Retron, Retrone, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rodolon

Retron, Retrone, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rodolon

Messaggioda Berto » mar mar 31, 2015 11:16 am

Retron, Retrone, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rodolon, Aedrone
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Retrone/Retron
L’idronimo più importante di Creazzo ha una storia estremamente complessa la cui trattazione convoglia protostoria, storia, archeologia, paleo-idrografia, naturalmente, toponomastica, tutte di recente profondamente riviste da due opere fondamentali: Dall’Eridano di Esiodo al Retrone vicentino, studio di un idronimo erratico, di Aurelio Peretti, 1994, e Antica idrografia vicentina, storia evidenze ipotesi, di Natalino Sottani, 2012, con la fondamentale appendice di Bruno Marcolongo, Foto-interpretazione sull’alta pianura vicentina per una ricostruzione paleo idrografica dei corsi del Leogra e del Timonchio. Ma procediamo con ordine.

Idronimia attuale.
L’idronimia attuale è la seguente: Retrone dalla confluenza con la Valdiezza a quella con il Bacchiglione; Valdiezza dalla confluenza precitata al tratto sorgentizio; Onte dalla confluenza con la Valdiezza a tutta la Valdilonte; Mezzaruolo dalla confluenza con l’Onte alle vallette dette complessivamente Carbonara (per i particolari v. voce); ad est Roggia Piazzon e Roggia Dioma.

Idronimia storica.
L’idronimia che emerge dai documenti alto e basso medievali è la seguente, cominciando stavolta da ovest: Merdarolo il Mezzaruolo, Nonto/Nunto l’Onte, che però con tale nome dall’attuale Valdilonte arrivava a lambire il territorio dell’attuale abbazia di S. Agostino;

Valçeça la Valdiezza; Rodano il fascio di corsi d’acqua Giara -Orolo, Leogra, Timonchio, che passato il Ponte Alto continuavano incontrando le acque del Nonto, a un di presso ove ora la Dioma incontra il corso del Retrone.

Il Rodano lambiva Vicenza, con corso marcatamente meandrico e con nomi in continua antica evoluzione; andava verso Padova passandole a sud-ovest prima di immettersi nell’alveo del Medoacus Minor che entrava in Padova, e, sempre con corso meandrico entrava nella laguna. Qui sulla sua sponda sinistra sorgeva il porto importante di Aedronem; entrava poi in mare aperto all’altezza della Fossa Claudia (Chioggia).

Rodano dunque.
Innanzitutto i documenti:
nell’a. 961, agosto 25, lontano da Vicenza, siamo nei possedimenti dell’abbazia benedettina di S. Benedetto in Polirone: «…et fluvio Quarisino et fluvio Rodano».
Nel Vicentino nell’a. 983, Rodolfo, vescovo di Vicenza, dona molti terreni al monastero dei Santi Felice e Fortunato, allo scopo di restaurarlo e riportarlo alla primitiva floridezza: «hec sunt confinia situs monasterii et vo(cabula ommnium locorum: a fluvio) Rodano et Visica extenditur per longum usque ad pontem altum, per latum vero a fluvio Retrone usque ad alium pontem qui super eundem fluvium positus ducit ad Monticellum».
Nell’a. 1013: «concessi ei(s) in circuitu prefate ipsius ecclesie ab uno latere usque viam que ducit ad rivolum Rodano, ab alio latere usque ad flumen Rodronem, ab uno capite usque ad prefatum rivolum Rodanum, ab alio capite usque ad Pontem Altum».
Nell’a. 1084 un testimone nella controversia per la decima tra i monaci di S. Felice ed il capitolo della Cattedrale, così si esprimeva: «audivi dicere quod decima terre que est inter Rodanum et pontem altum sit Sancti Felicis et habet inde possessionem suprascripta ecclesia».
La donazione del 983 viene rinnovata nel 1146 mar. 25, quando Lotario, vescovo di Vicenza, conferma al monastero dei Santi Felice e Fortunato tutti i possedimenti «per longum a flumine Rodano et Wisiga usque ad pontem altum, per latera vero a fluvio Retrone».
Nel 1168 il privilegio di Alessandro III al monastero di S. Felice: «Quare quod habetis per longitudinem a fluvio Rodani et Wisega».Dalla documentazione citata sembra dunque che l’idronimo Rodano, almeno nella cornice delle date citate, non sia sceso oltre il Ponte Alto, vi sia però continuativamente radicato a nord, e sia presente anche in qualche ramo del sistema idronimico dei possessi benedettini mantovani.
Di là di Ponte Alto il corso del flume continuava con altro nome, Retrone, il suo nuovo nome.

