12) vedasi anche capitoli 2 - 6 e 27
Biden e compagni a cominciare da Kamala Harris la sua vice, il triste mondo che si spera non debba mai diventare realtà.
Preso dal web.
Kamala Harris, si considera la vicepresidente USA. Non è assolutamente afroamericana ma indoamerinda, prevale l’etnia indiana.
Vero ariete di sfondamento del movimento mondiale del socialismo filoislamista.
Ha dichiarato che riprenderanno gli aiuti economici USA sospesi da Trump per Hezbollah, Hamas, OLP e movimenti filo palestinesi pur senza nominarli direttamente.
Con Biden il mondo intero ripiomba nel buio della ragione,
Le guerre accese da Obama riesploderanno minacciando l’Europa. Per il popolo degli Ebrei si riaprirà’ un capitolo doloroso che con Trump sembrava ormai relegato ai libri di storia.
Con questa gentaglia l’antisionismo riesploderà pericolosamente.
Tutti gli sforzi fatti per normalizzare il medio oriente saranno gettati nella spazzatura.
La Cina potrà continuare il percorso nazionalsocialista che sta minando alle radici i sistemi liberal-democratici e social democratici del mondo intero.
Su che strada sta finendo l'America (e tutto l'Occidente)? Occhio alle false narrazioni che stanno arrivando
Max Balestra
7 novembre 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... arrivando/
Biden/Harris sono il Medvedev di Obama. Con la vittoria della “Resistenza” anti-Trump, lo spettro di una dittatura soft negli Stati Uniti: dietro il volto moderato di Biden, e la retorica “adesso bisogna unire il Paese”, “ritornare alla normalità”, il tentativo di istituzionalizzare l’estrema sinistra e la sua agenda. Troppo comodo… Non si può strillare per quattro anni che si è “La Resistenza”, accusando chiunque sta con Trump di razzismo e intelligenza col nemico russo e i suprematisti bianchi, e poi dire: “Oh, abbiamo vinto le elezioni”…
*Nel migliore dei casi gli Stati Uniti hanno un sistema elettorale per definire il quale bisognerebbe inventare il termine “quarto mondo”. Perché chiamarlo terzo mondo sarebbe ingiusto verso il terzo mondo.
Nel peggiore dei casi hanno appena truccato un’elezione, anche se dubito che si riuscirà mai a provarlo. Il che per me costituisce un’aggravante, non un’attenuante.
*Se a questo aggiungiamo quattro anni di disinformazione, censura, bassa propaganda, tentati colpi di stato, sabotaggi del Deep State, violenza politica da strada, gli Stati Uniti non hanno più alcun titolo per essere considerati la nazione guida dell’Occidente. Poi bisognerebbe parlare su che strada sta finendo tutto l’Occidente. Dopo lo spettacolo di questi ultimi anni, ha ancora il titolo per definirsi “democratico”, “liberale”, “avanzato”?
Perché dovremmo credere che i manifestanti arrestati da Lukashenko in Bielorussia siano brave persone e non terroristi, quando solo poche settimane fa Biden e Pelosi ci raccontavano che gli agenti federali che arrestavano Antifa a Portland erano “Trump’s stormtroopers” che stavano “rapendo pacifici manifestanti”? Non so niente di Lukashenko, e la loro parola non mi basta più. Le chiamate alle armi delle élite non sono più sufficienti. Farò le mie valutazioni da solo, ma dove trovare fonti affidabili?
*In ogni caso, gli Stati Uniti e l’Occidente non hanno più alcun titolo di fare la morale al resto del mondo e di intimargli di diventare come essi. Questo non significa che adesso la Russia, la Cina, la Turchia, il Venezuela, l’Iran, eccetera sono passati nella lista dei meritevoli. Solo che la lista degli immeritevoli si è allungata.
*Una buona fetta dell’opinione pubblica americana è ora convinta che l’elezione sia stata rubata. Che sia vero o falso, e non ci si può fare niente.
Le misure che più verosimilmente verranno adottate per cercare di far rientrare questo genietto nella bottiglia consisteranno in ancora più censura e repressione di notizie e opinioni, e più umiliazioni rituali per gli scontenti. Complottista! Fanatico! Nazista! Che ne vuoi capire tu di elezioni!
Funzionerà alla grande.
*Biden non sarà il presidente, né lo sarà Kamala Harris. Sono solo fantocci della macchina che gli sta dietro. E di Obama. Obama si è sempre lamentato di non aver potuto avere un terzo termine. Adesso ne ha l’occasione. Biden/Harris sono il suo Medvedev.
*L’amministrazione Biden, che ha fatto campagna sostenendo nemmeno troppo velatamente che chiunque voti per Trump è un nazista per un partito che ha passato gli ultimi quattro anni ad accusare chiunque gli stava contro di razzismo e intelligenza col nemico russo, adesso si lancerà in grandi panegirici su come non esistono due Americhe, bisogna ricomporre le divisioni, unire il Paese, eccetera. Sarà mia cura ricordare a tutti quelli con la memoria corta come stanno davvero le cose. E chi abbraccerà questa retorica non riceverà da me nessuna pietà. Giocateci voi al gioco del “ritorno alla normalità per il bene comune”. Troppo comodo. Non si può strillare per quattro anni che si è La Resistenza, circondata da suprematisti bianchi in un regime nazista, e poi dire: “Oh , abbiamo vinto le elezioni”.
*Trump era la grande balena bianca. Farlo fuori controbilancia ogni mancato successo che i Democratici possano aver avuto alle elezioni del Congresso. Perciò la narrazione secondo cui i Dem sono disperati non è credibile. L’establishment repubblicano ha passato gli ultimi due giorni a darsi pacche sulle spalle perché “Mitch ha mantenuto il Senato”. Nel frattempo la loro base guardava video di sospetti brogli in internet urlando: “Dov’è il Gop?!?!”
La risposta del Gop presto sarà: “Hey, Mitch ha concordato col presidente Biden di mettere al bando soli i caricatori da 30 colpi, ma non quelli da 5 colpi! Non siamo stati bravi a tenere il Senato in un’elezione che voi siete convinti sia stata rubata?”
Il Gop avrà presto un brutto, bruttissimo, risveglio.
*La nuova narrazione che vedrete emergere a momenti è che nessuno ha veramente vinto perché Trump ha perso la presidenza e i Dem non hanno preso il Senato, e che ciò è successo perché entrambi erano troppo estremisti. Poi ricicleranno Biden come moderato unificatore, e lui comincerà a fare di tutto, con l’aiuto dei Repubblicani, perché sembri così.
Questa narrazione è falsa fino al midollo e serve solo come cortina di fumo per istituzionalizzare l’estrema sinistra in maniera tranquilla. Ma su questo è presto per elaborare più a fondo.
*Così come bisognerà elaborare man mano quali sono i pericoli, più striscianti che istituzionali, che questa vittoria della “Resistenza” comporta.
Per ora anticiperò soltanto che l’amministrazione Biden ha buone possibilità di essere l’inizio di una dittatura soft negli Stati Uniti.
Non c’è motivo per cui un sistema che ha funzionato così bene debba essere accantonato.
