A scuola di distopia dalla Francia17 luglio 2020
https://geopoliticalnewspr.news/2020/07 ... a-francia/ Vi spieghiamo perché abbiamo deciso di parlare della morte orribile di Philippe Monguillot e del perché i media stanno commettendo un gravissimo errore ad oscurare la nazionalità (vera) dei suoi assassini.
Bayonne (Francia), venerdì 10 luglio 2020. Quella che per Philippe Monguillot, autista di bus 59enne, inizia come un’ordinaria giornata di lavoro terminerà con un epilogo tragico e sanguinoso. Ad una fermata dei mezzi pubblici staziona un gruppo di quattro giovani, tutti magrebini (ma che i media continuano a descrivere come francesi, e vi spiegheremo poco più avanti il motivo e perché non dovrebbero), in attesa dell’arrivo di un bus.
Il bus arriva, guidato da Monguillot, ma non possono salire: non indossano le maschere protettive che sono propedeutiche all’accesso sui mezzi pubblici in base alla normativa vigente per la pandemia. Inoltre, anche se Monguillot avesse voluto fare uno strappo alla regola, non avrebbe comunque potuto: erano anche senza biglietto e non avevano intenzione di farlo. La decisione di impedire loro di salire sul mezzo si rivelerà fatale: i quattro lo trascinano via dalla cabina dell’autista e iniziano a picchiarlo selvaggiamente sul marciapiede. I passeggeri guardano, ma non intervengono; sicuramente erano spaventati e il panico ha avuto il sopravvento.
Monguillot viene tramortito a causa dei ripetuti e violentissimi calci in testa, la sua testa viene presa e sbattuta più volte contro il marciapiede. Smette di reagire quasi subito, poiché svenuto, ma gli aggressori scapperanno soltanto dopo diversi minuti di pestaggio. Vano ogni soccorso: Monguillot muore.
I quattro vengono arrestati molto rapidamente grazie alla descrizione dei testimoni e all’utilizzo delle telecamere urbane. I media li dipingono come francesi, ma non lo sono e le generalità parlano da sé: Mohamed C., Mohamed A., Selim Z., Moussa B. Adesso, è chiaro che i media abbiano voluto dipingere gli assassini come francesi in virtù della loro cittadinanza. In Francia, infatti, vige lo ius soli e chiunque nasca sul territorio – al di là della cittadinanza dei genitori – acquisisce automaticamente la cittadinanza francese. A ciò si sommi una legislazione molto elastica che facilita l’acquisizione della cittadinanza per gli abitanti delle ex colonie ed il gioco è fatto.
Bayonne: circa 6mila persone marciano in memoria di Philippe Monguillot. In testa al corteo, la moglie e le figlie.
Ma c’è un problema: non si è saputo gestire l’immigrazione di massa, persone alla ricerca di una vita migliore sono state gettate in giganteschi quartieri-dormitorio costruito a qualche chilometro di distanza dalle grandi città e la mobilità sociale continua a restare un appannaggio per chiunque non abbia una fisionomia europea. Questi fattori contribuiscono, in parte, a capire il fallimento del modello d’integrazione d’Oltralpe ma non giustificano assolutamente chi, perché avendo difficoltà ad integrarsi, sceglie la strada della criminalità e del terrorismo.
Periodicamente le banlieu esplodono, un controllo dei documenti in un quartiere “sbagliato” può fungere da elemento detonante per lo scoppio di guerriglie urbane che possono durare da poche ore a giorni interi, i francesi autoctoni decidono di spostarsi altrove per via dell’insicurezza e così interi quartieri – ed anche città – si trasformano in ghetti a cielo aperto abitati da persone con cittadinanza francese, ma che di francese non hanno nient’altro. Da Parigi a Marsiglia, le tensioni interrazziali dilagano così come dilagano gli attentati e i crimini violenti: è tutto collegato.
Poche settimane abbiamo dato ampia copertura agli scontri di Digione: la comunità cecena è insorta dopo che alcuni spacciatori di origine magrebina avrebbero aggredito un loro giovane connazionale perché si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Assistere ad un affare di droga può rivelarsi fatale in Francia allo stesso modo in cui può esserlo chiedere un biglietto del bus alla persona sbagliata. Il ceceno se l’era cavata con qualche punto di sutura, ma la violenza insensata commessa da alcuni adulti nei confronti di un ragazzino che si trovava lì di passaggio ha spinto i ceceni ad insorgere, chiamando a raccolta i connazionali da ogni città. Furgoni e macchine sono partite in direzione di Digione, con a bordo ceceni armati di bastoni, pistole e mitragliatrici e aventi un solo obiettivo: caccia all’uomo.
La città è stata messa a ferro e fuoco per più di quattro giorni e le forze dell’ordine hanno tratto in arresto soltanto i ceceni coinvolti nell’opera discutibile di giustizia privata. Eloquentemente, i residenti francesi si erano rivolti alla stampa per mostrare il loro supporto alla comunità cecena, denunciando come Digione sia diventata un ghetto invivibile dove a regnare sovrana non è la legge della repubblica ma quella delle bande.
