Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » mer apr 10, 2019 7:13 am

Interviste impossibili. Heidi, il nonno e la Res Publica
aprile 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/04/in ... hPAcdsfPhA

Vicenza – In passato abbiamo già fatto interviste impossibili, ad esempio, all’uomo autonomista e federalista che, in alcuni casi oggi è diventato indipendentista. È un artificio che di tanto in tanto riprendiamo per far dire a uomini di cultura contemporanei reali ma che si trovano nella condizione di persone appartenenti a un’altra epoca, stanche di battagliare per impossibili traguardi, non perché avulsi dalla realtà ma perché la loro visione politica è sempre proiettata oltre la loro quotidianità. La scelta del personaggio è libera, perché realmente esiste. È un gioco diverso, di fantacritica, di ipotesi, di speculazione intellettuale, e naturalmente per le più varie valutazioni sul personaggio del “rappresentante” politico che persegue l’autodeterminazione.

Heidi: Nonno continui a batterti per il federalismo. Ma questo che cos’è?

Il nonno: Con la tua domanda mi confermi che la nostra sta rischiando di diventare la società più informata che mai, morta nell’ignoranza. Ma per risponderti diciamo che non è un’ideologia. Per esempio il socialismo lo è, e i suoi figli degeneri (il fascismo e nazismo, come il comunismo) o la democrazia puramente rappresentativa possono riassumersi nell’idea espressa da Giovanni Gentile: «Lo Stato è tutto e l’individuo è nulla.» Con il federalismo cambia radicalmente la prospettiva: sono i cittadini “sovrani” che si dotano di libere istituzioni e attraverso l’esercizio della democrazia diretta sostituiscono i “rappresentanti” laddove questi non deliberino nel senso auspicato dalla maggioranza dei “sovrani”. E poi il federalismo (“foedus” o patto) non è tra istituzioni (che i partiti si disputano per ottenere l’esercizio del loro potere) ma tra cittadini “sovrani” che si dotano delle strutture, e che le ordinano secondo l’interesse della collettività, non secondo i vantaggi delle lobby. Il federalismo non si realizza nella semplice automistificazione di un gruppo sociale, non come una semplice ideologia, ma come un pensiero politico attivo di natura scientifica. Gli obiettivi del federalismo non trattano di un dogma o di una sovrastruttura, ma possono essere adottati per colmare alcuni vuoti della globalizzazione.

Heidi: In passato, agli accademici veniva insegnato a ricercare la verità. Oggi gli accademici negano che esista una verità oggettiva. Al contrario, sostengono che nessuno può essere obiettivo, che ognuno è inevitabilmente soggettivo e, di conseguenza, ognuno ha la propria, personale verità. Tuttavia, come scriveva Victor Hugo: l’unico pericolo sociale è l’ignoranza.

Il nonno: Come premessa diciamo che nelle questioni politico-sociali non c’è nulla di scientifico, in cui la critica prescinde completamente dalle persone e si rivolge al metodo, alle analisi e alle conclusioni tratte dalle analisi. Quando senti dei politicanti affermare che sono necessarie leggi per dare stabilità al governo, in realtà tale equilibrio lo si cerca a detrimento dell’esercizio della democrazia reale. Ci sono partiti e politici che sono una peste morale. Chiedono il voto per debellare il “regime”, per fare riforme, per eliminare le distorsioni e le conflittualità. Ma non appena eletti sono inglobati nel sistema partitico-burocratico che apparentemente ha regole simili ad altri paesi democratici. Ma presto interpretano tutto con un’etica bizzarra, e corrono ad allearsi proprio con coloro che dicevano di voler contrastare. Ne diventano simbiotici. Vedi la Lega Nord e tanti altri. Qui un ultimo esempio temporale.

Quindi la rappresentanza va sottoposta alla deterrenza del possibile intervento del “cittadino sovrano”, che per esercitare tale autodeterminazione in libertà dispone di numerosi strumenti. Tre sono i principali: il referendum senza quorum su qualsiasi legge e delibera; l’iniziativa di leggi e delibere; il recall. Per brevità vai a leggere qui. Quanto all’ignoranza, c’era una volta un popolo così ignorante che conosceva di più le regole del calcio che i propri diritti. Ma bisogna anche prendere atto che c’è un’inerzia culturale laddove ci sono dei personaggi pubblici che non sanno più scrivere i loro stessi discorsi o libri. Limitandomi al Veneto potrei citarne più d’uno che firma libri scritti “assieme” a qualche cattedratico, per dare l’impressione alla plebe di conoscere gli argomenti sui quali impostano la loro campagna elettorale. E ci sono anche alcune prove che non sanno nemmeno leggerli quei libri.

Heidi: Continuano a dirmi che l’esistenza dei partiti è indice di democrazia. Ma i partiti politici potranno sempre essere influenzati dal potere economico e dalle lobby che finanzieranno le loro campagne elettorali, legislative e referendarie.

Il nonno: È vero! Ci sono partiti “borghesi” che dispongono di ingenti capitali per fare propaganda più degli altri. Le principali lobby sono: le banche, le assicurazioni, le multinazionali, qualche tycoon. In occasione delle votazioni referendarie coloro che dispongono di più capitali hanno la possibilità di condizionare maggiormente la popolazione utilizzando al meglio le moderne tecniche del consenso. Ma con l’iniziativa popolare di leggi e delibere, unita al sorteggio degli incarichi tipici della democrazia rappresentativa, e un’informazione istituzionale come quella praticata in Svizzera si può fare molto per limitare la protervia del potere. Infatti nella Confederazione Elvetica, i comuni, circa due mesi prima della data della consultazione elettorale, inviano ai votanti una lettera contenente un piccolo libretto informativo sulle proposte di cambiamento in questione. Ma nessun sedicente riformista, indipendentista etc. lo promuove qui da noi. Non gli conviene, perché è il potere quello che cercano, e che consente loro di vivere di rendite politiche. Con il sorteggio poi diventerebbero inutili anche le costose campagne elettorali; il voto di scambio, le ignobili promesse elettorali, ed altro ancora.

Il sociologo francese Gustave Le Bon già nel 1895 ammoniva: «Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. […] Scusare il male significa moltiplicarlo.» Aveva ragione anche Simone Weil a scrivere nel «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti. […] Bisogna creare un’atmosfera culturale tale, che un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito». Ad ogni buon conto ci sono i mezzi e le esperienze per contrapporsi a questo predominio. Si possono osservare non solo la Svizzera, c’è il Liechtenstein, la California e altri ancora. Questo significa che la verità è relativa alla soggettività di ciascun individuo, ma anche che l’etica e la moralità sono relative alla cultura, per cui esiste un qualcosa come bene e male o giusto e sbagliato, che solo i più disinibiti politicanti ignorano.

Heidi: Com’è possibile che l’uomo qualunque non sia in grado di deliberare su questioni importanti che presuppongono che il cittadino, sempre impegnato nel problemi esistenziali, famigliari e di lavoro, abbia anche il tempo di soffermarsi a riflettere sulla res publica

Il nonno: Beh…! Che cosa ci ha garantito lo Stato italiano retto dai partiti? Decenni di emigrazione (ricominciata nel nuovo millennio) per mancanza di lavoro. Gli stessi problemi di oggi: denatalità, declino culturale, militarismo, statalismo, c’erano anche nel 1890. E poi due guerre mondiali più altre guerre minori in Africa, Spagna, Albania e altrove. Ma s’è mai vista una dichiarazione di guerra fatta attraverso un referendum popolare? È vero che oggi ci sono le cosiddette guerre asimmetriche, ma anche una missione di peacekeepig potrebbe essere disattivata per mezzo di un’iniziativa popolare. Invece nessuna tutela del territorio, dei cosiddetti “sacri confini” penetrati da immigrazione incontrollata o clandestina. Montagne di parassiti e fannulloni “coperti” da una sindacal-burocrazia asfissiante. Mafie in regioni dove nemmeno esistevano. Terrorismo. Carneficine chiamate “stragi di stato”. Tasse oramai oltre al 70% per (dis)servizi ridicoli o svolti in maniera imprecisa. Nessuna sicurezza e tutela della proprietà privata. Cartelli monopolistici in molti settori in nome dello Stato, del welfare, del solidarietà hanno generato debiti su debiti che sono perennemente accollati (senza mai vederne la fine) a intere generazioni passate, presenti e future. È meglio che faccia un omissis per mancanza di spazio, visto che si potrebbe andare avanti all’infinito. Quanto a chi detiene il potere attraverso la democrazia rappresentativa, basterebbe guardare la situazione dal dopoguerra a oggi dove tutto è da sempre saldamente in mano alle oligarchie, e alle élite finanziarie di cui lo Stato è protettore, esecutore e garante.

Heidi: Insomma, mi stai dicendo che il problema è strutturale ed è insito nel sistema rappresentativo, che funziona così: il cittadino vota un rappresentante e, così facendo, delega a lui ogni potere decisionale. Risultato: votando, il cittadino si autoesclude da ogni possibilità di decidere. Quello che trovo assurdo è che lo stesso cittadino che vota spesso si lamenta perché è escluso dal potere decisionale. Non capisce che è proprio lui ad escludersi da quel potere nel momento in cui decide di delegare votando. Se davvero si vuole decidere, dovemmo fare semplicemente due cose: 1) Smettere di votare, in modo da fare cadere il sistema. 2) Preparare, a priori, un sistema politico alternativo che ci consenta di partecipare al potere decisionale. O cos’altro?

Il nonno: A partire grosso modo dagli anni ’80 del 20° secolo sono sorti un’infinità di partiti e soggetti politici che hanno attratto l’insoddisfazione degli elettori per la Repubblica nata dalla Resistenza (e non credo che chi l’ha fatta pensasse ad un risultato del genere; come non si può ignorare che molte “forze innovative” trovano spazi anche come conseguenza di appoggi esterni), ma la caratteristica di tutti questi soggetti “up to date” è stata quella di omologarsi al sistema. Sono entrati nella “stanza dei bottoni” (comunale, provinciale, regionale, nazionale) per mezzo d’intenzioni innovative, progressiste, riformiste, ma presto il sistema e la burocrazia li hanno plagiati.

