Quei migranti che dalla Libia decidono di tornare in NigerMauro Indelicato
18 aprile 2019
http://www.occhidellaguerra.it/migranti ... nano-nigerIl flusso di migranti da quando è in corso la battaglia per Tripoli in effetti appare aumentato, ma in direzione opposta: se prima la Libia affronta il fenomeno della rotta di subsahariani che entrano dal Niger, adesso è l’esatto opposto con il Niger che conta dalla Libia un afflusso sempre maggiore di migranti che fanno marcia indietro. A riportare questo aspetto del fenomeno migratorio sono alcuni funzionari dell’Oim, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, interpellati dalla tv Al Jazeera.
L’afflusso di migranti ad Agadez
Il nord del Niger da anni è punto di riferimento per le partenze verso la Libia. Raggiungere questo territorio per i migranti provenienti dai paesi del Sahel non è molto difficile: grazie alla zona di libero scambio dell’Ecowas (o Cedeao se si fa riferimento all’acronimo francese) dal Burkina Faso, dalla Nigeria, così come dal Mali o da altri paesi confinanti è possibile raggiungere il Niger e spostarsi poi all’interno di questo Stato tra la capitale Niamey e le province settentrionali confinanti con la Libia. Agadez è l’ultimo grosso centro prima che il deserto prenda il sopravvento e le carovane di migranti raggiungano il territorio libico. Poi da qui in poi si entra nella parte del tragitto in mano ai trafficanti di esseri umani che gestiscono la tratta e che, dopo l’attraversamento del Sahara, portano i migranti lungo le coste da dove poi si aspira a partire verso l’Italia.
Città punto di riferimento dei tuareg nigerini, un tempo famosa per essere una delle tappe della gara automobilistica della Parigi – Dakar, Agadez negli ultimi anni vede l’emergere di un’economia sommersa retta soprattutto dall’indotto del traffico di migranti. I pick up che fino ai primi anni 2000 trasportano i turisti nei luoghi del rally più famoso al mondo, oggi vengono impiegati per portare decine di africani verso la Libia. Ma adesso, come accennato in precedenza, la situazione inizia a variare. A causa del conflitto a Tripoli, i migranti preferiscono rimanere ad Agadez oppure tornare nella città nigerina percorrendo al contrario la rotta che alcune settimane fa li porta in Libia.
Il Niger adesso ha il problema inverso: se prima il paese africano chiede aiuto per fermare il flusso verso la Libia, ricevendo anche un miliardo di euro all’anno dall’Ue per arginare il fenomeno, ora si ritrova centinaia di migranti che ogni giorno attraversano da nord verso sud la frontiera. Chi arriva nel paese nordafricano ad inizio aprile, inverte subito il suo percorso: troppo rischioso andare avanti nella vana speranza di raggiungere le coste della Tripolitania. Ma del resto un simile scenario viene già annunciato nei giorni scorsi da Ayoub Qassem, portavoce della Guardia Costiera di Al Sarraj: “Le strade normalmente usate per arrivare nei punti di partenza dei barconi sono inutilizzabili per via degli scontri”. Dunque, la soluzione attuale è tornare indietro oppure rimanere in Niger.
Una soluzione considerata solo temporanea
Diverse centinaia di migranti quindi tornano indietro: lo spauracchio di avere una pressione sempre maggiore lungo le coste nordafricane al momento appare attenuato. La guerra per adesso sta rendendo la vita impossibile ai trafficanti e sta facendo desistere diversi migranti dal pensiero di continuare la traversata del deserto libico. Ma secondo quanto descritto da Al Jazeera, questo non vuol dire definitivo arresto del flusso diretto verso l’Europa e principalmente verso l’Italia. Al contrario, funzionari Oim dichiarano che la maggior parte di chi rimane in Niger o rientra nel paese, non rinuncia alla possibilità di andare verso il Mediterraneo una volta placata la guerra alle porte di Tripoli.
In poche parole, Agadez è solo una sistemazione provvisoria. Molti migranti sarebbero disposti ad aspettare diverse settimane prima di prendere una decisione definitiva. Di certo c’è però che, allo stato attuale, le organizzazioni criminali in Libia non hanno la possibilità di sfruttare il caos a Tripoli per provare a rimettere nel Mediterraneo decine di barconi. Ma questo non deve significare, per l’Italia e l’Europa, dormire sonni tranquilli.
