulia Saudelli
https://www.vice.com/it/article/8xjxek/ ... sia-crimea
Il Consigliere Regionale del Veneto Stefano Valdegamberi in posa davanti a un ritratto di Vladimir Putin. (Foto via Facebook)
Da tempo i legami tra il Veneto e la Russia di Putin risultano abbastanza stretti: dalla leggenda che vede il Presidente russo nato in provincia di Vicenza, ai legami con la Federazione rivendicati da una schiera di indipendentisti veneti, dal Veneto Serenissimo Governo alla stessa Lega Nord.
Ma il punto più alto dell'amicizia tra il Veneto e la Russia potrebbe essere stato raggiunto oggi: la regione è infatti la prima in Europa a spingere per il riconoscimento della Crimea come stato autonomo e annesso alla Federazione Russa, seguendo le orme di altri paesi come la Corea del Nord, la Siria e il Venezuela.
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato mercoledì pomeriggio una risoluzione per spingere la Regione a promuovere "il diritto di autodeterminazione della Crimea" e "la costituzione di un comitato contro le sanzioni alla Federazione Russa."
Nel dettaglio, il provvedimento - che vede come primo firmatario il consigliere Stefano Valdegamberi, eletto con la lista Zaia - invita il Governo italiano a condannare le politiche dell'Unione Europea nei confronti della Crimea.
Allo stesso tempo, la mozione chiede di riconoscere il risultato del referendum del 16 marzo 2014 — con cui la popolazione della Crimea ha espresso la volontà di costituirsi come soggetto federale della Federazione Russia, ma il cui esito è considerato illegittimo, tra gli altri, dall'OSCE e dagli stati del G7.
Il voto in Veneto ha suscitato l'attenzione di diverse testate giornalistiche russe, come l'agenzia governativa Tass, e secondo alcuni giornalisti presenti sul posto, alcune troupe televisive russe hanno addirittura assistito al dibattito del Consiglio Regionale sulla risoluzione.
Prima troupe russa in consiglio regionale del — Angela Pederiva (@AngelaPederiva)17 maggio 2016
Secondo quanto si legge nel documento, i promotori sostengono che l'Italia e l'Unione Europea abbiano violato il diritto all'autodeterminazione della Crimea, e che abbiano adottato "due pesi e due misure" tra la Crimea e altre nazioni che hanno portato avanti istanze simili, a seconda dei loro interessi geopolitici.
Di conseguenza, il Consiglio Regionale del Veneto chiede anche che siano rivisti i rapporti tra l'Unione Europea e la Russia, soprattutto per quanto riguarda le sanzioni economiche applicate dai paesi occidentali alla Federazione Russa in seguito all'annessione della Crimea.
In particolare, vengono contestati i danni economici riportati dall'Italia a causa delle sanzioni contro la Russia e il conseguente embargo russo sui prodotti occidentali. Citando i dati della CGIA di Mestre, la risoluzione parla di una riduzione dell'export italiano da 10,7 miliardi di euro nel 2013 a 7,1 miliardi nel 2015, un calo del 34 per cento.
"È giunto il momento di dire basta alle assurde, ingiuste e inefficaci sanzioni a cui Mosca ha reagito con un embargo che sta provocando danni gravissimi all'economia veneta," ha detto il promotore della risoluzione Stefano Valdegamberi.
"La questione della Crimea, poi, è paradossale: l'Europa per la prima volta nega il diritto di autodeterminazione a un Paese la cui storia e cultura è da sempre legata alla Russia."
Di diverso avviso ovviamente è l'Ucraina, che tramite il suo ambasciatore in Italia Yevhen Perelygin ha espresso il suo disappunto. "Dovrei ricordare all'autore della Risoluzione che la Crimea è parte integrante del territorio dell'Ucraina, occupata e annessa due anni fa alla Federazione Russa in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale e degli accordi bilaterali," ha scritto in una lettera indirizzata ai Consiglieri della regione Veneto e pubblicata dal Corriere del Veneto.