Retrone l’abbiamo visto nell’a. 983, fluvio Retrone.

Poi nell’anno 1000 nel diploma di Ottone III: «dominium transfundimus iam dictae ecclesiae Vicentinae quoddam theatrum nostri regni iuris iuxta flumen quod Retrona vocatur situm, in loco qui vulgo Berga dicitur». Riconfermato nel 1084 dal diploma di Enrico IV: «Item concedimus et donamus et a nostro iure et dominio in ius et dominium dictae ecclesiae Vicentinae quod dicitur theatrum Berga nostri regni iuris iuxta fluvium qui Retrona vocatur», con un’aggiunta preziosa: «Item navigium de Vicentia usque Venetias pro charitate dei et servicio dicti episcopi ita liberum ecclesiae Vicentinae in Aeternum tradendo firmamus et firmando tradidimus», e nel 1099 una delle infrastrutture era il Porto nel Borgo di Berga. Il navigium viene riconfermato nel 1158 da Federico I: «…theatrum nostri regni iuris iuxta fluvium qui Retrona vocatur situm» unitamente al «navigium de Vicentia usque in Venetias pro charitate dei et servitio predicti episcopi», e ancora nel 1210 da Ottone IV: «Theatrum iuxta fluvium qui Retrona vocatur» e il «navigium usque in Venetias». Nel 1262: «Campus Marcius qui olim appellabatur Guisega, qui potest esse circa LXXX campi, cui coheret ab uno latere versus mane [est] aqua Bachilioncelli (…) et ab alio versus sero [ovest] murus prati monesterii Sancti Felicis (…) et ab alio latere versus meridiem [sud] flumen qui appellatur Retronus, in quo sunt mercata annualia». Dunque sul Retrone si a acciavano i porti di Vicenza, lungo il Retrone si tenevano i mercati annuali che potevano slargarsi sui circa 80 campi di Campus Marcius che un tempo si chiamava Guisega. Il Retrone quindi come via maestra degli scambi vicentini delle merci che venivano da est e che scendevano dalle terre vicentine del nord. Ma sui traffici che salivano e scendevano sulle acque del Retrone ritornerò in seguito.Il Retrone infatti non era solo il flume di Vicenza, era soprattutto il flume della venetica Padova, e da questa vengono proprio le testimonianze altomedievali. La più antica è del 828: «civitate Patavi quatuor molendina in Rodolone», nel 866 «iuxta fluvium Rodronem» (due volte), ripreso in un documento vicentino del 1013 come rinnovazione di quello del vescovo Rodolfo del 983: «flumen Rodronem». Rodolone, sempre nella documentazione patavina, ha una lunga vitalità documentaria: nel 1077 (2 volte), 1084, 1123, 1145, 1164, mentre di Rodrone dopo le citazioni del 1013 (Vicenza) e 1014 (Padova) non c’è più traccia. Anche Rotrone ha breve vita documentaria, i cui estremi sono 970 e 1085, e tutta patavina. Retrone è attestato nel 950, 964, 968, 976, 983 (VI), 970, 1047, 1158 e fino ai nostri giorni, però con un radicale confinamento nel breve tratto attuale, con risalita dal XIV secolo sul corso del Nonto fino alla confluenza della Valdiezza.Dal 1071 compare l’idronimo Bacalone, che dopo la diversione dell’Astico nel Tesina e l’immissione delle acque dell’Orolo, della Leogra e del Timonchio, sostituirà lentamente come Bacchiglione gli antichi Rodolone, Retrone, Rerrone. Quest’ultimo a sua volta si ria accerà, però nella forma Reron, a sostituire il malridotto Retrone nei secoli XVI e XVIII. Il nucleo di resistenza più tenace rimase l’ambito padovano. Un ¬lone documentario poi è riservato alla cancelleria imperiale che dal 1000 al 1210 emana documenti nei quali compare costantemente l’idronimo Retrona, riferito precisamente al tratto vicentino ma anche alla sua prosecuzione usque in Venetias quando concede il privilegio del navigium. Ritengo tuttavia questa lectio uno spazio cancelleresco che continuava a riutilizzare i documenti precedenti, dei quali il più interessante è