di GILBERTO ONETO
I fatti di Colico sono noti: esasperati da uno stillicidio di furti nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, i cittadini si sono organizzati in ronde e in gruppi di autodifesa. La cosa ha subito scatenato la reazione delle autorità italiane, sempre molto prudenti nel perseguire i delinquenti ma sbrigative ed energiche nel colpire i contribuenti onesti che cercano di difendersi da quegli stessi personaggi con cui lo Stato mostra tanta affettuosa tolleranza. E così il prefetto barese di Lecco è prontamente intervenuto per bloccare le ronde e redarguire i sudditi esasperati che intendevano sostituire lo Stato nella più cara delle sue prerogative: l’uso della forza.
Naturalmente è stata assicurata l’intensificazione dei controlli e una maggiore presenza della polizia sul territorio. I delinquenti si trasferiscono temporaneamente un po’ più in là e torneranno appena i lampeggianti avranno svoltato l’angolo. E tutto riprenderà come e peggio di prima.
I pasticci derivano dall’ambiguità “ideologica” con cui lo Stato italiano tratta la materia della legittima difesa. Essa è regolata da un paio di articoli del Codice Penale, il 52 (« Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».) e il 55 (« Eccesso colposo – Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo».), oltre che dalla legge 13 febbraio 2006 n. 59 («Modifica all’articolo 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio. Nei casi previsti dall’articolo 614 (che si occupa di violazione di domicilio, NdR) sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale».
L’onere della prova spetta sempre a chi ha agito per legittima difesa e sappiamo bene come vanno le cose nei tribunali italiani.
Tutto il casino è frutto di mancanza di chiarezza. Basterebbe un comma semplicissimo da appiccicare a uno degli articoli, roba del genere: «L’eccesso di legittima difesa non è in alcun caso applicabile all’interno di edifici o di proprietà private recintate e chiaramente segnalate nei confronti di chi vi si è introdotto senza l’autorizzazione del proprietario». Chiaro e semplice: chi entra in casa d’altri con intenzioni poco benevole si deve aspettare di tutto.
L’indipendenza e la libertà di una comunità si basano sull’inviolabilità della proprietà dei suoi cittadini e sul loro diritto di difendersi dai soprusi, dalle oppressioni e dalle violazioni.
Nel Patto del Grütli si dice: «(..) gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini in Untervaldo, considerando la malizia dei tempi ed allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni, hanno fatto leale promessa di prestarsi reciproco aiuto, consiglio e appoggio, a salvaguardia così delle persone come delle cose, dentro le loro valli e fuori, con tutti i mezzi in loro potere, con tutte le loro forze, contro tutti coloro e contro ciascuno di coloro che ad essi o ad uno d’essi facesse violenza, molestia od ingiuria con il proposito di nuocere alle persone od alle cose». Serve altro? Secessione.
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Socialisti svizzeri sconfitti: bocciato il tetto agli stipendi dei manager
di LUIGI CORTINOVIS
Nonostante i collettivisti e i demagoghi italiani tifassero per i socialisti elvetici, nella terra di Guglielmo Tell continua ad avere il sopravvento il buon senso.
Gli svizzeri, infatti, hanno bocciato la norma che puntava a limitare la remunerazione dei top manager a 12 volte la paga del salario piu’ basso in un’azienda. E’ quanto emerge dai primi risultati, ancora provvisori ma diffusi dalla tv locale, di un referendum.
Il dibattito sulla norma varata a marzo per tenere a freno gli stipendi d’oro dei “chief executive” delle aziende ha cavalcato una vena di malcontento serpeggiante tra gli svizzeri. L’iniziativa, soprannominata ’1 a 12′ e che fissava il rapporto giuridicamente vincolante tra le retribuzioni superiori e inferiori all’interno di un’azienda ha incontrato la dura opposizione della comunità elvetica, anche se per la stampa è tutta e solo colpa della “lobby degli affari” in Svizzera.
Il risultato finale della consultazione popolare ha sentenziato quanto segue: il 65,3% ha votato per il no. i Cantoni germanofoni i più contrari, un po’ meno massicci i francofoni, tiepido il Ticino… in cui la pessima influenza italofila si fa sentire probabilmente.