Islam, persecuzione e sterminio dei cristiani

Re: Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 28, 2015 10:33 am

???

Perché un sindaco del Quebec (Canada) non toglie la carne di maiale dalle mense
http://www.italiaoggi.it/giornali/detta ... alle+mense

Si è spiegato con una lettera inviata a tutti i genitori

I genitori musulmani avevano chiesto l'eliminazione della carne di maiale dal menù nelle mense di tutte le scuole di Dorval, un sobborgo di Montreal. Il sindaco però si è rifiutato e il segretario comunale ha spedito una lettera a tutti i genitori per spiegarne i motivi.

Ha scritto che «I musulmani devono capire che sono loro a doversi adattarsi allo stile di vita del Canada e del Quebec, ai suoi costumi, le sue tradizioni perché questo è il luogo dove hanno scelto di emigrare. Devono capire che devono integrarsi e imparare a vivere in Quebec. Devono capire che a cambiare stile di vita devono essere loro e non i canadesi che così generosamente li hanno accolti. Devono capire che i canadesi non sono né razzisti né xenofobi: hanno accettato molti immigrati prima dei musulmani (mentre non è vero il contrario, negli stati musulmani non accettano immigrati non-islamici). Che, non più di altri, i canadesi non sono disposti a rinunciare alla loro identità, alla loro cultura. E se il Canada è una terra di ospitalità, non è il sindaco di Dorval che accoglie gli stranieri, ma tutto il popolo canadese del Quebec. Inoltre, devono capire che in Canada (Quebec), che pure ha delle evidenti radici giudaico-cristiane, gli alberi di Natale, le chiese e le feste religiose, la religione, insomma, deve rimanere nella sfera privata. Il comune di Dorval quindi era nel giusto quando ha rifiutato qualsiasi concessione all'Islam e a la Sharia. Per i musulmani che non condividono questa laicità e non si sentono a proprio agio in Canada, ci sono 57 bellissimi paesi islamici nel mondo, la maggior parte dei quali poco popolati e pronti a riceverli con le braccia aperte, halal, cioè in maniera conforme alla Sharia. Se avete lasciato il vostro paese per il Canada, e non per altri luoghi musulmani, è perché avete considerato che la vita fosse migliore qui che altrove. Ponetevi la domanda, una buona volta: perché è meglio in Canada che da dove venite?' Una mensa con anche carne di maiale è parte della risposta».


http://www.butac.it/la-carne-di-maiale- ... -musulmani

La notizia narra che un sindaco canadese si sarebbe rifiutato di eliminare la carne di maiale dalle mense scolastiche della cittadina di Dorval, il tutto con il solito monito che sostiene come siano gli immigrati a doversi adattare e non il contrario (me par giusto ke ki ke riva el se adate a ki ke ghe xe xà o no?).
Ma chiunque è in grado di capire che si tratta appunto di fuffa su più livelli. Non ci sono musulmani che chiedono di ELIMINARE la carne di maiale, al massimo si chiede un menù alternativo (???), esattamente come potranno averlo i vegetariani o chi ha delle intolleranze alimentari , e nessun sindaco può obbligare gli studenti al consumo di qualcosa che sia loro avverso, che sia per ragioni di salute come anche religiose, vale in Canada come in Belgio, come in Australia ed anche in Italia.
Pubblicare questa robaccia senza un minimo di verifiche è sciocco, darà materiale ai nazionalisti anti europei di cui parlare per anni a venire, ma al tempo stesso scredita la testata che lo pubblica in maniera totale.



Gran Bretagna, Peppa Pig “bandita” dai libri di testo scolastici per non offendere i musulmani (xontaghe anca ebrei)

Diffuse le nuove linee guida: astenersi dal disegnare o illustrare verbalmente suini. È polemica

http://www.lastampa.it/2015/01/14/ester ... agina.html

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Niente Peppa Pig sui libri di testo della Gran Bretagna: la Oxford University Press, uno dei principali editori di libri scolastici nel Regno Unito, ha diffuso le nuove linee guida per i propri autori, chiedendo loro di astenersi dal disegnare o illustrare verbalmente suini e loro derivati, al fine di non offendere e turbare i piccoli musulmani o ebrei. Peppa Pig non è espressamente vietata, ma il bando ovviamente si stende anche alla maialina dei cartoni animati più amata dai bambini.
A rivelare la novità è stata la Bbc, durante un programma dedicato alla libertà di espressione e all’attentato parigino al magazine satirico Charlie Hebdo. Jim Naughtie, marito di un’autrice della Oxford University press, Eleanor Updale, ha raccontato di aver ricevuto a casa la nuova direttiva.
A condannare la mossa dell’editore nelle ultime ore si è fatto sentire persino un parlamentare musulmano, il laburista Khalid Mahmood, dicendo che «è una scelta completamente insensata», ma la Oxford University Press ha difeso la propria decisione, sostenendo di volersi rivolgersi «a una platea il più vasta possibile». I libri della casa editrice universitaria più famosa del Regno Unito sono venduti in oltre 200 Paesi.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... as-cio.jpg
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Re: Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 28, 2015 8:10 pm

Buongiorno amici! Possibile che la nuova minaccia dei terroristi islamici dell'Isis di scatenare la furia dei suoi militanti per colpirci all'interno stesso dell'Italia e dell'Europa, di conquistare Gerusalemme e Roma, venga sottovalutata e diffusa come una notizia di basso profilo?

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... ts&fref=ts

Prendiamo almeno atto che quando il portavoce dello "Stato islamico", Abu Muhammad al Adnani, in un messaggio intitolato "Muori nella tua furia", dice "Colpite i crociati nel loro territorio e ovunque si trovino", non fa altro che obbedire alla prescrizione del loro Allah: “Uccidete gli infedeli ovunque li incontriate. Questa e’ la ricompensa dei miscredenti” (Sura 2:191) e "Quando incontrate gli infedeli, uccideteli con grande spargimento di sangue e stringete forte le catene dei prigionieri'' (Sura 47:4).

Così quando dice "Presto questa campagna crociata sarà sconfitta e dopo, se Dio vuole, ci incontreremo a Gerusalemme, poi l'appuntamento è a Roma. Ma prima gli eserciti della croce saranno sconfitti a Dabiq", il portavoce dello "Stato islamico" non fa altro che assecondare i detti attribuiti a Maometto secondo cui gli ebrei saranno annientati e Roma sarà sottomessa all'islam dopo Costantinopoli.

Prendere atto che l'azione dei terroristi islamici è diretta emanazione della volontà del loro Allah, che ottempera alle prescrizioni coraniche e ai detti e ai fatti attribuiti a Maometto, è fondamentale per prendere atto che la radice del male è l'islam stesso. E che pertanto anche i cosiddetti "musulmani moderati" possono fare finta di ignorare taluni versetti coranici o i detti di Maometto, ma non li possono negare o contraddire perché incorrerebbero nel reato di apostasia sanzionabile con la condanna a morte.

È ora di svegliarci dal torpore ideologico del relativismo religioso che ci obbliga a legittimare l'islam come religione di pari valore del cristianesimo a prescindere dai suoi contenuti.

È ora di prendere atto che siamo in guerra, una guerra mondiale scatenata dal terrorismo islamico globalizzato, che si ispira ad Allah, al Corano e a Maometto, che è parte integrante di una strategia di conquista islamica promossa anche dai cosiddetti "musulmani moderati" attraverso le moschee, le scuole coraniche, i siti di indottrinamento ideologico, gli enti assistenziali e finanziari islamici, i centri studi e di formazione contro l'islamofobia, l'invasione degli immigrati, la bomba demografica, il dialogo interreligioso.

È ora di dire basta. Basta mettere in soffitta la ragione. Mobilitiamoci per riscattare il nostro legittimo diritto alla vita, alla dignità e alla libertà per essere pienamente noi stessi a casa nostra. Andiamo avanti a testa alta e con la schiena dritta, forti della certezza della verità, della solidità dei valori e del coraggio della libertà. Insieme ce la faremo!