indubbiamente il primo nel quale compare Retrona. Nella rassegna dei documenti dobbiamo interromperci un attimo: ad ovest del Nunto–Rodano, a cavallo dell’XI-XII sec. Vicenza provvede a una generale regolazione spinta da cause naturali e da programmazione per la propria sicurezza e per segmenti fondamentali della propria economia. È necessario quindi ricomporre il quadro generale di questi cambiamenti che riassumono la situazione precedente e fissano quella futura. Per far questo userò il quadro che Natalino Sottani, dopo accurate i analisi, ha esemplarmente sintetizzato, «sui grandi mutamenti dei corsi d’acqua nel XII secolo: situazione idrogra¬ca all’inizio del secolo XI».«L’Astico, oltrepassato a mattina il colle di Montecchio Precalcino, da Passo Riva si riversava presso Povolaro nella depressione oggi percorsa dall’Astichello, formando il Lacus Pusterle; il lago, colmando la depressione, arrivava fino alla città tra la strada Marosticana e quella per Saviabona e, in prossimità dell’antica mura cittadina, riformava il fiume che scorrendo sotto il ponte di San Pietro confluiva nel Retrone alle Barche. Le acque delle rigogliose risorgive del Lagrimaro tra Novoledo e Vivaro, insieme al modesto apporto dell’Igna, formavano un rio detto Bacalone che, non ancora raggiunto dall’Orolo, dal Leogra e dal Timonchio, scorreva nel 1075 fuori di Porta Nova al confine dell’abitato cittadino e non poteva che sfociare nel lago e quindi poi nell’Astico. Dalle colline tra Montecchio Maggiore e Creazzo defluivano tre corsi d’acqua che oggi conosciamo come Mezzarolo, Onte e Valdiezza: essi si riunivano presso Creazzo a formare il Nunto; questo, superata la strada per Verona, giungeva ai piedi del colle di Valmarana dove, ricevuto dalle colline di Altavilla il Riello e il Cordano dalle valli di Valmarana stessa, si fondeva subito dopo il fiume che proveniva da Ponte Alto.L’Orolo, il Leogra ed il Timonchio giungevano con corsi separati fino a sud di Fabrega e quindi, forse uniti in unico fiume, scorrevano a Ponte Alto e confluivano con il Nunto, formando in prossimità dello sperone della Bergonzola il Retrone ben noto dell’epoca post romana e di inizio millennio.Il Retrone, non ancora rettificato, aggirava la collina della Bergonzola nell’alveo oggi occupato dalla Fossa o Reron Vecchio, sfiorava con un’ampia ansa il monastero di San Felice e scorreva a Ponte San Paolo; da qui confluiva alle Barche con l’Astico e conservando il proprio nome si dirigeva con un corso assai tortuoso a Padova e poi al Mare Adriatico. Il Tesina, non ancora accresciuto dalle acque fuorviate dell’Astico, non si scaricava nel Retrone a Longare ma, giunto nelle vicinanze di Marola si impaludava: le sue acque di eccedenza fluivano sempre come Tesina lungo un antico ramo per Lerino, Grumolo, Sarmego e Grisignano e, insieme al Ceresone, finivano nell’antico Retrone a Veggiano». Per l’evoluzione successiva dell’assetto idraulico dell’area centro
orientale del territorio vicentino rimando al documentatissimo lavoro del Sottani sin qui citato, ma per esigenze di spazio e per coerenza del mio assunto, anche a preziosi riferimenti dell’assetto precedente. Riporto solo un accenno prezioso tratto dal saggio di Bruno Marcolongo: «Seguendo un modello geomorfologico e morfotettonico coerente, comunemente accettato non solo per la pianura vicentina ma pure per l’intera pianura veneta, si può affermare che i corsi d’acqua che l’hanno generata e solcata nel tempo abbiano tutti dislocato il loro alveo da ovest verso est, a causa soprattutto di un basculamento neotettonico del blocco ad est della faglia Schio-Vicenza rafforzato dalla subsidenza dell’area perilagunare