"Comprendo le ragioni legittime dei rappresentanti del popolo del Veneto di accrescere gli scambi commerciali della regione, ma, a mio parere personale, una tale Risoluzione provocatoria non contribuirà certo ad aumentare le capacita d'esportazioni delle imprese venete," aggiunge l'ambasciatore.
Un punto di vista dei vari venetisti del venetismo
VENETO SERENISSIMO GOVERNO
Ufficio di Presidenza
Al Presidente Wladimir Putin, al Governo della Federazione Russa e al suo popolo.
Auguro a nome del Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, e mio personale, buone feste; e che nel nuovo anno possiate raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissi.
Il Veneto Serenissimo Governo, come ha ampiamente dimostrato, lotta ed è a fianco di tutti i popoli che si battono per la pace, l'autodeterminazione e la propria dignità; considera la Federazione Russa e il suo Presidente Wladimir Putin un baluardo imprescindibile di questo vasto fronte. Ricordiamo al mondo il destino di Napoleone, Hitler, Mussolini.
Fraterni saluti
Venezia-Longarone, 0 dicembre 2018
Per il Veneto Serenissimo Governo
Il Presidente Luca Peroni
Veneto Serenissimo Governo
segreteriadistato@serenissimogoverno.org, – kancelliere@katamail.com,
Tel. +39 349 1847544 - +39 340 6613027
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Ucraina: venti di guerra
VENETO SERENISSIMO GOVERNO
Ufficio di Presidenza
27 gennaio 2022
Continuano le provocazioni e le sanzioni della NATO e dell'amministrazione Biden contro la Federazione Russa; tutto questo potrebbe sfociare in scontri armati non facilmente controllabili (vedi 1a e 2a guerra mondiale). Non bisogna dimenticare che l'Europa (24/03/1999) manovrata da Clinton assieme al suo zerbino D'Alema ha già aggredito e bombardato un paese europeo: la Serbia e la sua capitale, Belgrado, con migliaia di morti e ingenti distruzioni materiali senza precedenti dal 1946. In questo contesto le nazioni europee si stanno muovendo; il Presidente croato Zoran Milanovic ha affermato che in caso di conflitto ritirerà tutti i soldati croati facenti parte del contingente NATO, in quanto l'Ucraina è un problema di Biden (diciamo noi, e anche di suo figlio) e dei suoi piani espansivi. La stessa Repubblica Federale di Germania ha dichiarato che non invierà nessuno dei suoi soldati in difesa dell'Ucraina. Lo stesso governo ucraino ha affermato che non esiste, in questo momento, nessun pericolo d'invasione da parte della Federazione Russa.
Che fanno i fantasmi di Roma? Sono impegnati a dividersi il governo e il sottogoverno, onde poter spartirsi il bottino accumulato sul sangue e sul sudore dei lavoratori. Nessuno di questi si preoccupa della gravità della situazione e dei pericoli di guerra che minacciano l'Europa. (Tanto sarà Biden che deciderà cosa fare). In compenso hanno schierato le tre Armi ai confini della Federazione Russa e della Bielorussia.
Elenchiamo le forze militari italiane di aggressione già schierate:
in Romania - Costanza- Aeronautica Militare con 4 caccia Typhoon e 140 uomini, in attesa di ricevere altri 12 aerei e 260 uomini, con un costo, nel 2021 di 33 milioni di euro;
nel Mar Nero Marina Militare con fregata Fremm Carlo Margottini e con il cacciamine Viareggio e 200 marinai, con un costo, nel 2021 di 17 milioni di euro;
nel Mediterraneo orientale la portaerei Cavour con i costosissimi e inaffidabili F 35, assieme alla portaerei americana Truman e quella francese Clemenceau;
in Lituania l'Esercito: 200 uomini della Brigata Taurinense, con decine di carri armati ruotanti, in un gruppo di 1200 uomini agli ordini del comando canadese, con un costo per il 2021 di 27 milioni di euro.
