Pan, pane, panos, panis, panico, panocia, paneło

Re: Bioto - (blauts - bloss), bina e binoto

Messaggioda Sixara » gio lug 03, 2014 7:38 pm

Alberto: scancelare mesàji no pòso, podarìa modificarli. So e-venèsie a ghè naltro modo de parlar de lengoa e cultura vèneta difarente dal too ma no vòe dire èsare anca-dapò...
Se mi ghe scrivo dentro no pòe èsare anca/dapò : l'una cosa esclude l'altra. :D

Da Berto:
Sixara te pol te pol scançelàr!
No Sixara no a ghè n’altra coultura: ono kel ciàma diałeto la łengoa veneta lè on ‘gnorante e no se trata de n’altra coultura, lè mancansa de coultura;
ono kel manca de creansa nol ga naltra coultura lè gnorante e cativo e basta;
ono kel crede ke ła nostra łengoa e tante altre łe vegna dal latin lè n’ignorante e anca ente sto caxo no se trata de n’altra coultura ma de mancansa de coultura.
Dapò se te ghe mexuri “la prodousion/laor coultural” lè asè scarseta, ente łe man a te resti co poco pì de xero.
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Re: Bioto - (blauts - bloss), bina e binoto

Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 8:06 pm

A ghe anca el pan santo de le ostie eucaristike o eogaresteghe.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /ostia.jpg


Tradizioni e rituali connessi con la coltivazione dei cereali e la panificazione nel mondo celtico ed “indoeuropeo”.
http://www.bibrax.org/celti_storia/celti_pane.htm

Tradizioni e rituali connessi con la coltivazione dei cereali e la panificazione nel mondo celtico ed indoeuropeo.
Prendendo spunto da una recente ed appassionante discussione tra i soci di Bibrax si è evidenziato come spesso si associ il zoroastrismo, l’antica religione iranica, al complesso delle religioni “del deserto”, delle religioni semitiche. Errato, completamente. Gli antichi iranici erano popolazioni di ceppo indoeuropeo, ed ancora oggi sono lingue indoeuropee quelle che si parlano nella regione; quanto alla religione zoroastriana occorre ricordare che una variante di essa superficialmente cristianizzata, il manicheismo, che in età antica si diffuse nel bacino mediterraneo (ed alla quale aderì per un certo tempo anche sant’ Agostino), entrò con ogni probabilità, assieme a neoplatonismo e gnosticismo, in quella sintesi neopagana che fu rappresentata in epoca medievale dal movimento cataro o albigese. Il catarismo, mi sono spesso chiesto, fu una rinascita del paganesimo nell’Età di Mezzo, o semplicemente la riemersione di una tradizione che non si era mai spenta, poiché la maggiore libertà delle istituzioni comunali nei secoli XII e XIII aveva fatto illudere che ci si potesse svincolare dal potere ecclesiastico e feudale?

Ma il tratto che ad ogni modo differenzia maggiormente il mondo iranico e la religione di Zarathustra dalle culture semitiche e del deserto, è proprio il fatto che essa è il prodotto di una cultura di agricoltori sedentari in contrapposizione al mondo beduino dei pastori nomadi o seminomadi.

“Chi semina il grano”, proclama Zarathustra nell’Avesta, libro sacro dello zoroastrismo, “chi semina il grano edifica l’ordine”.

Nel mondo semitico non sono/furono solo gli Arabi ad essere contrassegnati da uno stile di vita beduino/pastorale/nomadico; ricordiamo che ancora in epoca tarda gli Ebrei biblici erano di sedentarizzazione talmente recente, e talmente digiuni di tecniche edilizie che re Salomone per erigere il tempio di Gerusalemme dovette avvalersi di operai, capimastri ed architetti fenici; è la bibbia a dircelo, e per questo lato non vedo motivo di mettere in discussione la parola del testo sacro oggi più diffuso in Occidente.

La stessa bibbia ci presenta la contrapposizione fra Abele pastore e Caino coltivatore, ed è chiaro con quale dei due il lettore è invitato ad identificarsi.

Al contrario, lo stile di vita sedentario e la coltivazione di un cereale ad alta resa come il grano hanno consentito che vi fossero società in cui non tutti erano impegnati nelle attività di produzione di alimenti; hanno consentito che vi fossero artigiani, artisti, guerrieri, filosofi, scrittori, uomini di stato e legislatori: essi sono la base e rimangono un po’ il simbolo delle civiltà indoeuropee.

Non dovremmo dunque davvero stupirci di trovare presso i Celti, ma non solo presso di loro, simbologie e rituali complessi, importanti per la vita della comunità, legati alla coltivazione ed alla panificazione dei cereali.

L’anno scorso, mi è capitato di segnalare nelle mie Cronache del Friuli celtico il fatto che a Trieste nel rione di Servola, rione che nella tradizione triestina era rinomato per il lavoro della panificazione – affidato abitualmente alle donne, le pancogole – è stata rimessa in vita una festa tradizionale, la Festa del pane, cadente nel mese di maggio, approssimativamente in coincidenza con la festività celtica di Beltane.

Curiosamente, una celebrazione avente per oggetto il pane ed i cereali, la festa del Bannock si trova anche nel mondo gaelico, anch’essa coincidente con il periodo di Beltane; ne parla anche Umberto Eco nel romanzo Il pendolo di Foucalt, e, cosa anch’essa assai curiosa, poco fuori Servola si trova una necropoli del periodo romano e preromano nella quale numerose inumazioni rivelano la presenza nella zona di popolazioni celtiche, venete, e la fusione di entrambe le popolazioni con la cultura romana, la necropoli di San Servolo, e il nome della località è quello dello stesso santo che ha anche dato il nome al paese e poi rione triestino.

Quest’anno (2004) la festa si celebra mercoledì 26 maggio, ed apprendo non senza sorpresa, che essa è diventata “Festa nazionale del pane” con tanto di sponsorizzazioni della Presidenza della Camera, della Presidenza del Senato, del Ministero delle Attività Produttive, anche se, in tutta onestà, non so se si celebri fuori di Trieste.

Per non stare a ripetere, e per non dover ripetere gli anni prossimi quanto ho scritto in occasione della scorsa ricorrenza nelle Cronache passate, ne ho fatto un estratto che riporto qui di seguito sotto forma di articolo indipendente.
Vorrei aggiungere solo un’ulteriore piccola considerazione: il pane è un argomento che ci potrebbe forse sembrare privo d’interesse, tanto siamo assuefatti all sua presenza sulle nostre tavole, un fatto banale, quotidiano, “pane quotidiano”, appunto; ma forse dovremmo soffermarci un po’ più spesso a riflettere sul fatto che ancora oggi per gran parte dell’umanità il “pane quotidiano” è qualcosa che non è sempre disponibile a sufficienza, ed un bene prezioso.