veneziana. Di conseguenza è verosimile dedurre che le tracce di paleo alveo più occidentali sono parimenti le più antiche e che verso oriente si incontrano le tracce dei percorsi più recenti». Sia Francesco Molon che Luigi Milani, studiosi di geologia e ingegneria idraulica, che Gian Paolo Marchini, archeologo, avevano condiviso l’opinione che Orolo, Leogra e Timonchio anticamente confluissero nell’alveo del Retrone all’altezza di Ponte Alto, con il copioso apporto delle loro acque impetuose. E per concludere con Bruno Marcolongo: «L’analisi congiunta delle varie riprese da piattaforma aerea e satellitare, in conclusione, ha evidenziato la presenza di una ricca e articolata dinamica paleo fluviale sinora non ben conosciuta nella sua interezza, che ha improntato la porzione occidentale dell’alta pianura vicentina in epoca non solo protostorica, ma con ogni verosimiglianza anche storica, data l’evidenza e la consistenza delle tracce identificate e la loro coincidenza locale con elementi documentari d’archivio e cartografia più o meno antica». Ma è l’aggancio alla preistoria e protostoria che ci reintroduce nel nostro discorso più strettamente storico-linguistico. In particolare il riferimento alla «continuità di insediamento a partire dal Bronzo medio, attraverso il Bronzo finale, il periodo Paleoveneto e quello Romano fino all’alto Medioevo e all’attuale» nel comune di Costabissara, territorio attraverso il quale scorrevano e confluivano Orolo Leogra e Timonchio unitariamente nominati nell’alto medioevo Rodano, fiume dunque che attraversava un territorio di antichissima frequentazione. Ci viene in aiuto quanto scrive Pellegrini, a proposito della funzione toponimica degli idronimi, come il nostro Rodano. «Circa l’antichità degli idronimi si può notare che questi in generale abbiano ricevuto un nome in epoca assai più antica degli oronimi (nomi di rilievi montuosi). Il motivo è di ordine pratico: i corsi d’acqua hanno interessato anche le popolazioni preistoriche e sono stati sempre utilizzati (specie i fiumi) per la circolazione di uomini e di merci. Perciò è frequente il caso che gli idronimi abbiano conservato per millenni denominazioni antichissime, solo adattate a causa del mutamento di popolazioni e di lingue in determinati territori». Da integrare con quanto rileva Lebel: «Quando un nome di fiume è in regressione davanti a una giovane denominazione nata in un punto mediano della vallata, le regioni di resistenza sono la sorgente e il confluente». Le osservazioni dei due studiosi sembrano un vestito su misura per il nostro caso. Infatti Rodano rappresenta la forma originaria di una nominazione la cui filiazione sarà seguita nella sua molteplice trasformazione.Il nostro flumine Rodano, infatti ha la medesima radice preindoeuropea (???) del noto grande fiume di Francia, «le fleuve qui se jette dans la Médeterranée», dalla radice «*rod- couler, humidité», (REW133, Rhodanus nel I° sec. a.C. da Cesare, Rodonus, a. 905 , Rodeno, a. 941). L’idronimo Rodano è rintracciabile in diversi territori della Francia: Le Rhone, affluente di destra della Sarthe nell’a. 832-7: fluviolus Rodani; Le Rozé, affluente di destra dell’Agout, nell’a. 997: Rivo Rodani; La Riaunet, affluente di destra della Tourmente à Condat, Lot, nell’a. 860: fluvium Rodanum; Le Rodin, affluente di sinistra della Nouère, nell’a. 879: rivulum Rodanum. Le citazioni su riportate sono limitate a quelle per le quali sono possibili attestazioni alto-medievali che riportino l’idronimo d’origine, ma il numero dei corsi d’acqua che rimandano alla radice *rod, come Arros, Le Ro, Le Roudel, Le Rozet, La Roanne, Le Rhodon, Le Rosé, La Rauze, La Rhonelle, ecc. sono