Queste sono, a oggi, le forze schierate ai confini della Federazione Russa, a imitazione del C.S.I.R. di mussoliniana memoria.
Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica consiglia, responsabilmente di ritirare tutti i militari schierati ai confini della Federazione Russa, ricordando che la Russia non ha mai minacciato l'Italia, e quando l'Italia l'ha aggredita ne ha subito le tragiche conseguenze.
In tutti i casi il Veneto Serenissimo Governo invita i soldati veneti e non solo, inseriti nelle fila dell'Esercito italiano a non essere ostili ai nostri fratelli russi, ma a fraternizzare e costruire un clima di pace e di serenità tra i popoli d'Europa contro i guerrafondai imperialisti e gli approfittatori.
W la pace W la libertàW l'indipendenza
Venezia-Longarone 27 Gennaio 2022
Per il Veneto Serenissimo Governo
Il Vicepresidente Valerio Serraglia
Veneto Serenissimo Governo
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Tel. +39 349 1847544 - +39 340 6613027
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Lega con Trump, M5S in Russia. Così il governo sfida l'Unione europea
Lorenzo Vita
7 marzo 2019
http://www.occhidellaguerra.it/lega-m5s-russia-usa
Con la Russia o con gli Stati Uniti? Oppure con entrambi? L’Italia giallo-verde sembra divisa fra Mosca e Washington, specialmente se si osservano i movimenti delle due anime che compongono l’esecutivo. E anche in questo caso, Matteo Salvini appare in vantaggi, essendo riuscito prima a presentarsi come leader favorevole ad aperture nei confronti della Russia e poi come alleato perfetto alleato dell’amministrazione Trump.
Un percorso riconoscibile quello del leader della Lega, confermato anche dagli ultimi viaggi dei suoi “diplomatici”: prima del sottosegretario Guglielmo Picchi, poi del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Due viaggi che hanno ricucito i rapporti con l’America ma che hanno soprattutto mostrato la volontà del Carroccio di presentarsi come partito-garante della partnership fra Italia e Stati Uniti.
Missione non estremamente semplice quella della Lega, perché se l’amministrazione Trump è molto aperta nei confronti delle idee del partito, dall’altro lato fonti interne al Carroccio testimoniano la volontà Usa di chiedere garanzie al partito di Salvini proprio sui rapporti con la Russia. Dall’altra parte dell’Atlantico accusano costantemente i partiti sovranisti di avere legami con il Cremlino. E in un momento di russo-fobia imperante nel deep State americano, anche una sola voce non avversa alla Federazione russa diventa un problema.
E proprio per questo, la Lega si trova a dover gestire una diplomazia che guarda a Washington senza però negare una certa predisposizione ad ascoltare anche i tradizionali vincoli strategici fra Italia e Russia. Tanto che anche Salvini, in questa fase, ha mitigato le dichiarazioni a sostegno della Russia cercando di sembrare molto più affine, anche in politica estera, alla strategia di Washington (come dimostrato con il Venezuela). E sul blocco alle trivelle, la rete 5G a Huawei e la questione gas, Washington ha già chiesto rassicurazioni. Altrimenti l’amministrazione Usa e i grandi investitori americani potrebbero negare il loro sostegno anche in un futuro governo a guida Lega.
Mentre Salvini blinda, l’asse con Trump, il Movimento 5 Stelle rincorre la Lega sui due fronti: quello atlantico e quello orientale. Secondo le prime indiscrezioni, Luigi Di Maio pare abbia incassato l’ok di Washington per un viaggio in territorio americano in cui dovrebbe incontrare anche il vicepresidente Mike Pence. Un modo per i Cinque Stelle di ribadire il loro interesse a non contraddire troppo l’amministrazione americana dopo i tentennamenti sul Venezuela, la contrapposizione al Tap, e tutte le dichiarazione dell’ala “movimentista”.