Dalle “Cronache moderne del Friuli celtico” n. V, estate 2003.

Quest’umanità che si addentra nel nuovo millennio con poche certezze e con la rinascita di antichi timori (dalle guerre di religione alle epidemie), sembra avere un gran bisogno di riscoprire antiche e quasi dimenticate tradizioni, solo che spesso è difficile rendersi conto di quanto esse siano antiche, di quanto la strada proceda a ritroso nel buio della notte dei tempi.

A Trieste nel rione di Servola è stata rimessa in auge da quest’anno, con il patrocinio del comune di Trieste e del Museo Etnografico di Servola, un’antica tradizione ormai desueta, la “festa del pane” che si celebra dal 15 al 18 maggio. Ridando vita ad un’usanza molto antica, le “pancogole” come erano dette nel dialetto locale le panificatrici, per l’occasione domenica 18 sfileranno indossando i costumi tradizionali delle loro antenate e distribuendo pane. La loro attività (un tempo appannaggio specificamente femminile) era una specialità per la quale era rinomato il villaggio di Servola, oggi divenuto un rione di Trieste.

Attorno a questo fulcro della manifestazione, ci saranno varie iniziative fra cui laboratori artigianali e mercatino dell’artigianato, musica e balli, una caccia al tesoro ed uno spettacolo di marionette, più grande tombola finale.

Da dove ha origine questa tradizione oggi ritornata in auge?

Una festività del pane coincidente all’incirca con il periodo di Beltane richiama subito alla mente, se si ha un po’ di cultura storica, l’usanza scozzese del bannock che Umberto Eco ha accuratamente descritto nel romanzo Il pendolo di Foucault di cui riporto uno stralcio:

“[I fuochi di San Giovanni] è un rito antichissimo, praticato in quasi tutti i paesi d’Europa.
Si celebra nel momento in cui il sole è al sommo del proprio cammino, San Giovanni è stato aggiunto per cristianizzare la faccenda (…) Il pane lo mangiano la notte dei fuochi di Beltane, una festa di origine druidica, specie nelle Highlands scozzesi (…) Impastano una torta di farina e d’avena e l’abbrustoliscono sulla brace…poi segue un rito che ricorda gli antichi sacrifici umani…sono delle focacce che si chiamano bannock (…) bannok in inglese medievale, bannuc in antico sassone, bannach in gaelico è una sorta di tortino, cotto sulla piastra o sulla griglia, di orzo, di avena o di altra granaglia”.


Il pendolo di Foucault, pag. 306.

Caso strano, non lontano si trova la necropoli di età preromana e romana di San Servolo, recentemente studiata dal prof. Gino Bandelli, studio di cui è riferito nel suo libro La necropoli di San Servolo, Veneti, Celti e romani nel territorio di Trieste di recentissima pubblicazione (aprile 2003), e che ha messo in luce una consistente presenza celtica. Dunque, noi abbiamo nella stessa zona un’antica tradizione che ha tutta l’aria di essere la continuazione di un antichissimo rito celtico ed una delle maggiori testimonianze archeologiche della presenza celtica dell’area veneto – friulano – giuliana; occorrerebbe una fede davvero illimitata nel dio delle coincidenze per non scorgere un nesso fra le due cose.

A titolo di confronto, si può ricordare che fino a tutto il XIX secolo in Friuli era in vigore un’altra usanza legata al pane di sicura origine celtica, solo che il periodo interessato non era quello di Beltane, ma quello di Samain.
Nella mitologia celtica, come sappiamo, Samain, coincidente con la festività cristiana di Ognissanti, era la notte fuori dal tempo che segnava il trapasso dell’anno, notte nella quale i piani dell’esistenza si sovvertivano e si mescolavano, ed ai morti era consentito uscire dalle tombe per ritornare fra i vivi che dovevano placarli con offerte.

Per questo scopo nell’antico Friuli si usava appunto il pane. Nella versione cristianizzata, il “pane dei morti” non veniva più offerto direttamente ai defunti, ma ai paesani perché pregassero per la loro anima.
Della persistenza di questa usanza ancora nel tardo XX secolo ci dà testimonianza la scrittrice friulana Caterina Percoto in una novella che si intitola appunto Il pane dei morti:

“In molti luoghi del Friuli esiste un’antica pratica per cui ogni famiglia nel dì d’Ognissanti dispensa al popolo una quantità di pane a seconda della propria agiatezza. Non è già questa un’elemosina. Vengono a riceverlo tutti gli abitanti del villaggio e prima d’assaggiarlo pregano per i defunti del donatore. Contadini benestanti, capi di famiglia, artieri e mugnai, che in tutt’altra occasione si vergognerebbero d’accettare la più piccola carità, in quel giorno, confusi ai poverelli, battono alla tua porta e senza rossore ti domandano il pane dei morti. Poi alla lor volta dispensano anch’essi la propria fornata. Anzi, dove non ci sono signori, ogni contadino fa tanti grossi pani di sorgoturco quante sono le famiglie del villaggio, e vanno in giro a riceverlo, e a vicenda lo dispensano agli altri; sicché in quel giorno ognuno assaggia il pane dei fratelli e prega per i loro defunti, mettendo così, almeno una volta all’anno, in comunione il cibo, l’affetto e la preghiera”.
Caterina Percoto: Voci dai campi e dai monti, a cura di Mirella Lirussi, Agenzia Libraria Editrice, Trieste 2000, pag. 215 –216.

Un bel pezzo di antropologia culturale che la letteratura ha salvato per l’immemore posterità.
Si noti l’uso dei pani di sorgo (quello che la Percoto chiama “sorgoturco”), così come il bannock era fatto, ci dice Eco, “con orzo, avena o altra granaglia”. Con ogni probabilità, la coltivazione del grano è stata diffusa prima nell’Italia padana poi nell’Europa centro – settentrionale dalla conquista romana (???), ed ha soppiantato per l’alimentazione di tutti i giorni, ma non per gli usi rituali, cereali più rustici il cui uso risaliva alle culture di La Tene e Hallstatt.