numerosi. Uno in particolare ci riporta a casa nostra, precisamente nel territorio di Padova: l’attuale Le Roudoulou, affluente di destra del Passé, Rodolo: fine XIV, lo rieu de Rodolo: nel 1441, da *rod + doppio suffisso romano –l-one richiama il patavino Rodolone: a. 828, a sua volta da un ipotizzato *Rodonone (v. il Rodonus del 905). È seguita una rotacizzazione della –l- intervocalica con il passaggio a *Rodorone>Rodrone dell’a. 866, con la desonorizzazione in Rotrone dell’a. 970, con dissimilazione delle vocali in Retrone nell’a. 950, la prima attestazione in fonti autoctone, nello specifico patavine, confermato a brevi intervalli negli anni 964, 968, 976. Nel 983 è attestato a Vicenza, nel 1000, sempre a Vicenza come Retrona, in una lunga serie di documenti provenienti tutti dalla cancelleria imperiale. Rotrone/Retrone è ormai forma fissata dopo «l’oscillazione del nesso –tr- che può facilmente alternare con –dr-»135. Osservando la tabella n. 1, balza subito evidente come la varità delle attestazioni nella quasi totalità, si muove nell’ambito del territorio di Padova: se Rodano è ancora rinvenibile nelle attestazioni altomedievali nel vicentino, Rodolone, Rodrone, Rotrone, Retrone, Rerrone ruotano tutte attorno a Padova, per cui si può ben dire che Retrone sia il fiume di Padova. L’attestazione letteraria «Retenone» di Venanzio Fortunato, VI secolo, è ancora legata al passaggio *Rodanone/Redenone/Retenone, mentre il Retron dell’anonimo Geografo Ravennate è la testimonianza letteraria della forma in uso già nel VII secolo. Retrone è risalito verso Vicenza, nelle parlate di mercanti e barcaioli, che insieme alle merci portavano «conoscenze», come racconta un vecchio, ultimo, barcaro dei nostri giorni, e tra queste, il riferimento più usato fu il nome del fiume, che come tutti i suoni carichi di significato prodotti dall’uomo, finì per modellarsi sugli incontri dei loro sistemi linguistici
in continua evoluzione.Era una sconfinata tradizione orale che mescolava voci scese da antichissimi insediamenti della pianura e dei colli a nord di Vicenza, incrociava le parlate dei venetici del territorio di una delle loro due capitali, Padova, ma anche le parlate greche ed etrusche della costa e di Adria, da dove gli antichi veneti, oltre alle merci importarono anche la scrittura. «Non si perderà mai di vista che la trasmissione orale di un nome geografico ha avuto per conseguenza, in tutte le epoche, di modificare sia insensibilmente per usura incosciente dei suoi elementi fonici (???), sia per degli accidenti dovuti alle false percezioni (troncature, adattamenti paronimici), sia per allargamenti intenzionali». Se intenzionale o meno la formante –on- di molti idronimi dell’area veneta era comune a diversi idronimi della piana: Aedron-, Retenon-, Natison-, Togison-. Che Retrone, ormai irriconoscibile discendente, come abbiamo visto, di Rodano sia arrivato con le naves o le barche o i burci che lo salivano potrebbe sostenerlo la prima attestazione Retrone et Wisiga, cioè Campus marcius, dove sicuramente attraccavano le imbarcazioni quando vi si svolgevano «a latere versus meridiem», dalla parte del «fiumen qui appellatur Retronus, in quo sunt mercata annualia». Con questa attestazione del 1262 inizia la definitiva confinazione dell’idronimo verso ovest, fino a stazionare nell’antichissimo bacino meridionale del Nonto, a sua volta confinato nella sua valle sorgentizia, la Val dell’Onte: mesto destino di due esiliati in patria.Solide relazioni commerciali s’erano stabilite, anche molto prima del ’200, tra Vicenza e Venezia, basti ricordare il navigium usque Venetias di concessione imperiale del 1084 al