L'Italia percepita vale più di quella reale. Cosa c'è nel rapporto Censis2017/12/01
http://www.ilfoglio.it/societa/2017/12/ ... ale-166710C'è un'Italia che si rialza, cresce, riprende a correre dopo gli anni della crisi. E poi c'è l'Italia del malumore, che continua ad avvitarsi su se stessa. Un'Italia reale e una percepita. Peccato che il percepito abbia ormai superato la realtà. A dirlo è il rapporto Censis 2017 presentato questa mattina.
“Manifatturiero, filiere italiane nelle catene globali del valore e turismo da record sono i baricentri della ripresa - si legge nel comunicato diffuso dall'Istituto -. Attraverso i consumi torna il primato dello stile di vita: ora gli italiani cercano un benessere soggettivo nella felicità quotidiana”. Purtroppo prosegue, “l'immaginario collettivo ha perso la forza propulsiva di una volta e non c'è un'agenda sociale condivisa. Ecco perché risentimento e nostalgia condizionano la domanda politica di chi è rimasto indietro”. Insomma, per dirla con le parole del Censis, “la ripresa c'è e l'industria va, ma cresce l'Italia del rancore”.
Industria e export. Ovviamente non si tratta di un'analisi astratta. A sostegno di questa lettura della società italiana del 2017 ci sono anzitutto i dati. Nel comparto industria, ad esempio, l'unica voce negativa è quella relativa agli investimenti pubblici, scesi del 32,5 per cento in termini reali nell'ultimo anno. A questo fanno da contraltare l'incremento della produzione industriale (+4,1 per cento nel terzo trimestre), ma anche la quota dell'Italia sull'export manifatturiero del mondo che è arrivata al 3,4 per cento con numeri record nei materiali da costruzione in terracotta (23,5 per cento), nel cuoio lavorato (13,2 per cento), nei prodotti da forno (12,2 per cento), nelle calzature (8,1 per cento), nei mobili (6,8 per cento), nei macchinari (6,4 per cento). Aumentano, allo stesso tempo, anche le aziende esportatrici che nel 2016 sono 215.708, circa 10 mila in più rispetto al 2007.
I consumi delle famiglie E ancora, tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4 per cento in termini reali nei tre anni). Nell'ultimo anno gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro per la ristorazione (+5 per cento nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il tempo libero (+3,8 per cento), 25,1 miliardi per la cura e il benessere soggettivo (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), 25 miliardi per alberghi (+7,2 per cento), 6,4 miliardi per pacchetti vacanze (+10,2 per cento). E tutto questo può essere sintetizzato in un numero: il 78,2 per cento degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce.
Positivo è anche il confronto con altri paesi europei. Negli ultimi dieci anni le famiglie italiane hanno destinato ai servizi culturali e ricreativi una spesa crescente: +12,5 per cento nel periodo 2007-2016, contro il -9,6 per cento nel Regno Unito, -8,1 per cento in Germania, -7 per cento in Spagna. Solo in Francia si è registrato un +7,7 per cento che resta comunque distante dal dato italiano.
Ottima anche la performance del turismo: nel 2016 gli arrivi complessivi hanno sfiorato i 117 milioni e le presenze i 403 milioni (i visitatori stranieri sono stati il 49 per cento del totale). Rispetto al 2008 l'incremento degli arrivi è stato del 22,4 per cento e dei pernottamenti del 7,8 per cento. Insomma, anche se pensiamo il contrario, il nostro paese resta ancora attrattiva per i turisti.
L'Italia del rancore. Ciò nonostante le note negative non mancano. “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica - sottolinea il Censis - e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Ecco quindi che l'87,3 per cento degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, esattamente come l'83,5 per cento del ceto medio e il 71,4 per cento di quello benestante. “La paura del declassamento - si legge nel rapporto - è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l'87,3 per cento di loro pensa che sia molto difficile l'ascesa sociale e il 69,3 per cento che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”.