C’è dunque necessità di un soggetto politico riformatore che imperni la sua azione nella materializzazione della democrazia diretta, come indicato dalla Commissione di Venezia che è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa sulle questioni costituzionali. Tale Commissione sta testando come la società civile, e le autorità locali abbiano messo in pratica questa relativamente giovane Convenzione sulla partecipazione democratica, in cui una precisa raccomandazione risiede nel suo parere 797/2014.

Mancando un soggetto politico che si occupi della democrazia diretta (il M5s malgrado le promesse elettorali è sinora latitante) abbiamo una concezione valoriale che comunque distingue tra “ideologia particolare” (come menzogna deliberata per nascondere interessi particolari) e “ideologia totale”, ossia quel tipo di ideologia che non nasce da un deliberato sforzo di ingannare, ma dal diverso modo in cui la realtà si rivela al soggetto in conseguenza della sua diversa posizione sociale.

In quest’ottica va inquadrata la grande l’operazione “noi stiamo con i cittadini che hanno bisogno” del nuovo Pd di Nicola Zingaretti. Solo che il Senatore Luigi Zanda, forse per la non più verde età, ha equivocato ed ha capito che non fossero i “cittadini bisognosi” da aiutare bensì gli “eletti dai cittadini bisognosi”. Si consideri che Luigi Zanda difficilmente può aver agito senza il consenso di Zingaretti. Chi lo dice non conosce l’apparato Pd, poiché è semplicemente impossibile. Il Pd ci ha provato ma gli è andata male sebbene tuttora continui ad associare la questione del salario parlamentare alla difesa della Democrazia (bel modo di difenderla. Così i cittadini sono portati ad allontanarsi). Se fosse attivo il recall Zanda non avrebbe depositato in Senato una proposta di legge per equiparare i compensi dei parlamentari a quelli degli eurodeputati, che arriverebbero così a guadagnare tra i 16mila e i 19mila euro al mese. Mentre nel frattempo ha già rilanciato l’idea di un tesoretto da 90 milioni per i partiti dopo l’addio al finanziamento pubblico.

Come constatazione finale si può rilevare che una nuova classe dirigente nasce quando si affermano nuove idee, o quando la storia imbocca nuove vie. Parafrasando Gandhi, quei soggetti politici che perorano l’indipendenza dovrebbero essere il cambiamento che vogliono produrre. E per questo debbono riuscire a trasformarsi in un programma positivo minimo di cambiamento sociopolitico. Il federalismo dovrebbe essere assunto come risposta a tutti coloro che pensano che il mondo contemporaneo sia avvolto da un grande “deserto postideologico” secondo cui abbiamo una rappresentazione delle negatività astratta delle masse senza alcun progetto utopico significativo alle spalle (uno “spirito di rivolta senza rivoluzione”). Di fatto ai giorni nostri quelli che attendono di sostituire i predecessori, prendendone il posto, non sono una nuova classe dirigente anche quando parlano e straparlano di democrazia diretta o addirittura d’indipendenza; essi sono la continuazione della precedente. Il senso di vuoto che si vive in molte parti dello stivale lo si deve al non identificare nulla di nuovo, di efficiente ed efficace per l’esercizio facile e tempestivo della democrazia rappresentativa controbilanciata dalla deterrenza della democrazia diretta.
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » mar apr 16, 2019 8:15 am

Democrazia diretta, il ministro ha battuto mezzo colpo
apriole 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/04/de ... ezzo-colpo

Vicenza – Durante la Repubblica Sociale c’era un “partito dei direttori” di giornale. Quando, nel giugno 1944, Concetto Pettinato scrisse sulle colonne de “La Stampa” il famoso articolo «Se ci sei, batti un colpo», che intendeva dare la sveglia al partito e allo stesso sonnacchioso Mussolini di fronte allo sgretolamento del fascismo in quel momento tragico (occupazione di Roma, aumento dell’attività partigiana, sbarco in Normandia, sfondamento sovietico a est), il risultato fu la sospensione di Pettinato per circa un mese.

Chissà come si comporteranno (a tempo debito) gli elettori nei confronti di Riccardo Fraccaro, ministro a “mezzo servizio”. Infatti, è ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta. Egli, nei giorni scorsi, da diramato una newsletter nella quale è contenuta una notizia e un invito.

La notizia alla quale i principali mezzi di comunicazione non hanno dato alcuna evidenza è la proposta di legge costituzionale sul referendum propositivo che introduce un’iniziativa legislativa popolare. La proposta di legge costituzionale modifica l’articolo 71 della Costituzione introducendo nuovi commi, dopo il secondo comma. In particolare, si prevede che l’iniziativa legislativa popolare, qualora supportata da almeno cinquecentomila elettori, debba necessariamente essere esaminata dalle Camere e approvata entro diciotto mesi.

Niccolò di Bernardo dei Machiavelli sosteneva che per capire le cose si dovevano osservare i fatti, ed i fatti ce li espone una delle varie associazioni (Vogliamo Un’altra Italia!) che da anni si occupano di democrazia diretta:

«Il Disegno di Legge per cui menano vanto i 5 Stelle e che porterà in Costituzione una ‘fetta’ di Democrazia Diretta è innaturalmente striminzito: manca del coraggio di affidare il potere ultimo proprio a quei cittadini beffardamente tacciati di essere ‘sovrani’, piuttosto che alle Istituzioni che dovrebbero servirli. Una volta che si sia scelta la strada di superare l’artificiosa pastoia del potere esercitato “…nelle forme e nei limiti della Costituzione”, per cui il Totem della Costituzione viene crudamente anteposto alla Democrazia richiesta direttamente dalla base, si sarebbe dovuto adottare integralmente una corretta ed effettiva ‘graduatoria del potere’, indirizzata alla devoluzione del potere ai suoi detentori ufficiali. Invece, nella legge di riforma così com’è attualmente all’esame del Senato, qualsiasi Disegno di Legge proposto dai cittadini:

Deve rigorosamente rispettare quella rispettabile Costituzione scritta da rispettabili persone, già passate a miglior vita, ma ancora autorizzate ad esercitare il loro potere sulle generazioni oggi viventi;
Non deve trattare argomenti che siano “ad iniziativa riservata” […] cioè esiste qualcuno che (forse ‘per grazia di Dio’) detiene una sua ‘riserva’ non contendibile dai cittadini-sovrani che, quindi, sono meno sovrani di quell’innominato ‘qualcuno’;
Non deve, ovviamente, interferire con quelle istituzioni internazionali cui siamo stati associati/asserviti senza che a noi cittadini sia mai stato chiesto alcun parere (grazie al ‘famigerato’ articolo 75 della vigente Costituzione);
Non modifica per nulla proprio quell’articolo 75 di cui sopra, posto lì nel periodo ante guerra fredda ad incapsulare un popolo trattato da insipiente schiavo della oligarchia partitocratica, e messo a disposizione di chi avesse vinto la sfida mortale delle prime elezioni della prima Repubblica. Ad essere onesti, però, nell’attuale versione della legge di riforma c’è anche un elemento, uno solo, piccolo, piccolo ma positivo se sarà rispettato nella legge applicativa: è evocato l’obbligo di inserire nella legge attuativa l’adozione di provvedimenti tali da “…assicurare eguale conoscibilità della proposta di iniziativa popolare e di quella approvata dalle Camere” nel caso in cui si debba scegliere tra una proposta popolare e la norma alternativa approvata dal Parlamento.

Come avrebbe potuto/dovuto essere (tralasciando al momento la sordità delle Istituzioni a fronte delle petizioni). Se la questione fosse stata affrontata con lo spirito giusto, si sarebbe potuto/dovuto delimitare esclusivamente il campo dei diritti non disponibili e non contendibili nemmeno dalla volontà popolare. Il resto, tutto il resto, avrebbe potuto essere dichiarato come legittimo campo di intervento del popolo-sovrano e delle sue iniziative di proposizione di attività legislativa a votazione popolare.

Avrebbero potuto/dovuto essere previsti una serie di referendum (aventi sempre valore deliberativo, per imporre in positivo la volontà popolare ai parlamentari, ‘delegati’ sempre in regime di ‘silenzio-assenso’), sia referendum abrogativi di norme vigenti, sia referendum d’iniziativa e/o di rettifica (con possibilità per il Parlamento di proporre soluzioni alternative), sia referendum obbligatori di conferma di scelte:

Che riguardino interessi personali dei membri del corpo legislativo/deliberativo. Come, ad esempio, le leggi elettorali e le norme che definiscono i compensi/emolumenti versati ai parlamentari. È stata proprio la mancanza di quest’ultimo tipo di referendum a lasciare campo libero alla consacrazione di tutti i privilegi che la casta ha potuto accaparrarsi, non essendo sottoposta ad alcun controllo popolare su materie vitali che la riguardano!
Che limitino la libertà e l’indipendenza della nostra comunità nazionale (trattati internazionali che limitino la sovranità politica nazionale). Per la validità dei Referendum non deve essere imposto il raggiungimento di alcun quorum perché chi non partecipa dichiara nei fatti di accettare le scelte altrui ed è assurdo attribuire un potere politico ostruttivo a chi decida di non partecipare».

L’invito: «come Ministro per la Democrazia Diretta» scrive ancora Riccardo Fraccaro «sono impegnato a rafforzare gli istituti che permettono un’effettiva partecipazione dei cittadini. Per realizzare questo obiettivo ritengo fondamentale il rapporto con le associazioni, i comitati e i cittadini che intendono diffondere e sviluppare gli strumenti di democrazia diretta e partecipativa. Occorre valorizzare concretamente il vostro contributo alle iniziative che verranno adottate per promuovere una maggiore sensibilità delle amministrazioni alle istanze dei cittadini.»

