El sagrefigo de łi butini e de łi primoxeneti, ciamàsti anca “fiołi de Dio”
I MITI DEL MONDO MODERNO
de Mircea Eliade
http://www.cristinacampo.it/public/mircea%20eliade%20miti%20sogni%20misteri.pdf
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A noi, eredi e beneficiari della grande rivoluzione religiosa giudeo- cristiana, le ingiunzioni di Jahvè sembrano di un buon senso evidente, e ci domandiamo come gli Ebrei contemporanei di Isaia abbiano potuto preferire il culto del dio maschio e fecondatore a quello, infinitamente più puro e più semplice, di Jahvè. Ma non bisogna dimenticare che queste epifanie elementari della vita, che hanno costantemente attirato gli Ebrei, costituivano vere esperienze religiose. Il paganesimo, a cui gli Ebrei ritornavano periodicamente, rappresentava la vita religiosa di tutto l’Oriente antico: era una religione grande e molto antica, dominata dalle ierofanie cosmiche, e che esaltava di conseguenza la SACRALITA’ DELLA VITA. Questa religione, le cui radici penetrano profondamente nella protostoria dell’Oriente, rifletteva la scoperta della sacralità della vita, la presa di coscienza della solidarietà che unisce il cosmo all’uomo e a Dio.
I sacrifici frequenti e cruenti, che disgustano Jahvè e che i profeti non cessano di combattere, assicurano la circolazione dell’energia sacra fra le diverse regioni del cosmo; grazie a questo circuito la vita totale riesce a conservarsi.
Anche l’odioso sacrificio di bambini offerto a Moloch aveva un senso profondamente religioso.
Con esso si rendeva alla divinità ciò che le apparteneva, poiché il primo figlio era spesso considerato figlio del dio; infatti in tutto l’Oriente arcaico le fanciulle trascorrevano solitamente una notte nel tempio, dove concepivano per opera del dio (cioè del suo rappresentante, il sacerdote, o del suo inviato, lo «straniero»). Sicché il sangue del bimbo accresceva l’energia impoverita del dio, poiché le cosiddette divinità della fertilità esaurivano la loro sostanza nello sforzo di conservare il mondo e assicurare la sua opulenza; anch’esse avevano quindi bisogno di essere periodicamente rigenerate. (35)
Il culto di Jahvè respinge tutti questi rituali cruenti che pretendevano di assicurare la continuazione della vita e della fecondità cosmiche. La potenza di Jahvè è di ordine completamente diverso: non ha bisogno di essere periodicamente rafforzata.
La semplicità del culto, tratto caratteristico del monoteismo e del profetismo giudaici, corrisponde indicativamente alla semplicità originaria del culto degli Esseri Supremi presso i «primitivi». Come abbiamo già detto, questo culto è quasi scomparso, ma sappiamo in che cosa consisteva: offerte, primizie e preghiere rivolte agli Esseri Supremi. Il monoteismo giudaico ritorna a tale semplicità di mezzi cultuali.
Inoltre, il mosaismo pone l’accento sulla
FEDE, cioè su un’esperienza religiosa che implica una interiorizzazione del culto; in ciò consiste la sua più grande novità. Si potrebbe affermare che la scoperta della fede come categoria religiosa è l’unica novità apportata dalla storia delle religioni dopo il neolitico.
Osserviamo che Jahvè continua ad essere un Dio forte, onnipotente e onnisciente; ma, anche se è capace di manifestare la sua potenza e la sua saggezza nei grandi avvenimenti cosmici, preferisce rivolgersi direttamente agli uomini, si interessa alla loro vita spirituale. Le potenze religiose mosse da Jahvè sono POTENZE SPIRITUALI. Questo cambiamento della prospettiva religiosa è molto importante e bisognerà riparlarne.
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SACRIFICI UMANI.
Abbiamo appena visto in che senso i miti della creazione a partire da una totalità primordiale o attraverso una ierogamia cosmica vengono riattualizzati nei rituali della Terra Madre, rituali che comprendono sia l’unione sessuale cerimoniale (replica della ierogamia) sia l’orgia (ritorno al caos primordiale). Ci resta ora da ricordare alcuni riti che sono in relazione con l’altro mito della creazione, quello che parla del mistero della creazione delle piante alimentari attraverso il sacrificio di una dea ctonia. Sacrifici umani sono attestati in parecchie religioni agrarie, anche se la maggior parte delle volte questo sacrificio era diventato simbolico. (58) Disponiamo tuttavia di documenti che riguardano sacrifici reali: i più conosciuti sono quelli del “meriah” presso i Khond dell’India e il sacrificio delle donne presso gli Aztechi.