Il risultato di questo “malessere” è ovviamente una modifica, profonda, del nostro immaginario collettivo che “ha perso forza propulsiva”. Al primo posto ci sono i social network (32,7 per cento), seguiti dal “posto fisso” (29,9 per cento), dallo smartphone (26,9 per cento), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1 per cento) e dal selfie (21,6 per cento), prima della casa di proprietà (17,9 per cento) e del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9 per cento).
Resta altissima, in questo quadro, la sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. L'84 per cento degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78 per cento nel governo, il 76 per cento nel Parlamento, il 70 per cento nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60 per cento è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro paese, il 64 per cento è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75 per centro giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. E poco importa che l'economia abbia ripreso a crescere.
Rapporto Censis, l'Italia cresce ma blocco della mobilità sociale crea rancore. Oltre 1,6 milioni di famiglie in povertà assoluta1 dicembre 2017
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... ta/4012875Secondo l'istituto di ricerca non si è "distribuito il dividendo sociale della ripresa economica" e "la paura del declassamento" diventa "il nuovo fantasma sociale". Gli immigrati? "Quasi tutti operai, segregazione professionale. Manca una visione strategica". Totale sfiducia verso politica e istituzioni. Intanto calano i reati e un italiano su due acquista in nero
Nonostante la ripresa ci sia, cresce l’Italia del rancore e 1,6 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà assoluta. È la fotografia scattata dal Censis e riassunta nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese. L’analisi dell’istituto di ricerca evidenzia la persistenza di “trascinamenti inerziali da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio”. In sintesi: “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Così “la paura del declassamento” diventa “il nuovo fantasma sociale”.
LA SCALA SOCIALE? DIFFICILE SALIRE
Quasi 9 italiani su dieci appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, così come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Il percorso contrario, invece è ritenuto possibile dal 71,5% del ceto popolare, il 65,4 per cento del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. I dati sono simili tra i giovani: l’87,3 per cento dei Millenials ritiene infatti che sia “molto difficile” l’ascesa sociale, mentre lo scivolamento è uno scenario ritenuto probabile dal 69,3 per cento dei giovani.
POVERTA’ ASSOLUTA
In basso, molto in basso, ci sono già oltre 1,6 milioni le famiglie. Tante nel 2016 erano in condizioni di povertà assoluta, con un boom del +96,7% rispetto al periodo pre-crisi. Gli individui in povertà assoluta sono 4,7 milioni, con un incremento del 165 per cento rispetto al 2007. Il numero dei poveri è raddoppiato al Sud ed è aumentato del 126 per cento nel Centro Italia. Secondo il rapporto, il boom della povertà assoluta rinvia a una molteplicità di ragioni, ma in primo luogo alle difficoltà occupazionali, visto che tra le persone in cerca di lavoro coloro che sono in povertà assoluta sono pari al 23,2 per cento. I dati mostrano un altro trend il cui potenziale sviluppo può avere gravi implicazioni nel futuro: l’etnicizzazione della povertà assoluta. Nel 2016 il 25,7% delle famiglie straniere era in quelle condizioni di povertà assoluta contro il 4,4% delle famiglie italiane, mentre nel 2013 erano rispettivamente il 23,8% e il 5,1%. E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59 per cento degli italiani, con una percentuale che sale quando si scende nella scala sociale: la paura dello straniero colpisce infatti poco più del 70 per cento di casalinghe e disoccupati e il 63 per cento degli operai.
LA CLASSE OPERAIA NON PARLA ITALIANO
Sempre in tema di immigrazione, il Censis afferma che la classe operaia non parla più italiano. L’88,5 per cento dei dipendenti stranieri (circa 1,8 milioni di persone) fa l’operaio, mentre tra gli italiani la quota è del 41 per cento. Tra gli stranieri occupati solo il 9,9% lavora come impiegato, contro il 48% degli italiani. La “segregazione professionale”, che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, osserva il Censis, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. Una percentuale che scende ancora per i dirigenti: 9.556 contro i 391.585 italiani. “Manca una visione strategica che, al di là dell’emergenza e della prima accoglienza, valuti nel medio-lungo periodo il tema della povertà dei livelli di formazione e di competenze del capitale umano che attraiamo”, dice il rapporto. Ad esempio solo l’11,8% degli immigrati che arrivano in Italia è laureato, contro una media europea del 28,5%.