Si ricorderà la menzione che ne fa Roberto Tirelli in Kurm; i Celti della Bassa Friulana avevano conservato l’uso di cereali meno ricchi dal punto di vista nutritivo del frumento, ma più adatti ad un ruvido clima settentrionale, quali la spelta ed il tritico, ossia appunto il sorgo:

“Il periodo di La Tene nella pianura friulana corrisponde alla stanzialità, allo sviluppo dell’agricoltura. Le coltivazioni dei Celti e delle altre popolazioni preromane (???) qui non erano quelle del bacino mediterraneo, ma piuttosto adatte ad un clima più freddo, come probabilmente si riscontrava nelle stagioni d’allora” ( Kurm, pag. 26).

Si può anche ricordare il fatto che questi riti trovano poi una precisa corrispondenza anche nel mondo romano:
i Romani usavano, nel periodo più o meno coincidente con Beltane, il rito della conferreatio, consistente nello scambiarsi in segno augurale delle focacce di farro; non era però un’usanza di origine latina, ma che avevano copiato dai Sibillini, popolazione stanziata sui monti omonimi di ceppo – pare – sabino.


Si tratta ad ogni modo di una serie di usanze collegate con la coltivazione dei cereali che affondano le loro radici alle origini stesse del neolitico e della prima agricoltura.
Autore Fabio Calabrese |Pubblicato il 27/05/2004


Il sole di Capodanno de Alfredo Cattabiani
http://www.centrostudilaruna.it/il-sole ... danno.html
...
Nelle campagne piemontesi si diceva che il ceppo si sarebbe incenerito nelle 12 notti tra il Natale e l’Epifania, simboli dei 12 mesi dell’anno durante i quali il sole nuovo, rappresentato dal legno che si consumava, avrebbe nutrito il cosmo e gli uomini con la sua luce e il suo calore. Quel ceppo altro non era se non il simbolo del Cristo-Sole-Albero cosmico che nutriva l’umanità offrendole i suoi doni durante l’anno. Ecco perché i bambini, percuotendo il ceppo, sentivano piovere sul capo strenne e dolciumi; e perché si diceva “domani è il giorno del pane”: il pane simbolo per eccellenza del cibo spirituale e materiale.

Per questo motivo si mangiano a Natale dolci a base di farina, tra i quali il più celebre è il panettone milanese. E un’usanza antichissima, diffusa in tutta l’Europa. In Francia, ad esempio, si usava cuocere un grosso pane, chiamato pain de Calandre. Poi se ne tagliava un pezzetto sopra il quale venivano incise tre o quattro croci, e lo si conservava come un talismano capace di guarire da molti mali. Il resto del pain de Calandre era distribuito a tutta la famiglia. In Inghilterra i fornai regalavano ai clienti focacce chiamate Christmas-batch, e i fornai lombardi offrivano il panettone ai clienti. ...


Eucarestia
http://it.wikipedia.org/wiki/Eucaristia

Il Sacrificio
http://www.corsodireligione.it/digiland ... icio_1.htm
...
Lo storico greco Erodoto (v secolo a.C.) racconta nelle sue Storie:
«Dirò ora quello che ho saputo dei costumi dei Persiani.

Essi non erigono statue, templi e altari agli dèi, perché lo giudicano illecito, e giudicano pazzi quelli che lo fanno. Infatti essi non credono che la divinità abbia forma umana. Salgono perciò sui monti più alti a fare sacrifici a Zeus, che concepiscono come l'intera volta celeste.
A colui che compie il sacrificio non è lecito pregare solo per se stesso, ma ha il dovere di invocare il bene del re e di tutti i Persiani, ritenendosi parte della comunità.
La festa principale per le singole persone è il giornò natale che celebrano con un pasto più ricco del solito.
I ricchi mettono in tavola un bue, un cavallo, un cammello e un asino arrostiti interi nel forno; i poveri si accontentano di animali più piccoli [...].
Subito dopo se stessi, i Persiani stimano i vicini, poi i vicini di questi e così via. All'ultimo posto mettono i più lontani. Per loro i vicini sono i migliori, i lontani sono i peggiori.»

«Per gli Egiziani il sacrificio avviene in questo modo: dopo aver ben esaminato il toro, che deve essere tutto bianco, senza un solo pelo nero, conducono l'animale presso l'altare dove vogliono fare il sacrificio e accendono il fuoco. Quindi, versano sulla vittima del vino, e invocandq la divinità la sgozzano; quando l'hanno sgozzata, ne tagliano la testa. Il corpo dell'animale viene spellato, e dopo aver molto maledetto la testa, la portano al mercato (se là ci sono dei commercianti greci che la possono comprare), se no la gettano nel fiume. Maledicono queste teste dicendo che se deve avvenire qualcosa di male o al sacrificante in persona o all'Egitto intero, cada su quella testa. Per quel che riguarda le teste degli animali sacrificati e la libagione del vino, tutti gli Egiziani hanno questi stessi usi in tutti i sacrifici; e da ciò viene che nessun egiziano assaggerebbe la testa di nessun animale esistente. Ma la estrazione delle viscere e la combustione è diversa a seconda dei diversi sacrifici. E dirò come accade nel culto di quella che è considerata la maggiore delle divinità, e che ha le maggiori solennità religiose. Quando hanno scuoiato il bue, recitano preghiere e vuotano il corpo degli intestini, lasciandovi i visceri e il grasso, tagliano le gambe, l'estremità della coscia e le spalle e il collo. Fatto questo, il resto del corpo del bue lo riempiono di pani puri e di miele di uva passa e di fichi e di incenso e di mirra e di altri aromi, e riempitolo così, lo bruciano, vero sandovi sopra olio in abbondanza. Fanno il sacrificio dopo aver digiunato, e mentre le vittime bruciano tutti si percuotono. Ma quando han finito di percuotersi, celebrano un banchetto con quel che avevano messo da parte delle bestie sacrificate.» ...


Riferisce dei Germani lo scrittore Tacito:
«Onorano sopra tutti gli dèi Mercurio, al quale in giorni stabiliti sacrificano vittime umane.
Placano invece Ercole e Marte con offerte di animali permessi.
Una parte dei Suebi sacrifica anche a Iside, culto straniero proveniente non si sa bene da dove.
Non chiudono gli dèi fra pareti di un tempio né li rappresentano in forma umana, cosa che ritengono indegna della grandezza divina.
Boschi e foreste essi consacrano. Rispettano più che mai gli àuspici e i sortilegi.»


Sacrifici divini

Si conoscono anche miti in cui è la divinità ad offrirsi per un sacrificio a favore dell'uomo :
- Demetra e Mithra , divinità venerate nella antica Tracia si sacrificavano, nel mito, per diventare cibo dell'uomo.
- Osiride, nel mito egizio antico sacrificava il proprio corpo per fecondare la terra e produrre frumento e uva.

