Spirtoaƚetà da ƚa pristoria, shamaneixmo e coxmołoja shamana

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Messaggioda Berto » lun mar 02, 2015 11:32 pm

Stełe ejisiane
http://flickrhivemind.net/Tags/osiris,stela/Interesting
https://www.flickr.com/photos/24729615@ ... 0668201404

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Steła de Metternich
http://it.wikipedia.org/wiki/Stele_di_Metternich
La stele di Metternich è una stele magico-medica che fa parte della collezione egizia del Metropolitan Museum of Art di New York. Risale alla XXX dinastia egizia, attorno al 380-342 a.C., durante il regno di Nectanebo II. Non si conosce la provincia originaria della stele.
La stele appartiene ad un gruppo di stele noto come "Cippo di Horus" o 'Stele di Horus sui coccodrilli'. Questo genere di stele era utilizzato per proteggere gli antichi egizi dagli animali pericolosi come coccodrilli e serpenti. La stele di Metternich, detta anche Stele magica, è una delle più grandi e complete di questo genere.
È stato ipotizzato che durante il regno di Nectanebo II, un sacerdote di nome Esatum abbia viaggiato fino al luogo di sepoltura del tori di Mnevis a Eliopoli. Qui notò certe inscrizioni che trovò interessanti, ordinando di copiarle su un grande blocco di pietra. Fu così creata la stele, e fu eretta per molti anni, finché Alessandro Magno non sconfisse i Persiani in Egitto portandola ad Alessandria d'Egitto.
Per oltre 2000 anni si persero le tracce della stele, finché fu scoperta in un muro scavato in un monastero francescano. La stele fu portata all'attenzione del principe Metternich nel 1828 grazie a Mehmet Ali, re d'Egitto, prima di venire acquistata dal Metropolitan Museum of Art, dove per molti anni fu nota come stele di Metternich.

La stele è formata da un grosso blocco di pietra (un plinto) unito ad un blocco più piccolo superiore con la cima arrotondata. Misura 92x33 centimetri. Quest'opera è costruita con un enorme blocco di granito grovacca. La stele si è ben conservata, con pochi segni visibili.

Sulla parte superiore della stele è raffigurato il disco solare che identifica Ra, il dio del sole dell'antica religione egizia. A destra ed a sinistra di Ra si trovano quattro babbuini. A sinistra dei babbuini si trova il dio messaggero Thot, mentre a destra c'è il faraone regnante, Nectanebo II, che si inchina verso Ra.

La parte principale dei rilievi è separata dalla parte superiore da cinque righe di geroglifici. Il centro della stele raffigura Horus bambino di fronte ai coccodrilli. Sopra la sua testa si trova la faccia di Bes, protettore dei neonati e del parto. Horus tiene in una mano un serpente ed uno scorpione, e nell'altra un orice ed un leone.

A sinistra di Horus si trova Re'Horakhty, combinazione dei due dei del cielo Horus e Re, su un serpente. I due sono incorniciati da due simboli divini. Completamente sulla sinistra del rilievo si trova Iside su un serpente, ed alla sua sinistra la classica dea avvoltoio del sud. A destra si trova di nuovo il dio Thot su un serpente, ed alla sua sinistra la dea serpente del nord. Sopra gli dei si trovano gli occhi di Horus, il sole e la luna.

Il resto della stele è coperto di geroglifici, anche sui lati. Questi geroglifici raccontano le storie degli dei e le loro esperienze con animali velenosi. Vi sono anche numerose maledizioni ed incantesimi per diversi tipi di malattie causate dagli animali.

Un'altra cosa interessante della stele si trova nella parte superiore del retro. Un uomo alato rappresenta il dio solare demoniaco Harmeti. È in piedi davanti ai nemici, animali diabolici chiusi in un cerchio per evitarne la fuga.
La funzione principale della stele di Metternich era la cura magica dai veleni, soprattutto quelli degli animali. L'acqua veniva fatta scorrere sulla stele e raccolta, per poi essere bevuta dalle persone intossicate. La persona si sarebbe identificata col bambino Horus, che aveva sofferto le stesse pene. Durante questo processo venivano recitati riti religiosi.

I primissimi incantesimi della stele sono relativi ai rettili e ad altre creature pericolose. Il più importante era il demone serpente Apopi, nemico di Ra per il quale rappresenta il diavolo. L'incantesimo obbligava il serpente a perdere la testa e ad essere arso in pezzi. La seconda metà dell'incantesimo avrebbe obbligato il serpente a vomitare, e mentre il sacerdote pronunciava l'incantesimo anche la persona malata avrebbe vomitato, liberando il suo corpo dal veleno.

Il successivo incantesimo era diretto ai gatti. Il gatto conteneva un po' di un dio o di una dea, ed era in grado di distruggere qualsiasi tipo di veleno. L'incantesimo chiedeva a Ra di aiutare il gatto quando ne aveva bisogno.