LAVORO E DONNE – Secondo il Censis, negli ultimi mesi, è anche migliorata la condizione occupazionale delle donne: “Tra il primo semestre 2016 e il primo semestre 2017 il successo nella ricerca di un lavoro ha premiato 133mila donne, con un incremento dell’1,4% delle donne occupate a fine periodo. Il tasso di occupazione sale di quasi un punto, due decimali in più rispetto all’aumento del tasso di occupazione maschile”. Se “nel 1977 il divario tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile era pari a 41,4 punti percentuali”, rileva il Rapporto, nel primo semestre di quest’anno “ci consegna un’immagine ancora non positiva, poiché i punti del divario si sono ridotti notevolmente, ma la distanza da colmare è ancora di ben 18 punti”.
SFIDUCIA NELLA POLITICA
Si confermano pesanti i dati sulla sfiducia verso la politica e le istituzioni: “L’onda di sfiducia – si legge nel Rapporto – che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno”. L’84 per cento degli italiani non crede nei partiti politici, il 78% nel governo e il 76% nel Parlamento. Non se la passano bene anche Regioni e Comuni, viste di cattivo occhio da 7 persone su 10. Il problema principale riguarda la fornitura dei servizi pubblici, giudicata negativamente da tre italiani su quattro: il 52,1 per cento crede che la Pubblica amministrazione abbia “problemi importanti nel suo funzionamento” e il 18 per cento lo ritiene “pessimo”. Mentre il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla. “Non sorprende – scrive il Censis – che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo“. Il “rigetto del ceto dirigente” è chiaro nell'”astioso impoverimento del linguaggio” che evidenzia anche “la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica“.
video di Angela Gennaro
OLTRE 2 MILIONI DI REATI
Nel 2016 i reati denunciati in Italia sono stati 2.487.389, l’8,2% in meno rispetto al 2008. In cima alla graduatoria per numero di reati denunciati si trovano Milano con 237.365 reati (ma in diminuzione del 15,5% rispetto al 2008) e Roma con circa 10mila in meno (in diminuzione del 3,3% nel periodo considerato). Torino si ferma a 136.384 (-11,7%), mentre a Napoli ne vengono denunciati poco più di 136mila, in calo del -4 per cento. Se si considera il «peso» della criminalità sul territorio, cioè l’incidenza dei reati sulla popolazione, al primo posto rimane Milano con 7,4 reati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6) e Torino (6). In particolare, diminuiscono omicidi, rapine e furti, ma crescono i borseggi, i furti in abitazione, le truffe tradizionali e sul web.
VACCINI E SISTEMA SANITARIO
Il Rapporto contiene anche i dati legati a vaccini e fiducia nel Sistema sanitario nazionale. Nel 2016, dice il Censis, l’incremento della copertura antinfluenzale ha subito un rallentamento tra gli adulti passando dal 19,6% del 2009-2010 al 15,1% del 2016-2017, tra i bambini l’antipolio passa dal 96,6% del 2000 al 93,3% del 2016, quella per l’epatite B scende dal 94,1% al 93%. Riguardo alle disfunzioni del sistema sanitario, il Rapporto pone l’accento sulle liste di attesa: nel 2014-2017 si rilevano +60 giorni di attesa per una mammografia, +8 giorni per visite cardiologiche, +6 giorni per una colonscopia e stesso incremento per una risonanza magnetica. “Un’altra disfunzione in evidente peggioramento – osserva il Censis – è la territorialità della qualità dell’offerta”. Circa il 64 per cento dei cittadini è soddisfatto del servizio sanitario della propria regione, quota che scende però al 46,6% nel Sud. Durante l’ultimo anno il servizio sanitario della propria regione è peggiorato secondo il 30,5% degli italiani, con una quota che sale nel Sud al 38,1 per cento.
