Disforia, colpa di isolamento e ideologia: parola di ex trans
Giuliano Guzzo
20 aprile 21
https://www.lanuovabq.it/it/disforia-co ... i-ex-transLa giovane Helena Kerschner, ora detransitioner ha 22 anni, ma quando ne aveva 15 aveva iniziato «sentirsi maschio». A 18 anni aveva avviato l’iter ormonale di riassegnazione del quale, però, si è pentita. La sua testimonianza svela gli elementi che l’avevano portata a quella condizione: l’isolamento e l’ideologia sperimentati nell’ambito di comunità virtuali.
Non ci sono solamente i soliti militanti conservatori o le femministe a denunciare rischi e pericoli del dogma transgender, tale per cui ognuno è bene che diventi «ciò che ci sente». Da tempo, infatti, in prima linea in questa battaglia troviamo i “detransitioners”, ossia persone, spesso giovani, che, pentite della riassegnazione di genere, desiderano tornare a vivere – o sono tornati a farlo - in accordo al sesso di nascita. I grandi media raramente parlano di costoro, che tuttavia non si scoraggiano, alzando sempre più anzi la voce contro quello che ritengono un grande inganno.
Così fa, per esempio, Helena Kerschner. Si tratta di una giovane donna di 22 anni che, quando ne aveva 15, aveva iniziato «sentirsi maschio». Tanto che a 18 anni, proprio in conseguenza del suo disagio identitario, aveva avviato l’iter ormonale di riassegnazione del quale, però, si è pentita, riuscendo poi fortunatamente a tornare nei suoi originali panni femminili. Ebbene, intervenendo in seno al Q 2021 culture summit, la scorsa settimana, Helena Kerschner ha offerto al pubblico la sua testimonianza, con parole che fanno molto riflettere.
Infatti, la giovane ha spiegato il suo percorso, che è quello che va per la maggiore tra le giovani, essendo stata pure lei protagonista di una disforia di genere a insorgenza rapida (ROGD), ossia di un forte e improvviso senso di percepita inadeguatezza col proprio corpo. Il punto interessante è che la Kerschner ha sottolineato quali elementi l’avevano portata a quella condizione, ovvero l’isolamento e l’ideologia sperimentati nell’ambito di comunità virtuali.
«Mi ero ritrovata in questa comunità on line», ha ricordato, «dove tutto era incentrato sulla giustizia sociale». «C’erano questi modi gerarchici di guardare le persone», ha inoltre aggiunto con la sicurezza di chi ha ricordi assai nitidi, «come se fosse brutto essere cis, non cioè trans, eterosessuale, femmina e bianca com’ero. Ero una ragazza eterosessuale e bianca e sentivo che era brutto esserlo». Tutto ciò, lo si ripete, è accaduto rapidamente, dato nell’allora quindicenne «non c’erano indicazioni» del fatto che si sarebbe di lì a poco trovata a soffrire di disforia di genere. Poi c’è stato l’avvio del percorso, fortunatamente interrotto.
Oggi la Kerschner è convinta che la sua disforia di genere fosse essenzialmente frutto d’un condizionamento esterno: «Credo fermamente all’ipotesi del contagio sociale. Io l’ho provato sulla mia pelle, l’ho visto accadere. Mi guardo indietro e vedo che a così tante persone sta accadendo esattamente quello che è successo a me». La giovane punta poi il dito contro la compresenza di tanti e sottovalutati disturbi che portano a desiderare «il cambio di sesso».
«Ci sono molti problemi di salute mentale concomitanti. C'è molta depressione, ansia, autolesionismo, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi alimentari», assicura, subito aggiungendo una sottolineatura che fa capire quanto, in fondo, senta vicino quel mondo di cui lei per prima faceva parte: «Dovremmo trattare i giovani con disforia di genere nello stesso modo in cui tratteremmo qualsiasi altro giovane con problemi di salute mentale. Dovremmo essere premurosi e amorevoli, prestando particolare attenzione alle cause profonde alla base di tale condizione».