Buona parte della stele è coperta di inscrizioni che raccontano storie, come quelle già descritte che parlano di veleni e cure. La più famosa è la storia di Iside e dei Sette Scorpioni. Questa storia occupa la maggior parte della stele, e fa riferimento soprattutto ai disturbi legati ai veleni.
Iside era la madre di Horus, ed assieme a suo padre Osiride governava il mondo dei vivi. Osiride fu ucciso dal fratello Seth, geloso del suo potere. Quando Iside e Nefti lo scoprirono, riportarono in vita Osiride con l'uso della magia. Seth era arrabbiato ed uccise di nuovo Osiride, spezzandone il corpo in molte parti e spargendone i resti per tutto l'Egitto. Osiride divenne quindi faraone dei morti e dell'oltretomba, mentre il mondo dei vivi non era governato da nessuno.
Seth era contento, pensando che sarebbe diventato il faraone dei vivi, ma non sapeva che Iside era incinta del figlio di Osiride. Egli sarebbe diventato faraone dei vivi per diritto di nascita. Dopo che Iside ebbe dato alla luce Horus, si pensò che il bambino sarebbe diventato faraone dei vivi, ma ancora una volta Seth scoprendolo divenne furioso.
A questo punto sulla stele inizia il vero incantesimo. Seth fece avvelenare il bambino da uno scorpione, spesso associato col serpente demone Apopi. Iside fu incredibilmente addolorata dalla morte del figlio, e chiese aiuto a Ra. Egli inviò Thot, il quale riportò in vita il figlio. A partire da questo momento Ra diventa un difensore di Horus, come avrebbe fatto il padre Osiride se fosse stato in vita.
Horus visse, ed in seguito si scontrò con Seth per decidere chi sarebbe stato il faraone dei vivi. Durante il combattimento Seth strappò un occhio a Horus vincendo la battaglia. È da qui che nasce la simbologia dell'occhio di Horus. Seth divenne di nuovo faraone dei vivi. Iside non poteva stare a guardare, dato che suo figlio era il re di diritto. Si recò nell'oltretomba travestita, in cerca di Seth. Gli disse che qualcuno cattivo aveva rubato al figlio qualcosa che era suo di diritto. Seth ordinò di rimediare al problema, non sapendo a chi si stava riferendo. Iside si mostra a Seth ed egli tenta di ritrattare, ma Ra fa da testimone nominando Horus faraone dei vivi.
La maggior parte della stele parla di come Horus fu avvelenato e curato. Gli antichi Egizi utilizzavano la stessa cura per le persone comuni. I malati avrebbero avuto al loro interno lo spirito di Horus, e quindi potevano essere curati allo stesso modo di Horus stesso. Le storie riportate su questa stele, soprattutto quella di Iside e Horus, sono tra le più complete ritrovate sui monumenti.
La stele magica è uno degli artefatti più impressionanti del Metropolitan Museum of Art. Non solo si tratta di un'opera d'arte, ma funse anche da ricettario medico in epoca egizia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » lun mar 02, 2015 11:32 pm

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Messaggioda Berto » mar mar 03, 2015 9:45 pm

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Messaggioda Berto » mar mar 03, 2015 10:06 pm

Stełe de confin, termeni, kudurru - Edicołe e capitełi


http://it.wikipedia.org/wiki/Kudurru
Il kudurru era un tipo di documento in pietra utilizzato come pietra di confine e come registro delle concessioni di terra ai vassalli dei Cassiti nell'antica Babilonia tra il XVI e il XII secolo a.C.[1]. La parola in lingua accadica significa "frontiera" o "confine" (cf. ebraico גדר "gader", recinto, limite; arabo جدر "jadr", جدار "jidar" 'muro'; pl. جدور "judur"). I kudurru sono le sole opere d'arte rimaste del periodo di dominazione dei Cassiti in Babilonia, con esempi esposti al Louvre e al Museo Nazionale Iracheno.
I kudurru registravano le concessioni di terra dal re ai vassalli come memoria della sua decisione. L'originale veniva conservato in un tempio mentre la persona a cui era concessa la terra riceveva una copia di argilla da usare come pietra di confine per confermarne la proprietà legale.
I kudurru potevano contenere immagini simboliche di divinità che proteggevano il contraente e il contratto, maledicendo la persona che avrebbe rotto il contratto. Alcune di queste opere avevano anche un'immagine del re che concedeva la terra. Quando contenevano molte immagini i kudurru venivano incisi su grandi lastre di pietra.

http://en.wikipedia.org/wiki/Kudurru
http://en.wikipedia.org/wiki/Stele_of_Meli-%C5%A0ipak
http://en.wikipedia.org/wiki/Enlil-b%C4 ... nt_kudurru
http://en.wikipedia.org/wiki/Marduk-apla-iddina_II

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... udurru.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ina_II.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ichaux.jpg



Pa 14 (çepo/çepo/cippo/asta parałełepipeda, stełsa de confin, termene)

A) .e.n.to.l.lo.u.ki / te.r.mo.n .........B) [-]etiio.s. / te.u.te.r.s
A) entollouki termon B) [-]edios teuters

Teuters, teuta, touta, totam, touto, toutatis, tuath, teutoni, tote, tutore, ...
viewtopic.php?f=86&t=141
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FXREE/edit

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... monons.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -PD-14.jpg

*Padova 20: fugioi upos edioi epe taris
fugioi uposedioi epetaris
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Messaggioda Berto » mer mar 04, 2015 8:38 am

Stełe de Nagakal

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... agakal.jpg

Naga
http://it.wikipedia.org/wiki/N%C4%81ga
I naga (नाग "serpente", femminile "nagini") sono un'antica razza di uomini-serpente presente nella religiosità e nella mitologia vedica e induista a partire dalla tradizione orale risalente al V millennio a.C.[senza fonte]; storie di Naga fanno ancora parte della tradizione popolare di molte regioni a predominanza indù (India, Nepal, Bali) e buddhista (Sri Lanka, Sud-Est asiatico).

http://pl.wikipedia.org/wiki/Naga_%28mitologia%29
http://de.wikipedia.org/wiki/Naga_%28Mythologie%29
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Messaggioda Berto » mer mar 04, 2015 8:38 am

Nomi comouni e xenerighi de łi speçałisti o speçałori del sagro, dei riti, de łe rełixon


Neviìm
http://it.wikipedia.org/wiki/Nevi%C3%ACm
I Neviìm (o libri dei profeti) sono la continuazione della storia del popolo di Israele, dalla morte di Mosè fino alla costruzione del secondo Beth Hamikdash (il Santuario di Gerusalemme). Sono di solito divisi in Neviìm Rishonim (i Profeti anteriori o Libri storici) e Neviìm Acharonim (i Profeti posteriori o Libri profetici). Sono libri di genere storico e in essi appaiono numerosi profeti in veste di consiglieri di corte e non di "scrittori".
http://en.wikipedia.org/wiki/Nevi%27im
Nevi'im (/nəviˈiːm, nəˈviːɪm/;[1] Hebrew: נְבִיאִים Nəḇî'îm‎, "Prophets") is the second main division of the Hebrew Bible (the Tanakh), between the Torah (instruction) and Ketuvim (writings). It contains two sub-groups, the Former Prophets (Nevi'im Rishonim נביאים ראשונים, the narrative books of Joshua, Judges, Samuel and Kings) and the Latter Prophets (Nevi'im Aharonim נביאים אחרונים, the books of Isaiah, Jeremiah and Ezekiel and the Twelve Minor Prophets).