Ed ecco che prontamente, e per “valorizzare concretamente”, alcune associazioni che da decenni promuovono la democrazia diretta hanno inviato il loro contributo. Qui esponiamo anche quella a firma di Giancarlo Pagliarini, segretario dell’Unione Federalista, già ministro (10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995) del bilancio e della programmazione economica, il quale tra l’altro scrive:

«L’orientamento ostile all’esercizio diretto della sovranità popolare si riscontra infine nell’art. 38 della legge ove si ordina che, qualora l’esito di un referendum risulti contrario all’abrogazione di una legge, non possa proporsi una nuova prova referendaria sulla legge stessa “prima che siano trascorsi cinque anni”. Si pensi all’eventualità di una legge che si sia salvata per il rotto della cuffia (è un po’ il caso del finanziamento pubblico dei partiti): perché sottrarla al reiterato giudizio popolare, “ibernandola” per cinque anni?

La conclusione è che (come ho sostenuto in un’intervista televisiva) la legge del 1970 è contraria allo spirito della Costituzione, e c’è ben altro da fare, nei suoi riguardi, che accorciare la sospensiva dell’art. 34. Nel congegnarla i parlamentari hanno (abusivamente) privilegiato il momento (e l’interesse) della loro legittimazione a governare: si sono sentiti e si sentono sempre come i veri ed unici sovrani.

Perciò è necessario capovolgere l’ispirazione di quella legge: facendo sì che quando il referendum è stato correttamente introdotto, la sua attuazione goda del diritto di precedenza sulle prove elettorali: il semaforo rosso deve scattare per le elezioni politiche, non per il referendum. Certo, Bisogna riconoscere che l’ostilità verso l’esercizio della sovranità popolare viene da lontano. Nella mia Repubblica migliore ho individuato l’origine di tale scetticismo negli stessi ambienti della Costituzione, quando perfino Arturo Carlo Jemolo esortava un paese come questo, “privo di grande educazione politica” a rinunciare alle prove referendarie. Insomma, proprio mentre ci si vantava di rifondare la democrazia si proclamava la stupidità congenita del popolo.

E si approdava così al risultato finale di una gigantesca contraddizione. Perché mai il popolo sarebbe un povero incapace quando qualcuno cerca di fargli esprimere direttamente il suo giudizio su un problema di rilievo, e diventerebbe invece fonte di saggezza quando viene costretto a scegliere e a legittimare chi dovrà governarlo?

Naturalmente questo non limita il diritto del popolo sovrano a usare lo strumento del Recall, o destituzione dei rappresentanti eletti a qualsiasi livello delle istituzioni, in caso di indegnità, inefficienza, condanne penali o appartenenza a gruppi o associazione criminali.»

Ecco, ora il Ministro Fraccaro è stato informato, direttamente e a mezzo stampa, e se ingannando per l’ennesima volta gli italiani onesti, quelli che sono sempre andati a votare onestamente, quelli che lavorano onestamente, rispettano le leggi e pagano le tasse onestamente, procederà senza tenerne conto, l’attuale governo avrà realizzato pienamente ciò che Tomasi di Lampedusa fa dire a Tancredi ne “Il Gattopardo”: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » gio mag 23, 2019 10:56 pm

Riprendiamoci le "Libertas" delle città-stato
23 maggio 2019

https://www.vicenzareport.it/2019/05/ri ... itta-stato

Vicenza – Intorno all’anno Mille si intensifica la rinascita della vita sociale, economica, politica e culturale dell’Occidente europeo. In Italia di tale rinascita sono protagoniste le comunità cittadine, che crescono sotto ogni punto di vista e si provvedono di nuove istituzioni attrezzandosi ad essere Città-Stato. La Chiesa e l’Impero, i due grandi poteri universali dell’epoca, non riescono a contenere l’autonomia e la libertà d’azione delle città. Cattedrali, palazzi e piazze testimoniano ancora oggi la vivacità della civiltà comunale.

Con lo scontro tra nobili e popolo, le città sembravano aver ripreso lo schema repubblicano romano della lotta tra patrizi e plebei. Conoscendo il pericolo dei «signori», che si concretizzava in molte realtà, si cominciarono a paventare i tyranni seguendo gli schemi della letteratura classica. Gli intellettuali del tempo parlano di res publica riferendosi a queste città-Stato, dotate di proprie ferree regole, leggi e regolamenti, essenziali, e forniti di una moralità intrinseca fortissima, come testimoniato anche da codici scritti e tramandati.

Si arriva così all’idea della res publica; una entità che non appartiene a nessuno in particolare, a nessun privato di cui va difeso l’honor, bene essenziale non solo della persona fisica, ma della città, essenziale nei suoi rapporti con i terzi, con le altre città, con i principi, i signori etc. C’è quindi l’idea d’una sfera di diritti in qualche modo intangibili, fuori commercio, inalienabili. Diritti pertinenti a una realtà impalpabile, astratta, al di là delle persone dei singoli governanti, sempre rappresentanti pro tempore di essa, ma mai padroni. Esattamente il contrario di certa democrazia d’oggidì, dove politicanti emersi attraverso una cruda lotta all’interno dei partiti e tra partiti, si arrogano il diritto di disporre a piacimento di tale res publica, per coprire un debito pubblico da essi stessi generato allo scopo di realizzare il voto di scambio prima, e l’elargizione di privilegi quale “bottino di guerra”.

Tolomeo da Lucca (1236 –1327) ricordava che «il sistema politico migliore è quello in cui il governo è affidato ai saggi e virtuosi, come avveniva presso gli antichi Romani»; quello è il migliore di tutti, perché «gli onori cittadini sono assegnati a turno in base ai meriti di ciascun cittadino, come facevano gli antichi Romani». Al giorno d’oggi, in Italia, abbiamo invece il governo dei nominati dai partiti, che quasi mai esprimono i migliori, bensì i più… disinvolti.

Quel sistema di governo allora era prevalente in Europa, tanto che negli anni ’60 del Duecento l’esule da Firenze Brunetto Latini, il famoso notaio maestro di Dante, nel suo Trésor, opera enciclopedica in francese, scriveva che le «signorie», cioè i governi, potevano essere di tre tipi. C’era «quella dei re, quella dei “buoni”, e quella dei “Comuni”». Aggiungendo subito dopo: «la quale ultima è la migliore di tutte». Un mezzo secolo più tardi a Firenze lo stesso Brunetto, già cancelliere della repubblica, sarebbe stato ricordato come colui che aveva insegnato ai fiorentini a «governare la Repubblica seguendo la politica».

Si tratta di una scala di valori, che verrà ancor più chiaramente teorizzato nel Trecento, da Marsilio da Padova e da un Bartolo da Sassoferrato. Quel che qui ci preme invece aggiungere è che questa teoria e prassi del governo «ascendente», dal basso verso l’alto, molto innovativa (potremmo dire democratica, e l’unica democratica in quel contesto urbano dato), non escludeva né il governo per delega a ristrette commissioni (balie per la guerra, per le imposte, gli statuti ecc.), né la faziosità e le esclusioni.

A Siena (ma non solo lì), fino alla caduta della Repubblica nel 1555, l’aristocrazia rurale e quella cittadina (i Magnati o Casati) furono escluse da ogni diritto politico attivo e passivo: non potevano votare né essere votate perché ritenute giustamente pericolose per la “libertas” repubblicana. Infatti si riteneva che le ricchezze di questo ceto potessero comperare i voti. Ovverosia quello che avviene oggi da parte dei partiti politici che impiegano i soldi dei contribuenti (estorti per mezzo di una tassazione persecutoria) per “comperare” il consenso. Va da sé che, in epoca comunale, i nobili poi venissero impiegati in missioni diplomatiche verso il resto del mondo feudale europeo, che male avrebbe tollerato il dover trattare da pari con dei borghesi. Indice che in una istituzione ben organizzata ognuno trova il suo giusto ruolo.

Aperture teoriche e formali e tentativi di controlli elitari o chiusure vere di fatto coesistevano contraddittoriamente nelle convulse vicende di quei decenni. Ma riconosciuta la contraddizione, c’è da chiedersi se essa non sia stata un altro elemento notevole, caratteristico e di modernità essa stessa di quel mondo politico-istituzionale che si reggeva all’insegna di libertas e aequalitas tra i cittadini.

Nel Quattrocento la politica “d’equilibrio” che contrassegnò l’epoca medievale subì una battuta d’arresto. Questo processo portò alla crisi degli universalismi (papato e impero) e alla formazione di repubbliche cittadine e dittature. I nuovi governi, per mantenere una certa stabilità di potere, richiedevano di essere legittimati. Il diritto divino o quello ereditario non bastavano più c’era bisogno del consenso espresso dai sudditi, l’opinione pubblica era il perno portante del potere quattrocentesco e non solo.

Tra il XIII e XIV secolo vennero elaborate alcune teorie circa la legittimazione dal punto di vista giurisdizionale, la più importante delle quali fu quella di Bartolo di Sassoferrato (1313-1357) che nel suo De Tyranno espresse le dinamiche e i rapporti. Dal basso il popolo costituisce il vero potere e dall’alto il “sovrano” è chiamato a gestirlo per il bene della comunità: «cum qualibet civitas superiorem non recognoscat in se ipsa habet liberum populum, et tantam potestate habet in populo, quanta Imperator in universo».

Proprio per questo motivo, alla oramai classica figura del notaio che interpreta a memoria le leggi, subentra e s’irrobustisce la nuova figura del giurista, come professionista che conosce il diritto giustinianeo quanto quello ecclesiastico e traccia con sicurezza le sue teorie. Anche se, a onor del vero, non dobbiamo dimenticare anche le altre figure del nuovo diritto come i giudici, i consulenti, i procuratori, gli amministratori dei comuni, ecc. che, insieme ai primi, formano la corporazione giuridica. Tutti questi eminenti personaggi concorrono a far sì che, in connessione con le vecchie strutture feudali, si giunga ad un compromesso per l’ordinamento cittadino.