Parole senza dubbio forti, quelle di Helena Kerschner, che potrebbero pure passare come transfobiche. Però è innegabile che siano parole sincere e soprattutto, lo si ribadisce, figlie molto più dell’esperienza che di qualche supposizione o teoria astratta. Ciò non toglie che tale testimonianza vada a corroborare sia quella di tanti altri “detransitioners”, sia le posizioni degli specialisti – come Dianna Kenny, psicologa e docente presso l’Università di Sydney, tanto per fare un nome - che son sempre più convinti che ci sia davvero un «contagio sociale» alla base del boom dei baby trans. Un fenomeno che, ormai da anni, i grandi media esaltano come se fosse la cosa più spontanea e felice, mentre invece andrebbe esaminato con estrema cautela, ascoltando anzitutto chi lo ha vissuto. Helena Kerschner docet.
“Basta ormoni ai bambini per bloccare la pubertà"
Giulio Meotti
6 maggio 2021
https://meotti.substack.com/p/basta-orm ... r-bloccareL'ospedale di Stoccolma Karolinska non prescriverà più ormoni bloccanti della pubertà ai minori di 16 anni. Questi trattamenti potrebbero avere "conseguenze negative irreversibili" (il Karolinska parla di rischi di infertilità, cancro, trombosi, malattie cardiovascolari). La decisione fa della Svezia il primo paese con un grande ospedale ad abbandonare il protocollo olandese di somministrazione di bloccanti della pubertà anche per i minori di otto anni. Inoltre, la Svezia è ora il primo paese ad abbandonare le linee guida della World Professional Association for Transgender Health.
Ricordo che questa ideologia sta diventando così egemonica che in Canada è stato appena arrestato un padre per essersi rifiutato di collaborare alla “transizione” della figlia di dodici anni da femmina a maschio, sotto spinta della scuola e della “clinica di genere”.
La Svezia, in questo caso, era il paese che di più aveva puntato sulla jämställdhet: uguaglianza di genere. Il risultato è che il numero di bambini che sentono di essere intrappolati nel corpo sbagliato sta raddoppiando ogni anno in Svezia, con tanti minori di sei anni che vogliono diventare del sesso opposto, come ha dichiarato al giornale svedese Aftonbladet Louise Frisen, psichiatra infantile all’Astrid Lindgren Children’s Hospital di Stoccolma. Ci sono gli “asili senza gender”, dove nulla, dai giocattoli ai nomi, ha una caratteristica sessuale definita. I giornalisti di Vice hanno girato uno splendido documentario, “Raised without gender”. A Nicolaigarden, un asilo di Stoccolma, i maschi spingono i passeggini e le femmine il trattore. Ci sono le bambole senza sesso, una triste, l’altra felice. Nessuno viene chiamato “mamma” o “papà”, ma “genitori”. A mio avviso tutto questo è puro lysenkoismo sovietico. Angela Sämfjord, psichiatra infantile e adolescenziale al Sahlgrenska University Hospital, si è dimessa dal trattamento medico dei bambini per motivi di scienza e coscienza. “Come medico non ero pronta a correre il rischio di causare danni a questi pazienti. Ne ho tratto quindi le conseguenze e mi sono dimessa”.
La scrittrice inglese JK Rowling, al centro di un linciaggio planetario perché da femminista rigetta l’ideologia gender, ha affermato che è in corso uno “scandalo medico” sulle cliniche transgender. “Da quando ho parlato della teoria dell'identità di genere ho ricevuto migliaia di e-mail, più di quante ne abbia mai ricevute su un singolo argomento. Molte provengono da professionisti che lavorano nel campo della medicina, dell'istruzione e dell'assistenza sociale. Tutti sono preoccupati per gli effetti sui giovani vulnerabili. La triste verità è che se e quando scoppierà lo scandalo, nessuno che attualmente tifa per questo movimento sarà in grado di affermare in modo credibile 'non avremmo potuto saperlo'".