Kāhin
http://www.britannica.com/EBchecked/topic/309658/kahin
Arabian religions prophecy: The centrality of prophecy in Islam prophecy in Arabia was no different in character from other Semitic prophecy. Pre-Islamic terms for prophet are ʿarrāf and kāhin (“seer,” cognate to Hebrew kohen, “priest”). The kāhin could often...

Nabi
http://en.wikipedia.org/wiki/Nabi
A spokesman, speaker, prophet (Stong's Hebrew)
Prophets of Islam, humans who, in the Islamic faith, have been chosen as prophets by God. Similarly, in Syriac Christianity Old Testament prophets are referred to as Nabi as well.
Nabi (Universal Sufism)
Nabi, Iran, a village in Khuzestan Province, Iran

http://en.wikipedia.org/wiki/Prophets_a ... s_in_Islam

Kohèn
http://it.wikipedia.org/wiki/Sacerdote_%28ebraismo%29
Nella religione ebraica il sacerdote o cohen, pl. cohanim (ebraico 'כּוהן' kohèn, pl. כּוהנים kohanîm)[1] è una figura religiosa preposta all'esercizio del culto, detto Avodah, e alla mediazione dei rapporti con la divinità; risale in particolare al servizio sacrificale presso il Tempio di Gerusalemme. Il nome kohèn viene usato nella Torah per riferirsi ai sacerdoti, sia ebraici che non-ebraici, come anche all'intera nazione ebraica nel suo complesso. Si citavano come sacerdoti anche i kohanim, evidentemente non ebrei, di Baal (2 Re 10:19). Durante l'esistenza del Tempio di Gerusalemme i kohanim officiavano quotidianamente ed eseguivano le loro funzioni per l'offerta dei sacrifici, specialmente durante le Festività ebraiche.
...
Il nome ebraico kohen viene frequentemente tradotto come "sacerdote", che sia ebraico o pagano, si veda i sacerdoti di Baal o Dagon, sebbene i sacerdoti cristiani vengano menzionati in ebraico col termine komer (ebraico: כומר). La parola deriva da una radice semitica comune alle lingue semitiche centrali; la parola araba imparentata è كاهن kāhin, che significa "indovino, augure, o sacerdote".

Traduzioni in parafrasi delle interpretazioni Targumiche aramaiche includono "amico" nel Targum Jonathan di 2 Re 10:11, "maestro" nel Targum di Amos 7:10 e "ministro" nella Mechilta della Parshah Ietro - Libro dell'Esodo 18:1–20:23 1:1. In una traduzione completamente diversa si propone il titolo di "lavoratore" secondo Rashi sull'Esodo 29:30 - e "servitore" secondo il Targum di Geremia 48:7. Alcuni hanno tentato di risolvere questa traduzione contraddittoria suggerendo che, sebbene il sacerdote goda di privilegi specifici, una componente primaria del sacerdozio nell'ebraismo è la servitù (da cui "servizio sacerdotale", "servizio liturgico", "servizio divino", ecc.).

Balaam
http://it.wikipedia.org/wiki/Balaam
Balaam (in lingua ebraica: בִּלְעָם, vocalizzazione standard Bilʻam, vocalizzazione tiberiana Bilʻām) è un profeta del Pentateuco. La sua storia viene raccontata verso la fine del libro dei Numeri. Ogni antica menzione di Balaam lo considera un non-Israelita, anche se profeta, e figlio di Beor, anche se non si sa esattamente con chi possa identificarsi Beor. Anche se altre fonti descrivono le benedizioni apparentemente positive che fa discendere su Israele, Balaam viene spesso citato come un "uomo stregato" nella maggior parte delle storie a lui concernenti.

http://www.treccani.it/enciclopedia/balaam
Bàlaam (ebr. Bil‛ām) Nella Bibbia, indovino arameo al quale Bālac, re di Moab, chiede di scacciare con la magia della parola gli Ebrei penetrati nel suo territorio. Partito, B. è ammonito da un angelo e ispirato da Yahweh, e quando giunge in vista dell’accampamento d’Israele, anziché maledirlo lo benedice.

Bramano
http://it.wikipedia.org/wiki/Brahmano
Il brahmano, detto anche bramino o bramano (devanāgarī: ब्राह्मण, IAST brāhmaṇa) è un membro della casta[1] sacerdotale del Varṇaśrama dharma o Varṇa vyavastha, la tradizionale divisione in quattro caste (varṇa) della società induista.
Il termine brahmano deriva dal latino (???) brachmani (o bragmani), a sua volta ripreso dal greco brakhmânes che adatta in quella lingua il termine sanscrito vedico brāhmaṇa (ok). I brahmani rappresentano la casta sacerdotale e costituiscono la prima delle quattro caste: a loro spetta la celebrazione dei rituali religiosi più significativi.
...
Il termine sanscrito brāhmaṇa deriva, per alcuni autori come Jan Gonda da bṛh (sanscrito vedico, it.: forza, crescita, sviluppo) ovvero colui che possiede il bṛh intesa come forza magica e misteriosa, da cui il successivo Brahman intesa come forza o realtà cosmica.
L'origine del termine brāhmaṇa e il consequenziale sviluppo del suo utilizzo nella letteratura vedica e delle funzioni sacerdotali ad esso attribuite seguono un percorso piuttosto articolato.