Sì me so rexo conto ke l’Ixlam no lè na rełijon ma na połedega militar co na so edeołoja relijoxa e prasiò no ła se pol tratar come ke ła fuse na rełijon ma ła va tratà come ke se trata n’organeixmo statal foresto.
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Re: Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 28, 2015 8:52 pm

Terrorismo, trovato a Milano manuale per la jihad: "Colpite i civili"
17 gennaio 2015

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... o.facebook

"Elementi di base per la preparazione del jihad per la causa di Allah". E' questo il titolo del manuale per la guerra santa trovato dal Ros qualche tempo fa in un'appartamento di Milano in cui viveva un presunto arruolatore di estremisti da spedire nei teatri di guerra. Il testo è scritto in arabo ed era a casa di Maher Bouyahia un tunisino che fu arrestato in Italia negli anni scorsi: il suo ruolo, secondo le indagini, era quello di spedire combattenti in Iraq, dopo esser stato lui stesso ad addestrarsi in un campo di Kurmal, nel Kurdistan iracheno gestito dall'organizzazione radicale islamica Ansar al Islam. Maher fu però assolto dall'accusa di '270 bis' dal giudice Clementina Forleo, che nella sentenza fece la nota e controversa distinzione tra terrorismo e guerriglia, e fu condannato a sei anni di reclusione nel processo d'appello bis.

Il manuale - Quel manuale, dicono ora gli analisti, è la base sulla quale molti dei soggetti a rischio presenti nel nostro paese hanno costruito il loro radicalismo. Nel libro si precisa che esistono due tipi di preparazione al jihad, quella materiale e quella spirituale. Se quest'ultima consiste nella puntuale e rigorosa osservanza dei precetti della sharia, la preparazione materiale prevede una sottomissione a regole precise per amministrare la propria formazione militare. "Il vero musulmano - si legge - per innalzare la parola di Dio, deve essere un credente che ha fede nel jihad, perchè durante l'addestramento militare i fratelli corrono numerosi rischi, talvolta anche della propria vita. Il loro dovere è, attraverso l'addestramento, purificare il pensiero per innalzare la parola di Dio e far sì di non temere nulla, neppure la morte".

Le leggi - Il manuale ribadisce poi che l'addestramento è un obbligo, tanto che è lo stesso Allah che comanda ai musulmani di prepararsi al jihad, e ricorda come sia dovere di ogni musulmano "contribuire economicamente alla causa", mettendo a disposizione "somme di denaro destinate" anche "all'acquisto di armi". "Contro loro - si legge ancora - tenete pronta la forza fino all'estremo del vostro potere, attraverso azioni di guerra, spargendo terrore fra i vostri nemici e quelli di Allah». Nemici che non sono solo gli eserciti ma tutto il mondo occidentale, ovviamente quello ebraico e anche i regimi dei paesi arabi che non rispettano la sharia: "Per realizzare gli obiettivi propri del jihad - c'è scritto nel manuale - vanno colpite le popolazioni, senza distinzioni tra civili e militari".
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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » mar feb 03, 2015 11:57 am

L'ultima minaccia dell'Isis: attaccare Roma e l'Europa coi missili

In un documento attribuito allo Stato Islamico il progetto di un attacco all'Europa partendo da Medio Oriente e Nordafrica: il nostro Paese tra i primi obiettivi.
Giovanni Masini - Mar, 03/02/2015 - 00:32

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 88890.html

L'incubo dell'attacco missilistico. Contro l'Europa, l'Italia e Roma in particolare.

È quello che emerge dall'ultimo documento propagandistico riconducibile all'Isis, pubblicato come "The Islamic State 2015" e al vaglio degli uomini dell'intelligence.

Le circa cento pagine attualmente all'analisi degli esperti comprendono una cartina dell'Europa con il nostro Paese e la Capitale cerchiati in rosso; inoltre sono cerchiate anche la Spagna e la Turchia. Questi, dunque, le tre direttrici attraverso cui dal Marocco, da Tunisia e Libia e dalla Siria, i jihadisti dello Stato Islamico puntano alla penetrazione nel Vecchio Continente. Il testo e le immagini, come scrive il sito Wikilao, sono compilati in un inglese imperfetto e giudicati dai servizi "di chiaro stampo propagandistico".

Secondo gli analisti, infatti, il documento servirebbe primariamente "per popolare il sedicente Stato islamico di nuovi combattenti", con tanto di "istruzioni per raggiungere i campi di combattimento dello scacchiere siro-iracheno". In tanto delirio, il riferimento alla conquista dell'Europa gioca un ruolo decisivo: una volta battuti i "persiani iraniani" (presumibilmente in quanto sciiti), "i tiranni del Maghreb islamico saranno battuti per il 2020 e i mujaheddin tunisini, libici si impossesseranno degli arsenali di quei dittatori", con basi missilistiche e razzi a lunga gittata. Che verrebbero immediatamente puntati contro il nostro Paese.

"Ansar al Sharia (un'organizzazione islamista nordafricana, ndr) in Libia e Al Qaeda nel Maghreb islamico cominceranno a sparare missili verso il cuore dell'Europa, come vendetta per quanto patito dai loro fratelli in Siria". Le minacce riservate all'Italia sono agghiaccianti: "Se Al Qaeda nel Maghreb Islamico lanciasse missili dalla costa tunisina verso l'Italia la potrebbero raggiungere". In una seconda fase sarebbe contemplato anche l'ingresso di truppe di terra "per appoggiare i musulmani oppressi d'Europa".

Uno scenario davvero possibile? Secondo fonti dell'intelligence riportate anche dalle agenzie, sarebbe "irrealistico". Ci sono però alcuni dettagli che lo rendono più inquietante: "Sappiamo che Ansar Bayt al-Maqdis nel Sinai (adesso parte dello Stato Islamico) ha contrabbandato missili con Hamas in Palestina qualche anno fa. Quindi - si legge nel documento - avranno dei canali per entrare in possesso di altri missili e per farli consegnare ad altri gruppi armati islamici. Sappiamo che anche Ansar al Sharia, a Bengasi, in Libia, ha preso dei razzi dagli arsenali di Gheddafi."



I turisti occidentali nel mirino. Isis: "Colpire Sharm el Sheikh"

Il Califfato ai combattenti egiziani: "Basta con il divertimento dei turisti stranieri ed ebrei". Poi il consiglio: "Non uccidete con proiettili, ma sgozzate"
Sergio Rame - Mar, 04/11/2014 - 16:01

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-t ... 64886.html
Il Califfato ha, infatti, pubblicato su un sito jihadista i "consigli ai combattenti egiziani" per colpire i tutisti occidentali.

"Bisogna trasferire la lotta nel centro del Cairo e gli attacchi devono raggiungere Sharm el Sheikh, basta con il divertimento dei turisti stranieri ed ebrei", si legge in una lunga nota dove ai terroristi viene consigliato di colpire anche gli sciiti e i copti.

Il comunicato è stato pubblicato sul sito La tribuna dell’informazione jihadista. Già in altre occasioni aveva lanciato appelli agli estremisti in Egitto. "Dovete capire che il regime non si interessa alle vittime uccise nel Sinai tanto quanto quelle morte nella capitale", si legge nell’appello a spostare la lotta al Cairo affinché "il Sinai goda della pace e diventi una retrovia dei jihadisti". Nella penisola i combattenti sono chiamati a colpire anche "i carichi di armi diretti a Gaza dal Sinai perché queste armi vengono usate dalle fazioni palestinesi contro i musulmani: queste fazioni, come Hamas, sono tutte traditrici". Sul sito La tribuna dell’informazione jihadista i "consigli" prendono di mira anche gli sciiti e "i giudici egiziani, a maggioranza copta, che hanno condannato a morte diversi islamisti". "Colpite anche l’economica egiziana - si legge ancora - perché i capitali appartengono ai copti, il turismo, i gasdotti e il canale di Suez". Infine la minaccia contro "le spie che collaborano con la sicurezza e le forze armate". Per quanto riguarda le "spie", i jihadisti si sentono anche in dovere di consigliare sulle modalità con cui giustiziarle: "Non uccidetele con proiettili, ma sgozzatele".

