Flaminio de Poli e li Serenisimi
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LIFE
di ENZO TRENTIN
Germano Battilana, aderente al Veneto Serenissimo Governo [si tratta di uno dei quattro governi del Veneto] ha recentemente scritto: «gli amici mi hanno chiesto di commentare la situazione politica del movimento “venetista”. Devo osservare che effettivamente c’è stata una rivoluzione negli obbiettivi: e nel modo di proporre nuove strade e ipotesi, è interessante capire: come si è arrivati a questo?
Si può rilevare che i movimenti che si ispirano al “venetismo” nel nostro territorio sono moltissimi, ciò non è un bene né un male, si tratta di capire come si è arrivati a questa frammentazione e alle scelte derivate. La quasi totalità si sono formati e dissolti in funzione delle varie campagne elettorali elargite a piene mani dallo Stato occupante italiano, è evidente che i risultati elettorali negativi hanno influenzato in maniera determinante le scelte dei vari gruppi. Si può in maniera ragionevole affermare che l’obiettivo non era l’indipendenza della nostra Veneta Patria, ma cercare una collocazione nelle istituzioni che l’Italia usa per controllare e opprimere il Popolo Veneto.
Constatato ciò i vari gruppi “dirigenti” dei movimenti “venetisti” hanno deciso che bisognava spostare gli obiettivi per riuscire a sopravvivere: non più federalismo, non più autonomismo, non più confederazione… adesso la parola magica è: indipendenza. Questo potrebbe essere una cosa positiva! […] Tutti questi “leader” che si sono proposti e riproposti devono, se sono dei patrioti, fare qualche passo indietro, per un’ovvia ragione: non hanno una bussola obbiettiva per indicare una strada praticabile, essi usano il soggettivismo personale e di lobby per dare giudizi, e scegliere strategie e tattiche. […] È evidente a tutti che l’Italia deve implodere, ciò sarà determinante per l’indipendenza della Veneta Patria, ovviamente insieme ad altri fattori […] La stragrande maggioranza di questi presunti “leader” hanno tutto da perdere da uno sbocco indipendentista del Veneto, pertanto hanno due strade da seguire: una combattere i veri patrioti, la seconda prendere la testa dei movimenti per farli abortire. […] Tutti i Veneti devono unirsi e lottare per l’Indipendenza Totale della nostra Veneta Patria»
Tutta l’idea su cui si fonda l’indipendentismo veneto (ma il discorso vale per tutti gli altri popoli che vogliono affrancarsi dallo Stato di appartenenza) si fonda sul paradigma internazionale che vede improbabile il ritorno a guerre o repressioni di tipo classico e che, invece, attribuisce una valenza sempre più preponderante all’elemento umano, che negli attuali scenari geopolitici gioca un ruolo assolutamente prioritario.
Su queste basi gli indipendentisti dovranno essere capaci di pianificare e successivamente condurre un’operazione che preveda l’impiego non convenzionale delle leggi internazionali, come di quelle nazionali degli autoctoni, in un mix di attività volte prioritariamente a colpire il cuore e la mente della popolazione, allo scopo di isolare i partiti politici responsabili dell’attuale insoddisfacente situazione, dei loro rappresentanti, e di quelle istituzioni non rispondenti agli autentici caratteri democratici, per conferire credibilità alla compagine in supporto della quale è stato predisposto l’intervento riformatore. Il tutto giocato con un approccio interforze multinazionale (un nuovo Stato deve pur sempre ottenere un riconoscimento esterno, o quanto meno una non ostilità se non proprio una simpatia) e ‘multy agency’, che vede coinvolte in questo tipo di operazione non solo la componente politica ma anche una serie di entità intellettuali, economiche e differentemente produttive. Ma tutte sinergicamente connesse per il buon esito dell’operazione.
È, pertanto, necessario pianificare una strategia contenente:
– La scelta dei mezzi
– Pianificare la democrazia
– Aiuto esterno
– Elaborare un disegno complessivo della rivolta non violenta
– Pianificare le strategie della campagna
– Diffondere l’idea della non collaborazione
– Elaborare contromisure all’eventuale repressione
– Aderenza alla strategia
– Resistenza selettiva
– Sfida simbolica
– Diffondere la responsabilità
– Puntare al potere dei dittatori, specialmente quando essi si mascherano dietro presunte istituzioni democratiche.
– Elaborare una gestione responsabile del successo
Abbiamo più volte scritto di come siano oramai codificate e sperimentate le tecniche di azione nonviolenta (ben 198 azioni), classificate in tre categorie principali: protesta e persuasione, non collaborazione e intervento. l metodi di protesta e persuasione non violenta sono in gran parte dimostrazioni simboliche, come sfilate, marce e veglie (54 in tutto). La non collaborazione si divide in tre sotto categorie: (a) non collaborazione sociale (16 metodi), (b) non collaborazione economica, compreso il boicottaggio (26 metodi) e gli scioperi (23 metodi), e (c) non collaborazione politica (38 metodi). Le forme di intervento non violento attraverso mezzi psicologici, fisici, sociali, economici o politici, come l’occupazione rapida e non violenta e il governo parallelo (41 metodi), costituiscono il gruppo finale.
