Così raccontano di lei, icona della sinistra cristiana e comunista, icona e della santa e buona immigrazione clandestina o meno, che viene a salvarci e a civilizzarci in senso ambientalista, climatista, universalista, socialista, per un'economia sostenibile ... capre e formaggi senza frontiere.Il suo caso infelice dimostra il contrario, dimostra come l'apertura scriteriata e indiscriminata sia una demenzialità maligna e mortale, un portarsi in casa la morte, proprio come ha fatto lei.
Trentino. Confessa l'assassino di Agitu: è un suo dipendenteAntonio Maria Mira mercoledì 30 dicembre 2020
https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... tegrazione Assassinata in casa e violentata la pastora etiope simbolo di integrazione. Rifugiata dal 2010, aveva scelto di recuperare terre e capre di razza Mochena
Agitu Ideo Gudeta, pastora di 42 anni originaria dell'Etiopia, nota con il soprannome di «Regina delle capre felici» è stata uccisa nella sua abitazione di Frassilongo in Val dei Mocheni in Trentino
È stata trovata morta ieri sera, uccisa con un violento colpo alla testa, nella sua casa di Frassilongo in Trentino, Agitu Ideo Gudeta, pastora rifugiata etiope che avrebbe compiuto 43 anni il giorno di Capodanno. Nella notte ha confessato, nell'interrogatorio davanti ai carabinieri e al magistrato, un giovane africano, dipendente dell'azienda della donna, che avrebbe avuto con lei dissidi economici. L'assassino avrebbe anche compiuto atti di violenza sessuale sulla donna agonizzante.
Agitu era arrivata in Italia ad appena 18 anni, si era laureata a Trento in Sociologia ed era tornata nel suo Paese, impegnandosi contro il land grabbing, l'occupazione delle terre da parte di multinazionali e Paesi stranieri per sfruttarle con monoculture estranee, cacciando i contadini. Il suo impegno l'aveva resa invisa al governo così, a rischio di arresto, nel 2010 era dovuta fuggire tornando in Trentino.
Qui la scelta, eredità della sua cultura, di dedicarsi all'allevamento della capre. Ma da cittadina di queste terre. Così la scelta di recuperare terre abbandonate e razze in estinzione, come la capra di razza Mochena. Prima solo un sogno (per anni ha fatto la barista), poi una realtà con l'azienda "La capra felice", undici ettari, 80 capre, latte, formaggi, yogourth, tutto rigorosamente biologico.
A Trento aveva aperto un punto vendita di formaggi e prodotti cosmetici a base di latte di capra.Tutto trentino. Al punto che nel 2015 Agitu e i suoi formaggi hanno rappresentato la Regione all’Expo di Milano. Agitu e le capre, una vita in simbiosi, così dormiva in auto per difenderle dagli orsi. "Gli tiro contro dei petardi e scappano", diceva scherzando, capace di convivere col grande plantigrado.
Donna integrata, lei etiope che insegnava ai giovani trentini l'antico mestiere del casaro o che dava lavoro ad altri africani. Ma circa due anni fa, Agitu aveva ricevuto minacce e subito un'aggressione a sfondo razziale. "Sporca negra te ne devi andare", l'aveva assalita l'uomo che abita la baita vicino all’abitazione della pastora.
Lo scorso gennaio, l’autore della violenza, che si era scagliato anche contro il casaro del Mali che aiutava Agitu, era stato condannato a 9 mesi per lesioni dal Tribunale di Trento, mentre l’accusa di stalking finalizzato alla discriminazione razziale era stata lasciata cadere, contrariamente a quanto aveva chiesto il pm.
Ma Agitu, volto solare e sempre sorridente, ancora una volta aveva reagito positivamente. Sul suo profilo Fb aveva appena scritto: "Buon Natale a te che vieni dal sud, buon Natale a te che vieni dal nord, buon Natale a te che vieni dal mare, buon Natale per una nuova visione e consapevolezza nei nostri cuori". Questa era Agitu, che in Trentino aveva trovato e costruito con convinzione una nuova vita.