Lo sviluppo accelerato dei Comuni nel secolo XII, specialmente nella pianura padana, è portatore di nuovi e più consistenti valori. Sorgono così i primi palazzi pubblici (Palazzo del Comune, del Podestà, della Ragione etc.) che danno un’impronta diversa alla città. I Comuni dispongono dell’arengo o assemblea per dibattere i problemi inerenti l’ordinamento comunale, e qui si prendono delle decisioni che poi vengono ampiamente codificate e redatte dopo essere state votate.

La nascita del nuovo sistema comunale portò come sua conseguenza, lo sviluppo di una corrente letteraria definita Umanesimo, la cui caratteristica principale era porre al centro dell’universo non più il divino ma l’umano. I comuni in tutto il centro-nord della penisola (il femomeno comunale al sud è praticamente assente) amavano circondarsi di artisti e letterati, i quali assumevano spesso il ruolo di legittimatori. Si pensi – uno per tutti – ad Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) con gli affreschi del Palazzo pubblico di Siena: Gli effetti del buon Governo.

Ed è da Siena che raccogliamo l’amaro sfogo di Mauro Aurigi, già Consigliere comunale di quel capoluogo, noto per la sua profonda conoscenza della civiltà comunale senese, nonché per la sua combattività, a proposito della quale recentemente ci scriveva: «Quanto alla combattività non sarebbe un problema. È che ho cominciato a prendere coscienza dell’inutilità di qualsiasi militanza che non sia quella di dare la scalata al potere. Uno che il potere invece vuol toglierlo a chi ce l’ha ma per darlo al popolo, non solo non ha speranza, ma rischia ormai di essere visto come un pazzo (dal popolo ovviamente!). Ormai vivo solo per lasciare una traccia, nel senso che domani si possa scoprire che non tutti erano d’accordo con ciò che è successo e che succederà.»

Per far comprendere agli attuali reggitori della res publica quanto sia utile l’avere una memoria storica adeguata, e il prevedere con largo anticipo le riforme che si vogliono introdurre, non affidandosi ad un avventurismo elettorale (da non dimenticare che l’elezione è un fenomeno abbastanza recente, considerato che per secoli ci si è avvalsi anche del sorteggio o ballottaggio, si veda qui) quale quello che certe formazioni politiche pseudo riformiste affrontano ai giorni nostri (per esempio ci sarebbe una riforma che non costa nulla ed è tempestivamente agibile, si veda qui), suggeriamo la lettura di un breve saggio qui allegato, sulla mezzadria. Un istituto nato appunto nel medioevo, che quando scomparve nella seconda metà del XX secolo principalmente ad opera dell’Intelligencija comunista, non diede vita ad una vera riforma, bensì ad un regresso.
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » ven giu 21, 2019 2:46 am

La sciocchezza del sorteggio
Mauro Anetrini
2019/06/20

http://www.opinione.it/editoriali/2019/ ... n6QR8rJC8U

Vladimiro Zagrebelsky, su “La Stampa”, rileva l’assoluta inconsistenza della proposta avanzata dal Guardasigilli, secondo il quale i membri togati del Consiglio superiore della magistratura dovrebbero essere eletti a sorteggio. Fuor di metafora, l’idea di Alfonso Bonafede è una sciocchezza colossale, per di più antidemocratica.

La democrazia – ormai dovrebbero saperlo anche dalle parti dei pentastellati – è un insieme di procedure che assicura il rispetto dei diritti di tutti, minoranze comprese, ed equilibri delicatissimi. Il sorteggio, invece, è pura alea, che – è vero – non avvantaggia nessuno, ma non consente neppure di scegliere.

Liquidata la questione per quello che è, vale a dire, il sintomo della mancata conoscenza delle regole del sistema e l’assenza di senso della democrazia, Zagrebelsky dice una cosa interessante: le correnti, un tempo territorio di confronto tra idee, sono lo strumento che consente a “capetti” sguaiati nel linguaggio di gestire i voti che controllano e trasformarli in potere.

Concetto interessante, considerato che è formulato da un autorevolissimo ex magistrato, già membro, per due volte, del Csm e poi Giudice della Corte Edu: interessante, perché proviene da un uomo di acutissima intelligenza, grandissima esperienza e profondissima competenza. I superlativi sono tutti appropriati, vista la qualità della persona.

Ma se Vladimiro Zagrebelsky ha ragione, come ha ragione, vorrei formularla io una domanda: la gestione del potere da parte di capetti dal linguaggio truce e dalla capacità di condizionamento di scelte esiziali per la Repubblica ha una sua definizione giuridica nel Codice penale? Io una mezza idea, al riguardo, l’avrei…

A proposito poi del Pm, il problema non è se Bonafede predichi la terzietà del pubblico ministero, equiparandola a quella del giudice, ma il concetto di terzietà al quale Bonafede si ispira. Questo è un problema serio, che gli auguro di non dover mai affrontare personalmente.


Gino Quarelo
Il sorteggio è una modalità di scelta più che democratica e responsabilizza tutti coloro che si rendono dispondibili avendone le competenze.
Come è democratica anche la rotazione degli incarichi di responsabilità collettiva, a turno per tutti coloro che si rendono disponibili avendone le competenze.
Il sosrteggio e la rotazione/turnazione appartengono alla democrazia diretta mentre l'elezione appartiene alla democrazia indiretta e rappresentativa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » lun lug 08, 2019 9:45 pm

Le due democrazie. Chi non vuole la diretta?
8 luglio 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/07/le ... b82xUjvsdw

Vicenza – Giustificare le proprie azioni con la necessità di proteggere i deboli e gli indifesi. Questa è la prima regola della retorica politicante. Quando i faccendieri politici vogliono mettere la popolazione sotto sorveglianza totale, dicono che lo fanno per evitare che i gruppi d’odio colpiscano gli indifesi e i diversi. È poi un errore pensare che l’informazione possa non essere manipolata. I mezzi di comunicazione del sistema pseudo democratico sono il cuore pulsante della dizinformacja funzionale alla partitocrazia. Dunque del trattamento politico dell’informazione.

Inoltre da parte sua il sistema mediatico non riesce a togliersi di dosso la dipendenza dai sondaggi (quasi sempre eterodiretti) più di quanto i candidati riescano a resistere alla tentazione delle apparizioni televisive. In buona parte del nord Italia esiste una specie di fiume carsico che vagheggia l’autonomia. Anzi alcuni politicanti si sono spinti a chiederne una simile a quella del Trentino-Alto Adige (cosa peraltro impossibile).

Ma, sotto sotto, la vera richiesta è l’indipendenza da un paese che, per esempio, sin dalla sua nascita è stato guerrafondaio (vedi l’elenco delle guerre dichiarate dall’Italia). L’ultima (inutile) dichiarazione di guerra italiana ad un paese terzo fu redatta il 14 luglio 1945. Fu del governo guidato da Ferruccio Parri, per cercare di conquistare lo status di alleato, che dichiarò guerra all’Impero Giapponese. Oggi l’Italia non dichiara più guerra a nessuno, e con una capriola semantica afferma di operare in missioni di peacekeeping.

Ciò premesso i sostenitori della democrazia non dovrebbero ignorare il “Modello Ateniese”, che rimane ancora, a parere di molti, un punto di riferimento di primaria importanza. Esso funzionava così:

Ogni singolo cittadino poteva partecipare al dibattito politico.
Ogni singolo cittadino poteva presentare proposte di legge.
Ogni singolo cittadino poteva votare le proposte di legge all’ordine del giorno.
Ogni singolo cittadino poteva iscriversi nelle liste da cui si sorteggiavano le cariche pubbliche. Quasi tutte le cariche pubbliche erano assegnate per sorteggio e avevano durata annuale.
L’Assemblea dei cittadini era l’organo sovrano di Atene.
Non c’erano partiti, né rappresentanti.
I funzionari esercitavano un potere prevalentemente di tipo esecutivo e dovevano in ogni caso rendere conto all’Assemblea.

Questa era la democrazia per gli antichi ateniesi, e tale rimarrà fino al diciottesimo secolo incluso. Si veda l’opera di Luca Chioretto e Pietro Numi “La Democrazia Ateniese = V-IV secolo a.C”. Poi, agli inizi del diciannovesimo secolo, qualcuno inventò il sistema rappresentativo, e questo segnò la morte della democrazia. La giustificazione ufficiale fu che il modello ateniese non era più proponibile nei grandi Stati. Ciò nonostante c’è chi sostiene (tra gli altri, il M5S ha materializzato il Ministro per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro) che i moderni sistemi informatici potrebbero superare le difficoltà e ritornare ad una democrazia ateniese aggiornata e planetaria.

Ma si sa che Italia è davvero il Paese degli ignoranti, i cui cittadini sono affetti da analfabetismo funzionale, e non sono stati sufficienti 158 anni per risolvere questa emergenza. È infine un errore investire nella vecchia formula delle manifestazioni di strada con bandierine, cortei, megafoni, comunicazione dell’itinerario dei cortei alla prefettura, servizio d’ordine, inquadramento, organizzazione. Questa è una specialità dei partiti (specialmente di sinistra) e dei sindacati. Democrazia e federalismo poi sono complementari l’uno all’altro; infatti nel libro “Del principio federativo” Pierre-Joseph Proudhon sosteneva una cosa che purtroppo tutti i politicanti non hanno mai spiegato (non ne hanno l’interesse); ovvero che il federalismo di basa due principi fondamentali:

La sovranità che tramite il voto i cittadini conferiscono ai rappresentanti, è inferiore alla sovranità che riservano per se stessi sui fatti.
Gli oneri che il “foedus” implica devono essere inferiori (o quanto meno uguali) ai benefici che se ne ricavano.