L’utilizzo di gran parte di questi metodi – scelti oculatamente, applicati con persistenza su larga scala, esercitati da civili addestrati nel contesto di una strategia avveduta e con tattiche appropriate – è probabilmente in grado di causare problemi seri a qualsiasi regime illegittimo. E funziona con le dittature di ogni tipo. Ultima ma non ultima quella abbattuta in Myanmar ad opera del movimento capeggiato da Aung San Suu Kyi. La politica birmana, attiva da molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare, imponendosi come leader del movimento non violento, tanto da meritare i premi Rafto e Sakharov, prima di essere insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991. Nel 2007 l’ex Premier inglese Gordon Brown ne ha tratteggiato il ritratto nel suo volume Eight Portraits come modello di coraggio civico per la libertà.
A differenza della forza militare, i metodi di lotta non violenta possono focalizzarsi direttamente sulle questioni in gioco. Per esempio, dal momento che la questione della dittatura, sia pure essa, come nel caso dell’Italia, di tipo partitico-parlamentare, è principalmente politica, le forme politiche di lotta non violenta saranno cruciali. Tra queste, particolare rilevanza avranno il rifiuto di legittimare i dittatori e la non collaborazione con il loro regime. La non collaborazione è inoltre applicabile anche contro politiche specifiche. Forme di negligenza e di temporeggiamento possono talvolta essere praticate in silenzio o furtivamente, mentre altre volte la disobbedienza palese, le manifestazioni di massa e gli scioperi possono essere portati avanti sotto gli occhi di tutti.
D’altra parte, se la dittatura è vulnerabile alle pressioni economiche o se le lamentele della popolazione hanno natura economica, un’azione che intervenga sullo stesso piano (come boicottaggio o scioperi) rappresenta un metodo di resistenza appropriato. Gli sforzi dei dittatori volti a sfruttare l’apparato economico potrebbero trovarsi costretti a fronteggiare scioperi generali, rallentamenti di produzione e il rifiuto di fornire sostegno da parte di esperti indispensabili (o la loro scomparsa). Il ricorso selettivo a vari tipi di sciopero può essere praticato in momenti chiave del processo produttivo, nel settore dei trasporti, nel rifornimento delle materie prime e nella distribuzione dei prodotti.
Ma per fare questo, come scriveva più sopra Germano Battilana: «Tutti i Veneti devono unirsi e lottare per l’Indipendenza Totale della nostra Veneta Patria». Devono, diciamo noi, creare un coordinamento o un comitato di pianificazione strategica che esclusa a priori coloro che pensano di cooperare – anche mediante il concorso ad elezioni politico-amministrative italiane – con lo Stato dal quale vogliono rendersi indipendenti. E prima ancora devono rispondere ad una domanda da noi posta (per l’ennesima volta) su questo quotidiano e giorni fa riproposta anche da Gian Luigi Lombardi Cerri:Ma voi indipendentisti, che volete? Ovverosia, per che tipo di assetto istituzionale siete disposti a battervi?
Per esempio: un vero sistema parlamentare non conosce una maggioranza predefinita e sempre uguale che esclude a priori determinate istanze proprie di una opposizione. Le maggioranze più ampie possibili vanno ricercate per ogni risposta ad una nuova domanda non solo tra i diversi partiti ma, in barba al voto coatto, anche in modo trasversale nei partiti. Il lavoro del Parlamento è tanto più valido quanto i suoi membri sono capaci di trovare un denominatore comune: il bene della collettività. E se i rappresentanti non riescono in questo intento, ai cittadini deve essere data la possibilità semplice e tempestiva di prendere loro l’iniziativa ricorrendo al referendum e agli altri strumenti di democrazia diretta.
Fanfaroni, ciarlatani, farlopi e furfanti
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Durante una conferenza stampa molto partecipata è stato presentato ufficialmente in data 21 novembre presso l’Hotel Venice di Grisignano (VI) il Comitato denominato “Il Veneto Decida”. Si tratta di una piattaforma trasversale il cui scopo è quello di promuovere sul territorio e presso le sedi istituzionali, con metodi democratici, il referendum sull’indipendenza del Veneto.
Come previsto dal Progetto di Legge 342, a suo tempo presentato in Regione Veneto dal movimento Indipendenza Veneta, il quesito da sottoporre ai Veneti sarà: “Vuoi Tu che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana -SI -NO”.
Siamo convinti che i Veneti abbiano il sacrosanto diritto di esprimersi in merito a questo quesito. La libertà di espressione da parte di un Popolo è un diritto naturale, universalmente ed internazionalmente riconosciuto, ed il Comitato si farà garante di questa legittima e, riteniamo, urgente richiesta democratica.
Oltre ai movimenti, associazioni e singoli facenti parte del cosiddetto “gruppo dei fondatori” (Alessio Morosin, Associazione Culturale Veneto Nostro-Raixe Venete, Indipendenza Veneta, Veneto Stato, Liga Veneta Repubblica, Futuro Popolare Veneto, Comitato Celebrazioni.