Lo sporco gioco dei libici: così ci ricattano sui migrantiMauro Indelicato
17 aprile 2019
http://www.occhidellaguerra.it/la-strum ... rte-libica Cifre e numeri destinati a creare preoccupazione soprattutto lungo la sponda italiana del Mediterraneo, allarmi volti a sensibilizzare un Paese, quale il nostro, che vive da vicino la questione legata a flussi migratori. Sono giorni in cui dalla Libia, sia dal lato di Al Sarraj che da quello di Haftar, arrivano vere e proprie allerte. L’ultima riguarda quella lanciata dal premier libico e che parla, in particolare, di 800mila migranti presenti in Libia. Un modo per spingere Roma ad adoperarsi affinché il problema venga risolto, magari dando appoggio politico (e soldi) al governo insediato a Tripoli ed impegnato in queste ore a respingere gli assalti dell’Lna. Ma quella sui migranti è reale emergenza?
I numeri attuali
Un’emergenza è tale quando una situazione appare repentinamente variata e cambiata in un lasso di tempo talmente veloce, da richiedere decisioni e sforzi fuori dall’ordinario. Dati alla mano, non esiste un’emergenza immigrazione dalla Libia per via della guerra attualmente in corso. L’Italia deve ovviamente valutare tutti gli scenari futuri ed agire secondo una precauzione figlia del buon senso, ma considerare emergenza ciò che emergenza non è potrebbe risultare controproducente. Parlare oggi di necessità di contenere i flussi generati dal conflitto libico equivale a parlare di ricostruzione prima di un terremoto. Al momento non c’è alcun incremento di approdi relativi alla rotta libica: la guerra scatenata dal generale Haftar lo scorso 4 aprile su Tripoli non genera fino a queste ore la temuta ondata di profughi.
Ma questa è soltanto la prima valutazione sugli allarmi che arrivano dalla Libia. In secondo luogo, per quanto concerne nello specifico le parole pronunciate da Al Sarraj nei giorni scorsi, è bene fare doverose precisazioni: qualora corrisponda a verità la presenza sul territorio libico di 800mila migranti (e non è la prima volta che il premier libico parla di una cifra del genere), non è detto che tutti aspirino ad entrare in Italia. Al contrario, molti di loro sono in Libia regolarmente per lavoro: il Paese africano già dai tempi di Gheddafi ha un disperato bisogno di manodopera, che solo i migranti sud sahariani riescono a fornire. Nelle zone libiche al momento estranee al conflitto, tra gli africani provenienti da altri Paesi del continente sono in tanti a trovare lavoro.
Che il problema riguardi numeri certamente inferiori a quelli menzionati da Al Sarraj lo sostiene anche Enzo Moavero Milanesi: “Non ci risulta che 800mila migranti siano pronti a salpare – afferma il ministro degli esteri in un’intervista a Radio Capital – Ci risulta che essi siano nell’ordine di qualche migliaio”. A questo occorre aggiungere un’altra considerazione che riguarda le parole, ribadite nei giorni scorsi, del portavoce della Guardia Costiera Libica Ayoub Qassem: “Le strade normalmente usate per arrivare nei punti di partenza dei barconi – dichiara – sono inutilizzabili per via degli scontri”. Sorge dunque, per migranti e trafficanti, un mero problema logistico: organizzare partenze dalle coste libiche è molto più complicato in tempo di guerra aperta che in tempo di apparente pace.
L’Italia tirata per la “giacchetta”
Fatte queste premesse dunque, ben si intuisce quanto importante sia la prevenzione di determinati fenomeni tenendo ben presente però l’attuale realtà dei fatti, che non parla di emergenza. Anche perché, al contrario, da alcuni giorni risulta che diversi migranti presenti in Libia tornino a gruppi in Niger in quanto preoccupati di rimanere loro malgrado invischiati nel conflitto a Tripoli. E gli stessi libici divenuti profughi per via delle case tremendamente vicine alla linea del fronte, scappano sì ma in altre zone della Libia o in Tunisia. Quando quindi il governo libico, da una parte, parla di pericolo di invasione e quando, dall’altra parte, Haftar mette in guardia dai rischi legati al terrorismo, l’impressione è quella di un’enfatizzazione dei relativi fenomeni per catturare le simpatie (con relativi appoggi politici e di natura economica) dell’Italia.
Immigrazione e terrorismo sono problemi attuali, che esistono prima dello scoppio della battaglia di Tripoli e che non sembrano accentuati nei giorni successivi. Parlare di emergenza sembra forse un tentativo, nemmeno troppo sottile in effetti, di tirare in ballo l’Italia. Dal canto suo, Roma deve valutare ogni scenario e provare in ogni caso a mediare per porre fine all’instabilità libica. Ma le questioni divenute improvvisamente centrali nelle ultime ore appaiono più figlie di mere chiacchiere politiche che di preoccupanti circostanze reali.