Proprio nel Sinai la formazione jihadista Ansar beit al Maqdis ("I partigiani di Gerusalemme") ha adeito allo Stato islamico nominando Abu Bakr al Baghdadi "califfo di tutti i musulmani in Iraq, Siria e in tutti i paesi islamici". Il gruppo si impegna a proseguire le sue operazioni contro l'esercito e i servizi di sicurezza in Egitto e si appella a tutti gli abitanti di Egitto, Gaza e Libia, così come dei Paesi orientali e del Maghreb, affinché seguano l’esempio di Ansar beit al Maqdis per "unificare i musulmani". Proprio ieri l'Isis aveva annunciato che avrebbe stato istituito il Califfato islamico in Sinai: "È il primo passo verso l’invasione di Gerusalemme". Contatti e alleanze erano già emerse nei mesi scorsi. Da oltre un anno la formazione Ansar beit al Maqdis ha siglato diversi attentati contro le forze armate egiziane nella penisola del Sinai, sostenendo di voler vendicare la repressione dei Fratelli musulmani in Egitto.


Egitto, attacco jihadista nel Sinai del Nord: almeno otto morti

L'attacco, attribuito agli jihadisti di Ansar Beit al-Maqdis, è cominciato con esplosioni ed è poi proseguito con uno scontro a fuoco
Angelo Scarano - Gio, 29/01/2015 - 21:51

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/egi ... 87390.html

Un attacco jihadista contro la sede delle forze di sicurezza egiziane a El Arish, capitale del Sinai del Nord, ha causato morti e feriti.

Lo riferisce la tv di stato egiziana, aggiungendo che l’attacco, attribuito agli jihadisti di Ansar Beit al-Maqdis (partigiani di Gerusalemme), è cominciato con esplosioni ed è poi proseguito con uno scontro a fuoco. Secondo fonti ufficiali un ufficio del quotidiano Al Ahram è stato completamente distrutto dalle esplosioni. Il bilancio della giornata di sangue odierna nel Sinai parla di almeno 25 morti e 40 feriti.
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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » mer feb 04, 2015 9:00 pm

Maometto nel 627 alle porte di Medina decapitò personalmente circa 800 ebrei maschi adulti della tribù dei Banu Qurayza.
(Ibn Ishaq (704-767), ha scritto che nel 627 il ... di centinaia di ebrei della tribù dei Banu Qurayza alla periferia di Medina.)
http://it.wikipedia.org/wiki/Ibn_Ishaq

https://www.facebook.com/MagdiCristianoAllam

Buongiorno amici!
All'alba è arrivata puntuale l'esecuzione della condanna a morte della mancata terrorista suicida irachena Sajida Rishawi (nella foto con la cintura imbottita), che aveva tentato di farsi esplodere in un hotel di Amman nel 2005. È la vendetta del governo giordano all'atroce uccisione da parte dei terroristi islamici dell'Isis del pilota giordano Muaz Kassasbe, bruciato vivo rinchiuso in una gabbia.

Secondo i "musulmani moderati" dediti alla salvezza della nostra anima convertendoci all'islam, il fatto che la vittima del crimine spietato dei terroristi islamici dell'Isis sia stato un musulmano, il pilota giordano Muaz Kassasbe, attesterebbe che l'islam non c'entra, che piuttosto i terroristi islamici sarebbero dei fuoriusciti dal "vero islam", dei rinnegati e degli infami traditori del Verbo di Allah e dell'esempio di Maometto che prescriverebbero il bene, l'amore e la pace.

A riprova di questa tesi assolutoria dell'islam si evocano i nomi del poliziotto francese musulmano Ahmed Merabet, ucciso senza pietà dai fratelli Kouachi dopo la strage nella sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo lo scorso 7 gennaio, dopo l'attacco alla redazione del giornale Charlie Hebdo, e il nome di Lassana Bathily, il commesso musulmano del supermercato ebraico che salvò cinque ebrei dalla furia omicida del terrorista islamico Koulibaly lo scorso 9 gennaio.

Ebbene la verità è che il pilota giordano e il poliziotto francese non sono stati assassinati perché musulmani, ma all'opposto perché condannati a morte in quanto "murtadd", apostati, quindi nemici dell'islam che devono essere uccisi, avendo aderito alla "coalizione dei crociati" che combatte l'Isis o a uno Stato laico che non applica la sharia, la legge coranica.

Quanto all'opera buona di Lassana Bathily, è evidente che ha fatto prevalere la sua umanità e il senso civico da cittadino francese rispetto alla prescrizione coranica di uccidere gli ebrei, messa in atto spietatamente da Maometto quando nel 627 alle porte di Medina decapitò personalmente circa 800 ebrei maschi adulti della tribù dei Banu Qurayza.

L'islam c'entra sempre e c'entra eccome nei crimini commessi dai terroristi islamici.
Mentre è vero l'opposto.
I musulmani possono essere autenticamente moderati, rispettosi della sacralità della vita di tutti compresi i cristiani e gli ebrei, solo quando fanno prevalere i diritti assoluti e universali della persona anziché quanto prescrive Allah nel Corano e quanto ha detto e ha fatto Maometto.

Cari amici, combattiamo i terroristi islamici sul terreno di guerra ma contemporaneamente sradichiamo dentro casa nostra l'ideologia dell'odio, della violenza e della morte che è insita nell'islam e in Maometto.
Andiamo avanti. Insieme ce la faremo!
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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » mer feb 04, 2015 9:20 pm

L’offensiva di gennaio ci dirà quanto è solido il Califfato
Al Baghdadi ha uno Stato più vasto della Francia e 10 milioni di sudditi I suoi nemici sono divisi ma la vera battaglia sta per cominciare a Mosul

http://www.lastampa.it/2014/12/25/ester ... agina.html

Abu Bakr al Baghdadi dovrà faticare nel 2015 per sfuggire alla caccia di droni, satelliti e spie ma a prescindere dalla sua sorte, il Califfato dello Stato Islamico sembra destinato a restare un protagonista dei conflitti in Medio Oriente.
Sostegno popolare, istituzioni locali, coesione fra jihadisti, crescita dei volontari stranieri, un tesoro di oltre 2 miliardi di dollari e le divisioni fra i nemici portano a suggerire che lo Stato Islamico sarà uno degli attori più capaci di influenzare cosa avverrà.


Il sogno della Ummah

In Occidente il Califfato è sinonimo di brutali violenze e gli sciiti lo considerano il più sanguinario dei nemici ma nel mondo sunnita ciò che più conta è il suo progetto di unificare la «Ummah» - la comunità dei fedeli - cancellando i confini fra gli Stati post-coloniali per tornare all’epopea dell’Islam al tempo del Profeta. Dalla dissoluzione dell’ultimo Califfato - quello Ottomano - nel 1924 i Fratelli Musulmani hanno sostenuto la necessità di ricostituirlo, Questa convinzione è stata ereditata da più gruppi fondamentalisti, arrivando fino a Osama bin Laden e al-Baghdadi.
Su questo progetto politico, o sogno ideologico, c’è fra i sunniti consenso in crescita.


Istituzioni locali

Lo Stato Islamico controlla un’area più vasta di Francia e Gran Bretagna, è popolato da oltre dieci milioni di anime in regioni strappate a Iraq e Siria che amministra con istituzioni create per un controllo capillare sulla popolazione. Polizia religiosa, tribunali islamici ed esecuzioni pubbliche rendono la vita impossibile a oppositori e «infedeli» - ovvero non-musulmani sunniti - ma per chi è sunnita conta che il crimine è sotto controllo, i combattimenti quasi inesistenti, il caos è sostituito da distribuzione gratuita di acqua e pane. E appositi tribunali consentono di denunciare corruzione, disfunzioni e cibi avariati.


Coesione jihadista

Sul piano militare, il Califfo si è imposto come leader dei gruppi jihadisti. Al Qaeda di Ayman al Zawahiri dopo averlo avversato e combattuto ha chiesto ai militanti di Al Nusra in Siria di sostenerlo. Dal Sinai alla Libia, gruppi jihadisti già fedeli ad Al Qaeda si sono schierati con al-Baghdadi. Anche i nigeriani di Boko Haram gli sono fedeli. Tolte le eccezioni di Al Qaeda in Yemen, taleban afghani e shaabab somali, Al Baghdadi si è imposto come il leader della Jihad globale e ciò gli consente di avere risorse, umane ed economiche, che moltiplicano il tesoro di 2 miliardi di dollari che l’amministrazione Usa ritiene sia già nelle casse, frutto di vendita illegale di greggio e di antichità.