Ma è proprio dall’ala a sinistra del Movimento che arriva una svolta non di poco conto. Roberto Fico è andato a Mosca per incontrare il presidente della Duma. Il presidente della Camera è intervenuto di fronte ai parlamentari russi con un’apertura molto importante nei confronti della Federazione, in particolare sul tema delle sanzioni.
Il presidente della Camera, intervenendo nella capitale russa, ha dichiarato: “L’Italia ritiene che il dialogo interparlamentare sia una condizione fondamentale per risolvere i problemi che dobbiamo affrontare e per questo vi è un ampio consenso tra le forze politiche rappresentate alla Camera dei deputati italiana per operare attivamente con gli altri partner del Consiglio d’Europa affinché sia superato il regime di sanzioni adottato nel 2014 con la sospensione del diritto di voto e delle altre prerogative della delegazione parlamentare russa”.
E il presidente della Camera ha poi sottolineato: “Sono un convinto sostenitore del senso storico, culturale e politico dell’Unione europea e della necessità che essa, unita, continui il suo percorso di dialogo e di cooperazione con la Federazione russa”. E ha ribadito che “Italia e Unione europea contano in particolare sul determinante contributo della Russia per la risoluzione delle più gravi crisi in atto” come “i conflitti aperti nel Mediterraneo e nel Medio-Oriente”.
Un segnale di apertura nei confronti di Vladimir Putin che non è passato inosservato. E che rende ancora più evidente la volontà del governo giallo-verde di porsi in un rapporto di collaborazione con le due grandi potenze che “sfidano” l’Unione europea: Russia e Stati Uniti. Una doppia anima che però può avere due tipi di conseguenze: da un lato aiutare l’Italia in un momento di isolamento in Europa; dall’altro lato creare un’ulteriore spaccatura all’interno della maggioranza. Perché prima o poi, specialmente negli Stati Uniti, qualcuno chiede il conto.
Analisi. La rete fra la Lega e Putin dietro l'Italia «giallo-verde»
Eugenio Fatigante
31 maggio 2018
https://www.avvenire.it/economia/pagine ... ialloverde
Molto si è detto e scritto, in questi giorni, sul no di Mattarella a Savona come ministro dell’Economia di un eventuale governo Lega-M5s per le sue tesi fortemente euroscettiche. Ma ad agitare ancor più i pensieri delle cancellerie di tutta Europa (e anche del Quirinale) è un altro scenario, noto da tempo eppure stranamente rimasto sotto traccia nel dibattito nazionale: il legame di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito nato nel 2001 per sostenere Vladimir Putin.
L’ultimo allarme l’ha lanciato, domenica scorsa, Armin Schuster, il presidente (della Cdu) della commissione Servizi del Bundestag, il Parlamento tedesco: un governo giallo-verde non sarebbe motivo di «interrompere» la cooperazione nell’intelligencecon Roma, ma nelle vicende che coinvolgono Mosca i contatti potrebbero essere condotti «diversamente» da come avviene ora. Alla base di questa 'relazione pericolosa' c’è persino un testo ufficiale, una sorta di altro contratto (come quello siglato con i pentastellati): un «Accordo sulla cooperazione e collaborazione» fra i due partiti. Il testo, in 10 punti, è riportato dal libro 'Da Pontida a Mosca', scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini.
Era poco più di un anno fa: ai primi di marzo del 2017, Salvini era nella capitale russa. Da una parte del tavolo c’era lui, dall’altra Sergey Zheleznyak, 48enne vicesegretario per le relazioni internazionali del partito putiniano, per firmare questo documento: un impegno a promuovere le relazioni fra le due parti, con seminari, convegni, viaggi, basato su un «partenariato paritario e confidenziale», termine, quest’ultimo, quanto mai singolare per la diplomazia internazionale.