In tutti i paesi civilizzati i minori di diciotto anni non possono votare, guidare, acquistare alcolici e sigarette. Ma, sotto la pressione e la propaganda da parte di una ideologia sempre più egemonica, le autorità hanno deciso che quegli stessi minori possono accedere a un esperimento senza precedenti in cui si intrecciano la politica, la medicina e l’ideologia. Ma in Italia, dove da giorni va avanti la discussione su una legge che riguarda tutto questo, l’opinione pubblica non doveva essere informata. Si è parlato invece molto e soltanto di un rapper.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Omofobia. Ddl Zan calendarizzato. «Il testo punta al superamento del sesso biologico»
Antonella Mariani
mercoledì 28 aprile 2021
https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... -si-decideLe critiche della ginecologa e femminista genovese Sandra Morano, firmataria dell'Appello dei 400: il rischio è di far sparire l'identità femminile e con essa la sua forza distintiva, la maternità
La ginecologa genovese e docente universitaria Sandra Morano
La ginecologa genovese e docente universitaria Sandra Morano - (Su concessione dell'interessata)
Si sblocca il disegno di legge contro l'omotransfobia al Senato: è stato incardinato nella commissione Giustizia dopo settimane di polemiche, rimpalli pressing e resistenze. Messa ai voti la calendarizzazione, è passata con 13 sì e 11 no. A chiedere da tempo l'avvio della discussione sono Pd, M5s, Leu e Italia viva. Contrario il centrodestra. Il provvedimento è stato approvato in prima lettura alla Camera il 4 novembre 2020. Soddisfatto Alessandro Zan, autore del Ddl: "Finalmente ora può iniziare la discussione anche in questo ramo del Parlamento, per l'approvazione definitiva". Il provvedimento verrà incardinato entro il mese di maggio e il relatore sarà il presidente della commissione Andrea Ostellari, della Lega. Proprio oggi sui contenuti del ddl e sulle sue criticità è intervenuta anche la Conferenza episcopale italiana con una nota.
Il Ddl Zan punta al superamento del sesso biologico, per abbracciare altre definizioni fluide e variabili, come 'genere', 'identità di genere', 'percezione di sé', che con la Costituzione e con la certezza del diritto hanno poco a che vedere e che rischiano di assottigliare fino a far scomparire il confine tra i sessi. Prima ancora che da ginecologa, parla da 'femminista della differenza' Sandra Morano, esponente di spicco del progressismo genovese e docente universitaria. Il ddl Zan, al di là delle buone intenzioni di combattere l’omofobia e la transfobia, introduce definizioni non univoche per 'classificare' le categorie meritevoli di tutela, entrando a gamba tesa in un dibattito scientifico, giuridico e bioetico in pieno svolgimento.
Per semplificare: se il titolo del Ddl Zan è: 'Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità', e poi si definiscono queste categorie in modo che non è affatto condiviso, il risultato è… confusione, proprio ciò che una legge non deve fare.
Sandra Morano ha firmato l’appello per la modifica del testo della legge, insieme ad altri 400 rappresentanti della società civile. La sua esperienza professionale nel SSN è stata spesa prevalentemente nel miglioramento delle condizioni della maternità e della nascita, temi che non hanno mai avuto un posto preminente nelle agende della politica. Da questo osservatorio è difficile accettare un cambiamento delle definizioni per tutta la popolazione.
«Sarebbe come accettare di 'far sparire' le donne e la loro incontrovertibile capacità procreativa, la maternità», dice. «Capita a noi mediche e medici di accompagnare la sofferenza di soggetti che non si riconoscono nel proprio sesso biologico. Comprendiamo il rifiuto di alcuni di essere rigidamente definiti o ri-definiti, anche se più spesso capita che molti desiderino chiarire e manifestare attraverso dolorosi percorsi la transizione verso una più soddisfacente identità sessuale. Questa libertà non può però limitare la libertà di tutti, donne e uomini, ad accettare un cambiamento lessicale che per via legale sancisce l’abbandono del concetto di sesso a favore della identità di genere con le sue varianti».
Un cambiamento che non può non innescare effetti a catena nel mondo medico, e non solo. «Pensiamo alle conseguenze che tale definizione può avere sulla Medicina di genere, cioè lo studio del diverso impatto delle malattie e dei farmaci sul femminile e sul maschile, che in questi anni sta facendo passi da giganti».
Tutto cancellato dal ddl Zan? «Questa è una delle derive di questo testo, e io invito i miei colleghi a prendere posizione. Da una legge confusiva possono derivare cambiamenti nel lessico, che non possono non coinvolgere perfino i manuali e gli insegnamenti della medicina». In che direzione vorrebbe fosse modificato il testo del ddl Zan? «Preferirei che si parlasse di prevenzione e contrasto alle discriminazione di genere e della violenza per 'motivi fondati sul sesso'. Sarebbe sufficiente e molto più utile a tutti», risponde Morano. Che pericolo intravede nella legge, così com’è formulata? «Intravedo alcune derive inquietanti. La cancellazione della maternità, ad esempio, che per me è il tema centrale dell’identità femminile, quello che ancora è esclusiva delle donne. Ebbene, se il sesso diventa una percezione fluida di sé, ciascuno può giocare su più campi, un uomo può dirsi donna e reclamare il diritto a un figlio. Anche attraverso la gestazione per altri».