Concludendo: s’è mai vista una guerra o una missione di peacekeeping avviate dopo un esito referendario che chiedeva proprio questo tipo di azioni?
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » gio lug 25, 2019 7:42 am

Veneti venezianisti marciani idolatri e teocratici, che disprezzano la democrazia e che non conoscono la storia e che la reinterpretano a loro gradimento e la ricostruiscono con fantasia.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 183&t=2786
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » dom set 08, 2019 6:44 pm

Una discussione che si conclude con una manifestazione antisemita e antidemocratica


Patrizia Patrizia Badii
5 settembre 2019 alle ore 14:21

Rivendicare il Diritto di Autodeterminazione del Popolo Veneto non e' reato!
Noi saremo in quell'aula a testa alta, come sempre.
E rivendicheremo con forza il nostro Diritto a applicare sui territori Veneti occupati
l effettivita' della L.G 881/77.
#iduriaibanchi
#CLNVENETONET

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... nt_mention


Alberto Pento
Il diritto di autodetermminazione lo esercita la stragrande maggioranza dei veneti, almeno il 95%, che si vuole autodeterminare come veneto-italiana e non come indipendentista e serenissima, demenzialmente fuori della storia.
La Serenissima non è una nuova repubblica veneta, è una repubblica aristocratica antidemocratica morta e sepolta 222 anni fa, con il suo impero dove la maggioranza dei veneti era suddita e non sovrana.
Non vi è stata e non vi è alcuna occupazione dei territori veneti, da parte dello stato italiano e contro la volontà dei veneti.


Alberto Pento Diritto di autodeterminazione: il caso veneto
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2796
Il diritto dei popoli all'autodeterminazione e le demenzialità dei venezianisti
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 0393667038

Questi presuntuosi, esaltati e ottenebrati venetisti non si rendono conto, non hanno la coscienza che loro non sono il Popolo Veneto ma solo una minima parte di questo Popolo e che il diritto all'autodeterminazione appartiene al Popolo Veneto e in democrazia alla sua maggioranza e non a una minoranza trascurabile o insignificante anche se molto presuntuosa.


Alberto Pento
Repubblica Veneta Serenissima, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
viewtopic.php?f=183&t=2879
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 8312942245

Serenissima no grazie, non era la Repubblica dei veneti tutti ma solo dei veneziani e della loro aristocrazia.

Io Alberto Pento, veneto da innumerevoli generazioni, indipendentista convinto, principalmente per valori/doveri/diritti naturali e civili universali che mi inducono a ritenere che l'umanità dell'individuo e delle sue comunità, si realizzi al meglio quando ess è libera, atutonoma, indipendente, responsabile e sovrana;
per tali motivi non posso assolutamente volere alcun restauro/ripristino/ritorno della Serenissma repubblica veneta a dominio veneziano, proprio perché questa repubblica era un regime aristocratico oligarchico. illiberale, antidemocratico e anti indipendentista che ha operato per mantenere i veneti non veneziani sudditi di Venezia e della sua aristocrazia, e che ha impedito loro di diventare indipendenti attraverso l'acquisizione della sovranità politica democratica in seno alla Repubblica Serenissima.

Sarebbe una contraddizione assurda desiderare il ritorno di un regime aristocratico e antidemocratico contrario all'indipendenza dei veneti.
Pertanto coloro che auspicano e operano per il restauro/ripristino/ritorno della Serenissima non possono essere assolutamente considerati come indipendentisti veneti ma vanno considerati come nemici del vero indipendentismo veneto;
la Serenissima non era affato lo Stato dei Veneti o del Popolo Veneto, ma lo stato Veneziano con il suo regime repubblicano aristocratico e oligarchico, in cui la maggior parte dei veneti non era veneziana ed era suddita di Venezia e politicamente non sovrana.
L'indipendenza dei veneti e del Veneto è tutto fuorché il restauro/ripristino/ritorno della Serenissima Repubblica veneziana.
Chi desidera veramente l'indipendenza dei veneti e del Veneto non può assolutamente desiderare il ritorno della Serenissima.

Gli invasati della Serenissima, sono tutto fuorché veri indipendentisti.

Proporre il ritorno della Serenissima tal quale come era e dov'era, in versione democratica è un non senso demenziale, un vero imbroglio da imbonitori poiché la Serenissima non era democratica e quindi non può esistere una versione democratica; ciò che potrebbe esistere è solo un Veneto indipendente, federale, democratico e sovrano, se la maggioranza dei veneti lo volesse.
Se la Serenissima fosse stata una Repubblica democratica, federale e a sovranità di tutti i veneti, allora avrebbe senso riproporla come tale, ma così non era e quindi non è possibile riproporla in tali termini.
Proporre un sistema veneto indipendente e sovrano, federale e democratico è incompatibile con la Serenissima che fu.


Alberto Marchiori
Se col termine serenissima, si intendono i territori veneti, certamente! Ma siamo nel 2020 non 1790

Alberto Pento
La Serenissima dominava su territori veneti e non veneti. I territori storicamente veneti sono quelli che corrispondono al Veneto odierno.
Anche la romana X Regio e la successiba provincia imperiale denominata Venetia et Histria comprendeva territori veneti e non veneti.

Alberto Marchiori
Alberto Pento non mi sembra corretto: Brescia, Bergamo, tutto il Friuli, Trento e Cremona...

Alberto Pento
Brescia, Bergamo, tutto il Friuli, Trento e Cremona... non sono territori storicamente abitati da genti venete.
Vai in Friuli e chiedi ai friulani cosa si sentono, poi vai anche a Trento e a Cremona.

Alberto Marchiori
Alberto Pento se veneti, per 400 anni ti sembra niente..

Alberto Pento
Non veneti ma sudditi di Venezia. Poi 400 di sudditanza alla Serenissima anni sono poca cosa rispetto ai secoli precedenti.

Alberto Marchiori
Sudditi è una parola grossa, in particolare per Bergamo..

Alberto Pento
Tutti erano sudditi, nessuna città era sovrana come Venezia, al Parlamento veneziano sedevano solo i veneziani e pochi altri comprati per soldo o annessi per convenienza politica (furono patrizi veneti, tra gli altri, i re di Francia, i Savoia, i Mancini, i Mazzarino, i Rospigliosi, le famiglie papaline degli Orsini e dei Colonna).
La Serenissima non era una repubblica federale, ma aristocratica a dominio o sovranità veneziana.

Alberto Marchiori
Alberto Pento allora, secondo questo concetto, sarebbero più veneti gli euganei, i cimbri, gli eneti turchi..

Alberto Pento
E i celti e i germani che nei millenni sono migrati in terra veneta che non corrisponde ai territori dell'Impero veneziano.
Almeno 1/3 dei veneti di terra ha origini germaniche: gote, longobarde, ssassoni, franche, alemanne, bavaresi, tirolesi, stiriane, ... .
La terra veneta sedimentasi lungo i millenni dalla preistoria a oggi è il Veneto, null'altro.

Alberto Marchiori
Alberto Pento infatti la Genesi del governo serenissimo affonda le radici nell'impero romano, dal quale ha ricalcano la forma di "governace aristocratica" fino all'arrivo francese, ed è evidente che questa forma seppur valida per certi aspetti era fuori dal tempo..

Alberto Pento
Sì Impero romano romano d'oriente però di cui la laguna veneta era provincia.
La forma aristocratica a dominio veneziano non era più valida, ma Venezia non l'ha capito e la storia l'ha punita.

Alberto Marchiori
Alberto Pento questo tuo, è un modo di vedere le cose che rispetto, ma non condivido del tutto, personalmente ritengo Venete tutte le terre della serenissima prima delle aggressioni francesi, austriache ed italiane

Alberto Pento
Le genti che vi abitavano, a maggioranza non erano venete.
Poi non vi è stata alcuna aggressione italiana, sono stati i veneti che in mancanza di meglio hanno voluto essere parte dello stato italiano sperando e illudendosi di aver maggior fortuna.

Alberto Marchiori
A me sembra che ci stessero "comodi" nella Serenissima

Alberto Pento
Non mi pare proprio, non vi è stata alcuna mobilitazione generale dei domini veneziani per contrastare l'invasione e la conquista napoleonica, la stessa Venezia non ha versato una goccia di sangue, ha fermato le limitate insorgenze che si erano formate e ha persino finanziato Napoleone con milioni di ducati.

Alberto Marchiori
Alberto Pento non mi risulta..

Alberto Pento
Cosa è che non ti risulta?

Alberto Marchiori
Che I veneti abbiano voluto essere italiani, non c'è stata nessuna scelta, ma una prevaricazione del diritto grande come una casa

Alberto Pento
Prima del 1866 i veneti non avversavano lo Stato italiano, non né avevano alcun motivo, anzi né avevano molti per desiderarlo e per tanto non avevano alcuna sensata ragione per votare No al plebiscito per l'annessione allo Stato italiano.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 153&t=2874
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1553982588

Alberto Pento
La truffa ideologica venetista della falsa tesi secondo cui il Pebiscito del 1866 fu una truffa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 176&t=2859

Alberto Marchiori
Alberto Pento I motivi vanno ricercati nella massoneria infiltrata nel governo Veneto, filofrancese, e di origine Judea..

Alberto Pento
Solo demenzialità complottiste e antisemite, del tutto irragionevoli.

Il venetismo venezianista è diventato un covo di fanatici nazi venezianisti demenzialmente antisemiti antigiudei e antisraeliani.
viewtopic.php?f=153&t=2880
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 3848977870


Alberto Pento
Mi dispiace tanto per voi venezianisti serenissimi marciani ma la democrazia è un valore umano e civile e non certo un disvalore.
Specialmente se estesa a tutti, a suffragio universale e diretta come in Svizzera.
Nella Serenissima la democrazia era un privilegio solo per l'aristocrazia veneziana e la sua non estensione alla nobiltà di terra e alla borghesia ha reso la Repubblica Veneta debole, divisa, conlittuale, disamata da tanti e quindi facile preda di Napoleone.
La democrazia affonda nelle antiche istituzioni umane del Paleolitico nomadico ed è pienamente in linea con i valori giudaico-cristiani e con i valori, i doveri e diritti umani universali e l'aristocrazia veneziana non lo ha capito e per questo è stata punita dalla storia.