I volontari stranieri

L’esercito di volontari stranieri che continua a crescere nei ranghi dello Stato Islamico è uno strumento in più. Su un totale di circa 40-50 mila miliziani quasi 20 mila sono arabi provenienti da territori non controllati, e almeno 3000 sono occidentali. Si tratta di una legione straniera più poderosa, meglio addestrata ed armata di quella che sostenne i mujaheddin contro l’Armata Rossa. La differenza sta nell’identikit dei volontari: appartengono alla seconda generazione di immigrati, integrata nei Paesi di nascita ma portatrice di un odio estremo contro gli «infedeli».
Ciò significa che Al Baghdadi ha quel serbatoio di reclute, europee e qualificate, che Bin Laden sognava di possedere, per poter sfidare dal di dentro l’Occidente e puntare a «conquistare Roma».


Nemici divisi

In Medio Oriente gli equilibri di forza nascono dalla natura degli avversari. E i nemici dello Stato Islamico sono divisi. Nella coalizione anti-Isis vi sono due cabine di regìa: a Teheran, capofila del fronte filo-Assad sostenuto da Mosca che può contare sulle milizie libanesi di Hezbollah e sciiti iracheni; a Washington, capo di una coalizione di oltre sessanta nazioni non concordi su cosa fare contro il Califfo in Siria e Iraq. La babele è indebolita dall’assenza di credibili forze di terra capaci di riconquistare i territori del Califfato. Nell’anno che entra l’Iraq ha fatto sapere che lancerà una massiccia offensiva contro il Califfato, probabilmente verso Mosul: l’esito consentirà di saggiare la tenuta delle difese.
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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 10:58 am

Silvana De Mari – Nel giorno di San Valentino il mio ricordo di un ragazzo ebreo che per amore finì torturato, mutilato, sgozzato da una banda di islamici a Parigi

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... alimi-.jpg

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 9435687980

Gentilissima Signora Halimi, oggi è San Valentino e come ogni giorno di San Valentino io penso a suo figlio, e penso a lei. Tutti gli anni a San Valentino penso a lui, Ilan Halimi, ragazzo ebreo francese ucciso il 13 febbraio 2009, dopo essere stato torturato in maniera atroce per 24 giorni da una banda di islamici autodefinitasi con orgoglio la “Banda dei Barbari”, torturato per 24 giorni in un condominio di 11 piani dove tutti hanno finto di non sentire le sue urla. Ci penso il giorno di San Valentino, il giorno successivo a quello della sua morte, perché è una festa un po’ ingenua, che, però, ai ragazzi piace e lui era un ragazzo. Oltretutto nella trappola maledetta è stato attirato da una ragazza, dal sogno di una storia. Ogni anno a San Valentino penso a lui e penso lei, sua madre. Io la porto nel cuore signora Halimi, a suo figlio ho dedicato un libro, che ha un titolo tremendo, La realtà dell’orco.

Per coloro che non conoscono questa storia, i media non ne hanno parlato molto, e quelli francesi ancora meno dei nostri, riporto l’articolo pubblicato sul FOGLIO del 03/07/2010, con il titolo "Auschwitz a Parigi", di Alessandro Schwed, che racconta l'assassinio di Ilan Halimi, dopo l'uscita in italiano del libro "24 giorni, la verità sulla morte di Ilan Halimi".


Finalmente esce in Italia per Salomone Belforte, antica casa editrice ebraica, il libro che racconta uno dei più atroci casi del presente antisemita: “24 giorni, la verità sulla morte di Ilan Halimi”. Quasi un diario postumo del rapimento, narrato dalla madre di Ilan, Ruth, ebraica mater dolorosa, la cui voce è rielaborata con discrezione da Emilie Freche. Ne esce un racconto in prima persona del rapimento del figlio, della sua disumana prigionia, della ferocia delle trattative. 20 gennaio, 13 febbraio 2006: ventiquattro giorni in cui Ilan “vive” nell’appartamento-mattatoio di un gruppo di orchi metropolitani che battono bandiera nazi-islamica, che leggono documenti di Hamas, sono in cerca di soldi facili e facile sangue juive. Intorno, una Francia inerte e complicemente sorda. E allora, c’è Ilan, sefardita parigino di ventitré anni, la famiglia di origine marocchina e di modesta condizione. Vivono in tre stanze di un quartiere popolare misto dell’est parigino. Lui fa il commesso in un negozio di telefonia della banlieue, sul boulevard Magenta. La banda di rapitori lo individua come ebreo, dunque un ricco da sequestrare. Lo sceglie dopo un tentativo analogo e a vuoto con un altro ebreo, dunque ricco e da sequestrare anche lui, che fa il commesso nello stesso negozio. Scatta il sequestro. Una bella ragazza bruna travestita da cliente entra nel negozio e prende al laccio Ilan. Ne scaturisce un appuntamento. Si incontrano di sera, a un bar. La ragazza dice di andare da lei per un ultimo bicchiere. Lasciano la macchina vicino alla facoltà Jean Monnet, a Sceaux. Camminano nel parco dell’edificio universitario. Si saprà che a un certo punto lei pronuncia la parola “chiave” e dai cespugli sbucano tipi col passamontagna, e saltano addosso a Halimi. Il sequestro ha inizio.

Sono ventiquattro giorni di inutili trattative. La famiglia è povera, la polizia contraria a trattare e convinta di intrappolare i rapitori. Il ragazzo intanto è in manette, la bocca incerottata. Poi nudo, con profondi tagli di coltello sul volto, nutrito con una cannuccia; fotografato simulando una violenza col manico di una scopa, in modo da terrorizzare la famiglia. Da ultimo, il capo-banda Fofana lo mette in un sacco e lo porta in un bosco. Qui lo accoltella ripetutamente, recide la carotide, inonda il suo corpo con una tanica di benzina, lo dà alle fiamme. Pare che Ilan avesse gli occhi scoperti e lo fissasse. Il corpo testardamente in vita viene lasciato lungo dei binari.

Prima di questo, una distrazione di ventiquattro giorni: la sordità del grande condominio dove si trova la prigione di Ilan, l’apatia della polizia, l’incomprensibile negazione dell’evidenza da parte della procura, la smisurata assenza della classe politica. Da ultimo, la cronaca al silenziatore dei media, che raccontano la morte di Ilan come un normale episodio di cronaca nera, alla stregua di un pieno di benzina, finito invece che in una macchina sopra il corpo di un ebreo marocchino. Cose di tutti i giorni in una megalopoli – e ognuno e tutti, lo Stato e i media, tesi a smorzare lo sputtanante orrore nel cuore del paese. I rapitori sono la cosiddetta Banda dei Barbari, originari della Costa d’Avorio. Vestono trendy, da rapper, come in un fumetto iperrealista.

Al processo, conclusosi con l’ergastolo al capobanda Youssouf Fofana, l’omicida entra in aula urlando che Allah vincerà. Alla domanda di prammatica di quando e dove lui sia nato, l’imputato risponde ieratico di essere nato nel giorno e nel luogo dell’omicidio: “Il 13 febbraio 2006, a Sainte- Geneviève-des-Bois”. Se da una parte il rapimento di Ilan traccia il profilo di un antisemitismo tribale per cui gli ebrei sono Israele e Israele gli ebrei, e tutti gli ebrei da abbattere, dall’altra il sequestro di Halimi avviene in una inquietante assenza del potere politico e mediatico, paurosamente girato da un’altra parte, mentre gli ebrei lasciano la Francia. I “pacifisti” negano che tale fenomeno sia in atto, dicono che è una menzogna lanciata da Ariel Sharon e da lui ritirata (ti pareva non fosse colpa sua anche questo). Ma se uno si legge il libro e come si sviluppi la continuata assenza di indagini vere sul rapimento di Ilan, il clima corrisponde esattamente a una situazione dove esistono due giungle sovrapposte, in mezzo alle quali vivono, credo con una certa apprensione, gli ebrei francesi: da una parte una giungla antisemita con aggressioni islamiste a chi porta la kippà, poi le sinagoghe imbrattate e talora incendiate, i cimiteri violati; dall’altra la giungla di uno Stato semigirato da un’altra parte, sospettabile di reticenze e manipolazioni.