Non c’è motivo per cui i media dovrebbero iniziare a sorvegliare responsabilmente l’amministrazione Biden dopo aver mentito e coperto tanto per farla eleggere.
Non c’è motivo per cui BigTech dovrebbe rinunciare al potere di dirigere opinioni ed elezioni tramite algoritmo e censura dopo aver provato a sé stessa di poterlo fare.
Non c’è motivo per cui la punditria debba rispettare un pubblico che ritiene non abbastanza responsabile per essere onestamente informato e votare.
Non c’è motivo di ritenere che la burocrazia permanente non eletta, il cosiddetto Deep State, non debba continuare a governare da dietro le quinte e ad applicare le leggi in maniera selettiva, o addirittura a farsele da solo, senza mai aver pagato le conseguenze dei suoi maneggi.
Non c’è un motivo per cui la storia dovrebbe venire riscritta in maniera onesta ed equilibrata dopo che è stata scritta come quella di una grande resistenza a un dittatore.
Non c’è motivo per ridurre la polarizzazione dopo che da una parte ci saranno gli eroi che hanno salvato l’Occidente e dall’altra i deplorevoli che volevano distruggerlo.
E sicuramente non c’è motivo di cambiare il sistema elettorale.
Anatomia del truffatore del secolo.
Di Pierre Rehov
Da 4 anni, i democratici sono stati in grado di insultare, attaccare, mentire, rubare con impunità, mentre ti preparano per il più grande furto elettorale nella storia del mondo libero. Hanno trasformato tranquillamente il sistema elettorale americano e organizzato, come Senile Joe ha annunciato in una delle sue famose gaffe, ′′ la più grande macchina traditrice della storia ".
Quando sei riuscito a corrompere quasi tutti i principali media, quando hai in tasca i miliardari di Wall Street, Hollywood e Silicon Valley, quando sei riuscito a fare il lavaggio del cervello alle masse posando come campo di bontà e generosità, quando per otto anni, sotto la guida di un avocato islamista antisemitico che si è mascherato da cristiano liberale, hai installato agenti in tutte le amministrazioni, creando così un ′′ Deep State ′′ impossibile da eludere, tutto ciò che resta da fare è fare è Vinci le elezioni in ogni modo, a scapito del popolo e a vantaggio dei tuoi alleati.
I democratici fascisti corrotti sono stati in grado di approfittare, che strano, di un'epidemia mondiale provocata dal loro principale alleato, la Cina, per infliggere al popolo americano una paura quotidiana di panico e fargli credere che il loro presidente legalmente eletto sia stato responsabile della morte loro stessi avevano provocato, talvolta volontariamente (gestione criminale della crisi di Cuomo e De Blazio a New York, ad esempio), o inventato. (Le cifre ufficiali per le morti dovute al COVID19 rimangono discutibili).
Ovviamente hanno creato un tale livello di panico che l'economia americana, in pieno svolgimento grazie al Presidente Trump, è improvvisamente crollata (prima di recuperare e rimbalzare). Questo panico ha permesso loro di convincere gli americani a stare a casa e a votare via mail, senza alcuna prova di identità, aprendo così la porta ad enormi frodi, preparati e organizzati fino all'ultimo dettaglio.
I corrotti fascisti democratici avrebbero così convinto gli americani a votarli perché stavano andando a:
- Aumentare le tasse
- Legalizza 11 milioni di clandestini (quanti votanti per loro)
- Fermare lo sfruttamento dei combustibili fossili e fate in modo che l'America dipenda nuovamente dal petrolio straniero.
- Reimpostare la data con la Cina e lascia che i posti di lavoro scappino ancora una volta nei campi di lavoro forzati comunisti.
- Fermare il processo di pace in Medio Oriente e riprendete a finanziare le organizzazioni terroristiche guidate da Mahmud Abbas.
- Ritornare all'accordo infernale che consentirebbe all'Iran di ottenere la bomba atomica in meno di dieci anni, continuando la sua egemonia regionale e finanziando il terrorismo.
- Cancellare il Secondo Emendamento e confisca le armi individuali in modo che nessuno possa difendersi.
Ed è vero che milioni di utili idioti, nel senso leniniano della parola, sono stati fatti il lavaggio del cervello abbastanza da cascarci e accettare con gioia di diventare un branco di schiavi, con la sensazione di appartenenza al campo di bontà e generosità. Un po ' come alcuni tedeschi che, negli anni 1930, votarono Hitler in buona fede, senza capire con chi avevano a che fare o sapere cosa stavano facendo.
Biden non è Hitler, è vero. È solo un burattino corrotto e senile che si è arricchito per 47 anni sulle spalle dei lavoratori americani. Il sistema che lo protegge non è un sistema nazista, anche se il socialismo nazionale era un'ideologia di sinistra, a differenza dei ′′ liberali ′′ che sono infernali a riscrivere la storia a proprio vantaggio. Piuttosto, assomiglierebbe ai sistemi istituiti nelle repubbliche delle banane dell'Africa o del Sud America con la benedizione dei grandi profittatori e dei partiti comunisti.
Purtroppo per i corrotti fascisti democratici, frodi su scala del genere non possono esistere senza qualche ciarlatano. Non tutti i riffraff e gli utili idioti che hanno partecipato a questa truffa hanno il cervello di Einstein. Questo è solo un dolce eufemismo... Quando dici a una feccia o a un delinquente che ha le mani libere di imbrogliare o rubare, il cielo è il limite di ciò che è capace di fare.
Ecco perché sono stati commessi un sacco di errori: dall'apparizione magica del numero esatto di urne i corrotti fascisti democratici hanno bisogno di rubare le elezioni in alcuni Stati, al blocco degli osservatori repubblicani o imparziali nonostante le sentenze giudiziarie in alcuni centri di selezione , all'invio di urne a falsi indirizzi, al voto dei Morti i centenari e clandestini. Questo è da menzionare, naturalmente, solo alcune delle vergognose manipolazioni scoperte.
Questa rapina all'elezione poteva essere organizzata solo con la complicità dei media e del GAFAM, su richiesta dei democratici fascisti corrotti perché è nell'interesse dei loro leader trasformare il pianeta in un gigantesco accampamento di individui sottoposti, in cui solo il loro gruppo privilegiato potrebbe continuare a fare profitti.
Lavora, vai a casa, guarda i programmi televisivi più assurdi e stupidi, assorbi le fake news, paga le tasse, sempre più tasse, diventa una razza mista, dimentica il tuo sesso, vergognati di andare in chiesa, costruire più moschee, diffondere antisemitismo nelle università, accetta il dominio cinese, sii indulgente con l'Iran, sputa su Israele, e soprattutto sottomesso.
′′ IL GRANDE FRATELLO veglia sulla tua sicurezza e felicità. Noi siamo i democratici!"
Se il Presidente Trump non riesce a dimostrare l'entità di questo tradimento che ha assunto la forma di un colpo di stato, gli anni che verranno saranno sempre più scuri mentre il bene più prezioso di ogni essere umano verrà gradualmente confiscato: la sua libertà.