vescovo di Vicenza, quando ancora Retrone era il nome del fiume. Veri e propri patti commerciali tra le due città furono stipulati nel 1260 e vennero poi rinnovati nel 1369138. Gli scambi commerciali con Venezia, la maggior parte dei quali avveniva per via fluviale, implicavano logicamente l’impiego di naviglio, di barcaioli, di attrezzature portuali ed anche di un cantiere per la riparazione e la costruzione delle barche. I mercanti veneziani acquistavano parecchie merci sul mercato vicentino, specialmente in occasione delle due grandi fiere che si tenevano in Campo Marzo nei giorni di San Felice e di San Gallo. Le merci acquistate venivano poi trasportate a Venezia per la via fluviale che, a Vicenza, aveva capo al porto situato nei pressi del ponte di Predevalle o di Piancoli o delle Barche o dei Burci, ricordato nella cronaca dello Smereglo fin dal 1230.Il navigium da Vicenza «usque Venetias» viaggiava sul Bacalone/Bacchiglione, che con l’immissione delle acque di Orolo Leogra Timonchio da ovest compensava la perdita di quelle dell’Astico dirottato nel corso del Tesina, in attesa di rientrare nel’antico corso qualche miglio più a valle. Di questa importante via di comunicazione con Venezia, già nota in tempi lontanissimi, si erano interessati i conti Maltraversi nel secolo XII e se ne erano poi occupati anche gli statuti comunali del 1264, ordinando «quod navigium Bachilionis expediatur per vicentinum districtum ita quod naves possint ire et redire versus Paduam». Nel Cinquecento, come ricorda il Marzari nella sua Historia di Vicenza, «con le barche et navili per il Bacchiglione, partendosi dal porto situato nel mezo della terra [Vicenza] si navica alle dette due città [Padova e Venezia] et da quelle comodamente si pa(s)sa a queste in tutti i tempi dell’anno con tutte le sorte de robbe, et mercatantie. Tenére nell’andare, et di ritorno da Venezia due vie, l’una per il Traghetto di Lizzafusina, et l’altra per la lunga, passandosi per il Porto di Malamocco, ò per quello di Brondolo».Oltre al Bacchiglione, sembra che, intorno al 1420 sia stato reso navigabile anche un canale che da Longara metteva ad Este, ma senz’altro anche prima la Riviera doveva essere stata adattata alla navigazione, specie durante la cosiddetta guerra delle acque fra Padova e Vicenza, tempi in cui non era possibile navigare lungo il Retrone-Bacchiglione. L’organizzazione del traffico tra Vicenza e Venezia doveva essere perfettamente efficiente se si pensa che fin dall’inizio del Quattrocento era stato istituito nella capitale veneta, sul Canal Grande un «hospitium Vincentinorum pro negotiis suis» regolato da precise norme di funzionamento e nel quale era prescritto che il «conductor non possi alozar né albergar alguno forestiero salvo che vixentini». A Venezia i barcaroli vicentini avevano anche «due posti antichissimi per arivar con le loro barche e persone e scaricar la marcantia et per dimorarvi aspetando l’ocasione de far viagio. Il primo è in Frutaria apresso le fabrice à Rialto, concessolli con terminazione del Mag.to Ill.mo et ecc.mo del Sal il 1517 21 ottobre confirmata anco in contradditorio giudicio l’ano 1593 3 gennaio con li ortolani di Chioza Pelestrina et altri loghi del lido à segni talli che se vede anco il termine antico d’Pietra ivi fitto. L’altro è a S. Silvestro dove sono stati ordinariamente». Veniva inoltre periodicamente inviata regolare richiesta di conferma di «quante barche posono dimorare in Canal Grande nei posti della Frutaria a Rialto pressole fabriche et a San Silvestro nel posto ordinario apresso quel tragetto di Gondolle[ove] posono tenerne quatro».Tutto ciò spiega la presenza in quei tempi di tanti