Gino Quarelo
L'art. 4 è assai ambiguo e pericoloso, si presta a libere interpretazioni estremamente soggettive da parte di pm e di giudici che possono arrestarti e condannarti.
Art. 4.(Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)1.
Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.
https://www.senato.it/service/PDF/PDFSe ... 356433.pdf ??? purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. ???
In altre parole per es. : se un figlio o una figlia minori e gay o non minori e conviventi, volessero portarsi a casa un moroso o una morosa gay i genitori che si opponessero potrebbero essere denunciati, perseguiti e arrestati per discriminazione omofoba.
Caso possibile quando in famiglia vi sono più figlioli magari piccoli che potrebbero essere influenzati in senso omosessuale.
Il ddl Zan smontato pezzo per pezzo da una prospettiva libertaria: ecco perché sarebbe una legge pericolosa
Andrea Venanzoni
4 Mag 2021
https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... ericolosa/ La polarizzazione del dibattito sul ddl Zan sembra aver eradicato qualunque ipotesi di analisi seria, e tecnica, sul testo: è scomparsa – sommersa da accuse di omofobia, da un lato, e di distruzione della famiglia, dall’altro, di razzismo e odio elevato a sistema versus limitazione della libertà di espressione – la possibilità di riflettere sine ira et studio sugli eventuali problemi che quel testo di legge potrebbe ingenerare laddove approvato.
Si sono costituiti due fronti, contrapposti, irriducibili alla discussione tra loro.
E se un dibattito viene ridotto ai minimi, e farseschi, termini di un kitsch mediatico di starlette che si pittano il palmo delle mani, in una consistenza mantrica da stakanovismo post-sovietico virato alle cause di cui nulla si sa e di cui nulla si è letto, e dall’altro lato la difesa della libertà di espressione, quella vera, quella autentica, profonda, sostanziale, viene sub-appaltata all’oltranzismo cattolico, cessa di essere dibattito, e diventa solo teatrino, scaramuccia rusticana al coltello per accontentare le rispettive claque.
Il ddl Zan, diciamolo subito, è un testo di legge pericoloso. Sì, pericoloso: ha una impostazione generale regressiva e panpenalistica, culturalmente orientata a rispondere a un problema, reale o potenziale che davvero sia, mediante la criminalizzazione generalizzata.
Arriviamo da decenni di retorica sulla necessità di fuggire dalla pena, di de-criminalizzare la società, di superare la sfera punitiva, e poi quello stesso mondo “culturale” che si atteggia a progressista sforna provvedimenti meramente segnaletici, simbolici, sloganistici, più tesi, si direbbe, ad una captatio benevolentiae nei confronti di un certo mondo elettorale piuttosto che mirante al contrasto reale di un fenomeno grave ma dai contorni, in chiave di definizione giuridica, liminali e confusi.
È noto come l’attuale disegno di legge origini dall’intreccio e dall’incrocio di cinque precedenti testi, ciascuno dei quali con differenti sensibilità concettuali sottese e con una serie di presupposti non del tutto omogenei gli uni con gli altri, finendo per integrare una mera, incoerente, sommatoria tra i vari, piuttosto che una razionale sintesi. Un testo unico complessivo, ma frammentario e oleografico del contrasto alla violenza di genere.
E d’altronde, già leggendo la serie di definizioni contenute in apertura del ddl appaiono concetti che esulano del tutto dall’orizzonte del diritto innervandosi invece nelle prospettive della psicologia, della antropologia, della sessuologia, concetti accademici su cui ferve dibattito e scarseggia univocità definitoria.
Primo grave problema, visto che il ddl Zan prevede sanzioni di natura penale e il diritto penale è governato da una serie di principii garantistici tra cui figura la determinatezza della fattispecie e della norma incriminatrice: in questa prospettiva la evanescenza delle definizioni, dei beni giuridici sottesi e protetti è maglia larga che finisce per irradiare la sfera di punizione al di là della mera attitudine criminale materiale, l’atto di violenza, per involgere, al contrario, anche espressioni concettuali ed opinioni vertenti su aspetti non univoci.