La leggenda del grano
http://www.turismoregionecampania.it/as ... 0grano.pdf

Le origini della Festa del Grano
http://www.foglianise.org/pagine/tradiz ... rigini.htm
Il paese di Foglianise è noto per la Festa del Grano (16 agosto), antica tradizione, di probabili origini pagane, legata attualmente al culto di San Rocco.
L'abitato di Foglianise, in provincia di Benevento, dista circa 15 Km dal capoluogo ed è ubicato in una zona centrale della Valle Vitulanese, circondato da verdi e ubertose colline. Sorto alle pendici del monte Caruso, quest'ultimo chiamato anche San Michele per l'eremo ivi esistente, si trova ai margini orientali del Parco Regionale del Taburno-Camposauro.

http://www.europeanvirtualmuseum.net/vi ... _12_it.htm

LE SCRITTURE INDÙ INGIUNGONO DI MANGIARE LA CARNE BOVINA
http://www.tradizionesacra.it/Le_scritt ... bovina.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Sacrificio

IL GRANO NELLA TERRA DI CERERE
http://www.ilgranoduro.it/atlante/grano_cerere.pdf


LA SACRALITÀ DELL’AGRICOLTURA
di Michele Migliozzi
file:///D:/Documents%20and%20Settings/Acer/Desktop/silvae1_11.pdf

http://sicapisce.wordpress.com/2008/09/ ... -iperborei
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Bioto - (blauts - bloss), bina e binoto

Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 8:10 pm

El pan del Polexine

viewtopic.php?f=31&t=955

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Re: Bioto - (blauts - bloss), bina e binoto

Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 8:16 pm

On pan biscoto ciamà pinta e on dolse de pan dito putana (en veneto) e putanu (en acadego)

Putana - putānu e pinsa, pisa, pizza, pitta, pinda ...
viewtopic.php?f=44&t=355

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 4/o5wy.jpg
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Re: Bioto - (blauts - bloss), bina e binoto

Messaggioda Sixara » gio lug 10, 2014 8:32 am

Anca el pan màto : tel mododedire cuà no se magna mìa pan-màto !
ke no se sa come ke l sipia sto pan, ke gusto ke l ga... se lè bòna/catìva la matìxia de kel pan lì ... ke mato, almanco pa nantri polexàn, nol ga propio na cualità negativa, nò senpre.
A dixen : figàro mato par ex. par dire de on figàro ke nol fa i fighi;
ma a dixemo anca : tel salame a ghe vòe el so mato àjo.

Na roba sicura:
CUA' DENTRO NO SE MAGNA PAN-MATO. :D
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Re: Pan, pane, panos, panis: bioto-(blauts-bloss), bina e bi

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 7:41 am

Wardè sti ensemenii come ke łi conta ła storia del pan a i putełi:

Łi parla de łi omani de łe caverne, de łi ejsiani, dei greghi e dei romani ... tuti łi altri no łi existe!
A saria da tajarghe ła łengoa e de fargheła magnar crua e desavia.
http://www.istitutocamozzibg.it/pane/storia.htm

LA STORIA DEL PANE

LA PREISTORIA

Nelle caverne degli uomini primitivi gli archeologi hanno ritrovato chicchi di cereali che venivano utilizzati come alimento integrante della carne. I chicchi di cereali venivano frantumati fra due pietre e poi mescolati con acqua per preparare una pappa cruda molto nutriente.

NELL’ANTICO EGITTO

Nell’antico Egitto crescevano numerose piante fra le quali vari tipi di cerali. Le terre lungo il Nilo, grazie al limo, erano molto fertili e adatte alla coltivazione. Gli egizi fra tante piante scelsero il frumento come base della loro alimentazione.

Nelle famiglie più ricche erano le serve che avevano il compito di frantumare nel mortaio i chicchi e di separare con il setaccio la parte nutritiva del chicco dall’involucro che lo racchiude per poi macinarli tra due pietre. La farina così ottenuta veniva mescolata con l’acqua, impastata a lungo e cotta su pietre.

Più tardi la cottura del pane migliorò perché la pietra fu chiusa con un vaso oppure, il pane, veniva cotto in una buca scavata nel terreno e rivestita di pietra nella quale si accendeva un fuoco. Quando la temperatura era abbastanza alta il fuoco veniva spento, la cenere tolta e al suo posto veniva messo il pane. La buca veniva chiusa con una grossa pietra mentre al suo interno il pane cuoceva lentamente.

I primi forni in argilla erano a forma di cono e sulla sua parte esterna veniva appoggiato il pane che quando era cotto cadeva a terra. Dopo aver scoperto la lievitazione gli egizi inventarono un nuovo forno. Internamente il forno era diviso in due parti; nella parte inferiore ardeva il fuoco e in quella superiore, cuocevano il pane.
Il pane lievitato è più soffice e digeribile e molte sono le ipotesi di come avvenne questa scoperta ma quella che ci piace di più è : Un giorno una serva versò per sbaglio della birra sull’impasto di pane. Per paura di essere sgridata non disse nulla e continuò ad impastare la pasta che poi fu cotta. Quel pane era veramente più buono e soffice degli altri e da quel giorno gli egizi preferirono il pane lievitato.
Insieme alla Birra il pane costituiva la base dell’alimentazione di tutta la popolazione: era il salario del contadino e nelle tombe insieme ad oggetti preziosi gli egizi posavano il pane perché il defunto non soffrisse la fame.


IN GRECIA

In Grecia a causa del clima e del tipo di terreno, la coltivazione del grano non era molto scarsa. Per questo motivo i greci cominciarono ad importare frumento dall’Egitto, dalla Sicilia e dalle terre bagnate dal Mar Nero. I greci raggiunsero una grande abilità nella preparazione di pane e focacce che condivano con olio, ammorbidivano con latte, aromatizzavano con pepe e altre erbe, impastavano con il vino e il miele. All’inizio erano le donne che si occupavano della panificazione poi furono gli uomini. I fornai greci furono i primi a lavorare il pane di notte, in modo che la gente al mattino, lo trovasse cotto, fresco e croccante.