Andiamo al punto, il caso raccontato nel libro su Ilan. Intanto, nel corso di quel rapimento i criminali – già denunciati per tentati sequestri di altri cinque ebrei e niente affatto indagati quanto al rapimento di Halimi, passeggiano spudoratamente impuniti nel quartiere dove tengono il prigioniero; secondo, appena emerge che Ilan è ebreo, ma ci vogliono tre giorni, il comandante della polizia minimizza il possibile movente antisemita con l’umile famiglia nordafricana, masticata da un razzismo al cubo, sia tribale che educatamente locale. E da questo inizio, vediamo la solitudine ebraica di una famiglia ebraica di origine marocchina – fragilità nella fragilità. Tra gli psicologi della polizia, i commissari, i magistrati, nessuno fa alcunché. E’ sciopero generale contro gli umili. E dunque, che gli Hilami siano ebrei, è giudicato ininfluente. Nella vantata società multietnica francese, gli ebrei sono ombre, gli ebrei marocchini, ombre di ombre. Esagerazione?

Vediamo l’indagine, dettagliatamente descritta dal libro: la polizia sa che poco tempo prima i rapitori di Ilan hanno tentato, a Parigi, non in Alaska, analoghi sequestri di medici ebrei, adescati anche loro da donne che conducevano le vittime dai rapitori – l’indizio, macroscopico, è ignorato come se negli archivi non esistesse una memoria delle indagini, i nomi dei criminali. Eppure, a suo tempo, la polizia ha schedato i criminali, esistono foto segnaletiche, c’è una denuncia nei loro confronti, la magistratura li indaga. Non basta: a causa dei tentati sequestri ebraici precedenti, dicasi ebraici, i rapitori di Ilan sono stati recentemente ospiti nelle celle dei commissariati dove la loro detenzione non è ricordata, e infatti non si sa a cosa servano gli schedari. Non basta ancora: quando ha inizio il rapimento di Halimi e vengono disegnati gli identikit, prima quello della donna adescatrice, poi del messaggero che invia tutte le sgrammaticate email sempre dai numerosi internet bar del quartiere (la prima, sadicamente firmata col cognome sacerdotale di Cohen), gli identikit non sono mai trasmessi ai commissariati locali; né avviene un riscontro sulle liste- viaggiatori delle compagnie aeree che operano tra Parigi e la Costa d’Avorio, da cui provengono le chiamate del capo-banda su un cellulare “pubblico” di uso comune in quel paese. Sarebbe bastato, penserà la madre di Ilan nel doloroso dopo, vagliare le liste dei viaggiatori e il cognome di Youssouf sarebbe emerso: piccolo criminale, accento africano, vive a due passi, è schedato. Questo sarebbe bastato, pensa Ruth, e adesso suo figlio sarebbe vivo. Invece, mentre le trattative si prolungano goffamente inutili, allo scopo mai raggiunto di intrappolare i rapitori, per venti giorni Ilan è nel mattatoio con il corpo a disposizione degli orchi. Fa freddo, e viene tenuto nudo. E’ stato totalmente rasato – cioè privato di identità. Gli occhi e la bocca sono incerottati. E’ coperto di tagli, inciso come i cadaveri alla facoltà di medicina, solo che è vivo. Nel grande condominio di Parigi, i rapitori sono a proprio agio. Grazie a un accordo col portiere in cambio di qualche migliaio di euro, sono installati in un appartamento vuoto. Qui, di giorno e di notte, “in mezzo” a centinaia di inquilini, Ilan viene sfregiato, gli spezzano le dita. E sulle scale, in ascensore, nessuno sente. Più tardi si verrà a sapere che le grida erano altissime. Intanto, probabilmente, la funzione reale della polizia non è trovare Ilan, ma insonorizzare l’accaduto e gestire la semplicità di una povera famiglia marocchina. Lungo le tre settimane, i due psicologi della polizia messi per fini pedagogici alle spalle del padre di Ilan – sempre al telefono coi rapitori – dirigono la trattativa come un ventriloquo che dia la voce a un pupazzo. Il solo fine, gli ripetono robotici, è che i sequestratori riconoscano chi è il più forte, e lui, ammaestrano, è chiaramente il più forte. E ciò, sino a smarrire la sola esigenza della famiglia – che il ragazzo rimanga vivo. Infatti, morirà. E grazie al protrarsi della trattativa a vuoto, morirà in una lunga macellazione progressiva.

???Quanto alla matrice “ideologica” del sequestro non è antisemita, spiega il procuratore della Repubblica ai familiari di Ilan, in una demenziale lezione a degli ebrei su cosa sia l’antisemitismo – i cui familiari nel frattempo non solo ricevono dai rapitori decine di email antisemite, ma sentono al telefono le urla di Ilan a cui viene bruciata la pelle, mentre una voce recita versi del Corano. I rapitori, spiega kafkianamente il funzionario, non possono essere antisemiti dato che “si trovano al grado zero del pensiero”.???