Uno scambio quanto mai ampio, che comprende anche le «esperienze in attività legislative». Una rete fitta che ha anche alimentato il sospetto, sempre seccamente smentito da Salvini, di finanziamenti diretti di Putin alla Lega, partito peraltro in difficoltà economica. Qual è, allora, lo scopo di questa alleanza? Interessante è l’opinione di Nona Mikhelidze, analista dello Iai (Istituto affari internazionali), riportata lo scorso gennaio dal sito Formiche: «Il Cremlino sa che l’Italia non può uscire da un giorno all’altro dall’Ue. L’obiettivo per il momento è creare caos, ingovernabilità, aiutare quelle forze sovraniste che, per costituzione, chiedono meno Europa».
Guarda caso, esattamente lo scenario che si sta realizzando in queste settimane in Italia. In effetti, la drammatizzata ipotesi di uscita dall’euro sarebbe comunque un processo complesso da portare avanti. Molto più agevole 'creare' disordine. Come il primo tempo di una partita. Mettere in crisi la moneta unica resta infatti la via migliore per indebolire l’Europa. Per minarla dalle fondamenta. Un interesse prioritario per la Russia, penalizzata dalle sanzioni Ue in vigore da marzo 2014 e per ora prorogate fino a fine luglio.
Senza un Paese 'forte' come l’Italia, le sanzioni non potrebbero essere rinnovate (sono votate all’unanimità). Non a caso il «ritiro immediato delle sanzioni» è previsto nello scarno capitolo 'Esteri' del contratto gialloverde. In questo filone, la figura di Paolo Savona, economista d’esperienza e stimato (anche e proprio per la sua linea sull’Unione Europea), non è casuale, ma può acquisire un ruolo funzionale nello scacchiere predisposto da Salvini. D’altronde Savona non è noto solo per i suoi riferimenti storici al nazismo dei tedeschi (non graditi sul Colle). Sulla Russia, in un’intervista a Libero, ecco cosa diceva: «Putin è realista. È contrario a un’Europa che lo danneggi. E questa lo danneggia».
Anche l’ex ministro del governo Ciampi ha legami storici col mondo russo, coltivati durante la presidenza di Impregilo negli anni Duemila. Ecco che dietro l’opposizione alla figura di Savona – e all’esecutivo leghista-grillino – si può leggere in filigrana la volontà di contrastare un disegno geopolitico orientato a mutare gli equilibri in Europa. Il tramite dell’infatuazione filo-russa del Carroccio è il giornalista Gianluca Savoini, già collaboratore di Salvini e presidente dell’associazione 'Lombardia Russia'. Prende le mosse nel 2013: da allora, ogni passo politico del Matteo in camicia verde ha ricevuto una qualche 'benedizione' russa.
Quando, a dicembre 2013, è eletto segretario nel congresso di Torino fra i presenti c’è Viktor Zubarev, parlamentare russo. Da lì cominciano i contatti diretti fra Salvini e Putin. Il 17 ottobre 2014 il leader russo è a Milano per il vertice Asem e, a costo di far aspettare l’amico Berlusconi, incontra per 20 minuti in un hotel il capo lumbard: «Certo, bere un caffè con Putin...», commenta un emozionato Salvini. Segue una lunga serie di 'pellegrinaggi' a Mosca. Una ragnatela di contatti. Una settimana fa Savoini era a San Pietroburgo, al forum internazionale, assieme a Paolo Grimoldi, altro deputato leghista che funge da trait-d’union sull’asse Milano-Mosca. Non coinvolto in questa rete, ma molto attivo è poi Luigi Scordamaglia, dinamico presidente di Federalimentare e sorta di 'ufficiale di collegamento' fra il mondo imprenditoriale del Nord e la Lega per la sua attenzione al tema sanzioni, che penalizzano soprattutto l’agroalimentare.