Storiche Milizia Veneta, Europa Veneta, Veneto Stato d’Europa) numerosi sono i gruppi e i sostenitori che stanno aderendo man mano alla Piattaforma “IL VENETO DECIDA”, non ultimo il Movimento Nord-Est Europa, e fra questi anche esponenti politici di movimenti non direttamente favorevoli all’indipendenza del Veneto – come Pierangelo Pettenò di Federazione della Sinistra Veneta – ma che comunque si battono affinché il popolo venga consultato sul tema in quanto legittimo e normale atto di democrazia. Portavoce del comitato è stato nominato Davide Guiotto e segretario organizzativo Piero Bortolin.
Negli interventi che si sono succeduti oltre al grande impegno è emersa la volontà ferma che mai il comitato si avventuri in competizioni elettorali di alcun genere: l’unico obiettivo è e resta il raggiungimento del Referendum popolare per l’indipendenza. E’ stato decisamente rifiutato all’unanimità qualsiasi apparentamento o apertura a nuovi quesiti riguardanti l’autonomia della Regione Veneto, come quelli presentati recentemente presso il Consiglio Regionale veneto, restando l’indipendenza un punto fermo.
La conferenza stampa di presemtazione de IL VENETO DECIDA è stata anche l’occasione per annunciare che il 1 dicembre 2013 si terrà a Bassano del Grappa (Vi) una grande manifestazione a sostegno del referendum, con ritrovo alle ore 14 in viale Fosse – General Giardino. Alla manifestazione parteciparenno tutti i Veneti che vogliono tornare protagonisti del loro futuro, senza simboli di partiti o movimenti ma solo con le bandiere di San Marco; anche quest’ultimo è stato un punto condiviso all’unanimità e ribadito in conferenza stampa. Sarà la prima manifestazione veramente unitaria, dopo anni di divisioni e frazionamenti interni che spesso hanno purtroppo caratterizzato i rapporti fra i vari movimenti indipendentisti/autonomisti veneti. Migliaia di persone marceranno unite sotto un unico simbolo, il Leone Marciano.
Ampia sarà anche la partecipazione di Sindaci presenti all’evento, in rappresentanza dei Comuni che hanno votato a favore del PdL 342, con i rispettivi gonfaloni.
Il lavoro de IL VENETO DECIDA è dunque iniziato, sotto i buoni auspici della Madonna della Salute che ricorreva proprio il 21 novembre. Ci attende un impegno importante, ma il grande entusiasmo e condivisione trasversale a cui stiamo assistendendo sarà il motore che spingerà tutti verso questo obiettivo, grande, ambizioso e di elevatissimo valore morale e civile.
Il portavoce de “Il Veneto Decida”
Davide Guiotto
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In questi ultimi decenni i Veneti sono andati prendendo coscienza della propria identità etnica:è un processo graduale, che si è sviluppato con il rinnovato interesse per la storia, con la ripresa della parlata locale, con il fiorire di mille manifestazioni ed iniziative.
Spesso i mass media hanno prestato attenzione solo all’impatto politico di questa trasformazione culturale: l’impatto maggiore sull’opinione pubblica è stato il montare di grandi aspettative.
Dopo tanto parlare di federalismo e di riorganizzazione dello stato (in termini di maggiore autonomia locale e di vera responsabilità in capo a chi dovrebbe rappresentare le diverse comunità), in pratica non si è vista nessuna seria elaborazione programmatica, né l’attuazione di riforme concrete che rispondessero a queste forti istanze sociali. Se si facesse un paragone con gli anni Ottanta, si può dire che la politica su questo terreno non ha prodotto alcun risultato.
Oggi le istituzioni restano bloccate agli schemi ideologici di un secolo fa, sono incapaci di cogliere e di valorizzare le risorse culturali e produttive del territorio; di conseguenza, la società diviene sempre più degradata e disgregata. La perdita del legame con i valori tradizionali fa da perfetto contrappunto sia al disfacimento economico che si abbatte su famiglie e imprese, sia al disarmante vuoto di idee in capo alla classe dirigente.
Alla base del nostro lungo impegno vi è la convinzione che una società vitale, che guarda con sicurezza e serenità al suo futuro, è quella che si mantiene stabile e radicata nel suo rapporto con il passato. Per questo è essenziale coltivare la Tradizione e farne il fulcro dei progetti per il domani.
Sono i valori di una comunità a rendere armoniosi i rapporti interpersonali e sociali: ogni uomo è come l’anello di un’infinita catena generazionale, che collega gli antenati con la posterità.
Come Veneti abbiamo consapevolezza sulla continuità storica della nostra Civiltà, edificata sulla lotta, sui sacrifici e sulle realizzazioni di chi è venuto prima di noi.
Lo stato italiano ha invece aperto scenari sul futuro (quali l’indebitamento fuori controllo e la delega indiscriminata agli organismi internazionali di scelte fondamentali) che preludono a peggioramenti continui: un’esperienza durata un secolo e mezzo non solo ci ha fatto conoscere una profonda mancanza di rispetto per la nostra storia e per i nostri valori spirituali, ma ora il fallimento dell’attuale organizzazione pubblica si traduce persino nell’impossibilità di un’esistenza libera e dignitosa.