Democrazia, cittadinanza, valori doveri e diritti umani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 183&t=2683
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9367460016
Filone dedicato ai venetisti venezianisti che credono che la democrazia e l'illuminismo siano un male a cui preferire l'idealizzata aristocrazia veneziana antidemocratica e quello che la loro frangia cattolico romana considera come un regime perfetto di teocrazia cristiana; tutto un mondo demenziale caratterizzato da
un forte antisemitismo.


Alberto Marchiori
Alberto Pento rivedere i fatti in modo razionale, non significa essere antisemiti! E non accetto di essere anche velatamente additato come nazista, dato che nella mia famiglia ho deportati e morti nei lager nazisti! È facile cadere nei luoghi comuni: complottisti, antisemiti, nazisti, antidemocratici ecc.. È proprio questo l'atteggiamento di chi fugge dalla verità senza analizzare le cose in maniera oggettiva.



Alberto Pento

Alberto Marchiori ha scritto:
Alberto Pento rivedere i fatti in modo razionale, non significa essere antisemiti! E non accetto di essere anche velatamente additato come nazista, dato che nella mia famiglia ho deportati e morti nei lager nazisti! È facile cadere nei luoghi comuni: complottisti, antisemiti, nazisti, antidemocratici ecc.. È proprio questo l'atteggiamento di chi fugge dalla verità senza analizzare le cose in maniera oggettiva.

Alberto Pento scrive:
Alberto Marchiori. nessuno le ha dato dell'antisemita se l'è dato da solo demonizzando demenzialmente massoni e giudei.
Non occorre essere nazisti hitleriani per essere antisemiti basta essere cristiani come tanti venetisti venezianisti e tutti i nazi maomettani.
Alberto Marchiori la sua non è una rivisitazione razionale ma una reinterpretazione fideista e dogamtica che falsifica la storia.
Vede nel settecento le idee democratiche erano divenute valori riconosciuti condivisi da molti e istanze politiche diffuse in tutta Europa, anche nella pensiola italica, a Venezia città e nei suoi domini di terra.
Troviamo patrizi dell'aristocrazia veneziana, borghesi veneziani, nobili e borghesi sudditi delle città e delle campagne dei domini veneziani di terra che le avevano fatte proprie e che si aspettavano legittimamente dei cambiamenti.
Tra essi vi erano anche massoni e giudei e l'essere massoni e giudei, come l'essere atei e aidoli areligiosi non significa affatto essere malvagi, disumani o portatori di disvalori, anzi umanamente, civilmente, politicamente e culturalmente tutti costoro valgono minimo tanto quanto i cristiani e aristocratici veneziani e probabilmente all'epoca valevano assai di più poiché erano portatori di valori nuovi che poi tutta l'Europa ha fatto propri trasformandosi radicalmente.
Quindi demonizzare i portatori delle idee democratiche tra cui i massoni e i giudei che erano comunque delle minoranze, è semplicemente demenziale indice di inciviltà e di incultura, se poi vi aggiungiamo il complottismo e l'antisemitismo diffuso che alberga in molti idolatri cristiani veneti venezianisti ...
La Serenissima era una dittatura aristocratica veneziana, paternalista, invisa da tanti, incapace di cambiare, che la storia ha giustamente provveduto a superare.
Il credere che l'aristocrazia veneziana fosse un'elite superiore è semplicemente demenziale.

Sipion Mafei (Scipione Maffei)e ła fine de ła Repiovega venesiana
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 160&t=2279


Alberto Marchiori
Alberto Pento sei fuori strada amico, se scrivere "giudeo" per te equivale ad antisemitismo, bhe fatti un po' di autocritica.. Inoltre perché se sei massone non lo dichiari?
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » ven set 20, 2019 7:43 pm

Democrazie europee vicine al collasso?
Enzo Trentin
19 settembre 2019

https://www.vicenzareport.it/2019/09/de ... zdGOeJlj0E

Vicenza – «La democrazia in Italia è scomparsa quando è andato al governo Mario Monti, designato dai burocrati seduti a Bruxelles, non dagli elettori», parola di Noam Chomsky, considerato il maggior linguista vivente, autore del saggio “Il linguaggio e la mente”. A 86 anni, il professore statunitense dimostrò una lucidità di pensiero e di visione che non lascia spazio a dubbi. Nessuna illusione: «Le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è il neoliberismo», dice Chomsky, in Italia per il Festival delle Scienze di Roma nel gennaio 2014, e proseguiva «le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere.»

Oggi il neoliberismo si configura come «un grande attacco alle popolazioni mondiali», addirittura «il più grande attacco mai avvenuto da quarant’anni a questa parte.» Desolante il silenzio dell’informazione, che coinvolge gli stessi “new media”: la loro tendenza è quella di «sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta.»

L’Impero ha sguinzagliato contro la stragrande maggioranza dei cittadini l’intero battaglione delle prostitute della stampa. A questo si aggiunga: «Più un messaggio è puramente “razionale”, meno è probabile che attivi i circuiti emotivi che presiedono al comportamento di voto», scrive lo psicologo e psichiatra americano Drew Westen, nel suo libro “La mente politica. Il ruolo delle emozioni nel destino di una nazione.» In politica, quando ragione ed emozione si scontrano, immancabilmente è l’emozione a uscirne vittoriosa, commenta Westen.

Insomma l’obiettivo politico finale di ogni conflitto è: snervare l’avversario al fine di piegarne la capacità di resistenza alle élite dominanti (quelle che hanno le chiavi dei centri direzionali dell’avversario) e, attraverso un’operazione di coercizione di diverso grado di “violenza”, riuscire ad assoggettarle al proprio volere. Questo è l’unico vero obiettivo che è stato, è, e sempre sarà della “continuazione della politica con altri mezzi”.

Questo è anche ciò che percepisce quella parte dell’elettorato veneto che prima aveva riposto le sue speranze nei vari movimenti indipendentisti e autonomisti che non hanno mai avuto proposte chiare da mettere in campo. Passi (si fa per dire) per gli autonomisti in quanto la loro “libertà” d’azione sarebbe sempre codificata dallo Stato centrale. E infatti s’è visto che genere di autonomia sono disposti a dare i cosiddetti “rivoluzionari” del M5S, o peggio ancora gli statalisti del PD, o della Lega di Salvini, ivi compreso il “governatore parolaio” Luca Zaia.

Assolutamente incomprensibile l’atteggiamento degli pseudo indipendentisti, perché non hanno uno straccio di proposta istituzionale alternativa e convincente. Qualcosa che comprenda almeno tre princìpi fondamentali:

spontaneità delle leggi (dal basso, dalle reali esigenze delle persone).
Spirito di cooperazione (sostituendolo alla demenziale, imperante, competitività).
rispetto per la reciprocità degli interessi.

Se letteralmente domani il Veneto divenisse indipendente non si sa bene che tipo di istituzioni lo governerebbe. Di tipo monarchico? Repubblicano? Comunista? Fascista? Libertario? Cos’altro? La magistratura come sarebbe reclutata, e a quali codici (civile e penale) dovrebbe rifarsi per il suo lavoro? L’ordine pubblico lo manterrebbero i Carabinieri? Quelli che “liberarono” il campanile di S. Marco dai “pericolosi Serenissimi sovversivi”? La difesa sarebbe affidata agli Alpini che a ogni piè sospinto inneggiano al tricolore che li ha sempre impiegati in guerre d’aggressione visto che l’Italia non è mai stata attaccata da nessuno? Della democrazia diretta poi non sanno molto, se non “predicare” l’imitazione del sistema svizzero, ma avendo la pigrizia di non approfondirlo e adattarlo alle esigenze autoctone. Domande superflue, ma alle quali gli indipendentisti che chiederanno il voto alle regionali del 2020 non hanno saputo, a tutt’oggi, rispondere.

Persino coloro che operano per la restaurazione dell’antica Repubblica di San Marco (com’era e dov’era. Che non è mai formalmente morta, e quindi basterebbe un “alito” per ravvivarla), non dicono quali leggi e istituzioni sarebbero da conservare, quali da modificare e/o aggiornare, e come? Rimangono sul comodo alveo storico, esaltando l’oligarchia veneziana. Indubbiamente i nobil homini hanno avuto molti meriti, specialmente se contestualizzati con il proprio tempo. Ma a ben riflettere essi non erano così animati da disinteressato spirito civico considerando i numerosi strumenti di Checks and bilance di cui si erano dovuti dotare. Questa parte di indipendentisti “resuscitatori” ignora o quasi le precedenti origini comunali che con i propri Arengo o Rengo durarono più o meno quanto la “Serenissima” proseguita alla Serrata del Maggior Consiglio del 1297. Parlano di diritto internazionale, ma non si capisce bene quale giurisdizione lo riconoscerebbe. Ignorano, trascurano o sorvolano sul fatto che un diritto che nessuno riconosce non vale molto.

Nel campo indipendentista c’è un insignificante inneggiare all’unione. Ma per fare cosa, visto che non c’è un condiviso disegno istituzionale innovativo? Meglio: non ce n’è nessuno! E poi chi sono coloro che sono affetti da una “bitumizzazione dell’intelligenza” che in nome di questa unione (che fa la forza? Tsz!) sarebbero disponibili ad allearsi con il Partito dei Veneti e votare per il suo esponente di punta? Quello che eviterà a questa formazione l’onerosa raccolta delle firme per presentarsi alle elezioni regionali del 2020? Quello che ha messo in evidenza organizzativa dei giovani dalla faccia pulita, perché lui e i suoi colleghi più in vista non sono… “personnalités politiques fascinantes”?

