I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015
http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk
Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.
Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.
Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.
Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.
Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.
Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?
Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.
Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.
Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.
Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.
Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.
Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.
Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.
Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.
Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.
Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.
Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.
Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.
L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.
La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.
Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.
“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)
Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.
Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.
Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.
Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.
Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020
https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E
Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.
L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.
Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.
Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.
Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.
Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.
Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.
Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.
Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.
Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.
Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.
Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.
Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.
Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica
Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.
In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.
Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019
https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk
Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).
Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.
Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.
Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.
Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”
È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.
La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.
Informazione corretta: Palestina, ecco l'origine del nome di uno Stato arabo che non è mai esistito
Vivi Israele
Fabrizio Tenerelli
21 febbraio 2018
http://viviisraele.it/2018/02/21/inform ... -esistito/
Cari lettori, io cerco di parlare poco della questione arabo-israeliana, perchè la mia mission è soprattutto approfondire i temi legati a Israele e all’ebraismo. Tuttavia, talvolta è doveroso far chiarezza su alcuni aspetti che riguardano la cosiddetta “corretta informazione”. La disinformazione dilagante in materia (il suo esatto opposto), purtroppo contribuisce a dare una cattiva immagine di uno Stato che da vittima, passa come carnefice.
Ciò senza nulla togliere all’aspirazione ultima che è quella della pace in Medio Oriente e della convivenza di due popoli. Utopia? Una pace che, a mio modestissimo avviso, potrà giungere soltanto, quando il mondo arabo riconoscerà il diritto ad Israele di esistere.
Detto ciò, dopo un mio primo approfondimento in tema di informazione corretta (LEGGI QUI) vi propongo questa sorta di “upgrade”, che riguarda i concetti di “Palestina” e “palestinese”. Molto spesso chi non studia abbastanza, attacca con estrema arroganza il popolo ebraico, sulla base di falsi presupposti e di clamorosi equivoci.
In attesa di preparare un digest, tratto da “Arabi ed Ebrei”, del buon Bernard Lewis, ho pensato di scrivere queste poche righe, invitandovi a divulgarle, condividerle e via dicendo, affinchè si faccia chiarezza su una questione importante.
La prima cosa che va detta è che non c’è mai stata una nazione araba di nome “Palestina”. Questo, in realtà, è il nome che gli antichi romani diedero a Eretz Yisrael, con l’espresso proposito di umiliare gli ebrei, dopo la conquista. Gli inglesi chiamarono così la terra sulla quale avevano avuto il mandato, dopo lo scioglimento dell’Impero Ottomano.
Gli arabi, in disputa con gli ebrei, decisero allora di raccontare che quello era l’antico nome della loro terra, “malgrado non fossero capaci a pronunciarlo in modo corretto, ma trasformandolo in Falastin”, come disse nel 1995, Golda Meir, in una intervista a Sarah Honig del Jerusalem Post. Ma soprattutto va detto che non esiste una lingua palestinese, non una cultura e neppure una terra governata da palestinesi.
Quest’ultimi non sono altro che arabi non distinguibili dai giordani o dai siriani, dai libanesi o dagli iracheni. A ciò aggiungiamo che il mondo arabo controllo il 99,9 per cento del Medio Oriente. Israele, pensate, che rappresenta soltanto un decimo dell’uno per cento del totale. Ma ciò è troppo per gli arabi, che vogliono anche quella minuscola parte. Non importa, dunque, quanti territori un domani potrebbero concedere gli israeliani: in ogni modo non saranno mai abbastanza. Ma allora, da dove deriva questo termine? Palestina ha da sempre designato un’area geografica, che deriva da “Peleshet”, un nome che appare di frequente nella Torah, successivamente chiamata “Philistine”.
Il nome inizia ad essere usato nel tredicesimo secolo a.e.v. da una serie di migranti del mare, provenienti dal mar Egeo e dalle isole greche, i quali si insediarono nella costa sud della terra di Canaan. Laggiù istituirono cinque città-stato indipendenti, inclusa Gaza, in una stretta striscia di terra chiamata “Philistia”, i greci e i romani la chiamarono “Palastina”.