L’attuale mancanza di reale peso politico in capo agli enti locali (che dovrebbero rappresentarci) e la vergognosa ed intollerabile ingerenza di potenti lobbies nelle scelte che riguardano la collettività, stanno rendendo invivibile la nostra terra, che sembra divenuta terra di conquista per ogni tipo di speculazione, fino ad apparire ai più come proibitiva per una vita normale e dignitosa: a cominciare dallo scadimento della scuola e dell’educazione, per finire con la precarietà del lavoro, per tanti giovani abitare in una propria casa e formare una famiglia è divenuta un’impresa impossibile.
La disastrosa condizione economica italiana non è dovuta a insuperabili problematiche economiche, ma al complessivo declino di diversi popoli costretti ad una convivenza forzata, tutti accomunati dalla sottomissione ad una casta che sa solo approfittare delle loro disgrazie.
Davanti alla concreta minaccia di estinzione per il nostro popolo, il nostro impegno culturale non può limitarsi a valorizzare la storia e l’identità, ma deve oggi anche tradursi in termini di difesa diretta dei diritti nazionali dei Veneti.
Noi siamo intervenuti ad animare il coordinamento “Il Veneto decida” non per modificare la natura delle nostre organizzazioni o per mettere da parte le nostre attività: tutto ciò che abbiamo prodotto in questi anni proseguirà indisturbato, anzi si svilupperà ancora.
La scelta di coordinarci con altre persone e organizzazioni è diretta ad un unico fine: far pronunciare i Veneti sul loro futuro, per rendere conoscibile la loro volontà anche nel caso decidessero di abbandonarsi alla corrente che li sta sospingendo verso il baratro.
Vivere o morire, anche sul piano culturale, deve però essere una loro decisione: questa assunzione di responsabilità è la premessa indispensabile alla rinascita culturale di questo popolo.
Se è vero che l’indipendenza è ormai la strada divenuta obbligata perché i Veneti abbiano un futuro e se è vero che un referendum sull’indipendenza (che consulti gli aventi diritto al voto) è la via maestra che legittima quell’obiettivo, allora il nostro impegno diretto in questo processo non contrasta con il nostro ruolo culturale, ma è anzi un coraggioso contributo a costruire nuove condizioni generali nella vita pubblica, perché la Civiltà Veneta possa ancora esistere e prosperare.
Comitato per la commemorazioni Storiche della Milizia Veneta “I°Rgt Veneto Real”; Associazione Culturale Europa Veneta;
Associazione Culturale Veneto Nostro/Raixe Venete.
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Indipendenza, Zaia commuti in legge il decreto 342. Roma non serve
Zaia ed il Consiglio Regionale si sbrighino a commutare in legge il Progetto d.l. 342,perché il Veneto può dichiararsi indipendente, senza più aspettare i capricci dei consiglieri regionali! I numeri per farlo ci sono già! Quelli di Padova, Venezia, Treviso e Verona sono sinora i Consigli provinciali che hanno approvato l’Ordine del Giorno a sostegno del PDL 342 che prevede l’indizione del referendum per l’Indipendenza del Veneto. Mancherebbe a tale elenco il provinciale di Vicenza (che, però, ho sentito dire che sia anch’esso in dirittura d’arrivo), per poter dire che il Veneto tutto ha deciso di autodeterminare il proprio “status”, sciogliendo ogni legame che oggi lo vincola a Roma. Anche se tale fatto risulterebbe secondario ai fini dell’espressione generale di volontà del Veneto, in quanto parte di un unico ente regionale, Belluno e Rovigo purtroppo non possono esprimersi, perchè commissariate a seguito dell’infame decreto di scioglimento delle province, sancito dall’ “esimio” professor Monti ed approvato da quasi tutte le forze politiche presenti nel Parlamento romano.
Indipendenza Veneta ha scelto saggiamente di percorrere la via referendaria ed, in funzione di tale scopo, è stato promosso l’ordine del giorno che comuni (ad oggi ben 134) e province (ad oggi le 4 su citate), stanno approvando per far sì che tale referendum abbia luogo. Ovviamente, il giorno che il numero dei comuni sostenitori del referendum fosse tale da poterci far dichiarare che i loro consiglieri locali rappresentino elettoralmente oltre il 50-60-70% della popolazione, nessuno potrebbe affermare che “i Veneti” vogliono restare italiani. Nessuno potrebbe negare, quindi, alla maggioranza di un popolo di decidere cosa scegliere (IL VENETO DECIDA!!!). Ricordiamoci , però, che non sarà un referendum, per quanto plebiscitario, a determinare la nostra Indipendenza. Sarà necessario che, successivamente al superamento di questo ostacolo, (che ci siamo posti da soli a garanzia della legittimità di un percorso attuativo), un soggetto di ampia rappresentanza popolare promulghi una “Dichiarazione di Indipendenza” da portare alle Nazioni Unite per il riconoscimento formale del nuovo Stato Veneto.