Costoro bramano solo a farsi eleggere alla Regione inneggiando alla Catalogna, e trascurano volutamente i nulli risultati di quest’ultima sul piano dell’indipendenza. Il Partito dei Veneti che ha come esponente di punta quell’Antonio Guadagnini che a suo tempo non volle riconoscere la validità della sua firma in calce ad un impegno politico, e di quel documento disse e scrisse: «Volevano impormi cosa fare, quel testo non vale […], perché per fortuna la Costituzione dice che si è eletti senza vincolo di mandato.»

E allora l’elettorato indipendentista si pone la domanda: perché dovremmo confermarlo visto che egli si considera senza vincolo di mandato? Chi e cosa “rappresenterebbe”? Anzi già oggi chi “rappresenta” considerate queste discutibili valutazioni? Quello che si dovrebbe “assolvere” per aver firmato “inconsapevolmente” un contratto, mentre Matteo Salvini è politicamente massacrato per non aver rispettato il “contratto” di governo sottoscritto con il M5S?

Tutti i candidati a dire: votami che quando sarò eletto faremo questo e quest’altro. Ma qualcuno osserva che le sirene che cantavano l’indipendentismo negli anni precedenti e in campagna elettorale del 2015 (Luca Zaia, Stefano Valdegamberi, Roberto Marcato e altri sodali di Antonio Guadagnini) quali risultati hanno ottenuto? È dal 1983 con l’elezione via via di Eurodeputati, Onorevoli, Senatori, Sindaci, Presidenti di Provincia e di Regione, consiglieri comunali, provinciali e regionali, che l’elettorato veneto (prima federalista e autonomista, oggi indipendentista) non ottiene alcun miglioramento socio-politico.

Alcuni sostengono che c’è una “cementificazione della ragione” che contribuisce ad allontanare la consapevolezza del fatto che l’Italia è governata da un’élite abusiva, ipocrita, irresponsabile, bigotta, incompetente e scialacquona. Nella migliore delle ipotesi un tutore legale, non un genitore che si preoccupa del cosiddetto “bene comune”. Il futuro, invece, va costruito sopra la memoria del passato, e senza coscienza dei propri trascorsi non vi è identità né individuale né collettiva. La Verità non è democratica. Senza una risorsa etico-morale sovrabbondante cui poter attingere è come avere un cucchiaio con la ciotola vuota, perché i desideri da soli non cambiano la realtà.

Tra gli indipendentisti più irriducibili c’è chi descrive Antonio Guadagnini come un novello Prof. Dulcamara (Venghino, signori, venghino), quando dichiara: «Ho depositato un progetto legislativo per l’indizione di un referendum per l’indipendenza del Veneto, considerato che a Roma ci stanno prendendo in giro sull’autonomia. Abbiamo un efficacissimo strumento per persuadere i palazzi romani che non scherziamo e siamo disposti a usare qualsiasi mezzo, in nostro possesso, per tutelare volontà e interessi dei nostri concittadini veneti…»

Ciò che non dice questo distinto, disinvolto e disinibito “rappresentante”, è che comunque si tratterebbe di un referendum consultivo (un vero furto di democrazia). Che la Corte costituzionale ha già avuto modo di bloccare la Legge regionale n. 16 del 19 giugno 2014, per l’indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto. Tant’è che lo pseudo indipendentista Luca Zaia (Presidente della Regione Veneto, ex Lega Nord ed ora Lega per Salvini) ha raccomandato al suo gruppo di astenersi da ogni adesione, anche larvata, all’iniziativa di Guadagnini.

Insomma, se non c’è malafede bisogna proprio dire che i latini non avevano torto a dire: Quos vult Iupiter perdere, dementat prius (A coloro che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione), e gli attuali sedicenti indipendentisti non si rendono conto d’essere nella situazione del collaborazionista Harkis descritta nel film (del 2007) sulla guerra d’Algeria “L’Ennemi intime”, dov’è il ribelle Fellagha ad essere dalla parte della legittimità e della ragione.


Alberto Pento
Non mi pare che la democrazia svizzera sia vicina al collasso
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » gio set 26, 2019 7:49 pm

LA DEMOCRAZIA DIRETTA SE OTTENUTA È DIFFICILE DA CONSERVARE
Enzo Trentin
26 settembre 2019

https://mamifacciailpiacere.jimdofree.c ... J2AMzWhAcQ

«Ho percorso i corridoi più oscuri del governo e ho scoperto che è la luce che temono». Questa frase di Edward Snowden [ https://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Snowden ] appare in un'intervista rilasciata a Glenn Greenwald in occasione della presentazione del suo libro che il Italia è uscito a cura dell'editore Longanesi, il quale ha scelto per titolo: “Errore di sistema”. Il libro diventa, in alcuni momenti, una misurazione del battito cardiaco della democrazia: «In uno Stato autoritario i diritti derivano dallo Stato e sono concessi al popolo. In uno Stato libero i diritti derivano dal popolo e sono concessi allo Stato. Nel primo i popoli sono soggetti ai quali viene soltanto permesso di possedere una proprietà privata, ottenere un'educazione, lavorare, pregare e parlare poiché è il loro governo a consentirglielo. Nello Stato libero i popoli sono cittadini che si mettono d'accordo per essere governati secondo un patto consensuale che deve essere periodicamente rinnovato ed è costituzionalmente revocabile.»

Non siamo in grado di dire con quanta consapevolezza Edward Snowden ha definito la sostanza del federalismo. Né se abbia letto Pierre-Joseph Proudhon che è considerato il padre del federalismo moderno sostenendo: «Con l'accentramento, il cittadino e il Comune sono privati di tutta la loro dignità, le interferenze dello Stato si moltiplicano e gli oneri del contribuente crescono in proporzione. Non è più il governo che è fatto per il popolo, è il popolo che è fatto per il governo. Il Potere invade tutto, si occupa di tutto, si arroga tutto, in perpetuo, per l’eternità, per sempre. È così che il sistema di centralizzazione, di imperialismo, di comunismo, di assolutismo - tutti questi termini sono sinonimi - scaturisce dall’idealismo popolare; è così che nel patto sociale, concepito alla maniera di Rousseau e dei giacobini, il cittadino si dimette dalla sua sovranità e il Comune, e sopra al Comune il Dipartimento e la Provincia, assorbiti nell’autorità centrale, non sono altro che agenzie sotto la direzione immediata del ministero.» (Pierre-Joseph Proudhon, “Del Principio federativo” (1863). http://it.wikipedia.org/wiki/Del_principio_federativo ).

Proudhon in "Nuove osservazioni sull'unità italiana", del 10 dicembre 1864 prosegue: «Tutti i partiti senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere, sono varietà dell'assolutismo, […] Il governo sull'uomo da parte dell'uomo è la schiavitù, […] Chiunque mi metta le mani addosso per governarmi è un usurpatore e un tiranno: io lo proclamo mio nemico. […] più i diversi gruppi di un Paese, isola, penisola, continente, avranno sviluppato la propria indipendenza, più, per la natura delle cose, ci sarà libertà fra le città e i loro abitanti. Al contrario, più le diverse parti di un territorio saranno dipendenti le une dalle altre e si comanderanno mutualmente, più ci sarà tendenza all'autocrazia (o, in forma repubblicana, all'oligarchia. Ndr), che sarà definitivamente sconfitta solo con una divisione forzata del Paese, a imitazione della divisione naturale degli Stati più liberi. Là dove l'indipendenza dell'individuo e del gruppo incontra meno ostacoli, si manifesta il più forte impulso al progresso; là dove, al contrario, un centro domina le parti, si incontrano immobilismo e arretratezza...»

Da queste premesse anche al cittadino più remissivo non sfuggirà che la democrazia rappresentativa non è sovranità popolare, libertà, uguaglianza; come recita la Costituzione italiana. Senza l'esercizio facile, tempestivo e deliberativo della democrazia diretta, è solo esposta all'oligarchia. Tuttavia, anche laddove la democrazia diretta è operante da quasi due secoli: in Svizzera; ci fu un momento in cui questa venne meno e fu faticoso ripristinarla. Infatti, il consigliere federale e ministro degli esteri Marcel Pilet-Golaz: nel giugno 1940, dopo l'invasione repentina della Francia da parte delle truppe tedesche, Pilet-Golaz - che in quel momento era presidente della Confederazione, invito la popolazione in un discorso alla radio ad adattarsi al nuovo ordine europeo. L'anno prima il 1939 e sino al 1952 i membri del governo guidarono la Svizzera in modo autoritario, forti dei pieni poteri, al di fuori dell'ordine costituzionale.

La Confederazione giunse più preparata al secondo tragico appuntamento della guerra mondiale, avendo predisposto buone riserve e programmi efficienti d'emergenza e di razionamento alimentare. Il "Piano Wahlen" (elaborato da Friedrich T. Wahlen) si volse con successo alla conversione della maggior parte possibile di terreni incolti, paludosi o boschivi in terreni agricoli (i quali ultimi salirono, dal 1938 al 1946, da 126.000 a 216.000 ettari). Si allestì un'economia di guerra, basata sull'autarchia, sulla produzione di prodotti succedanei, su una rete efficiente di produzione e di ripartizione nel territorio, che venne organizzata con ferrea disciplina.

Felice fu questa volta - al fine di prevenire tensioni fra le diverse regioni linguistiche - la scelta del comandante dell'esercito, che cadde sul colonnello vodese Henri Guisan, figura popolare di gentiluomo di campagna, conservatore, bravo ufficiale, il quale dispose di un esercito ben preparato ed equipaggiato, pronto ad attestarsi, nel caso, in un'estrema difesa sugli alti presidi alpini (il "ridotto nazionale"). Costui nel "Rapporto del Grütli", del 25 luglio 1940 - in realtà un proclama - da neo generale espose la "volontà di resistenza" del popolo svizzero. L'eco del rapporto fu vasta, e valse grande popolarità a Guisan.