I palestinesi, dunque, non erano arabi e neppure semiti; non avevano alcun legame etnico o linguistico e neppure storico con l’Arabia e il termine Falastin non è altro che la pronuncia araba del termine “Palastina”. Dunque, chi si può considerare palestinese? Durante il mandato britannico era la popolazione ebraica ad essere considerata palestinese, inclusi coloro che hanno servito l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. L’indirizzo britannico fu quello di limitare l’immigrazione di ebrei. Nel 1939, il Churchill White Paper (3 giugno 1922) mette fine all’ammissione di ebrei in Palestina. Uno “stop” che avviene nel periodo in cui c’era più disperatamente bisogno di emigrare in Palestina, quello dopo l’avvento del nazismo in Europa.
Nello stesso tempo in cui sbattevano la porta in faccia agli ebrei, gli inglesi permettevano (o facevano finta di niente) il massiccio ingresso clandestino nella Palestina occidentale di arabi provenienti da Siria, Egitto, Nordafrica e via dicendo. In questo modo, sembra che dal 1900 al 1947, gli arabi sulla sponda ovest del fiume Giordano si siano quasi triplicati. Il legame degli ebrei con la Palestina risale ai tempi biblici. Quello tra gli ebrei ed Hebron, ad esempio, corre indietro ai tempi di Abramo, ma nel 1929, gruppi di arabi in rivolta cacciano la comunità, uccidendo numerosi ebrei.
A supporto della tesi che non esiste uno stato arabo chiamato Palestina, c’è una letteratura fiume. Noi ricordiamo alcune dichiarazioni, tra le più significative, come quella del professore di storia araba, Philip Hitti (uno dei più illustri), secondo cui: “There is no such thing as Palestine in history, absolutely not”, dichiarò al Anglo-American Committee of Inquiry (1946). E poi. “It is common knowledge that Palestine in nothing but southern Syria”, affermò nel 1956: Ahmed Shukairy (United Nations Security Council).
L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851
La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso
La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.
Palestina: le ragioni di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2271
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.
Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824
Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2765
Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2774
Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558
Denunciare la menzogna dell'apartheid israeliano
di Richard Kemp
19 gennaio 2022
Traduzioni di Angelita La Spada
https://it.gatestoneinstitute.org/18154 ... s.facebook
La rottura delle relazioni diplomatiche tra Israele e l'Unione Sovietica fu in seguito aggravata dalle vittorie difensive di Israele contro gli arabi nel 1967 e poi nel 1973. Nel corso di questo periodo, ogni speranza che Israele diventasse un cliente sovietico era progressivamente svanita. Gli eserciti arabi sponsorizzati, addestrati ed equipaggiati dall'URSS erano stati umiliati, così come Mosca. Pertanto, i sovietici cambiarono la loro politica e decisero di delegittimare Israele. Il loro obiettivo principale era quello di usare il Paese come arma nella Guerra Fredda contro gli Stati Uniti e l'Occidente.
"Dovevamo infondere in tutto il mondo islamico un odio verso gli ebrei simile a quello nutrito dai nazisti e trasformare quest'arma delle emozioni in un bagno di sangue terroristico contro Israele e il suo principale sostenitore, gli Stati Uniti". – Yuri Andropov, presidente del KGB sovietico, poi segretario generale del Partito Comunista sovietico, come riportato dal generale Ion Pacepa, ex capo dei servizi di intelligence rumeni.
Oltre a mobilitare gli arabi a favore della causa sovietica, Andropov e i suoi colleghi del KGB avevano bisogno di appellarsi al mondo democratico. Per fare ciò, il Cremlino decise di trasformare il conflitto finalizzato meramente a distruggere Israele in una lotta per i diritti umani e per la liberazione nazionale da un illegittimo occupante imperialista sponsorizzato dagli americani. Mosca iniziò a trasformare la narrazione del conflitto da jihad religioso, in cui la dottrina islamica esige che qualsiasi terra che sia mai stata sotto il controllo musulmano debba essere riconquistata per l'Islam, in nazionalismo laico e nel diritto all'autodeterminazione politica, qualcosa di molto più appetibile per le democrazie occidentali. Ciò avrebbe fornito una copertura per una feroce guerra terroristica, ottenendo persino un ampio sostegno a favore di essa.