- Le multinazionali non vogliono la libertà d'impresa che danneggia i loro profitti.
- Il GAFA non vuole la libertà di esprimere se stessi che danneggia il loro controllo totale su ogni essere umano ipnotizzato dal suo computer e dal suo cellulare.
- I media non vogliono la libertà di pensiero che danneggia il trattamento iniquito dell'informazione a beneficio dei loro sponsor.
- I democratici non vogliono affatto la libertà, che danneggi la loro appropriazione indebita, le loro alleanze con le dittature, il loro programma ′′ sociale ′′ progettato per provocare più sottomissione e dipendenza.
Contro questa ′′ onda blu ", che è più simile alla puzza vomitata dalla tana infernale dei privilegiati, c'è solo un uomo per combattere contro tutti. Quest'uomo non era un politico ma un patriota coraggioso innamorato del suo paese e del suo popolo. Un uomo eletto per ripulire la palude infestata dai batteri del Partito della schiavitù e che era molto vicino a farlo.
C ' è ancora la possibilità di evitare che questo scenario di disastro avvenga. Richiede una lotta legale con il sostegno di tutte le persone.
Contro i media
Contro la GAFAM
Contro BLM e Antifa
Contro la grande tecnologia
Contro Wall Street
Contro gli islamisti con le facce d'angelo
Contro i cosiddetti ′′ autocritti."
Il popolo americano deve alzarsi in piedi e urlare: Libertà.
Joe Biden annuncia che il ticket presidenziale con Kamala Harris è stato quello più votato nella storia degli Usa
Roberto Santoro
7 novembre 2020
Il voto della comunità afroamericana è stato importante per Biden, con la discesa in campo di Obama. Ma dietro questa vittoria che doveva essere a valanga e ancora non viene ufficializzata a 4 giorni di distanza, c'è tutta la ipocrisia dei liberal. Chissà perché Obama, Kamala, the OC, i miliziani di BLM, dimenticano il passato di Nonno Joe. Negli anni Settanta Biden era contro la desegregazione nelle scuola, giudicata una "giungla razziale". Stringeva la mano a Jesse Helms offrendo una versione più polite della dottrina "separati ma uguali". Una volta ha definito i segregazionisti nostalgici della bandiera confederata "fine people" e un'altra volta ha affermato che la cultura americana ha radici europee, non "importate da qualche Nazione dell'Africa o dell'Asia". Biden è stato l'architetto dello Stato prigione, della incarcerazione di massa dei neri americani, come denunciò nel 2019 il senatore democratico del New Jersey Cory Booker parlando con i giornalisti alla centodecima conferenza del NAACP, la National Association for the Advancement of Colored People. Fu Biden a scrivere per il senato l'impianto legislativo del Clinton Crime Bill e delle nuove leggi Jim Crow, ricorderete che vuol dire Jim Crow. Sarà per questo che Biden piace a Richard Spencer, tra gli organizzatori del riot suprematista di Charlottesville del 2017. Così mentre le emittenti Usa spengono le trasmissioni quando parla Trump e mentre il social dei segaioli, Twitter, annuncia di voler oscurare i messaggi del presidente quando non sarà più tale, ancora una volta capiamo che non c'è più argine al tirannicamente corretto. Di tutto il resto, Groping Joe, l'Ucraina, i giornaloni del regime genocida cinese entusiasti di non dover più sentire ripetere l'espressione Wuhan Virus alla Casa Bianca, e sopratutto della Squad antisemita pronta a pontificare contro Israele, distruggendo i pochi passi avanti fatti in Medio Oriente con gli Accordi di Abramo, di tutto questo presto ne riparleremo. USA2020
Biden è un uomo viscido e schifoso che tocca le bambine sul petto, le bacia in bocca e le accarezza il viso mettendogli le dita addosso.
Dario Berardi
8 novembre 2020
https://www.facebook.com/dario.berardi. ... 4744173372
Per fortuna per lui è un riccone e può permettersi certi comportamenti, ma la mia impressione francamente è che un Joe Biden qui a Roma Est, un tizio che si struscia alle ragazzine e le bacia mozzicandole, finisce alla discarica di Malagrotta o a farsi un bagno nel Tevere. Anche giustamente
Inoltre il presidente democratico è un uomo vomitevole, perché è stato accusato di aver molestato donne più di una volta e di averle toccare con le sue mani lerce. C'è un bel video a riguardo, in cui viene invitato in una trasmissione per chiedere scusa di aver toccato il culo ed aver messo al muro delle presentatrici di un programma, ma lui in cinque minuti di risposta non dice nulla e loro stesse vengono sconvolte dalle risposte del vecchio sporcaccione, che dichiara candidamente di aver toccato le tette ed il culo delle donne, perché non sa bene quale sia il limite tra il contatto tra persone .
Io non ho mai toccato tette e culi nella mia vita a meno che non stavo con una ragazza, ma per i ricchi mi sa che funziona differente, evidentemente. Ma io non scambierei mai la mia vita con la loro, francamente, perché non mi interessa toccare una donna senza un attrazione reciproca e la trovo pure una cosa vomitevole, come è vomitevole Biden.
La cosa più brutta comunque per gli Usa non è il nuovo presidente , che fa schifo come essere umano, ma la sua vicepresidente: Kamala Harris.
La Harris viene presentata falsamente dai media di regime come "Indiana americana", facendo pensare alle masse informi e inconsapevoli che lei sia una pellerossa, mentre è una Indiana si, ma che viene dall'India e che appartiene ad una famiglia di intoccabili, i bramini, sfruttatori e dittatori arricchiti grazie alla schiavitù di persone colpevoli solo di non essere nate nella casta sbagliata.
In più il padre della buona Kamala era una persona coinvolta nel regime schiavista in jamaica ed infatti, finita la schiavitù nel 1962, dovette scappare in Usa nonostante fosse nero, con la scusa dell'università .
Ancora oggi i neri in Jamaica non hanno piacere a ricordare la famiglia Harris, anche giustamente, e lei non ha mai più messo piede nel suo paese di origine, perché le persone del posto non hanno dimenticato l'apartheid ed il razzismo, di cui la sua famiglia era colpevole e collaborazionista, nonostante avessero lo stesso colore di pelle.
La vittoria di questa gente comunque è un problema per la libertà e per la civiltà occidentale, ma se abbiamo sconfitto Hitler, come è successo per fortuna, non penso che dobbiamo aver paura di questi soggetti come Biden, Kamala Harris e del loro esercito di coglioni seriali, con la coppola da Hipster che fanno l'aperitivo tra amichetti mentre sentono musica indie pop. Sono robetta e li batteremo con molto meno sforzo di quello fatto per sconfiggere i nazisti
Tutti i leccapiedi, gli scribacchini e gli intellettualoidi de’noantri si stanno già sbizzarrendo per elogiare la futura e nuova Vicepreside Usa, Kamala Harris.
https://www.facebook.com/BarbagalloG.92 ... 1847469480
Giudizi trionfalistici ed elogi smisurati che nascono solo e soltanto dal fatto che sia donna e afroamericana, insomma una sorta di Obama in gonnella ma più cattiva.