Naturalmente vi furono violazioni della neutralità svizzera anche se soltanto in ordine allo spazio aereo, e allarmi nel maggio del 1940 e nel marzo del 1943. Il momento parve tragico quando, caduta la Francia, la Svizzera si trovò a essere interamente circondata dalle potenze dell'Asse, e ancora più in seguito, quando con l'occupazione dell'Italia del nord da parte delle truppe germaniche, si trovò circondata da una sola potenza. La quale ultima, per le sue forniture (soprattutto di ferro, carbone, petrolio e generi alimentari), pretese contro partite sempre più esose. Ma difficile era sempre stato il rapporto della Svizzera su ambo i fronti belligeranti, sul tema importazioni ed esportazioni.

Allorché il 12 Aprile 2010, a Losanna, numerose personalità politiche e militari parteciparono a Pully (VD) e a Losanna alle commemorazioni ufficiali per il 50esimo anniversario della morte del generale Henri Guisan; questi fu stato definito dal consigliere federale Ueli Maurer «uno dei più grandi svizzeri del 20esimo secolo. Negli anni 1939-1945, questo capo militare riuscì a unire gli Svizzeri attorno alla volontà comune di vivere liberi», sottolineò il capo del Dipartimento federale della difesa prendendo la parola durante il culto protestante svoltosi nella cattedrale di Losanna, dov'erano riunite un migliaio di persone. Cinquanta anni prima, il 12 aprile 1960, 300.000 persone avevano assistito al passaggio del convoglio funebre che accompagnava alla tomba il generale, morto il 7 aprile. All'epoca, il vodese era considerato un vero eroe popolare e l'incarnazione della volontà di resistenza della Svizzera durante il secondo conflitto mondiale.

«È facile oggi criticare determinate sue decisioni», ha rilevato più recentemente il presidente del Consiglio di Stato vodese Pascal Broulis, in riferimento alle contemporanee messe in questione dell'immagine del generale. In un periodo difficile - ha sottolineato - «l'uomo Guisan ha saputo trovare il modo di dialogare con il popolo e di unirlo attorno ad una convinzione comune. […] Egli ha soprattutto espresso un messaggio forte: la Svizzera non abbandonerà la lotta», un messaggio che secondo il consigliere di Stato vodese «resta d'attualità. […] Dobbiamo mantenere la rotta e credere nella nostra forza», ha dichiarato Broulis ai presenti, fra i quali alcuni ex consiglieri federali e allora presidente del Consiglio nazionale Pascale Bruderer.

Quando la Seconda guerra mondiale finì, i consiglieri federali avevano gustato il piacere di governare in modo autoritario e non volevano privarsene. Solo nel 1949 - 70 anni fa - gli elettori riuscirono a rimettere al loro posto i governanti di Berna, con una maggioranza risicata del 50,7% di sì all'iniziativa popolare "ritorno alla democrazia diretta". Eppure una critica fu sollevata nel 1943 dal giurista austriaco Hans Nawiasky-Link fuggito dalla Germania. Secondo il professore di diritto pubblico zurighese Andreas Kley, l'accusa non era infondata. «Il Consiglio federale poteva intervenire sulla Costituzione, sulle leggi e sulle ordinanze e non era più vincolato alla Costituzione federale. Poteva ricorrere al diritto di emergenza in ambiti di competenza dei Cantoni, e non doveva attenersi alle libertà fondamentali.»

Le iniziative popolari per la reintroduzione della democrazia diretta furono due. Nel 1949 il popolo e i Cantoni approvarono la prima iniziativa. Governo e parlamento rimasero scioccati. La seconda iniziativa fu ritirata. L'abolizione definitiva del regime dei pieni poteri avvenne nel 1952, sotto forma di controprogetto indiretto alla seconda iniziativa. (Fonte: Andreas Kley, Neue Zürcher Zeitung, 4 maggio 2015)

Se nel “paradiso” della democrazia diretta non sempre è stato facile esercitarla, non di meno altri paesi la esercitano: il Liechtenstein, la California, e in varia misura molti altri Stati. In California si è convenzionalmente d'accordo sul fatto che lì c'è il "Parlamento" più grande del mondo che chiama alle urne ogni due anni 15 milioni di elettori-deputati. Basta raccogliere le firme del 5% degli aventi diritto per promuovere una consultazione, varare, abolire o emendare leggi, diminuire le tasse, tagliare la spesa pubblica, elevare il salario minimo. L'8% per modificare la Costituzione.

Ci sono poi altri 17 Stati dell'Unione che possono cambiare la Costituzione approvando emendamenti per via referendaria e altri 21 (più il Distretto di Colombia) concedono ai loro cittadini il diritto di iniziativa per fare leggi e non soltanto per cancellarle. 15 Stati danno agli elettori ambedue questi poteri: quello legislativo e quello costituente e fra questi la California non è soltanto di gran lunga il più popoloso ma anche il più attivo, e i suoi abitanti i più entusiasticamente portati a servirsi di questa loro facoltà.

Questa è democrazia diretta! In California, per esempio, un referendum popolare ha deciso che il giudice Aaron Persky non poteva rimanere al suo posto dopo che aveva dato solo sei mesi di carcere al violentatore - colto in fragrante http://www.repubblica.it/esteri/2018/06 ... 198336279/ - di una studentessa di Stanford.

La grande maggioranza dei cittadini della California è convinta che lo strumento referendario (deliberativo, non il ridicolo consultivo di peninsulare utilizzo) sia "buono e giusto". La pensano così anche quelli che, spesso, alle proposte referendarie votano no. Ma in quello Stato decadente, inefficiente e scialacquone che è l'Italia retta dalla partitocrazia, chi ha parlato - a sproposito, perché in questo senso non ha fatto nulla - è il M5S. Il necroforo politico che ha resuscitato la moribonda sinistra statalista, tassatrice e parassitaria che nemmeno l'autonomia concede. Figuriamoci il federalismo!

Alcuni sostengono che ci sarebbe il campo indipendentista da seguire, stimolare e appoggiare. Ma sembra che a nessuno dei sedicenti separatisti interessi seguire la tediosa implementazione di progetti rivolti a un futuro Veneto autodeterminato. Tutta roba che deve essere seguita nel tempo, che richiede progetti ben studiati, che esige messe a punto ricorrenti, etc. Al contrario alcuni partiti o movimenti indipendentisti manifestano una politica mossa dall’interesse personale di pochi pseudo leader, per i quali tutto ciò è superfluo e noioso. Meglio cercare di candidarsi – anche in compagnia di personaggi assai disinvolti – alle elezioni regionali del 2020.

È singolare come sia un attore padovano orientato a sinistra: Andrea Pennacchi che con Il monologo il “Carro allegorico” [ https://www.youtube.com/watch?v=Dwkkg43W8OM ] a mettere a nudo il tempo perso ad inseguire chimere partitocratiche, perché questa politica non crea più uomini di stato; ma parolai, performer, piccoli machiavelli da avanspettacolo, astutissime étoiles d'indépendance impegnate in qualsiasi alleanza e compromesso per non vedersi togliere la sdraio da sotto le terga mentre la nave affonda.

Gli autentici indipendentisti sono convinti che costoro si aspettano il applauso e il consenso dell'elettorato; ma - per esempio - il Partito dei Veneti in Consiglio regionale è supporter della Lega di Salvini. Questa formazione non solo è carente di progettualità e degli strumenti della democrazia diretta (che peraltro non chiede), sembra addirittura mancare dell'etica e della morale dei liberi cittadini sopra descritti.
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Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani

Messaggioda Berto » lun ott 14, 2019 1:22 pm

L'idea che la Serenissima fosse un paradiso in terra e che nel resto dell'Europa e del Mondo regnassero ovunque l'assolutismo e il dispotismo monarchico, l'arbitrio e la sopraffazione feudale, le teocrazie assassine... come si racconta nel mondo venetista è del tutto falsa e demenziale.

Esempi di situazioni europee non assolutiste con condizioni ed elementi di democraticità:

1) l'esperienza comunale durata secoli ha caratterizzato tutta l'Europa e lì vi era democrazia e anche la repubblica, prima della nascita delle signorie cittadine e delle varie Repubbliche aristocratiche come quelle di Genova e di Venezia;

2) si pensi alla Lega Anseatica iniziata nel 1159;

3) si pensi alla Magna Carta inglese del 1215 e alla nascita della monarchia costituzionale inglese del 1688/1689 con l'istituzione della camera bassa dei deputati;

4) si pensi alla nascita della Svizzera con il patto federale del Grütli 1291;

5) si pensi agli USA con la loro Repubblica nata nel 1776 con la secessione dall'impero inglese;

6) si pensi all'università di Padova nata durante il periodo comunale e prosperata in quello signorile dei germani Carresi, poco meno di due secoli prima del dominio veneziano a riprova che non è certo stata Venezia a portare la cultura ai veneti;

7) anche Genova fu una repubblica aristocratica, una signoria plurifamigliare, che durò secoli.

8) si pensi al laico Marsilio da Padova e alla sua opera "Defensor pacis" del XIII° secolo, contenente elementi di democrazia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 179&t=1641
si pensi a Pietro D'Abano del XIV° secolo, veneto pavano non veneziano, martire della libertà
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 179&t=2332

9) si pensi ai thing delle società germaniche,
https://it.wikipedia.org/wiki/Thing

che si evolvono in forme di assemblee a democrazia diretta come l'assemblea Alþingi (Alþingishúsið), istituita in Islanda nel 930 d.C.
https://it.wikipedia.org/wiki/Al%C3%BEi ... BAsi%C3%B0

Qualche secolo dopo, nasce il Landsgemeinde, l'assemblea a democrazia diretta e voto palese dei cantoni svizzeri.
https://it.wikipedia.org/wiki/Landsgemeinde
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