Per raggiungere il loro obiettivo, i sovietici dovettero creare un'identità nazionale palestinese che fino a quel momento non esisteva e una narrazione secondo cui gli ebrei non avevano diritti sulla terra ed erano nudi aggressori. Secondo Pacepa, il KGB creò l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) all'inizio degli anni Sessanta, così come aveva anche orchestrato i cosiddetti eserciti di liberazione nazionale in diverse altre parti del mondo. Pacepa afferma che la Carta Nazionale palestinese del 1964 è stata redatta a Mosca. Questo documento è stato fondamentale per l'invenzione e la creazione di una pseudo-nazione palestinese.
I dettagli delle operazioni terroristiche sponsorizzate da Mosca in Medio Oriente e altrove sono riportati in 25 mila pagine di documenti del KGB copiati e poi fatti uscire clandestinamente dalla Russia all'inizio degli anni Novanta dall'archivista del KGB Vasili Mitrokhin e oggi depositati nel Regno Unito, al Churchill College, a Cambridge.
In origine, la Carta per la "Palestina" non rivendicava la Cisgiordania o la Striscia di Gaza. Di fatto, ripudiava esplicitamente ogni diritto su queste terre, riconoscendole a torto rispettivamente come territori sovrani giordani ed egiziani. Invece, la rivendicazione dell'OLP riguardava il resto di Israele. Ciò fu modificato dopo la guerra del 1967, quando Israele espulse gli occupanti illegali giordani ed egiziani e la Cisgiordania e Gaza per la prima volta vennero ribattezzate come territori palestinesi.
Nel 1965, Mosca intraprese per la prima volta alle Nazioni Unite la sua campagna finalizzata a bollare gli ebrei israeliani come gli oppressori del loro inventato "popolo palestinese". I loro tentativi di classificare il sionismo come razzismo allora fallirono, ma ebbero successo quasi un decennio dopo nella famigerata Risoluzione 3379 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Zuheir Mohsen, un alto leader dell'OLP, ammise nel 1977: "Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solo uno strumento nella lotta contro lo Stato di Israele in vista del raggiungimento della nostra unità araba. (...) Solo per motivi politici e per ragioni tattiche parliamo oggi dell'esistenza di un popolo palestinese, dal momento che gli interessi nazionali arabi richiedono di postulare l'esistenza di un 'popolo palestinese' distinto che possa opporsi al sionismo Sì, l'esistenza di un'identità palestinese distinta esiste solo per ragioni tattiche".
Il dossier Mitrokhin mostra che sia Yasser Arafat sia il suo successore alla guida dell'OLP Mahmoud Abbas, ora presidente dell'Autorità Palestinese, erano agenti del KGB. Entrambi hanno avuto un ruolo determinante nelle operazioni di disinformazione del KGB e nelle sue campagne terroristiche.
Per quanto riguarda i suoi rapporti con Washington, Ceaușescu disse ad Arafat nel 1978: "Devi semplicemente continuare a fingere che romperai con il terrorismo e che riconoscerai Israele, ancora, e ancora, e ancora".
I consigli di Ceaușescu vennero rafforzati da quelli del generale comunista nordvietnamita Vo Nguyen Giap. In occasione di uno dei numerosi incontri avuti con Arafat, Giap dichiarò: "Smettila di dire che vuoi annientare Israele e trasforma invece la tua guerra terroristica in una lotta per i diritti umani. Allora il popolo americano crederà ad ogni tua parola".
Come per il suo predecessore Arafat, il coerente rifiuto di Abbas di ogni offerta di pace con Israele, parlando di pace pur appoggiando il terrorismo, mostra la continua influenza dei suoi padroni sovietici.