Questo leggiamo, domandandoci se allora i nazisti non si siano resi conto di che stessero facendo perché leggevano troppo. Eppure, è così: nella città dove il popolo ha assaltato la Bastiglia in nome di una società più giusta, regna il fallimento della Storia. Tutto questo ci parla. E’ come se l’uscita italiana del libro, nella sorvegliata traduzione di Barbara Mella, Elena Lattes e Marcello Hassan, sia reclamata dall’urgenza della cronaca antisemita dopo il boicottaggio delle Coop, dopo l’incidente della flottiglia e la successiva perdurante aggressione antiebraica di media e “pacifisti”, che ristagna nei social forum della rete, al grido di “voi ebrei”, “genocidi” e, naturalmente, “nazisti”.
In realtà, oltre alla realtà delle indagini a vuoto della polizia, alle trattative a vuoto coi rapitori, oltre a Ilan, ostaggio dei criminali, oltre ai suoi cari, anche loro come ostaggi ma della polizia – la quale non indaga, non vuole che si tratti e ha la pretesa di far fallire la trattativa – oltre dicevo a questa desolazione, si vede il pericolo di essere ebrei in una città francese che potrebbe essere olandese o tedesca: con gli ebrei attaccati perché girano con la kippà, le sinagoghe imbrattate, e talora date alle fiamme, i loro cimiteri profanati. E se qualcuno pensasse che siamo di fronte a un crimine antisemita – osserva Bernard- Henri Lévy in un suo veemente articolo apparso sul Corriere della Sera nel luglio 2009, poco prima della sentenza (articolo posto in apertura del libro) – questo qualcuno bada solo a togliersi l’idea dell’antisemitismo da davanti agli occhi.
Eppure, come nel corso di una guerra invisibile di cui si sente il rombo, tali possono essere le condizioni ebraiche nell’Europa multietnica. Giulio Meotti del Foglio scrive nella sua nitida introduzione che Ilan Halimi fu prigioniero in un campo di concentramento fatto in casa. E nelle prime pagine, Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, ricorda un episodio di qualche anno fa, quando il ghetto di Roma fu messo sotto assedio da una manifestazione filo-palestinese in cui dei manifestanti si erano camuffati da “martiri”, con finte cinture di esplosivo. “… Cordoni di polizia erano schierati a difesa degli ebrei (…) il valore simbolico dell’assedio a quelle stesse case che avevano conosciuto l’infamia del rastrellamento e della deportazione del 16 ottobre del ’43, passò quasi inosservato. Quella volta, confesso, un po’ mi vergognai di essere italiano”.
Di questo, parla “24 giorni”: della saldatura strisciante tra l’Occidente e la società multietnica, contra iudeos: alleanza tra islamismo e media, islamismo e un quartiere, tra un mondo che elettoralmente pesa e la polizia, il governo, le istituzioni. Halimi non è stato semplicemente sacrificato da una banda naziislamica, nel cuore del XIX arrondissement: è morto in piena Francia, senza che nessuno ci facesse caso. Quanto ai media, a una certa omertà sociale verso l’islamismo, ci viene in soccorso un suggerimento su Facebook di Vanni Frediani da Israele, che rielaboriamo così: la casta culturale e politica che per anni ha utilizzato l’esistenza dell’Urss come contrappeso generale alla visione americana oggi ha intimamente sostituito l’Urss con l’Iran. Tale è la vertigine del mondo alla rovescia. Tuttavia non basta. Il libro scoperchia la verità quando i rapitori interpellano un rabbino perché trovi i 450.000 euro del riscatto con l’aiuto della comunità ebraica. Allora, il rabbino racconta, senza fare i nomi, un analogo caso di sequestro ebraico, risolto in modo incruento, probabilmente grazie all’esborso del riscatto. E la verità esplode come una polveriera con la semplice domanda su quante volte sia accaduto in modo sommerso e impaurito ad altri ebrei francesi di vivere pressioni, ricatti, oltraggi mai confessati o venuti a galla, nella Francia degli ultimi anni – la Francia, dico, la nazione da cui gli ebrei stanno andandosene nel silenzio d’Europa – dove molti dicono che non è vero, gli ebrei francesi stanno benissimo. Quando giunge l’ora tremenda di Ilan Halimi, la madre, Ruth della Francia ebraica, si sveglia nella notte con un soprassalto. Il cuore le tambureggia la verità: il suo agnello è stato sacrificato. Fuori, il silenzio della megalopoli è un potere occulto. Quando la banda abbandona il covo perché arrivano i veri inquilini, e a notte fonda deve traslocare a qualche centinaio di metri, e per le strade si snoda una placida processione che in un sacco reca in spalla il corpo tagliuzzato di Ilan – Parigi dorme. Il branco passeggia per la periferia deserta, Ilan viaggia gettato in spalla al capo degli orchi. Sono le quattro del mattino, e dalle finestre, dagli incroci, da una macchina che sarà pure passata, nessuno vede niente. Così come nessuno vedeva che dalle ciminiere di Auschwitz uscisse cenere o sentiva come l’aria fosse satura di quell’odore. L’ignoranza dei fatti non venne esibita durante il nazismo, ma dopo. Quando tutti sentimmo dire: non sapevo. Era la solita distrazione.
E dato che per Ruth i ventiquattro giorni del rapimento dureranno tutta la vita, vorremmo farle un poco compagnia. E con lei riconsiderare i fatti attraverso quelle sue domande sempre più stanche e senza risposta; e come lei ha dovuto aspettare il momento fatale, quasi passivamente, in taluni momenti anche a noi sembra che siamo qui ad aspettare una sconosciuta ora nefasta. “24 giorni, la morte di Ilan Halimi” è un libro-bomba a orologeria, leggiamo e intanto il contenuto sta per scoppiare. Tuttavia. La mattina del 13 febbraio 2006, a scorgere il corpo di Ilan che rantola lungo la ferrovia dove è gettato come una lattina vuota, è una donna francese di colore che si ferma mentre sta andando in macchina a lavorare. Telefona alla polizia, sta con Ilan che in un certo senso è vivo. Gli tiene compagnia sino all’arrivo dei soccorsi. Nel mondo non c’è solo odio.

L’articolo è lungo, ma vi prego leggetelo. Lo dobbiamo a questo ragazzo, lo dobbiamo a sua madre, e lo dobbiamo a noi, che non siamo Eurabia e non lo diventeremo. La folle storia di Ilan Halimi non è un crimine islamico, è un crimine eurabico, un crimine di Eurabia. Il non trovarlo è stato un crimine, il non cercarlo nemmeno è stato un crimine, il non mostrare le foto del suo corpo torturato fatte dagli stessi torturatori, il non compiangerlo, il non ricordarlo, il non andare tutti al suo funerale, tutti, gente comune e capi di stato.

Je suis Ilan Halimi.

Le mie condoglianze signora. Sto pregando per suo figlio e per lei. È tutto quello che posso fare, ma questo lo posso fare e per nulla al mondo rinuncerei a farlo. Sto pregando perché gli orchi si fermino e che gli uomini d'onore risorgano e ritrovino il coraggio.

Je suis Ilan Halimi.
Je ne suis pas Eurabia.
Io non sono Eurabia, e non lo sarò mai.

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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 12:05 pm

La via egiziana per sconfiggere i terroristi islamici: far prevalere l’identità laica dello Stato e lo spirito nazionalista

Giancarlo Matta

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 6722454918


I Copti sono alleati preziosi di “contro-jihad” in quanto autentici egiziani autoctoni, pertanto legittimi discendenti delle antiche dinastie faraoniche e sperimentatori , vittime e testimoni della oppressione islamista gravante sulla loro terra dalla metà del VII Secolo.

Attualmente in Egitto vivono circa settanta milioni di musulmani e dodici milioni di cristiani (Copti). Questi ultimi non hanno vita facile nel loro Paese.

Oggi si delinea forse una nuova figura di Capo egiziano il quale, lungi dal perseguire le ambizioni tiranniche e barbare dell’islam, “gli allori ne sfronda e alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue” … È un patriota ?
Devo alla attenzione del presidente e portavoce della folta e ottimamente integrata Comunità Copta torinese, Sherif Azer, se quanto detto dal Presidente egiziano in carica, Abdel Fattah al-Sisi il ventotto dicembre dello scorso anno presso la Università cairota di Al-Azhar (discorso che ha destato in Occidente e in Italia ben poca attenzione) ci giunge (ben tradotto da S. Azer) nel suo senso sostanziale :

“Dovremmo forse uccidere sette miliardi persone? L'islam non può odiare tutti…”
“Siamo al punto che questa ideologia è divenuta ostile al mondo intero. Come è possibile che la religione islamica sia percepita come fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione dal resto del mondo? L’islam ha bisogno di una rivoluzione per estirpare il Jihad (...).”





https://www.facebook.com/MagdiCristianoAllam?fref=ts

Buongiorno amici! Copenaghen come Parigi.

È stato presumibilmente un singolo terrorista islamico a compiere tre attentati nella capitale danese, il primo a un caffè, il secondo a una sinagoga e il terzo a una stazione ferroviaria, uccidendo complessivamente 2 civili e ferendo 5 poliziotti prima di essere ucciso questa mattina.

La polizia di Copenhagen ha reso noto di aver ucciso questa mattina a colpi di pistola un uomo che aveva sparato agli agenti vicino a una stazione ferroviaria, nella notte fra sabato e domenica. L'uomo, ha reso noto la polizia, è presumibilmente l'autore dei due attentati contro una conferenza sulla libertà d'espressione e contro una sinagoga.

Nel primo attentato al Caffè Leudttoenden, dove era in corso un dibattito sulla libertà d'espressione in segno di solidarietà al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, il terrorista islamico ha sparato non meno di trenta proiettili da un'arma semi-automatica uccidendo un civile e ferendo tre poliziotti. Nel caffè erano presenti il vignettista svedese Lars Vilks, uno degli autori delle cosiddette "vignette blasfeme" su Maometto pubblicate nel settembre del 2005 dal quotidiano danese Jylland-Posten, che ritrae Maometto nelle sembianze di un cane, minacciato di morte più volte e scampato ad un primo attentato, e l’ambasciatore di Francia, Francois Zimeray. Entrambi sono illesi.

Nel secondo attentato davanti alla sinagoga, il terrorista islamico ha ucciso un passante sparandogli alla testa e ha ferito altri due poliziotti.

Nel terzo attentato alla stazione ferroviaria l'obiettivo erano i poliziotti, ma è stato il terrorista islamico ad essere eliminato.

Come a Parigi, tra il 7 e il 9 gennaio scorso, abbiamo assistito a una vera e propria azione di guerra con una tecnica militare. Come a Parigi gli attentati hanno colpito tre simboli: la libertà d'espressione, la polizia che incarna lo Stato laico, gli ebrei che sono nemici a prescindere. Come a Parigi il terrorista islamico di Copenaghen era votato al "martirio", ha continuato a sparare e a uccidere fino a quando non si è fatto uccidere, nella convinzione che questo "martirio" gli spalancherà le porte del paradiso islamico. Come a Parigi gli attentati terroristici islamici vengono perpetrati da micro-cellule, anche di un solo terrorista, che rendono impossibile la prevenzione è pressoché inefficiente la repressione. È una guerra asimmetrica e subdola. Una guerra di logoramento che ci trova impreparati. Svegliamoci!