La dichiarazione potrà essere unilaterale, senza perciò, approvazione da parte di Roma e, nello specifico, il soggetto potrebbe essere il Consiglio Regionale attuale che però, nel caso di sua latitanza decisionale, potrà essere anche sostituito da uno diverso. Ma da chi? E chi meglio potrebbe essere, se non gli Stati Generali del Veneto? Questi sono un’ assemblea di sindaci, consiglieri comunali, altre istituzioni del territorio, organismi di rappresentanza di forze politiche, sociali, economiche ed altro che si riuniscono per svolgere una funzione supplente di un soggetto istituzionale costituito. Nel caso di tentennamenti di Zaia & c. l’Assemblea citata potrebbe, quindi, sostituirsi al Consiglio Regionale, purchè nella sua composizione rappresenti elettoralmente almeno la maggioranza di veneti. Ma… se riflettiamo bene I consigli provinciali delle quattro grandi province che hanno votato l’Ordine del Giorno, con i loro 3.600.000 e più abitanti, rappresentano già abbondantemente la maggioranza dei Veneti, ipoteticamente anche senza VI, BL e RO! Gli Stati Generali possono, pertanto, essere già convocati allargando proprio ai consigli provinciali ed al loro determinante apporto, la partecipazione a tale Assemblea. Quest’ultima può, quindi, già giungere alla dichiarazione di Indipendenza, senza aspettare niente e nessuno, alla faccia di quelli che negano la possibilità di concretizzazione del principio indipendentista e di quanti criticano la capacità operativa del Movimento Indipendenza Veneta.
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di REDAZIONE
Grande manifestazione oggi a Bassano del Grappa. Una marcia silenziosa per chiedere il Referendum sull’Indipendenza del Veneto, organizzata dal Comitato “Veneto Decide” e sostenuta dall’associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete”.
L’appuntamento con questa marcia, che ha visto radunarsi nella città di San Bassiano migliaia di persone, ha preso il via da Viale delle Fosse, nei pressi della statua del Generale Giardino, alle ore 14.00.
All’unisono, gli aderenti: “Anche oggi giornata emozionante. Migliaia a Bassano per l’Indipendenza! Quei cartelli sono alcuni dei quasi 150 Comuni che chiedono il referendum. E per ogni cartello c’è un Sindaco coraggioso che si unisce ai suoi concittadini per l’indipendenza. Grande giornata di festa, e gli abitanti di Bassano si univano al corteo festante! Hanno partecipato tutti i movimenti indipendentisti, divisi, ma uniti per il Veneto! WSM”.
IMMAGINI
di ENZO TRENTIN
Il 12 ottobre 1492 è il giorno della scoperta dell’America e della fine del Medioevo. Venerdì 7 maggio 1954 è la data in cui capitola il campo trincerato di Dien Bien Phu sito nell’Indocina francese. Per la prima volta nella storia del colonialismo un esercito “bianco” e professionale: il CEFEO (Corps expéditionnaire français en Extrême-Orient, Corpo di spedizione francese in Estremo Oriente) veniva definitivamente sconfitto sul campo di battaglia da soldati di popolo: i Bo-doi, che camminavano con calzari ricavati da vecchi copertoni d’automobile. Da questa data passeranno soli 21 anni e crollerà per sempre un sistema coloniale che durava da secoli. Si consolida definitivamente il concetto di autodeterminazione dei popoli.
La situazione disperata di Dien Bien Phu venne sfruttata dagli americani per eliminare la presenza coloniale francese dalla regione, in modo da portare l’intera Indocina nella loro sfera d’influenza. Infatti, durante la battaglia di Dien Bien Phu, vista la situazione sempre più precaria, i francesi chiesero agli americani un massiccio appoggio aereo. Al che, “il 4 aprile 1954 il presidente Dwight Eisenhower acconsentì all’intervento solo a condizione che venissero rispettati alcuni requisiti: ad agire doveva essere una coalizione internazionale, i francesi dovevano acconsentire all’indipendenza vietnamita ed era necessaria l’approvazione del Congresso. Poiché tali condizioni non si verificarono, Eisenhower rifiutò di muoversi e le richieste francesi per un aiuto dall’esterno rimasero inascoltate”. Lo scrive M.K. Hall, La guerra del Vietnam, che cita Frey (vedi più sotto) il quale sottolinea come il diniego americano fosse dettato dalla necessità per Washington di non apparire, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, troppo ‘consonante’ con una potenza coloniale come la Francia (cfr. M. Frey, Storia della guerra in Vietnam, p. 29). Per inciso, anche l’indipendenza algerina sarà ‘patrocinata’ dagli Stati Uniti, in particolare da Kennedy, “partigiano confesso dell’indipendenza dell’Algeria” (A. Horne, Storia della guerra d’Algeria 1954-1962, cit., p. 521) sin dal suo celebre discorso al Senato del luglio del 1957. Si osservi che è dal 7 gennaio che con l’istituzione del coprifuoco imperversa la cosiddetta battaglia di Algeri, successivamente immortalata dall’omonimo film di Gillo Pontecorvo.