IN ITALIA: I ROMANI

Gli antichi popoli Italici vivevano in un territorio fertile che coltivavano a cereali, tra cui il farro, allora molto diffuso e da cui deriva la parola farina. I Romani utilizzavano il farro anche sotto forma di focacce salate. Solo dopo aver conquistato i greci scoprirono il pane di frumento lievitato. In breve si diffusero i primi forni pubblici, dove lavoravano molti fornai greci portati a Roma come schiavi. I romani utilizzavano due diversi tipi di lievito: uno era fatto con il miglio mescolato al vino dolce e lasciato a fermentare per un anno, l’altro con crusca di frumento lasciata a macero per tre giorni nel vino dolce e poi fatta essiccare al sole. I romani producevano molti tipi di pane e di focacce unendo alla pasta vari ingredienti. Ai romani il pane piaceva molto, al mattino lo inzuppavano nel vino, a pranzo lo mangiavano con verdure e olive, a cena anche con le mele.
Le macine fatte di pietra di lava venivano fatte ruotare grazie allo sforzo degli schiavi o degli animali.
Durante l’Impero romano Vitruvio inventò un mulino ad acqua che macinava i chicchi di cereali ma la sua invenzione non si diffuse. Solo più tardi in Francia Quinto Candido Benigno fece costruire otto mulini mossi contemporaneamente da un forte getto d’acqua che producevano una grande quantità di farina.


NEL MEDIOEVO

Nel IX e X non era facile trovare farina e pane perché i campi erano stati abbandonati durante le invasioni barbariche e non producevano raccolti sufficienti per sfamare la popolazione. Nei conventi però i monaci continuavano a coltivare i cereali e la vite. Nei feudi che a quel epoca si diffusero in tutta Europa i contadini lavoravano nelle terre del feudatario e in cambio ricevevano una parte del raccolto e il pane che erano obbligati a cuocere nel forno del padrone. Il pane del contadino era fatto con poca farina e molta crusca e spesso venivano utilizzati cereali meno pregiati come il miglio.
Al castello invece il feudatario aveva cibo pregiato e pane in abbondanza. Nel Medioevo il sistema più diffuso per macinare il grano era quello romano con i mulini ad acqua. Il mulino era protetto da leggi severe perché era molto costoso costruirne uno tutti coloro che lo utilizzavano dovevano pagare una tassa. Il mugnaio doveva sempre pesare il grano prima di macinarlo per restituire al proprietario la giusta quantità di farina. Il suo lavoro veniva pagato in natura cioè in farina. I fornai potevano esercitare il loro mestiere dopo un lungo tirocinio come garzoni. Dopo il tirocinio il garzone giurava davanti alle autorità di cuocere pane a sufficienza e di non barare sulla qualità e quantità del pane. La consegna del pane a domicilio è nata nel medioevo. Il garzone lo portava ai clienti dentro una gerla.
I contadini pagavano il fornaio una volta al mese, ogni acquisto veniva registrato su una tavola di legno che serviva come “libretto” delle spese. Il fornaio era tenuto a produrre e a consegnare pane ben cotto, pena un’ammenda in denaro. Il consumatore era tutelato: se il fornaio non cuoceva bene il pane, doveva rifare l‘infornata e risarcire i clienti. Nei secoli XVII e XVIII vi furono lunghi periodi di carestia. Il pane e la farina erano razionati e nei periodi più critici e difficili furono diffusi alcuni trattati in cui si consigliava alla gente di sostituire la farina con altre sostanze vegetali come la farina di ghiande e di lupidol, le foglie di olmo; per sfamarsi pero c’era bisogno di ben altro. In Italia il grano venne sostituito dal mais e i contadini si nutrivano di polenta e rape, che grattugiavano e mescolavano a farina di segale e serviva per fare un pane povero.

Dal 1200 in Francia tutti mestieri vennero regolati da leggi i mugnai e i fornai appartenevano alle rispettive corporazioni.

L’AGRICOLTURA DALL’800 A OGGI

Con i fertilizzanti chimici l’agricoltura cominciò a produrre una quantità maggiore di frumento e cereali. L’utilizzo di sostanze chimiche, però, altera l’equilibrio biologico e può facilmente inquinare le acque.



LA STORIA DEL PANE

http://www.panealpane.com/storia-del-pane.html

La storia del pane inizia con le prime tracce di uomini che, smettendo di girovagare per cacciare e raccogliere quello che cresceva spontaneamente per cibarsene, sono diventati stanziali. Si sono fermati in un luogo e cinque mila anni prima dell'era attuale sono nate in Europa le prime tecniche agricole, come il dissodamento del terreno, la coltivazione, la selezione delle specie, eccetera.
Fin da quando l'uomo ha iniziato a dedicarsi all'agricoltura i cereali hanno costituito la base della sua alimentazione. Con il passare del tempo si diffusero modi e tecniche più raffinate per coltivare e macinare i cereali, divenuti ormai molto importanti e per migliaia di anni i cereali sono stati l'alimento che ha permesso la sopravvivenza dell'intera umanità.
Probabilmente il primo pane dell'uomo è stata una focaccia non lievitata, fatta di farina di un qualunque cereale, impastata con l'acqua e cotta probabilmente sopra i sassi caldi.
Testi antichi e resti archeologici hanno confermato che il pane era usato dagli antichi Egizi, era un alimento comune presso i Greci e faceva parte degli usi alimentari dei Romani.

IL PANE NELL'IMPERO ROMANO

L'alimentazione della civiltà greca e romana era fondata sulla coltivazione dei cereali. Facevano la polenta di farro, la celebre "puls" di farro, vero piatto nazionale dei Romani ai primordi della loro storia, anche zuppe e focacce e in seguito impararono a fare il pane. Il farro è una specie di grano duro molto importante nella storia dell'alimentazione dell'umanità, perché da esso discende il frumento, che con i Romani diventerà il più importante di tutti i cereali, perché la farina ottenuta dalla sua macinazione si era rivelata la migliore in assoluto per quanto riguardava la panificazione. Durante il periodo di Roma Capitale del Mondo, il grano è stato l'alimento più importante della popolazione ed era consumato prevalentemente sotto forma di pane. Presso i Romani era d'uso che la farina che proveniva dalla macina era immediatamente trasformata in pasta, e quindi cotta.

IL MONUMENTO AI MAESTRI PANETTIERI

A Roma, nei pressi della Porta Maggiore, è possibile vedere ancora oggi un curioso monumento che venne eretto alla gloria dei fornai. Si tratta di una specie di torre formata da tre grandi vasi in cui si lasciava il pane a lievitare. I vasi sono disposti impilati verticalmente e orizzontalmente, gli uni sugli altri, il tutto è sormontato da un affresco che rappresenta le varie operazioni che subisce il chicco di grano fino a che diventa pane. La macinatura del grano era assicurata dal lavoro di un asino, che girando faceva muovere delle pesanti lastre di pietra, di forma conica. Ai piedi del monumento si trova scritto il nome di Marcus Vergilius Eurysaces, che era fornaio e fornitore ufficiale di pane.

LA VIA DEDICATA AL PANE

Si dice che nell'antica Roma fu dedicato proprio al pane il nome di una via, che ancora oggi porta lo stesso nome di "Panisperna".