Più cattiva perché la cara Kamala è una fervente “anticattolica”, talmente “anticattolica” da aver insinuato, nel 2018, in modo nemmeno troppo velato che l’adesione ai princìpi della morale cattolica ortodossa sia squalificante per il ruolo di giudice federale.
L’ostilità della Harris nei confronti del cattolicesimo non è circoscritta all’inquisizione dei candidati cattolici alle corti federali, si estende anche alla persecuzione degli enti pubblici che per missione rispettano la teologia morale cattolica.
Utilizzando i suoi incarichi pubblici per fare pressioni su queste istituzioni, la Harris si è guadagnata un lauto sostegno finanziario da parte di persone e gruppi pro aborto.
Ma c’è di più, c’è di peggio: nel 2015, la Harris ha sostenuto con entusiasmo il cosiddetto Reproductive FACT Act della California, un progetto di legge che obbligava i centri pro life di aiuto alle donne in gravidanza a dire alle loro clienti dove avrebbero potuto ottenere aborti gratuiti e a pubblicizzare le cliniche per l’aborto e, sempre 2015, utilizzò il suo potere di procuratore generale dello Stato per far chiudere sei ospedali cattolici per conto di un altro dei suoi sponsor politici, la Service Employees International Union.
Come senatrice degli Stati Uniti, la Harris ha introdotto l’orwelliano “Do No Harm Act”, il cui scopo è obbligare persone e organizzazioni religiose a svolgere attività che violano direttamente le loro convinzioni. È anche co-promotrice dell’“Equality Act”, che costringerebbe gli ospedali cattolici, per esempio, a praticare interventi per il cambio di sesso, ad aprire agli uomini i bagni riservati alle donne e a obbligare le ragazze e le donne a competere nelle gare di atletica con ragazzi e uomini.
Kamala non ha mai nascosto il suo intento di portare a termine il piano di Blanshard: costituire un movimento contro la Chiesa cattolica e contro gli individui, le società e le istituzioni che abbiano convinzioni, posizioni e condotte coerenti con la teologia morale della Chiesa.
Adesso giudicate voi, senza filtri e senza l’ausilio dei pennivendoli di sinistra, può una del genere ricoprire il ruolo di vicepresidente del Paese più potente del mondo?
Io non sono per niente tranquillo!
Kamala Harris nell’armadio ha un colore della pelle per ogni stagione.
Marco Lancini
Oggi, ad esempio, abbiamo scoperto dalla stampa progressista che si tratti della prima Vicepresidente nera eletta nella storia degli Stati Uniti.
Qualche tempo fa, sempre secondo la stessa stampa progressista, era stata invece la prima indo-americana a ricoprire il ruolo di procuratrice della California, ma nell’anno dei Black Lives Matter era più che mai conveniente cambiare abito.
Per me, che non ho grande interesse per il colore della pelle, l’etnia degli individui, o il genere sessuale, ma penso a differenza degli amici di sinistra che in qualsiasi ambito professionale si debbano premiare il merito, le capacità e le idee, Kamala è da sempre, semplicemente, una donna americana, che promuove una pessima agenda politica radicale, come l’idea di favorire l’aborto anche in tarda gravidanza, quando la vita esiste al di fuori di ogni ragionevole dubbio scientifico ed ha il diritto di non essere soppressa o di introdurre un non meglio precisato terzo genere oltre a quello maschile e femminile, o il mix letale per la crescita e la prosperità tra l’ambientalismo ideologico e il socialismo economico.
Kamala Harris è sposata con un avvocato ebreo
Douglas Emhoff (New York, 13 ottobre 1964) è un avvocato statunitense.
https://it.wikipedia.org/wiki/Douglas_Emhoff
Marito di Kamala Harris, prima donna vicepresidente degli Stati Uniti (non ancora), è di conseguenza il primo uomo a ricoprire la carica di Second gentleman degli Stati Uniti d'America, oltre che essere il primo di religione ebraica.
Chi è Joe Biden, 46esimo presidente degli Stati Uniti
https://www.vicenzapiu.com/leggi/biden- ... dente-usa/
Jospeh Robinette Biden è nato in una famiglia cattolica irlandese ed economicamente modesta a Scranton, nella vicina Pennsylvania, cittadina mineraria celebre finora soprattutto per essere stata la location della serie tv The Office. Ma approdato nel Delaware poi mai più abbandonato quando aveva appena 10 anni. Suo padre, Josehp Senior, ci si trasferì con la famiglia dopo aver perso il posto in una compagnia di sigillanti per navi, per reinventarsi la vita come venditore di auto usate. «Un uomo non si misura da quante volte cade, ma da quanto velocemente si rialza»: come gli disse allora. Dandogli quella lezione che ha plasmato il carattere di Joe per il resto di una vita che, va detto, gliele ha davvero suonate.
Studente mediocre perché balbuziente, si sforzava ogni giorno di leggere poesie ad alta voce. Buon giocatore di football sfruttò le sue doti sportive per costruirsi un’immagine da leader naturale: a dispetto dell’indole d’incontenibile gaffeur. Primo della sua famiglia a frequentare l’università, studiò legge a Syracuse, New York, per amore. Qui viveva infatti Neilia Hunter, la ragazza di cui si era innamorato durante una vacanza alle Bahamas. Finalmente sposata, contro il parere della famiglia di lei, nel 1966. Dopo aver esercitato brevemente come avvocato, e aver fatto una piccola esperienza da consigliere regionale, a soli 29 anni Joe si convince di essere tagliato per la politica. Nel suo Delaware allora solidamente repubblicano conduce una serrata campagna porta a porta: approdando in Senato, nel novembre 1972. Un mese dopo, lo colpisce però la prima grande tragedia. La moglie e la figlioletta di un anno Naomi muoiono in un incidente stradale, travolte da un camion, alla Vigilia di Natale. Disperato, vuol mollare tutto: ma i compagni di partito lo convincono a provare sei mesi. Il 23 gennaio 1973 giura dunque accanto al letto di ospedale del figlioletto Beau ingessato: sì, il futuro procuratore ed eroe di guerra, ucciso da un tumore al cervello nel 2015, altro devastante lutto della sua vita.
Iniziano così i suoi 36 anni da pendolare al Senato: dove va tutti i giorni in treno al mattino, tornando da Washington in tempo per dare la buonanotte ai figli Beau e Hunter la sera. Ritrovando coraggio anche grazie all’aiuto di Jill Jacobs (ma il cognome originale è il sicilianissimo Giacoppa) sposata nel 1977 dopo un lungo corteggiamento e due no alle sue proposte. Insieme avranno una figlia, Ashley. Insegnante in un community college, università popolare parzialmente supportate dallo stato, è l’unica moglie di un vicepresidente che si è rifiutata di smettere di lavorare.