Lo storico americano David Meir-Levi afferma che il movimento palestinese creato da Mosca è "l'unico movimento nazionale per l'autodeterminazione politica nel mondo intero, e in tutta la storia dell'umanità, ad avere come sua unica ragion d'essere la distruzione di uno Stato sovrano e il genocidio di un popolo".
La campagna di Mosca è stata significativamente minata nel 2020 dal riavvicinamento tra Israele e gli Stati arabi. La lezione qui consiste nell'importanza della volontà politica americana contro la propaganda autoritaria, che ha portato ai rivoluzionari Accordi di Abramo.
Palestinesi rifugiati?
Il problema dei rifugiati: L'UNRWA
http://www.linformale.eu/il-problema-de ... wOV-RAo-4M
Nell’articolo dedicato alla questione dei rifugiati e pubblicato il 13 novembre si è affrontato il tema dei rifugiati provocatiti dagli avvenimenti bellici a seguito dell’invasione araba del 1948. In questo articolo si entrerà nel dettaglio dell’agenzia ONU costituita per fronteggiare il problema dei rifugiati della Palestina.
UNRWA
Con la Risoluzione 302 dell’Assemblea Generale, l’8 dicembre 1949, si stabiliva la creazione di una specifica agenzia per i profughi della Palestina: l’UNRWA, (Agenzia delle Nazioni Unite di Soccorso e di Interventi per i rifugiati della Palestina in Medio Oriente).
L’UNRWA doveva durare un tempo limitato ma, nel corso dei decenni, è stata continuamente rifinanziata nonostante a partire dal dicembre 1950 venne creata una specifica agenzia ONU per i rifugiati: l’UNHCR, cioè l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che da allora si è occupata di tutti i rifugiati del mondo ad esclusione di quelli palestinesi. Dal 1950 l’ONU ha dunque due agenzie per i rifugiati: l’UNHCR per tutti i rifugiati del mondo e l’UNRWA: l’agenzia per i soli rifugiati palestinesi. La peculiarità di questa situazione è la diversa definizione di rifugiato per le due agenzie.
Per l’UNHCR il rifugiato è colui che a causa di eventi naturali, guerre o per persecuzioni religiose, razziali o politiche è costretto a lasciare la propria casa o il proprio paese per trovare rifugio in un altro luogo (la definizione ONU completa la si trova nella Risoluzione 429 del 14 dicembre 1950 dell’Assemblea Generale). Per l’UNRWA la definizione si estende dal rifugiato vero e proprio a tutte le persone in successione maschile, cioè i discendenti, per matrimonio, per adozione e per chi volontariamente ha lasciato la propria abitazione nel 1948 alla nascita di Israele. Questo seconda definizione assai elastica ha creato il caso dei “rifugiati” nati e cresciuti in Canada o negli USA e che non sono mai stati in Medio Oriente.
Nella Risoluzione 302 che costituì l’UNRWA, non vi è alcuna menzione relativamente a questa applicazione pratica dello statuto di rifugiato. Si tratta di una prassi che è andata a consolidarsi nel tempo. Più che una agenzia preposta alla sistemazione dei rifugiati l’UNRWA è diventata una vera e propria fabbrica per la loro moltiplicazione.
La tabella 1 esemplifica molto bene come i criteri dell’UNRWA appena descritti hanno modificato radicalmente la situazione attuale del numero dei rifugiati palestinesi:
In sintesi con i criteri dell’UNRWA, al giorno d’oggi i rifugiati palestinesi sono oltre 5.500.000, con i criteri utilizzati dall’UNHCR – che valgono per tutti gli altri rifugiati del mondo – sarebbero solo 30.000. Cifra, questa, del tutto accettabile in ogni trattativa in merito alla soluzione del loro problema. Ma non ci sono dubbi che questa situazione creata ad arte sia un potente strumento politico messo in atto allo scopo di non giungere a nessun compromesso. Infatti, il “problema” dei rifugiati è da tempo l’ostacolo più grosso nelle trattative di pace tra Israele e i palestinesi.