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Il Ṛgveda si apre in questo modo:

(SA)
« agnim īḍe purohitaṃ yajñasya devam ṛtvijam hotāraṃ ratnadhātamam »
(IT)
« Ad Agni rivolgo la mia preghiera, al sacerdote domestico, al divino officiante del sacrificio, all'invocatore che più di tutti porta ricchezze. »
La funzione sacerdotale del dio Agni è il primo tema affrontato dal primo Veda. Questa funzione è la prima ad essere ben delineata soprattutto in qualità di hotṛ, l'officiante delle libagioni (simile al zaotar dell'Avesta).

Ma a ben guardare il Ṛgveda (risalente ad un periodo incerto, comunque a cavallo tra il XX e il X secolo a.C.) è un vero e proprio manuale delle attività sacerdotali del dio Agni che, dopo essere indicato come hotṛ, viene assunto anche al ruolo di adhvaryu, di brāhmaṇa, di potṛ, di neṣṭṛ, di agnīdh, gṛapathi e praśāstṛ.
A queste attribuzioni del Dio corrispondevano dei sacerdoti arii specifici (a loro volta corrispondenti alle otto classi sacerdotali delineate anche nell'Avesta e quindi di probabile derivazione Indoeuropea). Nel pieno del successivo sviluppo vedico (intorno al X secolo a.C.), i compiti di principali officianti (ṛtvij) del rito più importante, il soma (l'haoma dell'Avesta) si distingueranno, tuttavia, in sole quattro qualità sacerdotali: brāhmaṇa, adhvaryu, udgātṛ e hotṛ.
Ognuno di questi quattro sacerdoti veniva coadiuvato da ulteriori tre assistenti (samhita). E, come allhotṛ veniva assegnato il compito di recitare il Ṛgveda, gli altri tre officianti avevano rispettivamente il compito di recitare: l'adhvaryu lo Yajurveda; l'udgātṛ il Sāmaveda, mentre al 'brāhmaṇa non solo veniva affidata la recitazione del quarto Veda, l'Atharvaveda, ma anche il compito di controllare e soprintendere all'intero rito e la recitazione degli altri tre Veda rappresentando, l'Atharvaveda, il loro compimento.

Sempre nel Ṛgveda (X-71,11) i compiti dei quattro officianti vengono riassunti nel singolo brāhmaṇa essendo costui quello che rappresenta l'intero sacerdozio in quanto sa, conosce (vidyā) ed esprime il Brāhmaṇ. Ne consegue che il brāhmaṇa, il sacerdote della società vedica, è colui che è in grado di conoscere e insegnare la rivelazione cosmica. Questo sviluppo della letteratura vedica porterà ad identificare nel termine brāhmaṇa gli interi compiti della casta sacerdotale. Nell'India vedica si celebravano cerimonie pubbliche (śrauta) comprendenti tre fuochi sacrificali e cerimonie private (familiari, grhya) con un singolo fuoco sacrificale.
Nel corso del X secolo a.C. venne a costituirsi una classe di brāhmaṇa, i purohita, a cui venivano affidati i sacrifici (yajamāna) offerti dalle famiglie. Il purohita diviene di fatto il sacerdote di famiglia, colui che non solo offre le libagioni nei villaggi e nelle case, ma fornisce anche indicazioni etico-religiose e consigli spirituali alle famiglie e agli individui (in qualità di guru o ācārya).

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(Da: Le origini della cultura europea, di Giovanni Semerano; da pag 292 a pag 298)

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Il sacerdozio

La funzione specifica dei Druidi, come osservò Le Roux, era quella sacrificale e senza la loro prestazione ogni sacrifico era irrito (Diodoro Siculo, V, 31).

L’etimologia di Druidi è stata affrontata sempre соn grande corredo filologico e storico non pari al risltato.
Druides di Cesare fu accostato all’irlandese drúi, drái, gaelico draoí degradato semanticamente a “stregone”.
Come é noto, Plinio (Nat. hist. XVI, 249) ha orientato l’etimologia: dа δρũς “quercia” in quanto essi nulla hаnnо di più sacro del vischio dell’albero che essi identificano con la quercia. Ма il passaggio semantico da vischio, quercia a sacerdote e magistrato o stregone è arduo.
Metterebbe conto accennare alla vecchia etimologia di Thurneysen (Keltоrоmаnisсhеs, Halle, 1884) che propose la radice vid-, uid “conoscere” con la componente di un dru- intensivo.
Tale sistema di ricerca fu ricalcato da C. J. Guyonvarc’h e ritenuta ineccepibile da Le Roux.
Comunque, il folklore dei popoli nordici d’Europa ha celebrato la sacralità del vischio, come ancora gli Scandinavi e gli Inglesi.

I Druidi serbarono tale culto e solennizzarono la cerimonia in cui ne coglievano al sesto giorno della luna.
Plinio (Nat. hist., ХVI, 249-251) ha colorito il rito del druida biancovestito con falcetto d’oro, intento a tagliare i sacri germogli che cadevano nel bianco drappo.
Il vischio lo abbiamo ritrovato nel mito di Balder.

Gli elementi mantici dei Celti, la quercia sacra dal cui nome greco Plinio fa derivare la denominazione di druidi, richiamano il centro oracolare preellenico di Dodona, ove lo stormire delle querce era trascritto dal sacro esegeta in voleri della dıvınità.

Con Ζεũ Δωδωναĩε ha inizio la fervida preghiera di Achille (IL.,XVI, 233) e al dio di Dodona andrà a chiedere Ulisse notizie circa il ritorno alla sua Itаса.