Lexendo el Coran, wardando i fati de ła storia da co xe scuminsià l'Ixlam co Maometo e de coel ke capita ancó no se pol no vedar e no recognasar ke ła rełijon xlamega ła stà en pie e ła se pol spàrxar lomè ke co ła viołensa, stermegnando tuti coełi de łe altre fedi, łi miscredenti, łi apostati e łi atei ... par farla curta tuta l'omanedà ke no ła xe xlamega.
Sensa viołensa ła rełijon xlamega no ła garia podesto sparsarse e far proxełeti parké el so enpianto rełijoxo nol pol star al confronto co coeło de tute staltre rełijon: ebraixmo, crestianixmo, endoixmo, budixmo evc. parfina el paganixmo animista lè mejo de l'ixlam.
Xe par sta raxon ke l'ixlam lè violensa e teror puro, lè puro oror enfernal.
Le robe bone par l'omanedà no łe ga cogno de esar enposte co ła viołensa, coełe cative anvençe łe ga cogno del teror.
Col mal no se pol far del ben e el ben nol pol vegner dal mal.
Ixlam vol dir sotansa a Dio, sotansa a on Dio del teror a on Dio terorista, xe prasiò ke l'Ixlam lè teror e oror, dexomanixasion e desfamento de l'omanedà, on virus mortal: andove ke riva l'Ixlam sparise ła variansa rełijoxa, sparise łi ebrei, sparise i cristiani, sparise l'induisti i budisti, łi shintoisti, sparise i pagani animisti, sparise łi atei, sparise tuta ła bona spertoałetà omana ... e a ła longa sparise łi omani e l'omanedà entiera, l'Ixlam no lè rełijon de vida ma lè rełijon de morte.



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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » lun feb 16, 2015 6:50 pm

Copti uccisi in Libia, Papa Francesco: “Assassinati solo perché cristiani”

Papa Francesco ha espresso la sua “tristezza”, parlando a braccio e in spagnolo, nel corso di un'udienza ad alcuni rappresentanti della Chiesa di Scozia, per l'uccisione di una ventina di copti egiziani da parte degli jihadisti dello Stato islamico.

Cristiani portà a morir xgosà
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http://www.ilgiornale.it/video/mondo/li ... ok+Interna

16/02/2015

http://www.fanpage.it/copti-uccisi-in-l ... -cristiani


Papa Francesco

I copti uccisi in Libia dall'Isis “sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani”.


Con queste parole Papa Francesco ha commentato l’ennesimo orrore compiuto dallo Stato Islamico e mostrato in un video nel quale anche l’Italia viene minacciata. Il Pontefice ha espresso il suo dolore per quanto accaduto in Libia parlando a braccio, in spagnolo, alla delegazione guidata dal reverendo John P. Chalmers, moderatore della Chiesa di Scozia, in risposta al discorso di saluto nel quale il pastore aveva fatto “riferimento a quello che succede nella terra di Gesù”. “Il sangue dei nostri fratelli cristiani è testimonianza di fede” – ha detto Papa Bergoglio – e “se cattolico, ortodosso, copto, luterano non interessa” ai persecutori, che guardano solo al fatto che “sono cristiani” perché “il sangue è lo stesso, sangue nel nome di Cristo”. “Ricordando questi fratelli morti per il solo fatto di confessare Cristo – ha aggiunto ancora Papa Francesco al moderatore della Chiesa Riformata di Scozia – andiamo avanti con l'ecumenismo, testimoniato dall'ecumenismo del sangue.
I martiri sono di tutti i cristiani”.

“La fede e la testimonianza cristiana – Papa Francesco ha detto ancora nel suo discorso – si trovano di fronte a sfide tali, che soltanto unendo i nostri sforzi potremo rendere un efficace servizio alla famiglia umana e permettere alla luce di Cristo di raggiungere ogni angolo buio del nostro cuore e del nostro mondo. Possa il cammino di riconciliazione e di pace tra le nostre comunità avvicinarci sempre di più gli uni agli altri, così che, mossi dallo Spirito Santo, possiamo portare a tutti la vita e portarla in abbondanza”. Alla fine Bergoglio ha invitato a pregare e “a camminare insieme nella via della saggezza, della benevolenza, della fortezza e della pace”.

Anche su Twitter, questa mattina, il Papa ha lanciato un messaggio: Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre.


L’ISIS spiegato in 12 punti
Da dove viene l'ISIS, perché pubblica video così violenti e che cosa vuole: una breve guida per chi si è perso in una delle storie più importanti degli ultimi mesi, dalla Siria alla Libia


http://www.ilpost.it/2015/02/16/isis-stato-islamico



L’ISIS, cioè l’organizzazione terroristica nota come “Stato Islamico” (e per questo chiamato anche IS, acronimo di “Islamic State”), continua a essere da mesi uno dei temi più discussi dai media e dai governi internazionali. Negli ultimi giorni le notizie della sua espansione, tramite gruppi di miliziani affiliati all’ISIS, in Libia e la pubblicazione di un video in cui 21 prigionieri egiziani vengono decapitati ha portato a nuove e ulteriori preoccupazioni sulle capacità e le potenzialità del gruppo islamista. Abbiamo aggiornato le 12 domande e altrettante risposte da cui partire per chiarire e capire cose in più dell’ISIS, e per non occuparsene solo con l’indignazione di chi ha visto un video terribile di 21 prigionieri uccisi sgozzati o di una persona bruciata viva in una gabbia.

1. Quando è nato?
Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) – il nome del gruppo prima che decidesse di chiamarsi “Stato Islamico” (IS o ISIS) – è nato nell’aprile del 2013. Prima si chiamava al Qaida in Iraq (AQI), nome che indicava due cose: la sua alleanza con al Qaida e il fatto che agisse solo in Iraq.

2. Da dove arriva l’ISIS?
Nei primi anni Duemila era la divisione irachena di al Qaida. Abu Musab al-Zarqawi, fondatore del gruppo, voleva creare un califfato provocando una guerra civile in Iraq. Lo Stato Islamico ha cominciato a combattere anche in Siria nell’aprile del 2013: oggi è il più forte avversario del regime di Assad.

3. Chi è il capo?
Si chiama Abu Bakr al Baghdadi, è nato nel 1971 nella città irachena di Samarra. Negli anni Duemila ha combattuto i soldati americani in Iraq: è diventato capo dell’ISIS alla morte del suo predecessore, Abu Omar al Baghdadi, nell’aprile del 2010.

4. Perché viene chiamato con tanti acronomi diversi?
L’acronimo IS (che viene da “Islamic State”, “Stato Islamico”) è dovuto al fatto che il gruppo si fa chiamare così dal giugno 2014, quando ha proclamato il Califfato. Il governo americano usa ISIL (“Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, dove Levante è un’ampia regione che va dalla Turchia all’Egitto), perché ritiene che usando IS si dia legittimità al Califfato. Altre testate internazionali usano ISIS (“Stato Islamico dell’Iraq e della Siria”), che è praticamente uguale a ISIL (il nome arabo di Levante è al-Sham, da qui l’equivalenza nell’usare ISIS e ISIL). Ogni tanto si sente anche Daesh, l’acronimo arabo di ISIS.

5. Da quanti miliziani è formato l’ISIS?
Non si sa il numero con precisione, ma potrebbero essere tra i 15mila e i 30mila. Il governo americano ha detto che dall’inizio degli attacchi aerei sono stati uccisi 6mila miliziani. L’intelligence dice che circa 4mila stranieri si sono uniti all’IS da settembre. Sembra che l’ISIS in Libia sia formato invece da libici tornati dalla guerra in Siria: secondo alcuni conta circa un migliaio di miliziani. Semplificando: il numero dei combattenti nel complesso non sta diminuendo.