Ambiziosissimo, nonostante l’immagine di uomo alla mano, Biden, d’altronde, ricopre incarichi prestigiosi: presidente del comitato giustizia fra 1987 e 1995 è più volte presidente della Commissione Esteri. Le sue posizioni bipartisan e le amicizie in campo repubblicano (celebre quella con John McCain) non sono amate da parte del partito: dall’opposizione all’uso forzato dei bus per integrare gli studenti neri nelle scuole bianche rinfacciatogli pure da Kamala Harris nel corso del primo dibattito delle primarie. Al trattamento riservato all’antesignana del #MeToo, Anita Hill, nel 1991, quando, capo della commissione Giustizia la lasciò massacrare dai colleghi senatori mentre accusava di molestie il giudice conservatore afroamericano Clarence Thomas, nominato alla Corte Suprema. Senza dimenticare il voto favorevole alla guerra in Iraq. Barack Obama, sfidato alle presidenziali 2008, lo volle suo vice e lo ricompensò dandogli accesso alle stanze dei bottoni. «Da questa modesta casa alla Casa Bianca », ha scritto l’altra sera nel salotto della casa di Scranton dov’è nato. Una strada lunga una vita.
Clarence Thomas (Pin Point, 23 giugno 1948) è un giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, nominato dal Presidente George H. W. Bush nel 1991.
https://it.wikipedia.org/wiki/Clarence_Thomas
È il secondo afroamericano a far parte della Corte dopo Thurgood Marshall a cui successe dopo il pensionamento di quest'ultimo. Con un mandato iniziato oltre 29 anni fa, è il giudice col servizio più lungo tra gli attuali membri della Corte.
???
Eccessivo entusiasmo per Sleepy Joe: partito diviso e sinistra radicale pronta all'incasso della cambiale
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
11 novembre 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -cambiale/
Già nella convention che condusse alla candidatura ufficiale di Joe Biden alla presidenza si notava che, in fondo, l’unico e vero collante del Partito democratico Usa era l’anti-trumpismo. Non si trattava certo di una novità. Tutti gli esponenti intervenuti in quella riunione virtuale concordavano sulla necessità che il presidente in carica dovesse sloggiare dalla Casa Bianca. Circa cosa fare dopo l’eventuale vittoria Dem, invece, non v’era altrettanta chiarezza.
A bocce ferme si può dire che, nel frattempo, nulla è cambiato. Il partito appare tuttora molto frastagliato e diviso tra correnti e personalità assai distanti tra loro. E la sinistra radicale, che durante le primarie aveva trovato in Bernie Sanders il proprio campione, è anch’essa divisa.
L’anziano Sanders, che si autodefinisce “socialista”, ha un’agenda in cui troviamo la necessità di un sistema sanitario nazionale, la questione della disoccupazione che rischia di debordare a causa delle conseguenze della pandemia e altri temi classici della sinistra tradizionale europea.
Esiste tuttavia anche una sinistra ben più radicale, e che ritiene invece prioritari l’ecologismo e le questioni di identità e di genere. Ancor più di Elizabeth Warren, la vera leader di questa variegata componente appare la giovane Alexandria Ocasio-Cortez affiancata da alcune deputate altrettanto giovani, tutte intenzionate a cambiare radicalmente il tradizionale scenario politico americano.
Nessuno ha ancora capito se le varie fazioni della sinistra interna raggiungano la maggioranza nel partito. La vittoria di un centrista ed esponente di lungo corso dell’establishment come Joe Biden indurrebbe a credere il contrario, ma la risposta è molto meno scontata di quanto si potrebbe supporre.
In realtà l’ex vice di Obama è riuscito a prevalere solo spostandosi a sinistra e quando Sanders gli ha ceduto ufficialmente il passo, a differenza di quanto aveva fatto in precedenza con Hillary Clinton.
Ma l’ipoteca della sinistra, più o meno radicale, sul partito è davvero forte e Biden, da vecchia volpe della politica Usa, l’ha capito benissimo. E, com’era lecito attendersi, l’ha capito un’altra “volpe” ancora più abile di lui, l’ex presidente Barack Obama, intervenuto con decisione ad appoggiarlo. È ovvio, tuttavia, che Biden ha dovuto promettere a destra e a manca per ottenere un’investitura che molti osteggiavano.
Lecito quindi chiedersi se l’entusiasmo manifestato da gran parte dei media Usa ed europei per la risicata vittoria democratica sia davvero giustificato. La principale dote di Joe Biden è la sua capacità di mediazione, esercitata nella lunghissima esperienza come senatore prima, e poi come vicepresidente. Con i suoi quasi 78 anni, tuttavia, dovrà affrontare una situazione eccezionale. Si troverà infatti a gestire un Paese profondamente spaccato come leader di un partito altrettanto diviso.
Essendo notoriamente un moderato, gli toccherà prendere posizione nei confronti dei fenomeni dilaganti del politically correct, della cancel culture e dell’intolleranza ideologica diffusasi a macchia d’olio nelle università e nei giornali. Non avendo certo una personalità carismatica, è lecito attendersi che troverà ostacoli enormi. Anche perché avrà sempre sul collo il fiato della sinistra radicale, alla quale ha fatto parecchie promesse, e che ora passerà senza dubbio all’incasso.
Senza scordare che ha scelto una vice, Kamala Harris, molto più giovane di lui e senz’altro dotata di maggiore carisma. C’è già chi prevede una sorta di diarchia in cui la Harris assumerà una posizione sempre più dominante, a differenza della tradizione Usa che vede i vicepresidenti quali semplici spalle del capo dell’esecutivo.
Per ora si sa soltanto che Biden intende far rientrare gli Usa nell’accordo di Parigi sul clima, e che vuole creare una task force per combattere la pandemia. Almeno in questo noi italiani abbiamo fatto scuola ma, visti i risultati conseguiti dalle innumerevoli task force nostrane, c’è da dubitare che si tratti di una scelta felice.
Per concludere, a me non pare che tutti questi entusiasmi per la vittoria (sempre risicata, rammentiamolo) di Joe Biden abbiano fondamenti solidi. E un altro grande interrogativo incombe. Donald Trump avrebbe perso le elezioni se non fosse scoppiata l’epidemia portata dal virus cinese? Pure in questo caso i dubbi, grandi come una casa, sono più che legittimi.
Iraq, Serbia, Siria e Libia: tutte le guerre di Joe Biden
Roberto Vivaldelli
13 novembre 2020
https://it.insideover.com/politica/tutt ... biden.html
Come sarà la politica estera dell’amministrazione Biden, qualora l’ex vicepresidente venga confermato alla Casa Bianca (in attesa che si concluda la battaglia legale avviata dalla Campagna di Donald Trump)? In un articolo pubblicato qualche mese fa sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, Joe Biden sembrava voler ripescare quell’idealismo wilsoniano che vede gli Usa come “poliziotto del mondo” e che ha spesso contraddistinto le amministrazione dei democratici e di recente l’ultimo mandato di Barack Obama (2012-2017), con l’appoggio incondizionato alle Primavere arabe e la destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa. “Durante il mio primo anno in carica – scriveva Biden su Foreign Affairs – gli Stati Uniti organizzeranno e ospiteranno un Summit globale per la democrazia per rinnovare lo spirito e lo scopo condiviso delle nazioni del mondo libero. Riunirà le democrazie del mondo per rafforzare le nostre istituzioni democratiche, affrontare onestamente le nazioni che si stanno ritirando [dalla democrazia] e forgiare un’agenda comune. Basandosi sul modello di successo istituito durante l’amministrazione Obama-Biden con il vertice sulla sicurezza nucleare, gli Stati Uniti daranno la priorità ai risultati galvanizzando nuovi impegni significativi nei paesi in tre aree: lotta alla corruzione, difesa dall’autoritarismo e promozione dei diritti umani nelle proprie nazioni e all’estero”.
