Tapashttp://www.treccani.it/enciclopedia/tapas tapas Termine sanscrito («calore»), passato a significare l’esercizio dell’ascesi fin dal Ṛgveda; lo sviluppo semantico in questo senso indica che il calore interiore (o «psichico» o «mistico») sviluppato dalla disciplina ascetica è stato sentito e concepito quale suo fenomeno centrale e caratterizzante. Sul piano della vita religiosa concreta il t. comporta la creatività miracolare di asceti, mistici, yogin.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -tapas.jpg http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -tapas.jpghttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -tapas.jpg IL “CALORE MAGICO”
http://www.cristinacampo.it/public/mirc ... isteri.pdf Tuttavia non è stato sottolineato sufficientemente il fatto che le «potenze» degli dèi, accresciute dalla collera, si manifestarono sotto forma di fiamme. Sul piano della fisiologia mistica, il calore e il fuoco indicano il risveglio di una potenza magico-religiosa; nello Yoga e nel tantrismo questi fenomeni sono abbastanza comuni. Come abbiamo detto, il risveglio della "kundalini" è accompagnato dalla sensazione di un calore estremamente intenso; la progressione della "kundalini" attraverso il corpo dello "yogi" si manifesta con l'inerzia e il gelo cadaverici della parte inferiore, mentre la parte attraversata dalla "kundalini" scotta. (44) Altri testi tantrici precisano che questo «calore magico» è ottenuto con la «trasmutazione» dell'energia sessuale. (45) Queste tecniche non sono un'innovazione del tantrismo. La "Majjhima Nikaya" (46) allude al «calore» che si ottiene con la ritenzione del respiro; altri testi buddistici (47) assicurano che il Buddha è «bruciante».
Il Buddha è «bruciante» perché pratica l'ascesi, il "
tapas".
Il significato originario di questo termine era appunto «calore intenso», ma "tapas" ha finito col designare lo sforzo ascetico in generale. Il "
tapas" è attestato già nel "Rig Veda"; i suoi poteri sono creatori sia sul piano spirituale sia sul piano cosmico: per mezzo del "tapas" l'asceta diventa chiaroveggente e può incorporarsi gli dèi. Anche il dio cosmico Prajapati crea il mondo «riscaldandosi» intensissimamente per mezzo dell'ascesi; lo crea infatti per mezzo di un sudore magico, proprio come certi dèi nelle cosmogonie delle tribù nordamericane. (48)
Tocchiamo qui un problema estremamente importante non soltanto per le religioni indiane ma per la storia generale delle religioni: l'eccesso della POTENZA, la FORZA magicoreligiosa, è sperimentata come un calore intensissimo. Non si tratta più dei MITI e dei SIMBOLI della potenza, ma di un'ESPERIENZA che modifica la fisiologia stessa dell'asceta.
Abbiamo ottime ragioni per credere che tale esperienza sia stata conosciuta dai mistici e dagli stregoni dei tempi più antichi. Un grande numero di tribù «primitive» si rappresenta il potere magico-religioso come «bruciante» e lo esprime con termini che significano «calore», «bruciore», «molto caldo», eccetera. Proprio per questa ragione gli stregoni e i maghi «primitivi» bevono acqua salata o pepata e mangiano piante molto piccanti: vogliono così aumentare il loro «calore» interiore. Nell'India moderna i musulmani credono che un uomobin comunicazione con Dio diventi «bruciante». Chiunque operi miracoli è chiamato «bollente».
Per estensione, tutte le persone e le azioni che implicano un qualsivoglia «potere» magico-religioso sono considerate «brucianti». Bisogna anche ricordare che gli sciamani e i maghi sono sempre ritenuti «signori del fuoco»: mangiano carboni accesi, toccano ferro incandescente, camminano sul fuoco. D'altra parte, hanno una grande resistenza al freddo: sia gli sciamani delle regioni artiche, sia gli asceti dell'Himalaya danno prova, grazie al loro «calore magico», di una resistenza che sorpassa l'immaginazione.