Ecco, in poche parole, in che consistevano questi sacrifici. Il “meriah” era una vittima volontaria, comperata dalla comunità; lo si lasciava in vita per anni, poteva sposarsi e aveva figli. Pochi giorni prima del sacrificio il “meriah” veniva consacrato, cioè identificato alla divinità a cui si stava per sacrificare: la folla danzava attorno a lui e lo venerava. Poi ci si rivolgeva alla terra: «O dea, ti offriamo questo sacrificio; dacci buoni raccolti, buone stagioni e buona salute!». E si aggiungeva, rivolgendosi verso la vittima: «Ti abbiamo comperato e non ti abbiamo preso a forza; ora ti sacrifichiamo secondo l’usanza e nessuna colpa ricada su di noi». La cerimonia comprendeva anche un’orgia che durava parecchi giorni. Infine il “meriah” veniva drogato con oppio e, dopo essere stato strangolato, tagliato a pezzi. Tutti i villaggi ricevevano un frammento del suo corpo che veniva sepolto nei campi. Il resto del corpo era bruciato e le ceneri sparse sulle zolle. (59) Questo rito cruento corrisponde chiaramente al mito dello smembramento di una divinità primordiale. L’orgia che l’accompagna ci fa intravedere anche un altro significato: i pezzi del corpo della vittima erano assimilati alla semente che feconda la Terra Madre. (60) Presso gli Aztechi una fanciulla, Xilonen, che simboleggiava il nuovo mais, veniva decapitata; tre mesi dopo, anche un’altra donna che incarnava la dea Toci, «Nostra Madre» (che rappresentava il mais già raccolto e pronto per l’uso), era decapitata e scorticata. (61) Tale rito era la reiterazione rituale della nascita delle piante per mezzo dell’autosacrificio della dea. Altrove, per esempio presso i Pawnee, il corpo della fanciulla era smembrato e i pezzi sepolti nei campi.
(62) Dobbiamo concludere, anche se siamo ben lontani dall’aver evocato tutti gli attributi della Terra Madre, tutti i suoi miti e i suoi riti importanti. Abbiamo dovuto fare una scelta e fatalmente alcuni aspetti della Terra Madre sono stati tralasciati. Non abbiamo insistito sull’aspetto notturno e funerario della Terra Madre in quanto dea della morte; non abbiamo parlato delle sue caratteristiche aggressive, terrificanti, angoscianti. Ma anche a proposito di questi aspetti negativi e angoscianti non bisogna perdere di vista una circostanza: la terra diventa dea della morte proprio perché è sentita come la matrice universale, come la fonte inesauribile di ogni creazione. La morte non è in se stessa una fine definitiva, non è l’annientamento assoluto, come viene talvolta concepita nel mondo moderno. Il morto viene assimilato alla semente che, sepolta nel grembo della Terra Madre, darà origine a una nuova pianta. Così si può parlare di una visione ottimistica della morte, poiché la morte viene considerata come un ritorno alla madre, un nuovo ingresso provvisorio nel grembo materno.
Proprio per questo ritroviamo fin dal neolitico il seppellimento in posizione embrionale: i morti vengono deposti nella terra nella posizione di embrioni, come se si attendesse che ritornassero incessantemente alla vita. La Terra Madre, come indica il mito giapponese, è stato il primo morto; ma la morte di Izanami fu nello stesso tempo un sacrificio compiuto per accrescere e diffondere la creazione. Di conseguenza, la morte e la sepoltura erano un sacrificio alla terra. Insomma, proprio grazie a questo sacrificio la vita può continuare e i morti sperano di poter ritornare alla vita.
L’aspetto terrificante della Terra Madre in quanto dea della morte trova la sua giustificazione nella necessità cosmica del sacrificio, senza il quale non è possibile il passaggio da un modo d’essere a un altro; il sacrificio assicura anche la circolazione ininterrotta della vita.
Tuttavia non bisogna perdere di vista questa fatto importante: raramente la vita religiosa è stata monopolizzata da un unico «principio», raramente si è esaurita nella venerazione di un unico dio o di un’unica dea. Come abbiamo già detto, non si trova in nessun luogo una religione «pura», «semplice», riducibile a una sola forma o ad una sola struttura. La predominanza dei culti celesti o tellurici non esclude affatto la coesistenza di altri culti e di altri simbolismi. Studiando una certa forma religiosa si corre sempre il rischio di attribuirle un’importanza esagerata e di lasciare nell’ombra altre forme religiose, in realtà complementari anche se possono sembrare talvolta incompatibili. Studiando i simbolismi e i culti della Terra Madre bisogna sempre attendere a tutto un insieme di credenze che coesistono con quelli e che spesso rischiano di passare inosservate.
«Sono figlio della Terra e del Cielo stellato», è scritto su una tavoletta orfica.
Quest’affermazione vale per un grande numero di religioni.
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De da La Rama de Oro de James G. Frazer
El sagrefixo/sagrefiço (sacrificio) del fiolo (onijeneto-primojeneto) del Re/Dio
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