6. Dove opera?
Lo Stato Islamico controlla circa metà della Siria (mappa) e un terzo dell’Iraq (mappa). Altri territori risultano occupati in Libia, da miliziani che dicono di essere affiliati all’ISIS. I confini del Califfato sono flessibili, a seconda delle vittorie e delle sconfitte militari. Ci sono anche delle “province”, o gruppi affiliati: nel Sinai, in Algeria, in Libia, in Arabia Saudita e in Yemen.

7. Cosa vuole ottenere l’ISIS?
Un Califfato Islamico che venga governato sulla base di un’interpretazione molto rigida della sharia. L’ISIS non ha l’interesse prioritario a fare attentati in Occidente, a meno che questo sia funzionale ad alzare il livello dello scontro e reclutare nuovi miliziani.

8. Cosa c’entra col resto del terrorismo jihadista?
È nato come divisione di al Qaida in Iraq. Quando ha cominciato a combattere in Siria, l’ISIS si è alleato con il Fronte al Nusra, divisione siriana di al Qaida. Poi si è divisa del tutto da al Qaida, e i due gruppi sono diventati nemici: oggi competono per la supremazia nel mondo jihadista.

9. Perché le azioni dei suoi miliziani sono così brutali?
Il clima di contrapposizione totale con i nemici rende possibili alleanze con alcuni gruppi sunniti iracheni (contro gli sciiti per esempio) ed è funzionale alla creazione di un Califfato che, come lo immaginava Zarqawi, dovrebbe portare alla purificazione del mondo musulmano». Inoltre la guerra totale dell’ISIS è fatta per “superare a destra” al Qaida, principale avversario nel mondo jihadista.

10. Ha degli amici?
Nessuno stato al mondo si è finora alleato con l’ISIS: i suoi benefattori sono privati cittadini, soprattutto da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, che per diverso tempo hanno sostenuto i gruppi che combattevano contro Assad, tra cui proprio lo Stato Islamico.

11. Come si mantiene?
Con un vasto sistema di tasse ed estorsioni, con la vendita di petrolio estratto soprattutto nella Siria orientale e in misura minore con i riscatti e le donazioni di privati. Buona parte dei traffici illeciti dell’ISIS avviene attraverso il confine con la Turchia. E no: non ci sono gli Stati Uniti dietro all’ISIS.

12. Sta vincendo?
L’ISIS ha subito di recente delle sconfitte militari importanti, per esempio a Kobane e nella provincia orientale irachena di Diyala. Il suo modello di stato sembra essere entrato in crisi. Non sembra però che i suoi nemici abbiano trovato una strategia per sconfiggerlo, né in Siria né in Iraq, mentre in Libia la situazione è ancora piuttosto incerta. Quindi no, non sta vincendo. Ma è difficile pensare che possa perdere nel breve periodo.
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Re: Ixlam (e creistianfobia)

Messaggioda Berto » mar mar 10, 2015 8:09 am

Storia di Mohammad
La scuola dell'odio: piccoli martiri crescono all'ombra delle Madrasse
di Antonio Evangelista - 30 Agosto 2011

http://www.loccidentale.it/node/109237

La prima madrassa fu fondata a Bagdad nell'VIII secolo, quando in Europa quasi nessuno sapeva più leggere e scrivere (??? ke ensemense), era una scuola di insegnamento superiore in cui si parlava di matematica, filosofia e medicina e che dava anche vitto e alloggio agli studenti. Per le famiglie povere delle campagne le «madrasse» oggi rappresentano pasti sicuri per i figli e l’unica possibilità di educazione. Per i mullah esse sono la base del loro potere e i centri di reclutamento della jihad; spesso e volentieri vi si insegna il fanatismo e l’odio per i paesi musulmani non integralisti e per l’Occidente.

In queste scuole crescono quei bambini e quei giovani ripresi piú volte dai media mentre recitano insieme il Corano cantilenando e dondolandosi. Basta uno di loro, con una cintura imbottita di esplosivo, un’età da tempeste ormonali e una testa vuota, che chiunque può riempire, per credere all’incredibile, ma non tutti rispondono alle aspettative dei cattivi maestri, come nel caso di Giorgio Castriota Scanderbeg rapito e plagiato dagli ottomani nel quindicesimo secolo, che diventò il peggior nemico dei musulmani d’oriente o, per venire ad oggi, come nel caso di un adolescente afghano bloccato appena in tempo, prima di farsi esplodere e incarcerato a Khost in Afghanistan, dove passa le giornate osservandosi le mani.

Mani che Mohammed, 15 anni, bambino cresciuto in un corpo d’adulto, doveva utilizzare per farsi saltare a fianco del governatore di Khost. Detenuto nella prigione di Khost, Mohammed indossa una shalwar kameez, l’abito tradizionale pakistano. Il percorso che l’ha condotto in prigione è semplice e tremendo. Originario del Nord-Waziristan, Mohammed è cresciuto in una famiglia pashtun abbastanza agiata, con i suoi cinque fratelli e le sue due sorelle. Dapprima ha frequentato la scuola pubblica, come tutti i ragazzi del villaggio. Il padre insegna a Makin, capitale del Nord-Waziristan. L’idea di diventare un terrorista suicida non aveva mai sfiorato la sua mente, ma la visita nella sua scuola di un mullah venuto a cercare nuove reclute scatena in lui la voglia di conquistarsi il suo paradiso. Il mullah propone ai ragazzi di andare a studiare nella sua madrassa, la scuola coranica e gli dice che, per questo, Allah li amerà.

Rafiqullah è stato scelto insieme a due altri giovani da un certo Malati Amidullah. Dopo un passaggio rapido in questa scuola religiosa, Mohammed è inviato in un centro per la preparazione al suicidio. Per tre mesi gli insegnano a indossare un gilet esplosivo, a maneggiarlo, a stabilire il momento propizio per farsi saltare. L’uomo mostra loro dei film di propaganda e li incita a commettere attentati assicurando loro che gli afghani non sono buoni musulmani. I tre ragazzi hanno imparato a guidare moto e macchine, utilizzare armi e poi Rafiqullah è stato spedito in Afghanistan. Il mullah Hamidullah, gli assicura il paradiso e gli racconta della malvagità delle persone che avrebbero ucciso. Mohammed e i suoi compagni, si addormentavano pensando al paradiso. Dopo tre mesi il «ragazzo bomba» è pronto.

Mohammed traversa a piedi la frontiera afghanopakistana che le tribú pashtun, a cavallo dei due Paesi, non riconoscono. Cammina sette ore per andare, dal suo villaggio nel Waziristan, nel villaggio afghano di Khost. Quando Mohammed arriva a Khost, trova il suo «amico». Questo gli consegna una giacca bomba e quando Rafiqullah mostra di avere paura, gli punta l’arma contro minacciando di ucciderlo. All’indomani, dovrà assassinare il governatore di Khost. Riceverà una telefonata nel momento in cui questo uscirà dal suo ufficio. Dovrà farsi esplodere al suo fianco; gli avevano spiegato che era una persona malvagia, che non era un buon musulmano e che viveva come gli americani. Gli avevano detto di ucciderlo.

Il ragazzo, impaurito, si è consegnato alle forze dell’ordine e il presidente Garzai stesso ha ordinato di rilasciarlo, regalandogli anche 2.000 dollari. La polizia afghana irromperà nella casa dove alloggiano i giovani per arrestarli. Giovani senza paura perché non sapevano neanche a cosa somigliasse un’esplosione, non ne avevano mai viste. Ora Mohammed non vuole piú uccidere, vuole solo una vita normale. Molti bambini vengono inviati nelle madrasse perché non hanno i mezzi economici per andare a scuola. Queste, lontane dai villaggi, accolgono i bambini e lí inizia il lavaggio del cervello. Molti vengono separati dal gruppo; segue lo studio accanito del Corano, corredato da proiezioni di filmati fabbricati appositamente, che mostrano soldati americani che fanno i bisogni sul Corano e altri atti blasfemi di questo genere, filmati di violenze sulle donne musulmane fatte da finti occidentali e cosí via.

(Tratto da Antonio Evangelista, "Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa", Editori Riuniti 2009)
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