Si potrebbero fare altri esempi, si potrebbe parlare del terrorismo, ma tanto basta per capire perché i media, dettagliando la reale origine degli autori di certi gesti, non commetterebbero alcun crimine “populistico”, nessuno sciacallaggio alla Matteo Salvini. No. Si tratterebbe di spiegare all’opinione pubblica e alla politica che certi modelli non funzionano, che l’integrazione ha fallito, e che il futuro distopico che poco alla volta si sta materializzando a Parigi attenderà all’orizzonte tutti quei paesi che sceglieranno di seguire la via francese all’integrazione.
Scene dalla battaglia inter-etnica di Digione
Ora, ad una settimana esatta dalla morte di Monguillot, il governo ha annunciato che diventerà “un obiettivo entro la fine dell’estate” la formulazione e l’approvazione di una legge che risolva il “problema del separatismo islamico nei nostri territori” – dove per separatismo si intende l’esistenza di aree, come a Digione e a Bayonne, che sono fuori dal controllo dell’Eliseo e dove avvengono certi crimini efferati.
Non è stato fornito alcun dettaglio dall’esecutivo su come si tenterà di arginare il fenomeno, ma la situazione è veramente allarmante. Alcuni mesi fa fu proprio il presidente, Emmanuel Macron, a denunciare la situazione fuori controllo delle periferie francesi e dei suoi abitanti, tutti provenienti dalle ex colonie. E adesso, visto che se ne parla poco, vi spieghiamo noi qual è:
Stando ad un documento proveniente direttamente dagli uffici della Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI), i servizi segreti francesi per la sicurezza interna, che è stato reso noto al pubblico lo scorso gennaio, nel paese ci sarebbero attualmente ben 150 quartieri, prevalentemente banlieu, fuori dal controllo delle istituzioni e e i cui capi non sono i sindaci ma reti di potere legate al crimine organizzato, al jihadismo e all’islam radicale. Sono i quartieri di cui Macron ha paura, dove gente come Monguillot viene uccisa brutalmente e senza ragione, dove la shari’a ha già sostituito le leggi civili della repubblica, e dove l’assenza di prospettive di mobilità sociale e di reale integrazione ha creato delle bombe ad orologeria che periodicamente detonano, lasciando a terra morti e feriti.
Le 150 aree che si trovano sotto la lente degli investigatori sono spalmate nell’intero paese, da Parigi a Lione, passando per Marsiglia, Nizza e Tolosa, e il problema del separatismo si sta velocemente espandendo dalla Francia urbana alle aree rurali e periferiche, a causa della migrazione interna. Nei territori perduti, come sono stati chiamati, le forze dell’ordine intervengono con estrema cautela – se non paura – onde evitare di accendere le proteste degli abitanti che potrebbero dar luogo a guerre urbane come quelle del 2005 e del 2017. Come abbiamo visto, gli operatori della sanità e dei trasporti pubblici affrontano gli stessi problemi e non sono esenti da rischi. Altre volte, invece, sono le stesse autorità ad essere infiltrate: a maggio dell’anno scorso fece scalpore la notizia di un autista della Ratp, di fede salafita, che si era rifiutato di far salire una donna sul mezzo perché indossante una minigonna, mentre a ottobre dello stesso anno si è assistito ad un attentato in una questura parigina commesso da un dipendente di alto livello. Dipendente che poi si è scoperto aveva passato fascicoli d’indagine, nomi ed indirizzi di poliziotti e magistrati, ai suoi veri “colleghi”: i terroristi. Una falla enorme nel sistema di sicurezza francese.
Tornando ai territori perduti, sono le moschee e i centri culturali islamici i punti di riferimento della vita quotidiana e comunitaria di queste aree, e crescono in quantità anno dopo anno, creando delle reti di mutuo soccorso a base territoriale simili a quelli delle parrocchie cattoliche. Ecco qui alcuni esempi: Tolosa, quartiere Reynerie, 4 moschee in un’area di 2 chilometri quadrati; a Parigi, area di Saint-Denis, 7 moschee ufficialmente operative.
Èd e dai territori perduti che proviene la stragrande maggioranza degli oltre 2mila francesi arruolatisi nello Stato Islamico negli anni scorsi. 2mila, una cifra astronomica, che rende la Francia il paese dell’Europa occidentale più colpito dalla radicalizzazione religiosa, insieme a Belgio, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.
Questi 2mila combattenti stranieri rappresentano soltanto la punta dell’iceberg, perché sotto la sorveglianza delle dei servizi segreti si trovano attualmente circa 15mila persone fra radicalizzati, terroristi comprovati o presunti, criminali vicino al terrorismo ed imam estremisti. Questo esercito invisibile, i cui soldati escono regolarmente dall’ombra per perpetrare attentati, abita l’intero territorio nazionale che, complessivamente, presenta 750 zone a rischio, ovvero aree sensibili e vulnerabili alla proliferazione del fondamentalismo islamico poiché caratterizzate da elevati tassi di criminalità, disoccupazione ed alti indicatori di degrado sociale.
Non è soltanto in base al terrorismo d’importazione che si giudica il successo di un modello di integrazione. La Francia ne è la prova e se paesi come l’Italia non appronteranno soluzioni lungimiranti, molto presto, attentati e omicidi in stile Monguillot potrebbero diventare la norma anche nelle loro strade.