I timori non sono legati solo agli assetti economici, però. Molto forti sono anche quelli per le 'bufale' mediatiche che influenzano le elezioni e i sommovimenti occidentali. Nei 'Palazzi' della politica si ricorda a esempio che, secondo inchieste giornalistiche, l’80% dei tweet a favore dell’indipendenza della Catalogna sono arrivati da account russi o venezuelani. E c’è chi ricorda che, in ogni caso, il nostro 'ancoraggio' agli Stati Uniti deve prevalere. Per una ragione semplice: l’interscambio commerciale fra Usa e Italia prima delle sanzioni era 10 volte più grande di quello con Mosca. Grandezze profondamente diverse che fanno riflettere davanti al rischio di uno spostamento degli equilibri.
Abbiamo lasciato gli Afghani a morire di fame e freddo e ora facciamo i duri con i Russi
Giulio Meotti
30 gennaio 2022
https://meotti.substack.com/p/abbiamo-l ... i-a-morire
“A otto anni, il futuro di Fatima è deciso. Le piacerebbe, dice, ‘andare a scuola e studiare’. Invece è stata venduta in sposa a un uomo che non ha mai incontrato per comprare pane per la sua famiglia. La sua famiglia era così affamata che ha venduto Fatima per 150.000 rupie pakistane (800 euro). Poi ha cercato di vendere anche la figlia di tre mesi Naghma, ancora avvolta in fasce”.
Si apre così un drammatico reportage di Christina Lamb sul Times di oggi. “Questa è la realtà della vita in un Paese in cui 23 milioni di persone, più della metà della popolazione, rischiano la fame e un milione di bambini di morire. Già il 97 per cento non ha abbastanza da mangiare”.
La resa dell'Occidente in Afghanistan dello scorso agosto ha lasciato un paese distrutto sotto il controllo dei Talebani. Ci sono afghani ora che stanno vendendo un rene per sfamare le famiglie.
All'Amministrazione Biden piaceva fingere che le conseguenze dell'abbandono del paese fossero incerte, ma l’implosione economica era del tutto prevedibile. Andrew Stuttaford ha scritto il 22 agosto sulla National Review: “Ciò che ci aspetta immediatamente sembra essere . . . crollo finanziario e scarsità di cibo". La situazione economica dell'Afghanistan avrebbe rispecchiato la situazione militare: in assenza del sostegno occidentale, il crollo totale. L'Afghanistan aveva importato beni per un valore di 7 miliardi di dollari all'anno (il PIL dell'intero paese è di soli 19 miliardi di dollari). Ma senza un governo appoggiato dall'Occidente che fornisse anche la più piccola misura di stabilità agli stranieri, l'economia sarebbe crollata. E così è stato. Per chi avesse stomaco, il Wall Street Journal racconta ora di ospedali afghani pieni di bambini morti prematuri.
Io continuo a pensare che gli americani fomentino una nuova Guerra Fredda con i Russi sull’Ucraina per coprire l’ignominia afghana. La “democrazia”, la “libertà”, il “progresso”, i “diritti umani”, tutte belle parole già tradite in diretta tv mondiale la scorsa estate da tutti i paesi occidentali, Nato in primis. Non importava se l’esperimento avesse avuto un senso fin dall’inizio. Una volta assunto un impegno, non si abbandona in quel modo un popolo a tagliagole, schiavisti di donne e bambini, barbari che lapidano e impiccano e tagliano mani e piedi.
La vicenda potrebbe essere liquidata come ha fatto oggi Donald Trump: “Tutti a Washington sono ossessionati da come proteggere il confine dell'Ucraina, ma il confine più importante del mondo in questo momento per noi non è il confine dell'Ucraina, è il confine dell'America”. Si potrebbe aggiungere che l’Occidente non sarà sconfitto nel Donbass ucraino, ma nell’Hindu Kush afghano.