La promozione dei diritti umani su scala globale si tradurrà in nuovo interventi militari? In effetti, la (lunga) carriera politica di Biden parla chiarissimo. Come ha sottolineato di recente il senatore repubblicano Rand Paul, Biden “ha votato per la guerra in Iraq, che il presidente Trump ha definito a lungo il peggior errore geopolitico della nostra generazione”. “Temo che Biden sceglierà di nuovo la guerra. Ha sostenuto la guerra in Serbia, Siria, Libia”. A sostenere questa posizione è l’analisi del sito PolitiFact.
Joe Biden votò a favore della guerra in Iraq
Nell’ottobre 2002, l’allora senatore degli Stati Uniti Biden votò a favore di una risoluzione che autorizzava George W. Bush ad applicare “tutte le pertinenti” risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein e, se necessario, a usare la forza militare contro l’Iraq. Il resto è storia. Nonostante i dubbi sulle prove fornite da Colin Powell sulle presunte armi di distruzione di massa, il 20 marzo 2003 la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invase l’Iraq e diede inizio alla Seconda Guerra del Golfo. Il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln, quella che aveva partecipato alle operazioni nel Paese, annunciando la vittoria degli Stati Uniti. Il 30 dicembre 2006, l’ex Presidente e leader del partito Partito Ba’th, Saddam Hussein, venne giustiziato da un tribunale speciale iracheno. Nessun arma di distruzione di massa è mai stata trovata. In un’intervista rilasciata nel 2005, Joe Biden ammise che quel voto fu un grave errore.
Guerra in Serbia
Come senatore, Joe Biden ha votato a favore di una risoluzione del 1999 che autorizzava il presidente Bill Clinton a condurre operazioni aeree militari e attacchi missilistici contro la Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia e Montenegro), in collaborazione con gli alleati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Il 24 marzo del 1999 Bill Clinton annunciava l’intervento della Nato e i fallimento delle trattative con il presidente serbo Slobodan Milosevic. Come ricorda Rainews, i raid dell’Alleanza, senza mandato Onu, iniziarono la sera: l’ordine arrivò dal Segretario Generale della Nato, Javier Solana, e durarono 78 giorni. I bombardieri Nato decollarono anche da quattro basi aeree in Italia e da unità navali nell’Adriatico. La Serbia e il Kosovo si trasformano in morti e macerie, ad essere colpiti sono sia obiettivi militari sia obiettivi civili.
Conflitti in Siria e Libia
In qualità di vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha sostenuto le Primavere arabe e la destabilizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente operata dall’amministrazione democratica. In Siria, l’amministrazione Obama-Biden ha sostenuto gli attori proxy, ossia la sfilacciata e ambigua opposizione siriana, nel tentativo di rovesciare il regime di Bashar al-Assad e instaurare un nuovo regime democratico. Opposizione “moderata” ben presto sostituita dai ben più organizzati jihadisti di Al-Nusra (poi Hayat Tahrir al-Sham). L’amministrazione Obama nel 2014 ha lanciato attacchi aerei contro lo Stato islamico in Siria e nel 2015 vi ha schierato truppe per combattere il gruppo terroristico, sostenendo finanziariamente – e militarmente – i curdi. Risultato: Assad è ancora al potere e molte armi americane inizialmente donate all’opposizione “moderate” sono finite nelle mani dello Stato Islamico.
In Libia gli Stati Uniti, nell’ambito di un’operazione Nato, hanno fornito supporto aereo in un intervento che ha portato alla cacciata di Gheddafi. Obama spiegò che Gheddafi stava lanciando azioni militari che stavano causando la morte di civili e costringendo i libici comuni a fuggire nei paesi vicini, minacciando una crisi umanitaria in Libia. L’esercito americano ha speso circa 2 miliardi di dollari e diversi mesi per sostenere la caduta di Gheddafi. Risultato? In Libia non c’è la democrazia e dopo 10 anni il Paese è ancora in guerra. Biden avrà imparato la lezione?
I misteri della Corea del Nord e della “prima dinastia comunista della storia”
Michele Marsonet
21 novembre 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/recen ... la-storia/
Joe Biden ha già affermato che occorre “finirla con la farsa coreana”, accusando Trump di aver dato solo spettacolo. Non ha detto, però, come lui stesso intende affrontare un problema che esiste e non è affatto fittizio. Il caso coreano è davvero complicato e un intervento armato rischia di produrre conseguenze incalcolabili
L’espressione “dinastia comunista” rappresenta di per sé un ossimoro. In teoria non dovrebbe esistere alcunché di simile, pena la contraddizione immediata. Eppure non si tratta affatto di un’espressione vuota e priva di referente, come dimostra un recente saggio di Stefano Felician Beccari, “La Corea di Kim. Geopolitica e storia di una penisola contesa” (Salerno Editrice, Roma).
L’autore ha conseguito il dottorato in geopolitica finanziato dallo Stato Maggiore della Difesa, e ora svolge attività di ricerca presso il Centro militare di studi strategici (Cemiss) di Roma. Com’è possibile, dunque, l’esistenza di quella che è stata definita “la prima dinastia comunista della storia”?
Felician Beccari parte da lontano poiché gli preme, innanzitutto, inquadrare il fenomeno nel contesto di una cultura millenaria come quella coreana, capace in alcuni periodi storici di affrancarsi dal vicino colosso cinese e di confrontarsi addirittura con il Giappone dei Samurai.
Ovviamente ciò che interessa all’autore è ricostruire nel modo più preciso possibile la storia della Repubblica Popolare Democratica di Corea dalla sua fondazione (1948) ai giorni nostri. Paese in pratica impenetrabile per gli osservatori esterni, la RPDC rappresenta l’ultima esemplificazione del cosiddetto “socialismo reale” realizzato nella ex Unione Sovietica e nelle nazioni a essa collegate, soprattutto quello in vigore durante il periodo staliniano.
Ciò rende la Corea del Nord indubbiamente interessante agli occhi degli analisti, costituendo un case study unico nel genere. Nel suo territorio il tempo sembra essersi fermato all’immediato Dopoguerra, con i piani quinquennali, la coreografia tipica dei regimi comunisti quando Stalin era in vita e un culto della personalità molto forte e interamente centrato sul leader di turno.
L’unicità, tuttavia, è fornita soprattutto da un altro elemento. Nel Paese il potere è detenuto, per l’appunto sin dalla fondazione, da una sola famiglia e viene trasmesso, di fatto, da padre in figlio senza soluzione alcuna di continuità. La famiglia è ovviamente quella dei Kim che, dopo aver ottenuto il controllo completo del partito e delle forze armate, continua a governare con mano ferrea senza che qualcuno – almeno in apparenza – osi opporsi.