INAUGURAZIONE DELLA PRIMA PANETTERIA

Dal 168 avanti Cristo gli Edili controllarono i forni pubblici di Roma, ma il pane veniva cotto anche nei forni privati, come quelli che sono stati ritrovati nelle case di Pompei. Il primo negozio di pane fu aperto a Roma nel 15 avanti Cristo. Anche dopo la caduta dell'Impero Romano questo semplice e nutriente alimento ha trovato il suo spazio nell'alimentazione di ogni continente, o quasi.

LA NASCITA DELLA CORPORAZIONE DEI FORNAI

Nell'Alto Medioevo prevalse invece la panificazione privata, poiché ogni signore possedeva il proprio forno e anche il proprio mulino per macinare il grano e produrre così la farina. Fu proprio nel periodo del Medioevo che il pane vide crescere il proprio prestigio per la sua funzione nella sacralità della religione cristiana. Le corporazioni dei fornai, come artigiani indipendenti, risorsero con l'affermarsi del libero Comune.

L'EVOLUZIONE DELLE TECNICHE DI PANIFICAZIONE

Anche se il pane fatto a mano è molto più gustoso, risulta difficile prepararne in grande quantità per assicurarlo a tutta la popolazione. La lavorazione del pane veniva fatta manualmente fino alla seconda metà del XVIII secolo, quando si iniziò ad usare le macchine, quali per esempio l'impastatrice del fornaio parigino Salignac.
Con il tempo la tecnica di panificazione progredì, soprattutto con l'introduzione di nuovi macchinari come le formatrici e le spezzettratrici, i forni elettrici a radiazioni e l'introduzione di moderni lieviti, per merito della scoperta di Pasteur sulla fermentazione alcolica.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pan, pane, panos, panis: bioto-(blauts-bloss), bina e bi

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 8:05 am

Sta kì ła xe na bona conta de storia del pan, endoe par fortuna e gràsia no se parla de greghi e de romani ma de ł’omo:

Pan xvisaro.ch - Storia del pan
http://www.panesvizzero.ch/it/dal-grano ... -pane.html

STORIA DEL PANE

Coltivato da millenni
Già nel Paleolitico (circa 10 000 anni prima di Cristo) gli uomini raccoglievano erbe i cui semi o chicchi venivano utilizzati poi come alimento. Gli uomini del Neolitico divennero stanziali e iniziarono a piantare e coltivare alcuni vegetali. Alcuni ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che i cereali (frumento, orzo, segale) venivano seminati e raccolti già 12 000 anni fa ai margini della Mesopotamia, l'odierno Irak, mentre nell'Europa centrale si iniziò circa 6000 anni fa. La cerealicoltura divenne importante per tutto l'occidente, dall'Egitto a Babilonia, dall'antica Grecia a Roma.

Piante selvatiche: le progenitrici dei cereali di oggi
Alcune piante selvatiche originarie dell'Asia (farro selvatico, orzo selvatico, spelta selvatica) furono le progenitrici dei nostri cereali attuali. Miglio, orzo e frumento, segale, spelta e avena provenivano dal nord e arrivarono nell'Europa centrale al seguito dei popoli indogermanici che migrarono dall'Asia sudoccidentale circa duemila anni prima di Cristo. Il mais, l'unica varietà americana di cereale, arrivò in Europa soltanto a partire dal XVI secolo, dopo la scoperta dell'America.

Somexe:
Antico aratro argoviese (metà del XIX sec.)
Aratro sursilvano (Cantone dei Grigioni, XIX sec.)
Falce per cereali con attrezzo di raccolta (in Svizzera dalla 2a metà del XIX sec.) e Correggiato (fino al XX sec.)

L'aratro: in uso già 3000 anni prima di Cristo
Oggi i contadini arano con il trattore, e spesso dimentichiamo quanto sia stata importante per l'umanità l'invenzione dell'aratro. All'inizio l'aratro veniva tirato dagli uomini, più tardi dagli animali da tiro. Un tempo si distinguevano i tipi di aratro a seconda della loro struttura (aratro a chiodo, aratro a ruote), oggi li si distingue in base alla loro funzione (aratro per assolcatura o dissodamento).

La fatica del raccolto
Un tempo i cereali venivano mietuti con falci e falcetti, raggruppati con i rastrelli e ammassati in covoni, a mano o con i forconi. I covoni venivano legati con nastri di paglia intrecciata, o più tardi di canapa o di cartone, e disposti a seccare nei campi (biche) o, nelle zone di montagna, appesi su alti telai.
Una volta seccati, i cereali venivano battuti sull'aia con i correggiati, e il vento favoriva la separazione dei chicchi dalla pula. In seguito in lavoro fu svolto con apposite macchine per la brillatura.
Il raccolto dei cereali oggi si affida soprattutto alla tecnica. Mietitura e trebbiatura, attività un tempo faticose, sono diventate sempre più semplici e veloci, e a partire dal 1950 la mietitrebbiatrice è assurta a simbolo della cerealicoltura.


Sintesi della storia della cerealicoltura

Circa 3000
a.C.: inizio della coltivazione di cereali in Europa. Il raccolto si effettua con utensili primitivi.
Circa 2000
a.C.: la falce arriva dalla penisola iberica. Manico e lama sono di legno; lungo la lama, una fila di piccole pietre focaie funge da strumento da taglio.
Circa 1500
a.C.: si producono falci, anche con manico di legno, fondendo il bronzo.
Circa 900
a.C.: nella produzione di falci il ferro sostituisce il bronzo.
Circa 1600
a.C.: la falce è molto diffusa e consente una mietitura più efficace.
1799 al 1826: primi progetti di meccanismi per la mietitura.
1852: si progetta una ruota sulla quale sono montate numerose lame di falce.
1853: nasce il primo prototipo di falciatrice con annesso recipiente di raccolta per i cereali.
1857: negli USA sono in funzione 23 000 mietitrebbiatrici.
Fra il 1860
e il 1900: la mietitrebbiatrice come «fabbrica di raccolto» si diffonde negli USA e in Australia. La trazione è affidata ai cavalli (fra i 25 e i 30), e più tardi alle macchine a vapore.
1888: nasce negli USA il primo apparecchio con trazione autonoma a vapore.
1908: anche in Europa si fabbricano le mietitrici.
Dal 1920: inizia in Europa l'epoca delle mietilegatrici. Il trattore traina sui campi fino a sei legatrici in convoglio.

Storia della farina
Il passaggio dalla pietra abrasiva preistorica alle aziende molitorie computerizzate di oggi ha richiesto vari millenni.