Ma quest’ossessione nasconde altro. Richard Hanania della Columbia University questa settimana scrive un articolo provocatorio ma che pensare: Putin è il Grande Satana dell’immaginazione progressista occidentale. “L'opposizione russa all’LGBT scatena le élite americane più delle leggi e delle pratiche anti-gay altrove, perché la Russia è una nazione bianca che giustifica le sue politiche basate sull'appello ai valori cristiani.
Ricordate che stiamo parlando della stessa élite che può essere entusiasta di attacchi casuali agli asiatici solo se possono fingere che siano i bianchi a farlo e non si preoccupano di persone di colore che si sparano a vicenda ogni giorno. I musulmani e gli africani omofobi non ispireranno mai tutta questa giusta furia in queste persone. Il modello dei ‘cristiani conservatori bianchi cattivi’ è fondamentale per la loro visione del mondo, e questo porta non solo all'ostilità nei confronti di Putin, ma anche a nazioni come l'Ungheria e la Polonia”. Hanania fa notare un altro paradosso. “L'Ucraina con 60 punti è una democrazia meno di Ungheria (69), Serbia (64) e Polonia (82), secondo Freedom House. Tali algoritmi della democrazia sono stupidi, ma quando neanche Freedom House non può fingere che l'Ucraina sia una democrazia, ti dice qualcosa sullo stato di quel paese”.
Ma Putin è cattivo. Putin è un tiranno. Putin mente. Putin imbroglia. I media occidentali hanno fatto del presidente russo l'incarnazione del male con un vigore mai visto nemmeno nei giorni peggiori della Guerra Fredda. Come spiegare quest’ossessione per il paese di Tolstoj, Dostoevskij, Gogol, Solzenitsyn e che si è sempre reputato la “Terza Roma” della cristianità dopo la caduta di Bisanzio?
La Turchia di Erdogan ha soltanto 32 punti secondo Freedom House e in questi anni ha invaso la Siria, è entrata in Libia con i suoi mercenari, ha sostenuto la guerra di annientamento degli azeri nel Karabakh armeno, ha bombardato l’Iraq curdo e minaccia le acque di due paesi europei (Cipro e Grecia). Eppure, mai la Nato e gli Stati Uniti su Erdogan hanno alzato non dico un dito, ma un sopracciglio.
Una volta chiuso il libro di Mathieu Slama, La guerre des mondes, capiamo un po’ meglio il perché di tanta ossessione sulla Russia. Putin non è il nostro avversario, è la nostra cattiva coscienza. Slama non nasconde i torti del personaggio e della sua politica, l’autoritarismo interno e l’espansionismo nelle terre che furono dell’Urss. Ma il suo conservatorismo, il suo nazionalismo, la sua deterrenza, sono tutte cose che abbiamo abbandonato da tempo. Putin è un uomo del XIX secolo che usa gli eserciti come si faceva allora. Gli occidentali sono uomini del XXI secolo che pensavano di sconfiggere i Talebani con le slide sul femminismo.
Oggi, in Pakistan, il grande sponsor dei Talebani, è stato assassinato un altro sacerdote cattolico. Mentre parlavamo di nuova Guerra Fredda con i Russi, ci eravamo arresi nella guerra di civiltà con l’Islam radicale, l’unica che minaccia la nostra esistenza come Occidente giudaico-cristiano.
Alberto Pento
Nessun paragone possibile tra i cristiani ucraini europei e gli afgani maomettani asiatici. La responsabilità delle miseria afgana è solo ed esclusivamente dei nazi maomettani talebani e non certo degli americani USA e degli europei.
Alberto Pento
Giulio Meotti Non vi è solo il calderone ucraino, vi è quello Bielorusso e l'invasione della Polonia con i clandestini, vi è quello dell'Iran sostenuto dalla Russia che sta dalla parte di tutte le dittature comuniste e maomettiste della terra e che è sempre contro l'Occidente euroamericano e contro Israele.