Cosa è mai, infatti, l’identità di genere se non un concetto su cui ferve un acceso dibattito in sede accademica? Davvero si può trasformare in presupposto concettuale di una sanzione penale un elemento su cui manca sostanziale concordia e univocità tra gli esperti e gli studiosi e su cui la Corte costituzionale, pur richiamata da Zan, non ha preso posizione strutturata?
Si tratta di una potenziale deriva molto grave perché si rimetterebbe poi la specificazione concreta all’aula del tribunale, trasformando il giudice in una sorta di demiurgo capace di infliggerci una pena, grave, sulla base di idee personali prive di una rispondenza organicamente e coerentemente giuridica.
D’altronde, leggendo in maniera spassionata e priva di pregiudizi la lettera d) dell’articolo 1 si sperimenta un fremito di paura nell’apprendere che una persona potrebbe essere chiamata a rispondere di un reato in riferimento a “percezione” e “manifestazione di sé” della “vittima”: discriminare non in senso fattuale e sulla base di presupposti acclarabili, anche in termini di evidenze probatorie, bensì sulla base di elementi da foro interiore, psichici, soggettivi, inconoscibili dal lato del presunto “aggressore”.
Che cosa potrà mai significare in termini di punizione penale e di integrazione della fattispecie di reato discriminare sulla base della percezione che l’altro ha di sé stesso in riferimento al genere?
Se un uomo, in maniera apparentemente convincente, dichiara di identificarsi con una donna, senza alcuna apparenza biologica o transizione e io nego questo aspetto, magari perché gestisco una palestra solo femminile e non posso farlo accedere, potrei finire sotto la scure della inquisizione penale perché, magari, la persona per altri motivi suoi depressivi finisce per uccidersi? Sarei io l’istigatore di quel suicidio?
Oppure, senza dover arrivare a questa tragedia, se dovesse lamentare semplici disturbi dettati dalla mia “negazione” del suo percepirsi una donna, essendo ai miei occhi un maschio biologico e non potendo sapere io in maniera reale se lui davvero si percepisce come una donna, ne potrei comunque dover rispondere?
O ancora, per quanto paradossale possa apparire, sostenere il fondamento naturale della famiglia, come in fondo stabilisce anche l’articolo 29 della Costituzione, potrebbe arrivare ad integrare, nella confusione redazionale della norma incriminatrice, presupposto per farmi finire a doverne rispondere davanti gli inquirenti?
La Relazione che accompagna il ddl e che dovrebbe, condizionale davvero d’obbligo, spiegare la matrice e le scelte anche semantiche e concettuali adottate nella formulazione lessicale del testo non solo non aiuta a dipanare le nebbie ermeneutiche ma addirittura le aumenta e le complica: alla lettura infatti sembra di trovarsi al cospetto di uno di quei saggi post-strutturalisti da università californiana dentro cui si pasturano critical legal theories e costrutti che non sarebbero dispiaciuti a Deleuze e Derrida, e mi viene da chiedere come potrebbe tradursi in prassi giuridica e sanzionatoria, rispettosa dell’ordito costituzionale e della libertà, un concetto come “dimensione multipla o intersezionale della discriminazione”.
In fondo, l’articolo 4 del ddl, sotto l’apparente e suadente tutela del pluralismo delle opinioni spara ad alzo zero contro le opinioni sgradite, mediante una clausola introdotta dal “purché” a mente della quale viene punita l’espressione di frasi, concetti, scritti che potrebbero istigare o portare empiricamente ad atti discriminatori.
Siamo nel campo indefinito, ombroso, evanescente delle fattispecie istigatorie, concettuali: e come si sa, è un terreno molto sdrucciolevole visto che la tenuta processuale e penale del discrimine che separa libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente tutelata, da effettiva istigazione o discriminazione è più che labile.
L’odio stesso è una emozione, un sentimento, la sua giuridificazione un abominio. Noi possiamo punire la estrinsecazione materiale dell’odio quando esso si manifesta nella violenza concreta, empirica, misurabile e valutabile per tale, non se rimane una espressione concettuale e filosofica controversa. Diceva Karl Kraus che l’odio deve rendere produttivi, altrimenti è meglio amare: forse oggi rischierebbe pure lui l’incriminazione.