La pietra abrasiva
La pietra abrasiva, conosciuta in Europa già nel 3800 a.C., era composta da due parti: una pietra inferiore sgrossata, piatta o concava (statica), e una pietra piatta superiore (girante). La pietra girante veniva battuta o fatta girare sulla pietra inferiore come in un mortaio, e i chicchi venivano polverizzati.

La macina
La macina è una pietra sgrossata, in posizione superiore o inferiore, di arenaria o quarzo francese.
Diametro: da 1 metro a un metro e mezzo. La superficie circolare è interrotta da solchi di aerazione che facilitano lo scarico del prodotto macinato verso l'esterno. Il mugnaio di tanto in tanto doveva battere la macina con un martelletto per renderla affilata, e spesso veniva designato con il nome di «affilatore».

I mulini antichi
I mulini ad acqua furono probabilmente scoperti e importati nel nostro Paese dai Romani, che li posizionarono accanto a fiumi e torrenti. I mulini erano infatti azionati da ruote che sfruttavano la forza dell'acqua corrente. Nel Medioevo (XII sec.) i mulini svizzeri appartenevano alla nobiltà e ai monasteri. I contadini potevano far macinare il loro grano solamente nei mulini dei proprietari terrieri. In Svizzera l'esistenza di alcuni mulini importanti è documentata a partire dal 1306: i mulini di Tiefenbrunnen-Zurigo, Bussenhausen-Pfäffikon, Villmergen e Dintikon in Argovia, il Moulin de la Doux a Tavannes, il mulino di Hasli a Wigoltingen TG.

Mugnaio salariato
Per secoli il mulino rimase l'unica attività meccanizzata. Il mugnaio veniva salariato e macinava i cereali consegnatigli dai contadini. In questo modo si guadagnava da vivere.

Schema di una macina azionata ad acqua:
Canale (A) La ruota idraulica colpita al vertice (B) - l'acqua passa sotto la ruota - aziona l'ingranaggio (D) attraverso una ruota dentata (C) fissata all'asse (F), la quale mette in movimento la macina superiore (G) detta girante. Un sacchetto in tessuto (H) suddivide il macinato in farina e crusca.

Storia della panificazione
In Svizzera il pane più antico è stato ritrovato a Twann il 27 febbraio del 1976 e risale al 3530 a.C. circa. È stato prodotto con semi di frumento pestati con una macina manuale.

La scoperta della panificazione
I primi rudimentali impasti di farina, semi e acqua venivano arrostiti per farli solidificare, e poi sottoposti a un'ulteriore lavorazione. La massa di pasta veniva lasciata solidificare sotto la cenere; più tardi fu versata in fori ricavati sul piano di cottura, finché si arrivò ad utilizzare veri e propri stampi da cottura.

Da lì alla cottura di vere e proprie focacce all'interno di un forno il passo fu breve. La pasta acida, ottenuta attraverso un processo di lievitazione, fu inventata dagli antichi Egizi, che contribuirono così alla scoperta di uno degli ingredienti base della panificazione. Le panetterie egizie esistevano già 4800 anni fa, mentre le prime documentate in Svizzera risalgono all'anno 623.

Le donne del Terzo Mondo producono ancora oggi dei piccoli impasti seguendo un'antica tradizione e li cuociono su pietre roventi o in forni a legna.


Lo sviluppo del forno

Le focacce venivano cotte in diversi tipi di forno:

I primi forni a volta di 4500 anni fa erano composti da una superficie pavimentata con una copertura a volte di forma allungata.
I Germani utilizzavano forni scavati nel sottosuolo.
L'antico forno cilindrico a due sezioni degli Egizi era composto da un forno inferiore nel quale avveniva la combustione, e da uno superiore utilizzato per la cottura.
I forni a cupola in mattoni d'argilla erano noti nel vicino Oriente e alle popolazioni delle palafitte. I romani li perfezionarono. Questo tipo di forno è stato utilizzato dalle piccole panetterie di paese praticamente fino ai giorni nostri.
La legna, bruciando, riscaldava la superficie di cottura. Poi si allontanava la brace e si cuoceva il prodotto sulla superficie rovente.

In Svizzera si utilizzano tuttora i forni a legna, sia nelle case contadine che in alcune fornerie comunali.

Somexa:
Un forno nel XIX secolo e oggi

Con il rapido sviluppo tecnologico, anche le attrezzature a disposizione dei panificatori si sono evolute rispetto al 1850. La pasta non si produce più a mano e con fatica.

Una storia vitale
I musei sono pieni di vita e di sorprese. In aggiunta a Internet e agli opuscoli, i musei propongono informazioni presentate in maniera stimolante e anche attività da svolgere insieme (es. cuocere il pane). Vale davvero la pena di visitare i Musei svizzeri del pane e di fare nuove scoperte.



Alle origini del pane

http://www.beniculturali.it/mibac/multi ... /pane.html

La mostra “Preistoria del cibo - Alle origini del pane”, allestita nel Museo Nazionale Archeologico di Altamura rappresenta una edizione locale della iniziativa ministeriale “Cibi e sapori nell’Italia antica” proposta per l’anno 2005 a tutte le Soprintendenze per i Beni Archeologici perché ciascuna, nel suo territorio di competenza, potesse sviluppare l’argomento, offrendo un ampio panorama delle peculiarità soprattutto delle antiche civiltà italiche.

Più fascino assume il tema per le epoche preistoriche, nelle quali l’alimentazione costituiva l’unico scopo della vita dell’uomo e dalle quali poche labili tracce sono pervenute fino a noi.

Nonostante ciò, la ricerca archeologica è riuscita a ricostruire il processo di produzione del cibo ed a recuperare testimonianze di uno dei prodotti fondamentali, il pane. Ad esempio nel villaggio neolitico in località La Marmotta, sul lago di Bracciano, negli scavi dell’abitato terramaricolo di Castione dei Marchesi (Parma) ed anche in altri luoghi del bacino del Mediterraneo, come nel villaggio neolitico di Mersin, in Turchia, sono stati rinvenuti frammenti di pane non lievitato in contesti abitativi.

Il pane è uno straordinario prodotto, l’unico nel quale si racchiudono numerosi saperi dell’uomo: dalla conoscenza della fertilità del territorio ai metodi di coltivazione della terra, dalla raccolta delle messi alla trasformazione dei semi, dalle diverse possibilità di consumo dei cereali al loro differente modo di cottura, l’unico ad avere una relazione strettissima con la Natura e con i suoi elementi fondamentali: terra, aria, acqua.