La saga inizia con il fondatore Kim Il-sung (Kim I) che approfittò abilmente della Guerra Fredda e dell’appoggio staliniano per proclamare la Repubblica socialista nella parte settentrionale della penisola coreana. Giunse poi anche il sostegno della Cina di Mao, il cui massiccio intervento nella guerra del 1950-53 impedì la sconfitta del Nord, e la divisione permanente della nazione in due parti, legate l’una al blocco occidentale e l’altra a quello sovietico.
Kim I si sbarazzò ben presto di ogni oppositore e promosse nel Paese il culto della propria persona. Poco a poco assunse connotati quasi divini anche grazie alla dottrina del Juche, la versione coreana del marxismo-leninismo che insiste in particolare sull’indipendenza e autosufficienza nazionali. Si esalta la sovranità delle masse popolari le cui aspirazioni, tuttavia, vengono interpretate da una Guida Suprema che concentra nelle sue mani tutto il potere.
Quando il fondatore si spegne, nel 1994, Guida Suprema diventa suo figlio Kim Jong-il (Kim II), che segue la strada paterna. Si noti però che, secondo la storia ufficiale del Paese, Kim Il-sung è morto solo dal punto di vista fisico. In realtà egli è in qualche modo assurto al cielo da dove continua a guidare la nazione. E, infatti, detiene tuttora il titolo di presidente. Dunque il culto della personalità si è col tempo trasformato in un culto religioso a tutti gli effetti. Nel mausoleo di Pyongyang la salma imbalsamata del fondatore è meno importante del suo spirito, che dall’alto continua a governare e a proteggere la RPDC.
E siamo giunti ai giorni nostri. Alla scomparsa di Kim Jong-il nel 2011 gli succede il figlio Kim Jong-un (Kim III), l’attuale leader. Da lui si attendevano riforme che non sono venute, anche perché la rigida struttura del regime non lo permette. Eppure persino la Cina, in pratica l’unico alleato rimasto alla Corea del Nord, spinge in tale direzione, preoccupata dal fatto che Pyongyang si sia nel frattempo dotata di un arsenale nucleare in grado di minacciare i Paesi vicini (e non solo).
Kim Jong-un continua a contare sulla fedeltà del partito e dell’esercito anche perché viene visto come il miglior strumento per garantire la continuità di uno dei regimi dittatoriali più longevi della storia, superiore persino alla dittatura dei fratelli Castro a Cuba iniziata nel gennaio 1959.
Permane, alla fine della narrazione, un senso di mistero. Com’è possibile che una sola famiglia riesca a imporsi per un periodo così lungo, trasmettendo il potere assoluto per vie dinastiche senza causare una ribellione di massa, che sarebbe del resto giustificata dalle condizioni in cui vive la popolazione?
Settant’anni anni possono sembrare pochi, ma sono moltissimi se si rammenta che il regime è rimasto tale e quale mentre nel resto del mondo si sono avuti mutamenti epocali. I media nordcoreani sostengono che il “Presidente Eterno”, Kim Il-sung (Kim I), dall’al di là protegge la Corea del Nord con la sua immensa bontà e infinita saggezza. Ma la storia non si è mai fermata. Basta quindi attendere che, anche là, si rimetta in moto.
Nota l’autore del volume che la Corea del Nord evoca l’immagine di un Paese fuori dalla storia, governato da un dittatore lunatico e omicida. Nel migliore dei casi quello di Kim Jong-un viene descritto come un regime eccentrico, feroce e cupo nel suo remoto grigiore totalitario. E a succedere a Kim III sarà quasi sicuramente la giovane sorella 33enne Kim Yo-jong, che già ora ha in mano l’apparato di propaganda e di spionaggio del partito.
È in pratica impossibile, come del resto rileva l’autore del volume, spiegare i tanti misteri del “Regno eremita”. Occorre tuttavia prendere atto della sua presenza e dei rapporti privilegiati che tuttora intrattiene con Pechino, sempre rammentando che il suo arsenale nucleare rappresenta un pericolo reale per il mondo intero.
E in questo caso gli Stati Uniti giocano un ruolo rilevante, pur indeboliti dal caos istituzionale susseguente alla recenti elezioni presidenziali Usa. Donald Trump ha cercato il dialogo con il regime incontrando di persona Kim III e varcando – primo presidente americano a farlo – la linea di demarcazione tra le due Coree. Tuttavia, almeno per ora, gli incontri non hanno conseguito effetti concreti, giacché il regime non sembra affatto disposto a rinunciare all’arma atomica.
Ed è interessante notare, a tale proposito, come Joe Biden abbia già affermato che occorre “finirla con la farsa coreana”, accusando Trump di aver dato solo spettacolo. Non ha detto, però, come lui stesso intende affrontare un problema che esiste e non è affatto fittizio. È noto che i Democratici Usa sono più inclini dei Repubblicani a intervenire militarmente all’estero, ma il caso coreano è davvero complicato e un intervento armato rischia di produrre conseguenze incalcolabili.
Rileva in conclusione l’autore del volume che occorre analizzare la questione coreana senza alcun superficialismo, e “comprendere il perché un mondo che ci appare assurdo, surreale e spesso comico sia in realtà molto più concreto, reale e articolato”. C’è bisogno insomma di una buona dose di realismo, e senza dubbio anche Biden, volente o nolente, dovrà farvi ricorso.
Ecco come è ridotta Minneapolis la città del delinquente abituale Floyd governata dai democratici
Minneapolis dove il motto "defund the police" è diventato realtà.
La città guidata dalla sinistra radicale sta sprofondando nella criminalità.
L'Osservatore Repubblicano
2 dicembre 2020
https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 1705609248
La violenta ondata di criminalità a Minneapolis, Minnesota è il risultato delle decisioni della città a guida democratica.
Sono passati sei mesi dalla morte di George Floyd a Minneapolis. I disordini che ne sono seguiti hanno dato il via a un'ondata di criminalità nella città che non ha ancora visto la fine.
Il Consiglio comunale di Minneapolis pensa che la risposta sia meno finanziamenti alla polizia e meno agenti.
Il sindaco Jacob Frey e il capo della polizia della città stanno attualmente combattendo con i membri del consiglio comunale sulla proposta di quest'ultimi di tagliare il budget della polizia della città di circa $ 8 milioni. Le due parti sono anche in disaccordo sul numero di agenti da avere in organico in futuro, con i membri del consiglio comunale che ne vogliono 130 in meno rispetto a quanto ne chiedono Frey e il capo della polizia Medaria Arradondo.
Nel frattempo, la città ha registrato un aumento del 537% dei furti d'auto violenti il mese scorso rispetto a novembre del 2019. La città non aveva effettivamente iniziato a monitorare i furti d'auto violenti fino a settembre, ma a causa dell'ondata di attacchi ha dovuto monitorare questa tipologia di crimine anche per gli anni passati.