In questo senso, sembra riecheggiare un triste passato in cui romanzi, poesie, canzoni venivano portati in giudizio in quanto ritenuti ispiratori di fatti delittuosi.
Gli anni grigi e preoccupanti di Tipper Gore, della PMRC, degli adesivi ‘explicit lyrics’ appuntati sulle copertine degli album musicali, il processo contro gli AC/DC ritenuti, con la loro canzone Night Prowler, istigatori dei terribili delitti del serial killer The Night Stalker, al secolo Richard Ramirez. Un pernicioso puritanesimo di Stato pronto a far soccombere sotto il suo maglio qualunque, per quanto spigolosa, complessità.
Gran parte di quelli che oggi garruli, giulivi e festanti si dipingono ‘ddl Zan’ sulla mano, possono avere in cantina e nel repertorio qualche canzone o qualche scritto che potrebbe fungere da detonatore istigatorio di atti di violenza o di discriminazione. La fattispecie penale non è retroattiva, certo, ma loro quelle canzoni continueranno a proporle nei concerti, e comunque, è accaduto negli Stati Uniti, anche il mero album, il mero romanzo, pur riferiti al passato, potrebbero essere ritenuti istigatori e propulsivi dell’atto delittuoso nel contingente.
Immaginiamo una violenta aggressione e che l’arrestato dichiari in maniera reiterata di essere stato ispirato da una certa canzone, è possibile che l’artista si vedrebbe entrare nel cuore del processo per approfondimenti sul nesso di effettiva sussistenza della condotta istigatoria.
Intere discografie hip hop, hardcore e metal finirebbero al macero, può ben immaginarsi. Ma anche romanzi e saggi. Molti scritti proprio da omosessuali.
Certe scene di “Querelle de Brest”, di Fassbinder, o di “Tenderness of the Wolves”, di Lommel, potrebbero essere ritenute ispiratrici di delitti o di feroci discriminazioni, per non parlare poi di certi passaggi delle opere di un Jean Genet o di William Burroughs, questo ultimo addirittura ‘reo’ di aver scritto un romanzo “Queer” che rappresenta, con gli occhialini del politicamente corretto psicotico dell’oggi, una sorta di summa discriminatoria per il linguaggio scelto, essendo invece chiaramente e ovviamente l’esatto contrario di quanto verrebbe considerato oggi.
Fassbinder, Genet, Lommel e Burroughs per loro fortuna sono morti prima di assistere a questo surreale scempio, ma immaginiamo un autore vivente che potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente di qualche sua pagina particolarmente controversa e indigesta per le vestali del politicamente corretto, a seguito della commissione di un fatto violento ‘omofobo’ ispirato a parole proprio da quelle pagine.
La patina dolciastra e semplificatrice del mondo immaginato da questo disegno di legge finirebbe per problematizzare e far finire sotto il metaforico tappeto gente come Cèline, Bukowski, Bunker, il Friedkin di “Cruising”, eradicando la bellezza cruenta dell’arte, la quale per essere davvero arte deve far male e far pensare, non essere accomodante.
Che vi piaccia ammetterlo o no, c’è arte eruttata dal ventre squarciato della storia proprio grazie all’odio, alla ferocia, al voler mancare di qualunque prospettiva compromissoria.
Al contrario, il grigio spirito di normalizzazione porterebbe molti ad auto-censurarsi per non incorrere in problemi di ordine legale, perché non si sa mai, ‘quel verso’ potrebbe aver ispirato l’aggressione omofoba commessa da un tale che non abbiamo mai visto né incontrato.
Vero è che il ddl Zan riproduce tutti gli schemi fallaci e altamente problematici che hanno ispirato altre norme sloganistiche, come ad esempio il pessimo ddl Gambaro in tema di contrasto alle fake news: alla fin della fiera, con quel disegno di legge si sarebbe istituita una autentica verità di Stato, come non si mancò di rilevare assai criticamente in dottrina, punendo qualunque forma espressiva dissonante rispetto ad una narrazione istituzionale approvata, come avviene nelle dittature, dal potere pubblico.