E’ bene ricordare ancora una volta che Israele non è responsabile della situazione dei rifugiati palestinesi, essendo la causa principale la guerra scatenata dai paesi arabi nel 1948. Ciò nonostante, dovrebbe essere Israele, secondo i paesi arabi e la UE che dovrebbere riassorbirli per giungere alla “pace”. Il che significherebbe, inevitabilmente che Israele, uno Stato di facendo ciò di 9.0000.000 di abitanti, se assorbisse 5.0000.000 cosiddetti rifugiati palestinesi, ceserebbe di esistere come Stato ebraico. E questo è infatti l’obiettivo palese.
Entrando più nel dettaglio di questa agenzia, si scoprono altre cose davvero “uniche”.
Per prima cosa salta subito all’occhio il budget e il personale dell’UNRWA rispetto a quello dell’UNHCR. Per fare un esempio, nel 2016, dai dati forniti dall’ONU si evince che l’UNRWA ha speso 246$ per ognuno dei 5.3 milioni di rifugiati e discendenti palestinesi, mentre l’UNHCR lo stesso anno ha speso 58$ per ognuno dei circa 68 milioni di rifugiati nel mondo. Dal 1950 ad oggi l’ONU, tramite la sola UNRWA, ha speso oltre 25 miliardi di dollari per i rifugiati palestinesi, cioè il doppio dei soldi del piano Marshall con cui è stata ricostruita l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Cosa altrettanto sorprendente è il personale delle due agenzie. L’UNRWA impiega poco più di 30.000 persone per prendersi cura dei 5.3 milioni di rifugiati e discendenti, cioè la ragguardevole cifra di un dipendente ogni 176 rifugiati. Mentre l’UNHCR ha a disposizione circa 11.000 persone per gestire l’emergenza di 68 milioni di persone, cioè una ogni circa 6.100 rifugiati.
È da sottolineare che di questo cospicuo personale, la stragrande maggioranza sono palestinesi stessi. Tra i loro compiti c’è la gestione delle scuole e la pubblicazione dei testi scolastici. Questo è un aspetto rilevante della gestione dell’UNRWA. Va subito precisato che i testi scolastici utilizzati sono diventati, da numerosi anni, un strumento di propaganda e di vero e proprio odio antiebraico. Cosa che non ha precedenti. Soprattutto in considerazione del fatto che sono realizzati, pubblicati e diffusi con i soldi dell’ONU, della UE e degli USA. La cosa è diventata talmente grave che perfino l’ONU stessa, dopo ripetute segnalazioni, si è dichiarata “preoccupata” in un rapporto, del 29 agosto 2019, redatto dalla commissione contro le discriminazioni razziali.
La vignetta sopra riportata è presa da un testo scolastico palestinese di studi sociali del 2017. L’intento è quello di demonizzare gli scavi archeologici di Gerusalemme visti solamente come tentativo di distruggere le moschee e il patrimonio culturale islamico.
La UE, dopo anni di inutili segnalazioni, nell’aprile 2018 ha formalizzato una commissione d’inchiesta, sui testi scolastici palestinesi, che ha portato il parlamento europeo a votare per il congelamento di 17 milioni di euro di fondi, ad ottobre del 2018, a causa “dell’incitamento all’odio” presente nei testi scolastici. Qui si riporta, in parte, quanto emerso dall’indagine presentata al parlamento europeo sui testi scolastici:
“The curriculum for 2018-2019 “deliberately omits any discussion of peace education or reference to any Jewish presence in Palestine before 1948,”. […]
“Most troubling, there is a systematic insertion of violence, martyrdom and jihad across all grades and subjects in a more extensive and sophisticated manner, embracing a full spectrum of extreme nationalist ideas and Islamist ideologies that extend even into the teaching of science and mathematics”.
Traduzione: “Il curriculum per il 2018-2019″ omette deliberatamente qualsiasi discussione sull’educazione alla pace o riferimenti a qualsiasi presenza ebraica in Palestina prima del 1948″. […] “cosa ancora più preoccupante, c’è un inserimento sistematico di violenza, martirio e jihad in tutti i gradi e materie in un modo ampio e sofisticato, abbracciando una gamma completa di idee nazionaliste estremiste e ideologie islamiste che si estendono anche all’insegnamento della scienza e della matematica”.