Crimini violenti di tutti i tipi sono aumentati in tutta la città sin dalle rivolte estive, con il peso maggiore sopportato dai quartieri a basso reddito. Il Minnesota Star Tribune riporta 500 persone sono state uccise o ferite da colpi di arma da fuoco in città dall'inizio del 2020, il numero più alto riportato in 15 anni. I 79 omicidi di quest'anno sono il numero più alto da quando la città è stata soprannominata "Murderapolis" dal New York Times a metà degli anni '90.
Questo è il futuro che Minneapolis ha trovato attraverso lo sciocco impegno del consiglio comunale di "defund the police" e degli attivisti manifestanti che hanno invaso la città per fare quella richiesta. Persino i leader statali come il governatore democratico Tim Walz si sono rifiutati di mettere piede mentre la città era alle prese con rivolte e saccheggi.
Nel frattempo, il famoso legislatore Rep. Ilhan Omar sta ancora parlando di quanto sarebbe bello disinvestire la polizia. Omar, che si è unito agli appelli per abolire il dipartimento di polizia di Minneapolis, ha respinto le critiche di Barrack Obama al mantra "defund the police", definendolo una "richiesta politica".
Nessuno sa, con minori agenti di polizia con meno fondi come si potrà fermare ondata di criminalità. Ma, proprio come Portland ha scelto l'anarchia nelle sue strade, Minneapolis ha scelto la sua situazione attuale. Nessuno ha costretto la città ad accettare le assurdità degli attivisti anti-polizia, e spetta ai leader e ai residenti di Minneapolis decidere se vogliono continuare su questa strada.
https://www.washingtonexaminer.com/opin ... -decisions
La sinistra radicale del partito democratico contro l'ala moderata.
Una guerra civile interna che porterà benefici soltanto al GOP.
L'Osservatore Repubblicano
2 dicembre 2020
https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 2422278843
I democratici progressisti rispondono pesantemente a Obama dopo che aveva criticato il movimento "Defund the police".
I Democratici Progressisti hanno preso di mira l'ex presidente Barack Obama dopo aver sostenuto che i candidati politici alienano gli elettori quando usano slogan "ad effetto" come "indebolisci la polizia".
Obama ha fatto questi commenti durante un'intervista con Peter Hamby al programma politico di Snapchat "Good Luck America" che è andato in onda mercoledì mattina.
"Hai perso un grande pubblico nel momento in cui lo dici, il che rende molto meno probabile che tu ottenga effettivamente i cambiamenti che desideri", ha detto Obama. "La chiave è decidere, vuoi davvero fare qualcosa, o vuoi sentirti bene tra le persone con cui sei già d'accordo?"
I suoi commenti hanno suscitato un forte rimprovero da parte di diversi democratici progressisti.
"Perdiamo persone nelle mani della polizia", ha ribattuto il rappresentante Ilhan Omar, D-Minnesota. "Non è uno slogan ma una richiesta politica. E domandate investimenti e budget equi per le comunità in tutto il paese ci porta progresso e sicurezza".
Altri membri della cosiddetta "Squadra" si sono uniti a Omar nel respingere i commenti di Obama.
"Rosa Parks è stata denigrata e attaccata per la sua disobbedienza civile. È stata presa di mira. È difficile vedere le stesse persone che la elevano per il coraggio, attaccare il movimento per le vite dei neri che vuole che sia dia priorità alla salute, al finanziamento delle scuole e alla fine della povertà, piuttosto che al razzismo sistemico della polizia, "Rep. Rashida Tlaib, D-Mich., ha twittato.
Rep. Ayanna Pressley, D-Mass., Ha detto che è "senza pazienza" per le critiche al linguaggio utilizzato dagli attivisti.
"Gli omicidi di generazioni di neri disarmati da parte della polizia sono stati orribili", ha twittato. "Le vite sono in gioco ogni giorno, quindi non ho più pazienza con le critiche al linguaggio degli attivisti. Qualunque cosa una famiglia in lutto dica è la loro verità. E non smetterò mai di lottare per la loro giustizia e guarigione".
Il deputato eletto Cori Bush, D-Mo., Ha fatto eco a quel sentimento, dicendo che il movimento non è uno slogan ma un "mandato per mantenere in vita il nostro popolo". Bush ha citato le uccisioni mortali della polizia di Breonna Taylor nella sua casa del Kentucky a marzo e di Michael Brown a Ferguson, Mo., nel 2014 (il Democratico del Missouri ha già detto che le proteste di Ferguson l'hanno spinta a entrare in politica).
"Con tutto il rispetto, signor presidente, parliamo di perdere persone", ha twittato Bush. "Abbiamo perso Michael Brown Jr. Abbiamo perso Breonna Taylor. Stiamo perdendo i nostri cari a causa della violenza della polizia. Non è uno slogan. È un mandato per mantenere in vita la nostra gente. Defund the police".
Il movimento per "depotenziare la polizia" e reindirizzare i fondi dai dipartimenti di polizia ad altre agenzie governative ha guadagnato terreno tra gli attivisti dopo la morte di George Floyd a maggio. Le città di tutto il paese, tra cui New York City, Los Angeles e Portland, hanno già riallocato i finanziamenti dai bilanci dal dipartimento di polizia.
Ma Obama non è l'unico democratico di alto profilo a suggerire che il movimento "defund the police" sia politicamente impopolare.
I democratici, che avevano un vantaggio di 35 seggi alla Camera prima delle elezioni, vedranno la loro maggioranza ridursi ad almeno 9 seggi, rendendolo uno dei margini più sottili degli ultimi decenni, dopo una performance migliore del previsto da parte dei repubblicani .
Nelle settimane successive alle elezioni, i democratici si sono scambiati la colpa su chi è in ultima analisi responsabile dello spettacolo poco brillante, in cui il partito ha perso numerosirappresentanti che avevano vinto durante le elezioni di medio termine del 2018, in parte raggiungendo i distretti che Trump aveva vinto nel 2016.
I dem moderati hanno puntato il dito contro i loro colleghi che hanno abbracciato il movimento "defund the police" e per non aver respinto più duramente il socialismo.
"Penso che l'usare termini come 'defund the police', abbia portato a perdite democratiche in questo ultimo anno", ha detto il senatore Mark Warner, D-Va., Durante un'intervista alla WAMU .
Il rappresentante Jim Clyburn, il majority whip alla Camera oltre che essere il parlamentare nero di più alto rango al Congresso, ha dichiarato che lo slogan ha il potenziale per perdere il sostegno pubblico per Black Lives Matter e altri movimenti a sinistra.
"Sono uscito pubblicamente e con la forza contro lo slogan", ha detto Clyburn, DS.C., durante un'intervista su "State of the Union" della CNN. Lo paragonò allo slogan "brucia, baby, brucia" che divenne popolare durante le rivolte di Watts nel 1965 a Los Angeles, e che Clyburn disse costò il supporto per il Comitato di coordinamento non violento degli studenti.
"Non possiamo raccogliere queste cose solo perché fa un buon titolo, a volte distrugge i progressi", ha detto. "Dobbiamo lavorare su ciò che fa progressi piuttosto che su ciò che fa notizia".
https://www.foxnews.com/politics/progre ... e-movement