Giulio Meotti
Alberto Pento veramente a sostenere tutte le dittature islamiche, tranne l’Iran, è l’America: sauditi, turchi, pakistani etc Non è una gara, altrimenti dovremmo mettere in fila tutti i cristiani sostenuti dalla Russia: serbi, kosovari, siriani… è pura geopolitica e ricreare una guerra fredda non conviene all’Occidente (energia, Cina, destabilizzazione etc)
Alberto Pento
L'America USA non sostiene la dittatura turca infatti negli USA trovano rifugio e asilo politico gli avversari del dittatore nazi maomettano Erdogan che in Turchia finirebbero o in prigione o uccisi e sempre gli USA sono critici nei confronti del suo criminale regime, purtroppo la Turchia fa parte della NATO da prima della deriva dittatoriale di Erdogan
Siria, Trump firma le sanzioni alla Turchia e invia Pence ad Ankara. Erdogan: “Il mondo ci sostenga o si prenda i rifugiati”
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/1 ... i/5515369/
Gli Usa riconoscono il genocidio armeno, un segnale forte per Erdogan
https://ilmanifesto.it/gli-usa-riconosc ... r-erdogan/
Anche con gli altri paesi nazi maomettani gl USA sono critici sulla violazioni dei diritti umani, poi per la regola principe che in geopolitica è il male minore a volte chiudono un occhio come fanno tanti paesi anche in Europa e nel Mondo.
Pakistan: con l'America una relazione “tossica”
10 maggio 2013
https://www.ispionline.it/it/pubblicazi ... ssica-7820
Non si può dire che l'Arabia Saudita sia un regime come l'Iran e la Turchia
Perché Stati Uniti e Arabia Saudita restano amici e alleati
https://www.startmag.it/mondo/stati-uni ... -alleanza/
Gli Stati Uniti di Biden continueranno a sostenere l’Arabia Saudita. Il corsivo di Giuseppe Gagliano
E alla fine vissero tutti felici e contenti. È questo il migliore commento che si possa fare in relazione ai “nuovi “sviluppi tra l’America di Biden e la “cattiva “Arabia Saudita.
Tra il sei e il sette luglio infatti il vice ministro della difesa Saudita Khalid bin Salman ha avuto incontri bilaterali con i più importanti rappresentanti della sicurezza nazionale americana, e fra questi il consigliere alla Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, e il Segretario della Difesa, Lloyd Austin, che ha sottolineato l‘opportunità da parte americana di preservare le proprie relazioni con il Regno Saudita in materia di difesa, sia per porre termine al conflitto yemenita che per porre freno alla politica destabilizzante dell’Iran.
Ancora più significativa – se è possibile – l’affermazione di Sullivan, secondo il quale gli Stati Uniti continueranno a sostenere l’Arabia Saudita nella difesa della propria integrità e sovranità territoriale contro i tentativi destabilizzanti dei numerosi gruppi filoiraniani. Non senza ironia non possiamo non porci qualche domanda, soprattutto in relazione alla necessità – sbandierata a livello di campagna elettorale da parte di Biden – di inaugurare una politica con i sauditi di discontinuità rispetto a quella di Trump.
Il caso Jamal Khashoggi che fine ha fatto? Il presidente Biden non aveva affermato il 4 febbraio che gli Stati Uniti non avrebbero più dato alcun sostegno alla politica estera saudita in Yemen? Questo cambio di rotta non coincide con quello posto in essere dal governo italiano? Coincidenze? O sono stati gli Stati Uniti a “consigliare” l’amico e alleato italiano a ritornare sulle proprie decisioni?
Ma al di là delle ipotesi, che cosa lega così strettamente gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita? Non saranno forse il petrolio e l’esportazione di armi? Dando uno sguardo alla storia tra due paesi a partire dal 1944 sembrerebbe proprio di sì…
https://www.cittanuova.it/larabia-saudi ... 007&se=018