Non deve sorprendere la “ondivaga” politica internazionale statunitense. Infatti “Nel corso del 1945 il Viet minh collaborò con l’Office of Strategic Services (Oss) americano, fornendo in cambio informazioni e ricevendo armi e addestramento” (M.K. Hall, La guerra del Vietnam, il Mulino, Bologna 2003, p. 11). In altre parole: “nei cinque mesi fra il marzo 1945 e la capitolazione del Giappone, i viet minh divennero ufficialmente alleati delle potenze occidentali. Agenti dell’OSS inviati in Vietnam si avvalsero dell’appoggio logistico del movimento di liberazione, ottennero informazioni sugli spostamenti di truppe giapponesi, e guerriglieri viet minh aiutarono, offrendo loro rifugio e vitto, gli aviatori alleati i cui aerei erano stati abbattuti. L’OSS per parte sua rifornì i viet minh di armi e arruolò perfino Ho Chi-minh come proprio agente con il nome di copertura di Lucius” (M. Frey, Storia della guerra in Vietnam. La tragedia in Asia e la fine del sogno americano, Einaudi, Torino 2008, pp. 8-9); emblematica è anche la descrizione di Frey (cfr. ivi, p. 3) della cerimonia di proclamazione dell’indipendenza vietnamita, il 2 settembre 1945, con aerei americani a fare il giro d’onore nel cielo di Hanoi, la banda che suonava l’inno nazionale americano e gli agenti dell’OSS in tribuna insieme a Ho Chi-minh, che dal canto suo nel discorso ufficiale parafrasava la dichiarazione d’indipendenza americana. Questa resta, perciò, una delle pagine più sorprendenti della politica americana in Asia, se letta ex post, ossia alla luce del successivo coinvolgimento militare degli USA nella penisola indocinese proprio contro gli antichi alleati.
Questa lunga premessa storica per guardare ai nostri giorni con occhi meno sognanti e più disincantati alla domanda d’indipendenza che sorge da parte di veneti, lombardi, sudtirolesi, sardi, siciliani ed altri italici popoli. E sorvolando su catalani, scozzesi, fiamminghi, bretoni, baschi, corsi ed altri ancora.
Per quanto riguarda la situazione veneta si può constatare che proprio in questi giorni i partitini indipendentisti (quelli che si sono presentati a tutte le elezioni possibili con l’alibi della visibilità, ma senza alcun risultato degno di nota) sono stati messi in secondo piano per esaltare invece la costituzione e l’operato di comitati culturali apartitici. E uno di tali comitati scrive: «Vivere o morire, anche sul piano culturale, deve però essere una loro decisione: questa assunzione di responsabilità è la premessa indispensabile alla rinascita culturale del nostro popolo. Se è vero che l’indipendenza è ormai la strada divenuta obbligata perché i Veneti abbiano un futuro e se è vero che un referendum sull’indipendenza (che consulti gli aventi diritto al voto) è la via maestra che legittima quell’obiettivo, allora il nostro impegno diretto in questo processo non contrasta con il nostro ruolo culturale, ma è anzi un coraggioso contributo a costruire nuove condizioni generali nella vita pubblica, perché la Civiltà Veneta possa ancora esistere e prosperare. […] Davanti alla concreta minaccia di estinzione per il nostro popolo, il nostro impegno culturale non può limitarsi a valorizzare la storia e l’identità, ma deve oggi anche tradursi in termini di difesa diretta dei diritti nazionali dei Veneti. Noi siamo intervenuti ad animare il coordinamento […] non per modificare la natura delle nostre organizzazioni o per mettere da parte le nostre attività: tutto ciò che abbiamo prodotto in questi anni proseguirà indisturbato, anzi si svilupperà ancora».
Insomma, con lo “strumento” dei comitati si farà azione culturale, informativa e propagandistica; ma non per questo sembra che i “partitini” smetteranno di trescare con la partitocrazia italiota al fine di giustificare l’eventuale elezione dei singoli pseudo leader nelle istituzioni di quell’esecrato Stato dal quale si vuole l’indipendenza. Le citazioni – a sproposito, perché non comparabili – delle esperienze catalane e scozzesi si sprecano.
Non emerge nessuna proposta nuovo assetto istituzionale. Anzi c’è chi osserva che una Costituzione potrebbe essere inutile. Il Regno Unito vive civilmente senza di essa. Anche Israele è uno Stato democratico – l’unico del medio oriente – senza Costituzione. Tuttavia si può osservare che, all’opposto, la civilissima Svizzera ha una Costituzione. Ed essa è tanto più civile in quanto a modificarla sono incorsi più e più volte sia i cosiddetti rappresentanti, sia il cosiddetto popolo sovrano. Queste le posizioni di alcuni soggetti politico-intellettuali che si muovono nella scena pubblica veneta.
Se manca la proposta di nuova architettura istituzionale, è difficile abbozzare una proposta di nuovo assetto giuridico. Anzi, in “conversazioni tra amici” qualcuno sostiene: «I codici sono tutt’altra cosa. […] i due codici di diritto sostanziale – penale e civile – e la necessità di contemplare anche le due relative procedure. […] la giustizia “si amministra” con le procedure, non con il diritto sostanziale. Di più. Il tasso di democrazia e di civiltà giuridica di un popolo traspare ben più dal codice di procedura penale che non dal codice penale. Ma su ciò non voglio tediare i non addetti ai lavori. Ed è proprio nella veste di studioso e di pratico del processo penale che affermo con sicurezza che quello dei codici è un falso problema. Nessun Paese, nella Storia, ha forgiato prima i propri codici e poi sé medesimo; nessuno; diversamente da quanto, talvolta, è avvenuto per le carte costituzionali. I codici sono raccolte di leggi ordinarie e da sempre la nascita di un nuovo Stato si accompagna al vigore di regimi giuridici transitori. Solo nei casi di conquista, come fu ad esempio per le terre italiche annesse dal Regno di Sardegna, vi fu la brutale sostituzione di un sistema con un altro (entrata in vigore dei codici del Regno Sardo in tutti i territori annessi). Laddove vi fu buon senso non fu così: il primo dominio austriaco del Veneto vide la continuità del diritto veneto. […] se c’è una cosa ben fatta in Italia è il codice penale di Alfredo Rocco (o almeno ciò che ne resta). Il giudizio dei grandi giuspenalisti, sul punto, è unanime. Né si confonda tale giudizio di valore con le necessità di riforma del codice, espresse da decenni e regolarmente abortite. La questione è squisitamente tecnica, non certo politica. I codici italiani sono portatori di altissimi valori civili e si attestano ai vertici del pensiero giuridico mondiale. Almeno in una fase transitoria la loro applicazione sarebbe nulla di scandaloso. Anzi, al contrario, sarebbe operazione temeraria lo spazzarli via.»