L’immagine 1 è presa da un altro testo scolastico palestinese di studi sociali.
Il testo in arabo recita:
Titolo: La mappa della Palestina.
“Attività 1-A: osservate la seguente mappa, traete le conclusioni e quindi rispondete:”
“Distingueremo tra le città palestinesi occupate dai sionisti nel 1948 e quelle che occuparono nel 1967”.
La dettagliata analisi di moltissimi testi scolastici palestinesi è del Dr. Arnon Groiss del Centro Meir Amit (www.terrorism-info.org.il).
Questa è solo la punta dell’iceberg. Già nel 2014 si era palesato a Gaza, in occasione dell’operazione militare israeliana “Margine protettivo”, iniziata dopo l’uccisione di tre adolescenti ebrei e il lancio di numerosi razzi, come le sedi dell’UNRWA e soprattutto le sue scuole venivano utilizzare regolarmente dai terroristi di Hamas come depositi per razzi, armi e munizioni. Va sottolineato che varie indagini hanno dimostrato che molti dipendenti stessi dell’UNRWA erano, e sono, membri di Hamas. Nessun provvedimento, da parte di un qualsiasi organismo internazionale, è mai stato preso per porre fine a questa situazione che si protrae da innumerevoli anni.
Oltre a tutto ciò dall’estate scorsa, tutta la dirigenza generale dell’UNRWA è finita sotto inchiesta dell’ONU per malversazione, nepotismo e gestione “poco trasparente” dei fondi, ad iniziare dal suo direttore generale, lo svizzero Pierre Krähenbühl. Krähenbühl è stato costretto a dimettersi dall’incarico in attesa della conclusione delle indagini. Al suo posto è stato nominato il 6 novembre, ad interim, l’inglese Christian Saunders. Vari paesi hanno deciso di bloccare i fondi che annualmente versano all’agenzia, tra gli altri la Svizzera, il Belgio, l’Olanda e la Nuova Zelanda. L’Italia, invece, ha deciso di aumentare il suo contributo annuo.
Gli USA dell’amministrazione Trump si sono dimostrati i più critici all’operato dell’UNRWA. Così nel corso degli ultimi due anni hanno progressivamente diminuito, fino a congelare, il loro cospicuo contributo annuo che si aggirava sui 350 milioni di dollari (pari a circa il 25% del budget totale).
Un’ultima annotazione la si può fare in merito al numero ufficiale dei rifugiati soccorsi dall’UNRWA. L’agenzia ONU riporta come dato “ufficiale”, nel 2019, il numero di 5.5 milioni di rifugiati. Ma è interessante osservare che, leggendo tutti i documenti ONU in merito, si evince che un censimento ufficiale non esiste perché non è mai stato fatto. Questo è in parte dovuto al fatto che i criteri che definiscono i rifugiati palestinesi, come abbiamo visto, rendono molto difficile il loro conteggio, oltre al fatto che politicamente è “sconveniente” accertarlo. Si può però segnalare il fatto che, nel 2017, in Libano dalle autorità locali è stato fatto un primo – e per ora unico – tentativo di censimento. Quello che è emerso è sorprendente: quasi 300.000 persone registrate presso l’UNRWA semplicemente non risultavano… cioè il numero reale dei rifugiati era del 62% inferiore rispetto alle stime ufficiali (quelli esistenti risultavano essere 174.422 rispetto ai 459.292 registrati). E la stessa cosa stava emergendo per i rifugiati della Cisgiordania. Poi la cosa è stata velocemente insabbiata. In pratica il dato di 5.5 milioni di rifugiati è gonfiato ad arte per ottenere più soldi da spendere in modo “poco trasparente” come l’indagine ONU stà evidenziando in questi mesi.
Dopo tutti questi dati non è blasfemo dichiarare che l’UNWRA è parte sostanziale dell’impossibilità di trovare un accordo di pace tra Israele e i palestinesi.