Insegnava Marc Bloch, il celebre storico francese fucilato dai nazisti e che alla propaganda di guerra e alle false notizie ha dedicato un bellissimo libro, “La Guerra e le false notizie”, come la vera resistenza al falso, anche crudele, sia la conoscenza, il dibattito vero e informato. Perché se concediamo allo Stato la comoda giustificazione del proteggerci, sarà poi assai plausibile ritenere che lo Stato stesso inizierà a imporre una sorta di racket delle idee, tollerandone alcune per mera convenienza (magari elettorale o di consolidamento del proprio status) e mettendone al bando altre.
In questo senso, ‘magistrale’, in negativo, la connessione che il ddl Zan opera con la legge Mancino, la legge recante la normativa contro l’istigazione all’odio razziale e già sottoposta anche questa a forte vaglio critico all’epoca per motivazioni similari a quelle espresse sino ad ora: lo schema concettuale è assai simile, si assommano e si fondono tra loro tutti gli elementi inaccettabili, e indifendibili, quali omofobia, neonazismo, odio razziale, per lasciar intendere che quelle norme non colpirebbero la libertà ma soltanto chi la libertà minaccia.
Criticate la legge Mancino e vi troverete additati quali nostalgici del Terzo Reich, nella stessa misura, è questo il giochino, analizzate in maniera critica e puntuale il ddl Zan e verrete descritti come feroci omofobi.
D’altronde, non sentiamo già ripetere “non vengono punite le opinioni ma solo l’omofobia”, o peggio ancora “solo gli omofobi devono averne timore”, uno stanco mantra privo però di sostanza e verità per tutte le motivazioni che abbiamo visto sopra?
Ma possibile, dico io, che a nessuno sia venuto in mente che il problema non è di politica criminale, bensì di politica culturale? Atteggiamenti retrivi e ignoranza non possono avere come sbocco fisiologico la galera. Bruciamo ogni scuola, ogni accademia, allora, perché ogni problema potrà essere affrontato (risolto non credo) dalle manette, da un processo e da qualche anno passato a rieducarsi dietro le sbarre.
Avete davvero innalzato metaforiche barricate per espungere dal nostro ordinamento l’osceno reato di plagio, in forza del quale venne condannato il filosofo Aldo Braibanti sulla base di asserzioni lombrosiane che colpivano appunto il pensiero, i comportamenti, le scelte e non i fatti, per poi riprodurne integralmente lo schema, solo rovesciato nel segno?
La mancanza di rispetto e di tolleranza, le idee ritenute a torto o a ragione ‘oscene’, non si combattono con la polizia e con la magistratura, ma col dibattito, civilizzando la stessa politica che da un lato predica continenza espressiva, rispetto, tolleranza e poi dall’altro si accapiglia in guerriglia verbale da lotta nel fango: date il buon esempio, invece di sbatterci in un inferno di repressione.
E datelo anche voi sostenitori del ddl Zan il buon esempio, incapaci di accettare che qualcuno la possa pensare in maniera diversa da voi, senza per questo dover essere dipinto come un disgustoso intollerante, e coperto di insulti, minacce, ingiurie in ogni profilo di social network.
Chi oggi usa violenza, la vera, reale, crudele violenza, lo sapete benissimo anche voi, è già punito dal nostro ordinamento. Quella che voi chiedete è una battaglia di cultura, educazione e di rispetto che però non si può portare avanti con il bastone della legge e il gelo di un carcere.
Dato che vi piace tanto parlare di ‘modelli tossici’, ecco, prendiamo la tossicodipendenza: il carcere ha migliorato davvero la situazione?
Non mi sembra. Proibizionismo, repressione, anzi, hanno notevolmente aggravato la situazione, ed è paradossale che le medesime forze politiche che a parole si sono proposte di superare la criminalizzazione della anomia sociale e di riportarla nell’alveo di una società inclusiva, adesso vogliano replicare quel modello repressivo, profondamente, intimamente sbagliato, contro chi viene frettolosamente rubricato come “omofobo”.
E questo, chiaramente, vale anche, a contrario, per chi oggi difende la libertà di parola assoluta e poi magari invoca la galera per il tossicodipendente o per chi detiene ridicole quantità di cannabis. Dimostrate coerenza, se vi riesce. Tutti.