Qui emergono due constatazioni: 1) se oggi possiamo liberamente parlare ed operare per l’indipendenza è grazie alla modifica dell’art. 241 del Codice penale. Con la Legge 24/02/2006, n.85 – Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione – così riscritto: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni. La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l’esercizio di funzioni pubbliche.» Insomma dal 2006 grazie ad una modifica parziale del C.P. si può parlare ed agire per l’indipendenza, basta farlo con atti non violenti. 2) almeno in Veneto ci sono fautori del ripristino della Repubblica Veneta. Alcuni di questi, nelle predette “conversazioni tra amici”, sostengono: «…che non solo si atteggia a Stato Cattolico e dunque confessionale (da confiteor = io testimonio che Gesù Cristo è Dio), ma in tutto il suo impianto istituzionale, fino nei minimi particolari la Repubblica Veneta rappresenta l’esatto opposto del sistema liberale (che nasce sulla base ideologica). Siamo all’opposto in tutto: ruolo dello stato, stato sociale, diritto, politica economica, economia, politica estera, diritti politici e civili, concezione della politica, valori morali, religione… in un elenco senz’altro non esauriente.»
Quest’ultima è un’idea ricca di fascino e di seduzione. Purtroppo è avvilente constatare che manca un numero adeguato di Patrizi. Se ci sono chiediamo scusa per esserci distratti. Quell’aristocrazia che governò la Repubblica di Venezia, e che – soprattutto – se ne accollò gli oneri, a chi o cosa corrisponde oggi? Se tale aristocrazia (dal greco άριστος, “Migliore” e κράτος, “Potere”, che secondo l’etimologia greca del termine dovrebbero appunto essere i “migliori”) esiste già, dove si è formata? Perché ogni entità ben amministrata forma la propria classe dirigente, come avviene in tutte le nazioni davvero evolute. Senza questo lungo percorso di educazione ed istruzione, dove sono i “migliori”?
Ritornando alle osservazioni in premessa: “il fatto che per secoli un certo gruppo di popoli sia riuscito ad assoggettare al proprio volere tutto il resto del mondo appare unico nella storia universale”. Ciò si spiega con “spirito di avventura, ardimento, volontà decisa, durezza di carattere, e poi doti di organizzazione”, unite al “convincimento che il cristianesimo” rendesse gli europei i portatori “della vera fede”. (J. Evola, Ora tocca all’Asia. Il tramonto dell’Oriente, in “Il Nazionale”, II, 41, 8 ottobre 1950, p. 2.) Da qui l’odierno Jadismo fondamentalista islamico. Ma questi “fattori eroico-religiosi dovevano rapidamente venir meno” nel momento in cui “al periodo dei conquistadores” subentrò lo “sfruttamento economico” da parte “delle varie compagnie commerciali” europee. Di poi, sarebbero stati proprio gli europei a fornire ai popoli delle colonie le armi ideologiche per la loro emancipazione, per prima cosa diffondendo “il vangelo dei ‘diritti dell’uomo’” e poi la dottrina della “autodecisione dei popoli”, risalente alla pace di Versailles. Di conseguenza, gli europei “con una specie di autosadismo, dovevano ridursi alla fine a predicare l’anticolonialismo” e ad aprire così la strada al tramonto della loro egemonia.
Ne consegue come logica conclusione che dal campo indipendentista peninsulare sembrano emergere due filoni. Al primo appartengono persone, partiti e partitini che cercano l’elezione nelle istituzioni italiane, dove è difficile credere ancora al fatto che tali istituzioni possano essere riformabili dal loro interno. La storia ultra ventennale della Lega Nord è lì a dimostrarlo. Anche le recenti vicende del M5S sembrano andare nella stessa infruttuosa direzione. Emblematica, poi, è l’iniziativa di “contro referendum” proposto dal Pdl in Regione Veneto per ottenere una maggiore autonomia. (Tsz!) Al secondo filone sembrano appartenere persone, associazioni culturali e comitati apartitici che puntano al consenso popolare, ma non hanno ancora una proposta di nuova architettura istituzionale su cui far convergere detto consenso. Al momento c’è solo il legittimo sogno dell’indipendenza. È dunque, a nostro parere, necessario individuare lucidamente le persone e gli organismi che puntano in questa direzione; ma è anche indispensabile che il nuovo progetto istituzionale ottenga l’utile accredito internazionale. E purtroppo, sempre a nostro avviso, su quest’ultimo punto siamo ancora in alto mare.