ACQUISTI IN NERO
Circa un italiano su due ha acquistato in nero un servizio o un prodotto nel 2016: sono infatti 28,5 milioni le persone che dichiarano di aver comprato almeno una volta senza scontrino o fattura. La maggior parte dei pagamenti in nero avviene con idraulici, elettricisti, imbianchini o altri artigiani (35,6%), seguiti da 22,1% di professionisti e strutture sanitarie. Il 20,3 per cento ha invece consumato in nero in bar o pizzerie, il 19,1% presso ristoranti, trattorie o enoteche.
Censis, la ripresa corre ma lascia indietro i giovani, l'ex ceto medio e il Mezzogiorno di ROSARIA AMATO
http://www.repubblica.it/economia/2017/ ... ews/censis _un_italia_sempre_piu_frammentata_che_si_aggrappa_ancora_al_mito_del_posto_fisso-182542861
ROMA - L'Italia si risolleva: corre la produzione industriale, con performance che superano anche quella tedesca, volano gli investimenti, almeno quelli privati. E così nel Rapporto Censis 2017 tornano finalmente i consumi, cresciuti del 4% negli ultimi tre anni, e soprattutto il piacere di consumare: si spende di nuovo in cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici e trattamenti di bellezza, pacchetti vacanze (il 10,2% in più nel biennio 2014-2016. "Torna il primato del benessere soggettivo": una svolta positiva, ma non del tutto. Si accentua sempre di più il divario tra chi ha compiuto finalmente il balzo in avanti, liberandosi dalle strettoie della crisi, e una maggioranza rabbiosa che è rimasta indietro. "Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore".
E' il primo rapporto senza Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, ideatore e relatore del Rapporto Annuale per 50 anni. Questa cinquantunesima edizione segna l'esordio di Giorgio De Rita, figlio di Giuseppe, segretario generale, che nel suo intervento ha sottolineato l'incapacità del Paese di "immaginare il futuro", un rischio e un limite, che ci riporta a "un futuro appiccicato al presente", in cui resistono pochi miti vecchi, tra i quali svetta quello del posto fisso, e svettano pochi miti nuovi, i social network, che però non riescono a creare un nuovo progetto di società. Più che di fronte a un ciclo nuovo, dunque, siamo di fronte all'esaurirsi di un ciclo vecchio, in cui la rabbia sociale non si tramuta ancora in una frattura che dà anche il via all'inizio di qualcosa di diverso.
Un Paese senza giovani. Il più forte squilibrio di questa ripresa ineguale, denuncia il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, è il "degiovanimento" del Paese: "La riduzione del peso demografico dei giovani è una miccia accesa che sta per accendersi in futuro. Nel momento in cui si inverte quella che non ha più senso chiamare piramide demografica si crea un grave problema per il Paese. Oggi i Millennials tra i 18 e i 34 anni sono 11 milioni rispetto a 50 miloni di elettori, e quindi l’offerta politica non li guarda con sufficiente attenzione, si parla molto di più di pensioni che di disoccupazione giovanile. Il problema dei giovani in Italia è che non contano perché sono pochi".
Ascensore sociale sempre più fermo. Unaparte enorme della popolazione italiana guarda con invidia un ascensore sociale irrimediabilmente rotto: l'87,3% degli appartenenti al cento popolare pensa che sia difficile risalire nella scala sociale, una posizione condivisa dall'87,3% del ceto medio e persino dal 71,4% del ceto benestante. Tutti invece pensano che sia estremamente facile scivolare in basso nella scala sociale, compreso il 62,1% dei più abbienti.
Record di immigrati con basso titolo di studio. E in quest'Italia sempre meno coesa, che si guarda in cagnesco, bloccata dalla paura di perdere quel poco o quel molto che ha, cresce un'immigrazione che si candida ogni giorno di più alla marginalizzazione. Nel nostro Paese arrivano gli immigrati più poveri e meno qualificati: a fronte di un dato medio degli extracomunitari con istruzione terziaria in Europa pari al 28,5% (ma con punte del 50,6% nel Regno Unito e del 58,5% in Irlanda), da noi ci si ferma al 14,7%. Nel 2016 su 52.056 nuovi permessi rilasciati dalla Ue a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori, appena 1.288 erano per l'Italia, a fronte di 11.675 per i Paesi Bassi.