Si dirà: esagerazioni. Se uno esprime una mera opinione, non andrà incontro a nulla e il ddl Zan mira a punire solo la vera, reale violenza. No, è una posizione sbagliata, superficiale o peggio puramente strumentale. Perché una volta approvato, divenuto legge, modificato il codice penale, una denuncia darà avvio ad un procedimento penale avente ad oggetto la vostra opinione, la vostra frase, il vostro saggio o romanzo, e il nesso diretto che potrebbe aver innescato un effettivo atto violento omofobo magari commesso da un altro soggetto, questo sì davvero violento.
E chiunque abbia una minima familiarità con le indagini penali sa benissimo che esse stesse sono una pena, una condanna prima ancora del rinvio a giudizio.
Sottoposti a gogna mediatica, a stress emotivo, a spese economiche, potrete anche finire archiviati ma intanto sarete passati per mesi nel tritacarne: e poi, un giudice per le indagini preliminari potrebbe ritenere che la genericità di quei concetti espressi nella legge meriti approfondimento dibattimentale, laddove magari possa darsi un confronto tra tecnici, esperti, accademici per capire se l’identità di genere, una volta definita in chiave processuale, sia stata violata davvero dalla vostra opinione, e in che modo.
È il trionfo della stabilizzazione dell’emergenza: si legifera sulla spinta incalzante della emotività, senza davvero ragionare in termini penalistici e gius-filosofici, senza valutare concretamente l’impatto che una data norma finirà per produrre nel cuore della nostra società.
Ogni singola legge approvata in questo Paese nel nome di una emergenza vera o presunta ha ingenerato esiziali fenomeni libertidici, asimmetrie e distorsioni di vario ordine e grado che ci hanno portato, passo dopo passo, a rinunciare a frammenti sempre più consistenti della nostra libertà. Una deriva inaccettabile e che nessuno dovrebbe passivamente subire, perché come ha scritto Baudelaire “è degno della libertà soltanto chi sa conquistarla”.
TOTALITARISMO LGBT
Si vorrebbe fare credere che il movimento LGBT, la chiesa omosessualista militante (e un tantino antisionista, laddove Israele è notoriamente l'unico paese mediorientale dove chi è gay non rischia di essere ucciso), parli a nome di tutti gli omosessuali. Ma non è così. E Alessandro Zan, parlamentare PD, promotore del DDL che porta il suo nome, e militante LGBT, non promuove una legge che, come si vorrebbe fare credere, semplicemente tutela gli omosessuali insieme ad altre minoranze, ma promuove una ben precisa visione ideologica.
Tempo fa, due noti gay, gli stilisti Dolce e Gabbana, finirono in un vero e proprio shitstorm, poichè avevano osato criticare il matrimonio omosessuale e si erano detti contrari ai figli surrogati forniti a coppie gay. Oggi, Platinette, osa criticare il DDL Zan.
Eretico? Certamente per il movimento LGBT, ma in realtà, testa pensante, autonoma, capace di una motivata elaborazione critica.
In una intervista a "Famiglia Cristiana" (apriti cielo!) afferma:
"Per le aggressioni esiste già il codice penale mentre se vogliamo considerare offensivo e persino reato l'utilizzo di un linguaggio anche dissacratorio o imporre come diktat ad esempio la dicitura 'genitore 1' o 'genitore 2', ecco tutto questo mi fa paura. Sono leggi liberticide, da Germania dell'Est...Io non sono la comunità Lgbt ma una persona che tenta di ragionare con la propria testa. La comunità rischia di diventare una specie di prigionia. Se uno ha un'inclinazione omosessuale deve appartenere per forza a un gruppo? Io ho partecipato con la mia band musicale composta tutta da donne a diversi gay pride ma ho sempre sentito una forma di chiusura da quel mondo come se gli omosessuali dovessero essere tutti di una parte politica rispetto a un'altra o comunque con un'etichetta precisa addosso".
Ma è così che li si vuole. E' lo schiacciasassi del pensiero Unico, del conformismo unidirezionale. Oggi tutto è brand, merce.
Il brand LGBT pretende l'esclusiva e sulla base di questa esclusiva desidera imporre la propria Weltanschauung. Per chi si oppone, specialmente se è gay come Platinette, sono già pronti gli autodafè.