barcaioli nella città di Vicenza. Chi garantiva l’afflusso delle merci era infatti la variegata popolazione delle barche, i barcaioli, che nella seconda metà del ’400 formalizzeranno la Fraternita dei barcaroli vicentini a tutela di diritti e doveri relativi alla navigazione, facoltà e divieti antichi a Vicenza e Venezia, e regole interne della Fraternita. Lo statuto dei barcaioli venne stabilito l’anno 1476: «Comincia la Matricola della Fraternita di Barcaroli Vicentini fatto l’anno 1476». In Vicenza in «contracta Cloarium», alle chioare, tra Ponte Pusterla ed il Viale Araceli vi lavorava il maestro d’ascia Giovanni Cale a da Spalato, «fabricator navium». La Fraterna dei barcaroli si riuniva per le proprie assemblee nella Chiesa di S. Faustino, dove eleggeva il Gastaldo e il Sindaco. Aspetti vitali per la fraglia era tutta la problematica dei noli, dei turni di sosta a Venezia, del posto delle barche a Vicenza, dell’ammissione di nuovi fratelli, fioli, fratelli dei confratelli, dei tempi in cui «navicar con la frutta fresca da giugno in poi e con la secca da settembre in poi (castagne, maroni, nose, pere galzignole» da portare a Venezia. Si puntualizza «che per lo avenir sia fatto bona compagnia alli marcadanti et non sia strusiadi et non li sia tolto de piu della sotto scritta limitacion et prima». L’elenco campione di alcune mercanzie con relativa tariffa di nolo (che qui tralascio) ci dà un’idea di che cosa si trasportasse: « carro de vin da Vicenza a Venetia, frutti da Vicenza a Venetia, ovi, smalzo [strutto], galine, panno alto, panno basso, terra biancha [caolino], molle da guzar, valonia [gallonea o valona, ghiande di cerro per la concia], lanna, fero vechio e novo, savon, formazo, guado, caratelli de sardelle, balle cordovani [tipo di cuoio marocchino], cuoro [cuoio] grando de quelli che vien dalla Zuecca et de Ongaria, ogni altra sorte de cuori più piccoli». Anche le rive di Vicenza erano riservate a carichi specifici: da quella dell’Isola, sul Bacchiglione, odierna piazza Matteotti, a cui arrivavano e partivano «animali e legne», a quella più interna sul Retrone, riservata ai «burci» che scaricavano il pesce. Non possiamo concludere la trattazione sul Retrone senza accennare al ruolo svolto dalla sua asta fluviale di collegamento fra le due antiche città venetiche di Vicenza e Padova. Seguirò succintamente il magistrale lavoro di Aurelio Peretti, che dalla fusione fra archeologia e filologia illumina e anima un quadro affascinante. Egli prende le mosse dagli straordinari ritrovamenti archeologici di Frattesina di Fratta Polesine (Rovigo), centro proto veneto della tarda età del Bronzo nel Polesine occidentale, «il più settentrionale dei ritrovamenti micenei, di qualità e in quantità impensabili fino a metà anni ’70, quali non si riscontrano altrove fuori dalla Grecia».
Ciò che che mi preme però chiarire non sono tanto gli straordinari scambi del lusso: lavorazioni dell’ ambra, del vetro, dell’avorio, quanto soprattutto «l’apogeo della produzione metallurgica di Peschiera, con cui la via adriatica si affermò nel commercio fra settentrione e l’Egeo, e finì per prevalere sulla via del Tirreno e dell’Iberia col primato di Frattesina e dei centri proto veneti sorti lungo il Po di Adria». Più a nord si affacciava sull’Adriatico Este attraverso il suo porto a Brondolo, e ancora più a nord gli sbocchi del Retrone e del Medoaco con a monte le proto venete Padova e Vicenza. La prima, insediamento del I° periodo atestino, «centro paleoveneto di grande capacità produttiva e commerciale, e una via d’acqua, fluviale o lagunare, che ne rendeva possibile l’alimentazione mercantile nell’un senso e nell’altro. La