La pelasgica divinità dodonea rivive nei culti celtici.
Ma tutto questo può servire solо per chiarire la tendenza a vedere nella voce druidi la presenza di δρũς “quercia” e a spiegare l’esagerazione più volte avvertita nel dare importanza al rito del vischio.
Ciò che non occorre dimenticare, per definire chiaramente lа figura dei druidi è il valore di questa denominazione, la loro nobile funzione, innanzitutto di educatori, di maestri ai quali i giovani vengono affidati per lungo tempo, tanto che si instaurano vincoli di affinità, di рarentela tra discepoli еd educatori dа giungere alla trasmissione del nome e alla successione ereditaria.

Il santuario di Мona (Anglesey) in Вritannia è il centro di un perfezionamento di istruzione dei Celti e sarà anche di resistenza alla penetrazione romana.
Il druida Cathbad, in Irlanda, educa una classe di giovani alle virtù civili.
I druidi in Gallia, e già prima anche in Irlanda, esercitano il potere giudiziario, sono medici, indovini e conoscono le virtù delle erbe salutari.
Е perciò la base del nome i questi notabili “saggi della comunità” si deve riconoscere in una parola cosi comune alla toponomastica celtica: druida ha per base la voce dūrum col senso di “città”, oppidum, corrispondente ad accadico dūrum (‘city wаll, fortress’); la terminazione -ida che da il valore di “saggio”, corrisponde аd accadico idûm (‘to knоw, to be experence’), uddûm (‘to inform, to reveal’), edûm (notabile, ben famoso, conosciuto, ‘well- known, renowned, notable’), wudū (mudū: ‘knowing, experience , wise’ ; ‘wissend, weise’), tutte voci della stessa base.

La voce vates, οÙάτεις, di Strabone (IV, 4, 4), μάντεις di Dıоdоrо Siculo (V, 31, 3) [nota: Diodoro gli considera φιλόσοφοι e θεολόγοι (Posidonius, F 116, p. 305 Jacoby), con cui si designano gli stessi operatori rituali interpreti della divinità, si identificano nella parola awāti (amāti) genitivo di accadico awātu (amātu : parola divina, ordine, decisione, ‘command, order, dеcisiоn referring to gods, to specific divine acts’) il cui verbo è accadico ’wu, awûm (parlare) : le forme awāti (vates), amāti (μάντις) presuppongono un determinativo šu o ša (lett.: «quello della pаrola divina”).
La nasalizzzione della -t- di amāti in μάντις é suggerita dalla forma accadica āmânû (colui che parla, ‘talker’) della stessa base ’wū.
Lа denominazione euhage trasmessa da Ammiano Marcellino (XV, 9, 8) con le connotazioni specifiche di « scrutantes sublimia, leges naturae pandere conabantur internas », ritenuto un errore di lettura i οÙάτεις (Aly, 456 sgg., si chiarisce come una comunità di sapienti religiosi: accadico еmqu-аḫu (sapiente confratello) da accadico emqu (ewuq-, saggio, ‘wise’) e aḫu (‘colleague, associate’), plurale aḫḫu.

Il nome del sacrificio pagano, idpart, idbart, edpart, aperth, bretone aber(z) fu chiarito come” da *ate-, prefisso intensivo, e -berta, da una radice col senso di portare” (Le Roux).
Tutto questo è gratuito ed ha bisogno di una grande fede per essere creduto.
La voce idpart identifica l’ostia, l’olocausto, l’offerta sacrificale col segno numinoso che vi verrà scorto : *ate- corrisponde in realtà аd antico accadico ittu, assiro ettu, ebraico ōt, aramaico ātā (‘omen, ominous sign : from the base itta-, idat-’ CAD, 7, 304 sgg.) e il presunto -berta corrisponde in realtà ad accadico bārûtu (‘act of divination, craft of the diviner’) da bārû diviner’.



Fate, Moire, Parke, Norne, Matronae, Angoane
Pora Reitia Sainatei Vebelei
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dtd1U/edit
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Angoane/anguane, salbanei e strie
viewtopic.php?f=44&t=49

Marantega, Moira, Morrigan/Morgana, Mora/Zmora, Mara
viewtopic.php?f=44&t=293

Nomi de łe fate en Ouropa:
http://www.continuitas.org/texts/benozz ... ferica.pdf
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ateweb.jpg
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Messaggioda Berto » mer mar 04, 2015 8:38 am

Shamani etruski


Pianta ortogonal de łe çità – no lè na envension romana
viewtopic.php?f=176&t=843

Dansa e spasio sagri de li etruski e de li shamani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... YxekU/edit
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El cao de l'ano e el calendaro etrusco
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FPMFE/edit
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Cavaj, Shamani e el Dio del Sielo
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... YySTA/edit
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Laxa
http://it.wikipedia.org/wiki/Lasa_%28divinit%C3%A0%29
Le Lase sono numerose divinità femminili della Mitologia etrusca. Talvolta sono rappresentate alate, alcune completamente nude con figura interamente umana e i loro simboli sono specchi e corone.
Hanno il compito di scrivere su pergamena le opere compiute in vita dal defunto e sono per questo motivo rappresentate con i simboli cosmici etruschi del piccolo vaso e della penna oppure di guidare l'anima del defunto verso l'Ade portando il rotolo della pergamena per consegnarlo al guardiano, come viene raffigurata la celebre Vanth.
Le Lase spesso accompagnano Turan, dea dell'amore; in altri casi hanno la funzione di patrocinare l'arte oppure di personificare l'immortalità dell'anima e di esse si conoscono anche altri nomi quali Evan, Losna, Vecu, Muntucha, Zipna e Mean.
Nel culto etrusco esistono e vivono in una dimensione ultraterrena, invisibile e parallela a quella umana ma che non esclude interventi e consigli nelle vicende umane con interventi più o meno diretti.
Le Lase sono figure comuni a varie mitologie e assimilabili alle ninfe della cultura egea-mediterranea, nome generico dato a delle semi-divinità dell'acqua, dei monti, dei boschi e di altri ambienti naturali.
Questo culto etrusco fu così diffuso e popolare che continuò ad essere celebrato per moltissimo tempo divenendo parzialmente assimilabile agli angeli cristiani.
Il termine Lasa diviene anche un titolo divino usato dai primi fondatori etruschi unitamente al termine Larth che successivamente si tramuterà in Larthia come titolo onorifico delle nobili famiglie etrusche.
Un raro studio sulle Lase è stato pubblicato da Charles Godfrey Leland con il titolo "Etruscans and Roman Remains" mentre l'etruscologo Müller, nel suo testo "Die Etrusker" ipotizza che dalle Lase derivò il culto romano dei Lares.