(49) Come abbiamo osservato al c. 5, (50) il significato di tutte le tecniche di «potere sul fuoco» e di «calore magico» è più profondo: indicano l'accesso a un certo stato estatico o a uno stato non condizionato di libertà spirituale. Ma il POTERE SACRO sperimentato come calore intensissimo non è ottenuto unicamente con tecniche sciamaniche e mistiche, è anche conquistato con le esperienze delle iniziazioni militari. Parecchi termini del vocabolario «eroico» indoeuropeo - "furor", "ferg", "wut", "menos" - esprimono proprio il «calore
intensissimo» e la «collera» che caratterizzano, sugli altri piani della sacralità, l'incorporazione della POTENZA. (51) Proprio come uno "yogi" o uno sciamano, il giovane eroe si «scalda» durante il combattimento iniziatico. L'eroe celtico Cuchulinn esce dalla sua prima impresa (che d'altronde equivale, come ha dimostrato Georges Dumézil, a un'iniziazione di tipo guerriero) talmente «riscaldato» da dover essere immerso successivamente in tre orci di acqua fredda.
«Messo nel primo orcio, riscaldò talmente l'acqua che questa spezzò l'orcio come si rompe un guscio di noce. Nel secondo orcio l'acqua fece bolle grosse come un pugno. Nel terzo orcio il calore fu come quello che certi uomini sopportano e altri non possono sopportare.
Allora la collera ("ferg") del giovanetto diminuì e gli vennero dati gli abiti». (52) Questa «collera», che si manifesta come un calore vivissimo, è un'esperienza magico-religiosa; non ha nulla di «profano», nulla di «naturale», è il segno della presa di possesso di una sacralità. In quanto POTENZA SACRA, può essere trasformata, differenziata, sfumata attraverso un lavoro ulteriore d'integrazione e di «sublimazione». Il termine indiano "kratu", che originariamente indicava «l'energia propria del guerriero ardente, principalmente di Indra”,
poi «la forza vittoriosa, la forza e l'ardore eroici, la bravura, il gusto per il combattimento”, e per estensione il «potere» e la «maestà» in generale, ha finito col designare «la forza dell'uomo pio, che lo rende capace di seguire le prescrizioni del "rta" e di raggiungere la beatitudine». (53) E' quindi evidente che la «collera» e il «calore» provocati da un accrescimento violento ed eccessivo di POTENZA sono temuti dalla maggior parte dei mortali: una tale potenza allo stato «bruto» interessa soprattutto gli stregoni e i guerrieri; coloro che cercano nella religione la confidenza e l'equilibrio, si difendono dal «calore» e dal «fuoco» magico. Il termine sanscrito "santi", che designa la tranquillità, la pace dell'anima, l'assenza di passioni, il sollievo dalle sofferenze, deriva dalla radice "sam", che includeva originariamente il senso di spegnere il «fuoco», la collera, la febbre, insomma il «calore» provocato dalle POTENZE demoniache. (54) L'indù dei tempi vedici sentiva il pericolo della
magia e si difendeva dalla tentazione di un eccesso di potere. (55) Ricordiamo di sfuggita che anche il vero "yogi" deve vincere la tentazione dei «poteri magici» ("siddhi") - la tentazione di poter volare o di diventare invisibile, eccetera - per ottenere lo stato perfettamente non condizionato del "samadhi". Non si deve giungere tuttavia alla conclusione che l'esperienza del «calore» o il raggiungimento dei «poteri» appartengano esclusivamente alla sfera della magia: «calore», «bruciore», «fuoco interiore», epifanie luminose, come ogni sorta di «potenza», sono attestati universalmente nella storia delle religioni e nelle mistiche più evolute. Un santo e uno sciamano, uno "yogi" e un «eroe» sperimentano il calore soprannaturale nella misura in cui superano, SUL PIANO CHE E' LORO PROPRIO, la condizione umana profana e incorporano la sacralità.