Lavoro, scompaiono le figure intermedie. E siccome il lavoro in Italia si va sempre più "polarizzando" tra professioni intellettuali e impieghi non qualificati, è sempre più difficile attrarre immigrati perché si assottigliano posizioni mediane come quelle di operai, artigiani e impiegati. In cinque anni operai e artigiani diminuiscono anzi dell'11%, a fronte di una crescita dell'11,4% delle professioni intellettuali ma anche dell'11,9% delle professioni non qualificate. Vince la gig economy: nell'ultimo anno l'incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci, più 11,4%. Mentre si assottigliano in maniera preoccupante i professionisti: 10 punti persi in meno di dieci anni per gli under 40.
Crollo di iscritti ai sindacati confederali. La crisi del lavoro si traduce anche in una crisi dei sindacati tradizionali: tra il 2015 e il 2016 Cgil Cisl e Uil hanno subito una contrazione di 180 mila tessere. Su 11,8 milioni di iscritti alle tre sigle, 6,2 milioni sono costituiti da lavoratori attivi (+0,2%) e 5,2 milioni da pensionati (-3,9%). Secondo il Censis, si manifesta quindi "l'esigenza di una maggiore inclusione da parte dei soggetti di rappresentanza verso categorie e segmenti non tradizionalmente coperti dall'azione sindacale".
Pochi laureati, sempre più in fuga verso l'estero. Siamo penultimi in Europa per numero di laureati, con il 26,2% della popolazione di 30-34 anni, una situazione aggravata dalla forte spinta verso l'estero, che assorbe una buona quota di giovani qualificati. Infatti nel 2016 i trasferimenti dei cittadini italiani sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010. Quasi il 50% dei laureati italiani si dice pronto a trasferirsi all'estero anche perché, calcola il Censis, la retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea si aggira intorno a 1344 euro corrisposti per una assunzione nei confini nazionali ma arriva a 2.200 euro all'estero.
E sempre meno giovani. Gli over 64 intanto hanno superato i 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione, mentre le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva. Si è ridotto anche l'apporto delle donne straniere, prezioso negli ultimi anni: nel 2010 il numero di nascite per le extracomunitarie era in media di 2,43, ma nel 2016 è sceso a 1,97, mentre per le italiane è di 1,26 figli per donna.
Il Sud abbandonato. La polarizzazione non è solo tra chi gode dei benefici della ripresa, e chi è rimasto indietro, ma anche tra un Nord Italia e una capitale sempre più attrattivi e un Sud che offre sempre meno e che si sta letteralmente desertificando. Tra il 2012 e il 2017 nell'area romana gli abitanti del capoluogo sono aumentati del 9,9% e quelli dell'hinteland del 7,2%. A Milano l'incremento demografico è stato rispettivamente del 9% e del 4%, a Firenze del 7% e del 2,8%. Si spopolano invece le grandi città del Sud, a cominciare da Napoli, Palermo e Catania, dove affonda anche il Pil. Ma va male anche alle città intermedie come Torino, Genova e Bari.
Nel vuoto di aspirazioni resiste il mito del "posto fisso". Attento da sempre all'"immaginario collettivo", inteso come "l'insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuale e i percorsi esistenziali di ciascuno", punto di partenza indispensabile per "definire un'agenda sociale condivisa", il Censis trova che ormai i vecchi miti appaiano stinti, ma i nuovi siano privi di forza aggregatrice. Infatti per gli under 30 al primo posto ci sono i social network. Per la media degli italiani resiste invece un mito vecchissimo, davvero duro a morire nonostante i colpi bassi delle leggi Fornero e del Jobs Act: il posto fisso, al primo posto per il 38,5%. E a sopresa, il posto fisso si piazza al secondo posto anche per la fascia più giovani, anche se è quasi a pari merito con lo smartphone.