Vanth
http://it.wikipedia.org/wiki/Vanth
Nella mitologia etrusca, Vanth è la divinità femminile appartenente al mondo degli Inferi che teneva in mano il rotolo del destino. La sua iconografia la vuole alata, vestita di un corto chitone dalle bretelle incrociate all'altezza del petto, che lasciano scoperto il seno; in alcune rappresentazioni la sua capigliatura è composta da un nido di serpenti tenuti insieme da un diadema. Nella Tomba François, nella necropoli di Vulci, Vanth è rappresentata con le ali multicolori mentre accompagna nell'oltretomba gli eroi Patroclo ed Achille. Essa è onnisciente, e messaggera di morte per gli uomini. Assiste i malati in fin di vita e inala i demoni buoni. In epoca tarda venne gradualmente a rappresentare la giustizia. Nell'arte viene rappresentata con serpenti, torce e chiavi, e spesso si accompagna al dio Charun (secondo alcuni studiosi sarebbe sua moglie). Trova corrispondenza con la dea del fato Moira della mitologia greca.
L'origine del suo nome è sconosciuta, e si trova citato in circa nove iscrizioni provenienti da diversi siti archeologici (Tarquinia, Orvieto, Chiusi e Vulci) ma la sua terminazione -nth, che si trova in molti nomi di esseri mitologici, significa probabilmente colei che, indicando quindi il suo ruolo di agente.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... -Vanth.jpg
http://www.versoadocentyn.org/diario_ma ... ico-pagano

Charun etrusco

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... trusco.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Charun
Nella mitologia etrusca, Charun (o Charu) era uno psicopompo del mondo sotterraneo chiamato Ade. È il nome equivalente della figura della mitologia greca Caronte.

Iconografia
Charun (il nome si ricava da alcune iscrizioni etrusche) si trova riprodotto su pitture tombali, sarcofagi, urne, stele sepolcrali e vasi. Nell'illustrazione tipica appare fondamentalmente differente da Caronte, rappresentato, di solito, alla guida di una barca, munito di remo, con funzione di traghettatore di anime. Il demone della morte degli Etruschi è, invece, una figura che accompagna i defunti nell’ultimo viaggio (a piedi, a cavallo, su carro) verso l’oltretomba, strappandoli al saluto dei propri cari e scortandoli verso la loro meta finale. Talvolta viene rappresentato a protezione delle porte dell’Ade (come, ad esempio, nella Tomba dei Caronti e nella Tomba degli Anina di Tarquinia) o comunque in connessione con la morte (come, ad esempio, nella Tomba François di Vulci). Si presenta con barba, naso d'avvoltoio ed orecchie aguzze ed indossa corta tunica ed alti calzari. Nelle pitture funerarie viene raffigurato con un colore bluastro. Talvolta ha dei serpenti attorno alle braccia ed ali enormi (come, ad esempio, nella Tomba dell'Orco di Tarquinia). Regge in mano un martello, il suo simbolo religioso, simile all'ascia bipenne romana. Talvolta è munito anche di spada. È spesso accompagnato dalla dea Vanth (come, ad esempio, nella Tomba degli Anina di Tarquinia e nella Tomba François di Vulci), una dea alata anch'essa associata al mondo sotterraneo.

Ipotesi interpretative

Secondo alcuni (Larissa Bonfante) Charun è solamente una guida per i morti, similmente alla mitologia greca, mentre per altri (Franz. De Ruyt) aveva anche il ruolo di divinità che punisce la malvagità.
Alcuni autori (Franz. De Ruyt) lo comparano al dio celtico Sucellos, poiché anche quest'ultimo ha in mano un martello ed ha la stessa funzione di dio della morte.
Relativamente al significato del martello si è pensato che lo stesso servisse per chiudere i chiavistelli delle porte dell’Ade, impedendo così ai defunti di tornare indietro o per colpire le sue vittime o, più probabilmente, per spaventarle. Il martello di Charun potrebbe però essere interpretato anche in correlazione al mito etrusco (rappresentato in uno specchio bronzeo da Perugia, della fine del IV secolo a.C., conservato nel Museo di Stato di Berlino) che attribuiva alla dea Atharpa l’atto di configgere con un martello un chiodo per fissare immutabilmente il destino degli uomini.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Spirtoaƚetà da ƚa pristoria, shamaneixmo e coxmołoja shamana

Messaggioda Berto » gio mar 05, 2015 10:55 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » gio mar 05, 2015 10:58 am

Shamana veneta

???

Serci o diski de bronxo veneteghi:
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... xo-web.jpg

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Egetora e l'oracolo de Montegroto Jerion:
Egetora, aimo, eik, goltanos, louderobos
viewtopic.php?f=164&t=900

Mego dona.s.to a.i./nate.i. re.i.tiia.i. pora.i. / e.getora. r.i.mo.i. ke lo/.u.derobos
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RwUkU/edit
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On ligo el ghè dovaria esar anca co sta voxe grega riferia a Ermete Trixmejsto:
(Hermete Trixmejsto el jera dito: ēgḗtōr/ēghḗtōr onéirōn = guida de li sogni ???)