La mostra si propone proprio di analizzare le tappe fondamentali attraverso le quali si è giunti alla conquista delle numerose tecniche che hanno permesso di poter, fin da allora, nutrire l’uomo e che, ancora oggi, svolgono questo ruolo: il controllo della natura, l’opera silenziosa e faticosa di modellare il paesaggio naturale, costruendo un mondo secondo le proprie necessità (i campi, i sentieri, le radure), la costruzione dei villaggi, delle abitazioni con le strutture necessarie (fornelli, pozzi, canali), la realizzazione di tutto lo strumentario necessario alla coltivazione dei campi (asce, falcetti), alla conservazione (silos) e alla trasformazione del prodotto (macine e macinelli), l’organizzazione sociale sorprendentemente attuale, con la divisione di compiti e dei ruoli e la magia della religiosità con il binomio fecondità-fertilità che fanno di questi gruppi umani una società veramente attuale e moderna.

La ricostruzione di molte delle “conquiste” di questa eccezionale tappa della storia umana che è il Neolitico parte dal momento in cui clima e ambiente mutano profondamente e consentono l’applicazione delle prime conoscenze dei prodotti della natura, cioè dalla cosiddetta rivoluzione neolitica rappresentata, fra l’altro, dalla diffusione di una serie di piante ad uso alimentare come il grano e l’orzo.

Il grano e l’orzo sono infatti presenti allo stato selvatico solo in determinate zone del Vicino Oriente e pertanto il loro ritrovamento nel territorio pugliese, è la chiara testimonianza della presenza in loco di comunità che avevano adottato strategie economiche di produzione di cibo attraverso le tecniche agrarie di coltivazione dei cereali, fino ad allora assenti sul territorio.

I dati archeobotanici derivati dall'analisi di macroresti vegetali carbonizzati (semi e frutti) e dallo studio di impronte negli impasti di frammenti ceramici e grumi di intonaco di diversi insediamenti neolitici della Puglia, evidenziano una grande variabilità nelle produzioni cerealicole, con produzione di cereali probabilmente destinati tanto alla panificazione quanto al consumo diretto, con presenza di grano vestito come Triticum monococcum (farricello) e Triticum dicoccum (farro), Hordeum sp. (orzo) accanto a cereali nudi di maggiore produttività come il grano tenero e quello duro (Triticum aestivum/durum).

Le proprietà panificatorie e pastificatorie degli impasti ottenuti dalle diverse specie di grano sono infatti connesse al diverso contenuto di due proteine di riserva (gliadine e glutenine) che compongono il glutine insieme all’amido ed all’acqua.

Il quadro che emerge in Puglia sembra essere quello di una agricoltura pienamente sviluppata già ai suoi esordi, probabilmente caratterizzata da coltivazioni estensive, con tecniche agrarie abbastanza sviluppate ed una articolata gestione dei campi, con modalità di conservazione ed immagazzinamento del raccolto a breve e medio termine (silos). Il padroneggiamento delle tecniche agricole consentì in breve tempo di giungere all’arricchimento della dieta con la felice introduzione di cibi a base di grano e di orzo, ottimi integratori alimentari.

La conoscenza del processo di trasformazione del prodotto del raccolto e la capacità di sfruttare con l’aggiunta di acqua le proprietà degli impasti ottenuti derivano certamente da tradizioni più antiche, per esempio dalle attività di manipolazione e trasformazione di frutti e piante, su cui si inseriscono ora i nuovi apporti di esperienze, gesti e informazioni, molti dei quali ancora alla base del nostro vivere quotidiano.

La mostra è stata realizzata nel Museo di Altamura proprio perché l’uomo della Murgia, agricoltore e pastore fin da allora, ha forse, più che in altri luoghi, conservato e tramandato per generazioni fino ad oggi i segreti per ricavare da una terra arida e povera i grani migliori e il pane più buono, vero premio per la fatica umana che unisce quei primi agricoltori neolitici alla realtà contadina che ancora oggi si vive in questo territorio.

Donata Venturo
Soprintendenza beni archeologici della Puglia
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Re: Pan, pane, panos, panis: bioto-(blauts-bloss), bina e bi

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 8:08 am

Mola/maxena/makina, mulin/molin, molinaro/mulinaro, munaro, miller, muller, moleta/gusamoleta, mara, marangon, mortaro

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RWMEE/edit

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Re: Pan, pane, panos, panis: bioto-(blauts-bloss), bina e bi

Messaggioda Sixara » lun lug 14, 2014 8:17 am

El poeta milanexe M.Candiani te na so poexia, el dòpara pan pòss pa dire raffermo:
...
Rivaven col pan pòss e la schiscetta
faa-su dent on giornal

...

Pan-pòs n milanexe a mi el me sa tanto de bloss-blauts-biòto.

El s inrabia el poeta Candiani co so fiolo e so màma anca ke la ghe làsa magnare
on scartòzz de giambon
senza nanca on tocchell,
'na freguja de pan.
:(

Senza pan
Cont on fà de lifròcch,
el mè fioeu,
par che quasi el me faga on piasè
a ruzass in del gòss
ona fetta, dò fett,
on scartòzz de giambon
senza nanca on tocchell,
'na freguja de pan.
Mì me smangi e barbòtti sòttvos
ma settada de fianch
gh'è sò mader
che le cova compagn d'ona pitta.
Lee l'è pronta a saltamm in sul coo
se di vòlt,
cont on poo de coragg,
me vegness de vosagh al sò fioeu
che i michett, lì denanz,
hinn intregh ancamò.
Lassi perd...!
Gh'hoo pù famm...!
Me rugatti el risòtt col cuggiaa,
par che fissi ona grana de ris
ma la ment l'è lontan...
e me senti in la bocca el savor
di castegn straccadent,
morisnaa cont el latt,
che... mangiavi col pan.
on tocchell de pan negher e gnucch
che tra bomb e stremizzi
el doveva durà tutt el dì.
'Dess la pitta la pella i banann
poeu l'imbocca 'me on fioeu piscinin...,
el fa el smòrbi (Sanmarch!)
lù l'è pien de giambon...
de giambon senza pan.
Mi foo mostra de nient,
par che fissi ona grana de ris
ma seguti a rugà i mè penser
compesaa.. .
col savor di castegn.

Anca mi i me da fastidio cuei ca magna el janbon sensa pan. E cuei ca lo buta via, el pan, ke lè PECATO MORTALE.
Caxamia i dixea ke l cicìn sentsa el pan el scòta le man :D
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Re: Pan, pane, panos, panis: bioto-(blauts-bloss), bina e bi

Messaggioda Berto » gio lug 24, 2014 7:05 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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