seconda, centro paleo veneto noto nella II età del ferrro (VI-II sec. a. C.), posta alla confluenza dell’Astico e del Retrone, centro proto urbano dal VI secolo, la cui stipe votiva con l’abbondanza di ex voto rinvenuti, abilmente o artisticamente lavorati, testimonia la ricchezza dei donatori, l’esistenza di un artigianato locale di grande e lunga esperienza, la plurisecolare frequentazione del luogo sacro da partedei devoti non privi di un certo gusto per le arti figurative… Ma quale alimentazione mercantile mantenne così attivo il nodo idroviario Retrone-Astico da favorire la crescita proto urbana di Vicenza nella seconda età del ferro?».
Il nodo idroviario di Vicenza era lo sbocco naturale del «flusso di scambi commerciali attraverso le Prealpi vicentine, alimentati dalla produzione del rame gestita da genti retiche sugli opposti versanti, si inseriscono i molti manufatti in ferro dei fabbri di Sanzeno». Con l’interruzione dei rapporti con gli etruschi dopo la calata dei Galli e l’occupazione di Adria «ne conseguì un aumento delle importazioni dei metalli dal Trentino e dal Tirolo settentrionale per il tramite dei Reti prealpini, che convogliarono a Vicenza la propria produzione del rame. Era qui, nel porto fluviale di Vicenza, non solo il fulcro propulsore della crescita urbana del capoluogo, ma anche l’innesto dell’estrazione mineraria alto vicentina in un sistema di collegamento fluviale che univa i maggiori centri (paleo veneti) consumatori col settentrione (retico) produttore ed esportatore di materie prime» provenienti da quella che il Peretti con felicissima espressione ha chiamato «una ‘Ruhr’ protostorica nelle Prealpi Vicenine».Voglio porre termine qui al lungo discorso toponomastico sul nome del fiume Retrone, fiume di storie di uomini, di barche e di città, di scambi, dei mille mestieri di barcari, dagli squeri di costruzione e riparazione, ai calatafari, ai piloti, ai morè (mozzi), ai cavallanti, alle loro caupone>osterie, alle fraglie di barcaroli, alla gente dei porti fluviali, ai mercanti e ai passeggeri, insomma alle mille facce di una vita trimillenaria di cui il mesto confino attuale non deve spegnere la memoria.

Medio Retrone.
Esemplare rappresentazione del sistema idraulico del Nonto-Retrone con la sua rete di scoli per il drenaggio, con due bacini per regolamentare l’alimentazione dei molini. Il navigabile in realtà è preceduto nella carta da un Non (navigabile), per sottolineare indirettamente la navigabilità del Retrone a valle (all’epoca detto Bacchiglione) del quale Filippo Pigafetta scriveva: «una fiumana grande nò, ma bella e profunda sì, portando grossi burchi al mare e sempre navigabile per ogni verso».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Retron, Retrona, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rod

Messaggioda Berto » mar mar 31, 2015 11:17 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Retron, Retrona, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rod

Messaggioda Berto » mar mar 31, 2015 11:18 am

Cfr. co Eretenia, Eridano

Po fiłò
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Po, Padus, Bodinkus/cos,*Bodencos, Eridano
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... t3ZFk/edit

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Retron, Retrona, Retenone, Rodano, Rerrone, Rodrone, Rod

Messaggioda Berto » mar mar 31, 2015 11:28 am

Rio, rivo, rivus, rivier, revier, riviera, rivaro, liviera (?), lixiera (?), vivaro (?), varo (Varus/Var), ...

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1JUFE/edit
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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