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... gatora.jpg

Sa xeło sto angagno dito “ciave de Reitia”?
viewtopic.php?f=171&t=911
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Copia1.jpg

La femena de Caldevigo: orante, dea, shamana/sacerdòta (sacerdòsa, sacèrsa o saçerdotesa) ?
viewtopic.php?f=171&t=1498
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 180261.jpg

Cosa gała ente ła man sanca sta dona?
viewtopic.php?f=171&t=909
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Messaggioda Berto » gio mar 05, 2015 10:58 am

Shamaneixmo çelta

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Viłajo palifato sol Lago de Costansa o Bodensee
http://picasaweb.google.it/pilpotis/Vil ... DiCostanza
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Paƚifate e paƚafitari (castełari e teramarigołi)
viewtopic.php?f=43&t=1290

Francesco Benozzo
Sciamani europei e trovatori occitani

http://www.continuitas.com/benozzo_sciamani.pdf

Gli studi di Costa su quello che mi sembra corretto definire lo sciamanismo europeo, l’aspetto su cui mi interessa insistere maggiormente è quello, da lui ben evidenziato, dello sciamano come poeta, cantore, musico e custode della cultura e della letteratura orale. Era infatti allo sciamano, o se si preferisce a una figura simile allo sciamano, che era spettato per millenni il compito di custodire e tramandare il vasto patrimonio – naturalmente orale – che le popolazioni europee avevano accumulato a partire dal Paleolitico superiore: si trattava – specifica ancora Costa – di una tradizione trasmessa dalla lingua poetica, la quale, in un processo che durò millenni e che portò alla sua progressiva codificazione standardizzata, divenne un ineguagliabile contenitore e veicolo di quelle antichissime forme di sapienza che, dal Paleolitico superiore erano divenute parte della tradizione orale: è sostanzialmente questo il motivo – spiega ancora Costa – per cui vi si rintracciano vestigia di tipo linguistico, rituale, mitico e cognitivo appartenenti a queste fasi lontane.
In estrema sintesi, cioè, questa lingua poetica possedeva alcune caratteristiche fondamentali:
1) si trattava di testi orali, stilisticamente marcati rispetto alla lingua quotidiana, soprattutto grazie alla presenza di strategie ritmiche e cadenzate, di formule, temi e tassonomie;
2) costituiva la summa dei saperi di una comunità;
3) era frutto di un’elaborazione collettiva;
4) nel corso della propria evoluzione diede luogo a formulazioni orali standardizzate, cioè a quelli che si possono chiamare testi fissi (per tutte queste considerazioni, cfr. Costa 1998, 2000, 2001, 2004, 2006a, 2006b).

I poeti, gli eredi degli sciamani paleo-mesolitici, diventarono una parte attiva della tradizione, cioè un anello imprescindibile della catena comunicativa formata dall’intersezione di spazio, tempo e parola. Questo ‘poeta’ disceso dagli sciamani paleo-mesolitici era dunque, come spiega efficacemente Enrico Campanile, “il professionista della parola e nel suo ambito di competenza rientrava, quindi, tutto ciò che si realizza nella parola”: oltre che sacerdote, medico, giurista, storico, egli era “colui che in poesia ricordava e celebrava le imprese gloriose di principi ed eroi, sia del presente che del passato, mosso da divina ispirazione” Campanile,
1983, 40).

Non può essere messa in discussione l’esistenza e la vitalità di queste figure di poeti presso le popolazioni celtiche che abitavano da millenni i territori dell’Europa continentale: le testimonianze della loro presenza nelle fonti in lingua latina e greca sono copiose e autorevoli, a partire da una serie di iscrizioni, fino ad arrivare alla toponomastica e alle testimonianze degli autori ‘classici’.
In particolare, sappiamo che esistevano i bardi (da una parola celtica continentale del tipo bardos, ben attestata nell’irlandese antico bárd, nel gallese antico bardd, nel cornico barth, nel bretone barz, continuazioni di *gwrd(h)os ‘colui che alza la voce, colui che elogia’), i vates (figure ben attestate anche in area celtica insulare, dove i testi antichi parlano di fàith [in Irlanda] (che ci ricordano le fate) e di gwawd [in Galles], termini legati alla radice *uat- ‘essere ispirato, essere posseduto’) e i druidae vale a dire dei ‘druidi’ (gallico *druis, irlandese druí, gallese derwydd, bretone drouiz, da una radice *dru-wid- ‘colui che ha conoscenza sicura’) (per tutti questi dati, cfr. le bibliografia specifica cit. in Benozzo, 2006).

Va specificato che, per quanto gli autori classici distinguessero queste tre categorie intellettuali, “nella realtà indigena si trattava ancora di un’unica e omnicomprensiva figura che poteva recepire nomi diversi solo in rapporto alla specifica attività che attualmente in un dato momento svolgeva” (Campanile, 1991, 156).
Si può in ogni caso affermare che queste figure polivalenti di druidi-bardi-vati operanti nell’antica Gallia non solo sono un’incarnazione evidente del poeta-sacerdote indeuropeo, ma ne costituiscono addirittura il modello più rappresentativo, essendo al tempo stesso poeti, uomini legati al sacro e uomini di legge.


(Da: Le origini della cultura europea, di Giovanni Semerano; da pag 292 a pag 298)

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /kw-41.jpg

Il sacerdozio

La funzione specifica dei Druidi, come osservò Le Roux, era quella sacrificale e senza la loro prestazione ogni sacrifico era irrito (Diodoro Siculo, V, 31).