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di REDAZIONE
«Ho accolto l’invito all’ascolto di una istanza rappresentata da buona parte dei cittadini del Veneto: l’oggetto resta quello dell’indizione del referendum per l’indipendenza, in un momento di particolare difficoltà economica che relega il Veneto a semplice comparsa nazionale dove Roma si ricorda di noi solo con la creazione di nuove tasse e con la totale assenza di ogni forma di autonomia o di federalismo». Così il governatore del Veneto Luca Zaia ha spiegato la sua presenza ieri a Bassano alla manifestazione organizzata da ‘Il Veneto decida’, a sostegno del referendum per l’indipendenza del Veneto. «Un vero e proprio disconoscere i dettami dei padri costituenti che nel 1948 diedero vita ad una costituzione autenticamente federalista – attacca Zaia – che è stata gestita però in tutti questi decenni con una visione squisitamente centralista. Il referendum è la legittima difesa che questi veneti rappresentano a Roma».
La manifestazione si è svolta ieri a Bassano del Grappa. Una marcia silenziosa per chiedere il Referendum sull’Indipendenza del Veneto, organizzata dal Comitato “Il Veneto Decida” e sostenuta dall’associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete”.
L’appuntamento con questa marcia ha visto radunarsi nella città di San Bassiano migliaia di persone.
All’unisono, gli aderenti: “Anche oggi giornata emozionante. Migliaia a Bassano per l’Indipendenza! Quei cartelli sono alcuni dei quasi 150 Comuni che chiedono il referendum. E per ogni cartello c’è un Sindaco coraggioso che si unisce ai suoi concittadini per l’indipendenza. Grande giornata di festa, e gli abitanti di Bassano si univano al corteo festante! Hanno partecipato tutti i movimenti indipendentisti, divisi, ma uniti per il Veneto! WSM”.
QUI ALCUNE IMMAGINI DELLA MARCIA:
http://www.lindipendenza.com/bassano-del-grappa-in-migliaia-in-marcia-per-lindipendenza-del-veneto/
LE FOTOGRAFIE E IL VIDEO DELLA MANIFESTAZIONE SUL SITO:
www.indipendenzaveneta.com
Xaia el fanfaron:
Non sono d’accordo sul fatto che la Costituzione italiana sia “autenticamente federalista”. Nell’assemblea costituente italiana si sono scontrati gli autonomisti (come Lussu) parzialmente sostenuti dai democristiani, contro i comunisti di Togliatti, monoliticamente statal-centralisti. Il risultato e’ stato un compromesso oscuro, ambiguo, sibillino, disponibile a molteplici interpretazioni, come altre parti della Costituzione (es. “fondata sul lavoro”, “senza oneri per lo Stato”). Una costituzione autenticamente federalista dovrebbe riconoscere sovranita’ esclusiva agli enti federati eccetto che per le materie esplicitamente delegate alla Federazione, la Costituzione del 1947 non lo faceva perche’ subordinava comunque l’autonomia legislativa regionale a poche circoscritte ed elencate materie e comunque subordinate all’interesse nazionale. Inoltre la Costituzione prevedeva e prevede che lo Stato intervenga a normare i livelli amministrativi interni alle regioni (province e comuni), interferenza che per esempio in Svizzera non esiste, la’ sono i Cantoni a normare i livelli legislativi e amministrativi regionali.
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Nonostante il Presidente di I.V. ne avesse prima richiesto davanti agli astanti una chiarezza d’intenti e di impegno, ebbene questa è rimasta desolatamente inespressa. Qualcuno degli intervenuti urlando chiedeva il motivo per cui il Progetto d.l. 342 non fosse stato approvato, per tutta risposta Zaia ha risposto che alcuni non l’avevano votata e che va rispettata l’opinione di coloro che non la pensano come Noi. Mi va bene il rispetto dell’opinione altrui è un segno di educazione, ma purtroppo devo costatare che qualcuno in Consiglio Regionale non ha rispetto per la maggioranza dei Veneti, non ha rispetto di quei Veneti che stanno soffrendo di una crisi economica che li vede ogni giorno vessati e defraudati di ogni bene, anche quello del minimo vitalizio da parte di uno stato usurpatore e colonizzatore, non ha rispetto di quelle famiglie che improvvisamente si sono viste privare del proprio lavoro o di un proprio congiunto perché l’imprenditore/padre si è suicidato davanti ad una cartella esattoriale.
Non si può avere rispetto per coloro che condannano per il proprio ego un popolo, non si può avere rispetto per coloro non fanno nulla per evitare che il Veneto mite e laborioso, lentamente ma inesorabilmente venga trascinato nel baratro del fallimento e della povertà. Si può avere rispetto dell’altro solo se si viene rispettati, l’Italia per il Veneto non ne ha mai avuta e i Veneti non possono rispettare ne l’Italia ne quei pochi che si sentono ancora Italiani, che negano ad un popolo l’unico strumento che consiste nell’ Autodeterminazione, l’unica svolta possibile per la salvezza.