L’umanesimo di Padova: una storia riscrittahttp://www.lindipendenza.com/lumanesimo ... -riscrittadi PAOLO L. BERNARDINI
Vi sono almeno due motivi per riprendere in considerazione uno dei maggiori capitoli non solo dell’Umanesimo in Veneto, ma dell’Umanesimo europeo, padre del Rinascimento.
La prima è un’occasione: il settimo centenario della tragedia “Ecerinis”, composta da Albertino Mussato, nel 1313, sul modello senechiano – la prima tragedia classica dopo mille anni – che si configura come monito liberale, contro la tirannia di Ezzelino da Romano, contro le aspirazioni altrettanto tiranniche degli Scaligeri.
Duole che non sia disponibile un’edizione recente di questa tragedia – magari con la Fondazione Valla-Mondadori – che presenta caratteri di grande modernità, e fascino ambiguo e crudele.
La seconda, è la pubblicazione di un ponderoso volume da parte di Ronald Witt, classe 1932, grandissimo studioso delle origini dell’Umanesimo, che è stato per decenni professore nella prestigiosa Duke University in North Carolina.
“The Two Latin Cultures and the Foundation of Renaissance Humanism in Medieval Italy” (Cambridge University Press, 2012; recensito da un altro grande studioso dell’Umanesimo, Alexander Murray, sul TLS dell’11 Gennaio 2013), è opera poderosissima, e, prima di tutto, un grande inno all’immenso patrimonio intellettuale della Padova pre-veneziana, la Padova di un’università allora sì veramente degna del motto “patavina libertas”, dove, al contrario che nella rigida e dogmatica Bologna, dalla cui costola, ribelle, Padova era nata, si sperimentavano vie nuove della conoscenza, e si andava riscoprendo, sull’onda dell’influsso culturale delle università francesi, il patrimonio letterario latino.
Si tratta di quello che gli studiosi hanno sommariamente definito pre-umanesimo padovano, ma, come dimostra bene Witt, si tratta di vero e propri umanesimo, non è vero che quest’ultimo nasca solo negli anni ‘30 del Trecento, quando esplode il fenomeno Petrarca.
L’Umanesimo è legato al Veneto, a Padova, alla sua università, ben prima che qui giunga, e non a caso, si vede bene, proprio Petrarca, per spegnersi in quel di Arquà nel 1374.
Non si tratta certamente di una sterile competizione di genealogie e primati, ovvero, in soldoni, non si tratta di toglier nulla a Firenze, alla Firenze di Leonardo Bruni, soggetto di un altro e precedente, immenso volume di Witt, “In the Footsteps of the Ancients”, morto nel 1444 al trionfo umanistico, e al picco del Rinascimento.
La frammentazione tardo-medievale, il passaggio di regimi, che per Padova incluse una breve parentesi democratica tra due tirannidi, e poi il definitivo transito, non certo indolore, non certo privo di morti anche inutili, sotto la Serenissima, consentiva, in una situazione di assenza di stati centrali (???) e perenne, dopo la liberazione del 1138, una dialettica e feconda contesa tra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini, uno splendido fiorire della cultura, anche e proprio teorico-politica, tra repubblicanesimo nascente (sulle scorie del modello romano), e celebrazione del principe, tra potenza ecclesiastica ed emergenza del laicismo, molto temperato, forse più di quanto non creda Witt, che si pone in netta contrapposizione alla dimensione religiosa.
Speriamo che, come il precedente, il libro di Witt venga presto tradotto in italiano.
Finalmente possiamo dirci liberi dalla schiavitù del pre-. Ovvero, l’Umanesimo patavino appare perfettamente compiuto, diversificato nei suoi prodotti, legato ad una riscoperta progressiva dei Classici, che non avviene in forma di rottura, ma in forma di processo che affonda le radici nel IX secolo, nei “secoli bui” dunque.
Dunque, la progressività del passaggio tra Medio Evo e prima età moderna, proprio attraverso la cerniera umanistica, sembra sempre più sfumata e dilatata. In un certo senso, quando Venezia annette Padova, annette anche una tradizione letteraria e teorico-politica che le era abbastanza estranea, nella sua continentalità, e che certamente le permetterà di precisare i fondamenti teorici, e storici, del proprio potere e della propria supremazia.
Pochi ricordano umanisti veneti come Benvenuto Campesani, vicentino, autore di un poema su Catullo “risorto”, Pietro d’Abano, mago e umanista in perenne conflitto con l’autorità ecclesiastica, forse amico di Marco Polo; Rolando da Piazzola, autore di un celebre falso latino, sepolto all’Oratorio di San Giorgio di Padova proprio in un’arca tombale messa insieme con vari frammenti di rovine romane; o ancora Geremia da Montagnone, la cui silloge di massime latine venne pubblicata a Venezia con grande successo nel 1505 – a quasi duecento anni dalla morte, a testimonianza di una lunghissima fama – e finalmente Lovato Lovati, morto nel 1309, ammirato e citato (unico tra i contemporanei) come grande poeta latino da Petrarca.
Una splendida stagione patavina, vicentina, euganea, che rischia di essere dimenticata, e che Witt riporta splendidamente in vita.
Diritto, poesia, chiesa. Atti notarili, liriche, falsi, trattati politici, tragedie politiche, frammenti.
L’umanesimo veneto prima di Petrarca è tutto questo. È una stagione mirabile, purtroppo in gran parte sopravvissuta solo per citazioni ed estrapolazioni. Contempla collezionismo erudito, culto della lingua, e rapporto controverso con la religione cattolica e soprattutto con Roma. Sono d’accordo con Murray in una cosa: sbaglia Witt a vedere la conversione, ad esempio, in punto di morte, di Mussato, come una nota stonata.
Rischia di essere interpretata come una caduta antireligiosa e un banale laicismo, in uno studioso eccellente. Speriamo dunque che questo libro porti ad una messe di nuove edizioni e traduzioni del poco che rimane di questi Maestri, che fecero di Padova un polo europeo di sapere, e un pioniere nel lungo processo di riappropriazione e riscoperta degli antichi (???).