L’etimologia di Druidi è stata affrontata sempre соn grande corredo filologico e storico non pari al risltato.
Druides di Cesare fu accostato all’irlandese drúi, drái, gaelico draoí degradato semanticamente a “stregone”.
Come é noto, Plinio (Nat. hist. XVI, 249) ha orientato l’etimologia: dа δρũς “quercia” in quanto essi nulla hаnnо di più sacro del vischio dell’albero che essi identificano con la quercia. Ма il passaggio semantico da vischio, quercia a sacerdote e magistrato o stregone è arduo.
Metterebbe conto accennare alla vecchia etimologia di Thurneysen (Keltоrоmаnisсhеs, Halle, 1884) che propose la radice vid-, uid “conoscere” con la componente di un dru- intensivo.
Tale sistema di ricerca fu ricalcato da C. J. Guyonvarc’h e ritenuta ineccepibile da Le Roux.
Comunque, il folklore dei popoli nordici d’Europa ha celebrato la sacralità del vischio, come ancora gli Scandinavi e gli Inglesi.

I Druidi serbarono tale culto e solennizzarono la cerimonia in cui ne coglievano al sesto giorno della luna.
Plinio (Nat. hist., ХVI, 249-251) ha colorito il rito del druida biancovestito con falcetto d’oro, intento a tagliare i sacri germogli che cadevano nel bianco drappo.
Il vischio lo abbiamo ritrovato nel mito di Balder.

Gli elementi mantici dei Celti, la quercia sacra dal cui nome greco Plinio fa derivare la denominazione di druidi, richiamano il centro oracolare preellenico di Dodona, ove lo stormire delle querce era trascritto dal sacro esegeta in voleri della dıvınità.

Con Ζεũ Δωδωναĩε ha inizio la fervida preghiera di Achille (IL.,XVI, 233) e al dio di Dodona andrà a chiedere Ulisse notizie circa il ritorno alla sua Itаса.

La pelasgica divinità dodonea rivive nei culti celtici.
Ma tutto questo può servire solо per chiarire la tendenza a vedere nella voce druidi la presenza di δρũς “quercia” e a spiegare l’esagerazione più volte avvertita nel dare importanza al rito del vischio.
Ciò che non occorre dimenticare, per definire chiaramente lа figura dei druidi è il valore di questa denominazione, la loro nobile funzione, innanzitutto di educatori, di maestri ai quali i giovani vengono affidati per lungo tempo, tanto che si instaurano vincoli di affinità, di рarentela tra discepoli еd educatori dа giungere alla trasmissione del nome e alla successione ereditaria.

Il santuario di Мona (Anglesey) in Вritannia è il centro di un perfezionamento di istruzione dei Celti e sarà anche di resistenza alla penetrazione romana.
Il druida Cathbad, in Irlanda, educa una classe di giovani alle virtù civili.
I druidi in Gallia, e già prima anche in Irlanda, esercitano il potere giudiziario, sono medici, indovini e conoscono le virtù delle erbe salutari.
Е perciò la base del nome i questi notabili “saggi della comunità” si deve riconoscere in una parola cosi comune alla toponomastica celtica: druida ha per base la voce dūrum col senso di “città”, oppidum, corrispondente ad accadico dūrum (‘city wаll, fortress’); la terminazione -ida che da il valore di “saggio”, corrisponde аd accadico idûm (‘to knоw, to be experence’), uddûm (‘to inform, to reveal’), edûm (notabile, ben famoso, conosciuto, ‘well- known, renowned, notable’), wudū (mudū: ‘knowing, experience , wise’ ; ‘wissend, weise’), tutte voci della stessa base.

La voce vates, οÙάτεις, di Strabone (IV, 4, 4), μάντεις di Dıоdоrо Siculo (V, 31, 3) [nota: Diodoro gli considera φιλόσοφοι e θεολόγοι (Posidonius, F 116, p. 305 Jacoby), con cui si designano gli stessi operatori rituali interpreti della divinità, si identificano nella parola awāti (amāti) genitivo di accadico awātu (amātu : parola divina, ordine, decisione, ‘command, order, dеcisiоn referring to gods, to specific divine acts’) il cui verbo è accadico ’wu, awûm (parlare) : le forme awāti (vates), amāti (μάντις) presuppongono un determinativo šu o ša (lett.: «quello della pаrola divina”).
La nasalizzzione della -t- di amāti in μάντις é suggerita dalla forma accadica āmânû (colui che parla, ‘talker’) della stessa base ’wū.
Lа denominazione euhage trasmessa da Ammiano Marcellino (XV, 9, 8) con le connotazioni specifiche di « scrutantes sublimia, leges naturae pandere conabantur internas », ritenuto un errore di lettura i οÙάτεις (Aly, 456 sgg., si chiarisce come una comunità di sapienti religiosi: accadico еmqu-аḫu (sapiente confratello) da accadico emqu (ewuq-, saggio, ‘wise’) e aḫu (‘colleague, associate’), plurale aḫḫu.

Il nome del sacrificio pagano, idpart, idbart, edpart, aperth, bretone aber(z) fu chiarito come” da *ate-, prefisso intensivo, e -berta, da una radice col senso di portare” (Le Roux).
Tutto questo è gratuito ed ha bisogno di una grande fede per essere creduto.
La voce idpart identifica l’ostia, l’olocausto, l’offerta sacrificale col segno numinoso che vi verrà scorto : *ate- corrisponde in realtà аd antico accadico ittu, assiro ettu, ebraico ōt, aramaico ātā (‘omen, ominous sign : from the base itta-, idat-’ CAD, 7, 304 sgg.) e il presunto -berta corrisponde in realtà ad accadico bārûtu (‘act of divination, craft of the diviner’) da bārû diviner’.


Barete, capełi, covricai o coverxi cràpe, caciòłe
viewtopic.php?f=171&t=1521


Fate, Moire, Parke, Norne, Matronae, Angoane
Pora Reitia Sainatei Vebelei
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