Dal webSimone Boscolo
Non conoscevo la storia di Agitu Ideu Gudeta. A quanto pare uccisa per questioni di soldi da un suo dipendente. In ogni caso un'indagine è in corso, ovviamente, perché di mezzo c'è anche uno stupro.
Mi ricorda molto da vicino le storie dell'oscura Italia, contadina e selvaggia, di un secolo fa. Mi è venuto in mente Antonio Zanella, "l'Ors di Pani", in Carnia (ma le nostre montagne sono piene di storie "nere", come "la farina del Diavolo" di Simone Pianetti, in Val Brembana), benché sia distante anni luce la fisionomia dei due personaggi.
Lei non la conoscevo, no. Bellissima storia la sua. Forse il fatto che fosse di origine etiope, e donna, ha catalizzato moltissimo l'attenzione, ma il suo era uno degli esempi più virtuosi di un ripopolamento inverso. Sono molti i magrebini, gli albanesi e i rumeni che oggi tengono vive le nostre montagne, le antiche attività, la pastorizia e quel poco di transumanza che ancora esiste. Così come molti cittadini o nipoti e pronipoti di pastori, che si sono reinventati una professione.
Senza limiti di lingua, provenienza e confini.
Non dimentichiamo che senza di loro le nostre montagne sarebbero o spopolate oppure dei diorami odiosi e grotteschi, ad uso del turismo senza cultura.
E che siano degli "estranei" a tenere viva un'identità è uno dei paradossi più sorprendenti e proverbiali della Storia umana.
Tutte le genti originarie arrivarono, un tempo, come straniere.
E la terra è di chi ci suda. Non di chi la eredita.
La forza di Agitu Ideo Gudeta, "coraggiosa in ogni passaggio della sua vita"Giulia Belardelli
31 dicembre 2020
https://www.huffingtonpost.it/entry/agi ... ce833e49ac Il sorriso, la forza, l’amore incondizionato per le sue capre. Nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscere Agitu Ideo Gudeta questi tre elementi non mancano mai. L’energia e il dinamismo dell’imprenditrice di origini etiopi, rifugiata da dieci anni in Trentino e fondatrice dell’azienda biologica La Capra Felice, sono uno stile di vita e un modello di business sostenibile che andrebbe studiato nelle scuole e nelle università. Agitu era consapevole dell’eccezionalità del suo percorso, originato dalle lotte al fianco dei contadini e degli allevatori etiopi e trasmutato nei terreni recuperati dall’abbandono nelle montagne trentine. Non perdeva l’occasione per raccontare la sua storia, e chissà dove sarebbe arrivata, se solo la sua luce non fosse stata spenta brutalmente da un uomo. Il responsabile dell’omicidio, reo confesso, è Adams Suleimani, 32 anni, ghanese, collaboratore dell’azienda agricola che agli inquirenti ha parlato di uno stipendio non corrisposto: l’avrebbe uccisa colpendola con un martello alla testa, per poi abusare sessualmente di lei mentre era agonizzante a terra.
Agitu avrebbe compiuto 43 anni domani tra quelle montagne che dal 2010 erano diventate la sua casa a Frassilongo, minuscolo comune in provincia di Trento. Aveva lasciato l’Etiopia dopo aver ricevuto minacce da parte del governo per la sua attività di contrasto al land grabbing, l’accaparramento dei terreni a favore delle multinazionali, un problema che affligge molti Paesi africani. Il padre, un professore, aveva trasferito la famiglia negli Stati Uniti quando la situazione politica era diventata oppressiva. Ma lei, dopo gli studi all’Università di Trento, era tornata appositamente in Etiopia, dove abitava con la nonna, per lottare.
“Era scappata dal suo Paese perché minacciata: era un’attivista che si batteva contro il land grabbing, molti dei suoi compagni erano stati uccisi, lei è riuscita a scappare miracolosamente perché avvertita da un funzionario pubblico”, racconta ad HuffPost Caterina Amicucci, attivista per i diritti umani, ambientalista e amica di Gudeta. “Quando l’esercito è andato a prenderla non l’ha trovata, era fuggita quella notte stessa. È riuscita ad arrivare in Italia in aereo e non su un barcone perché aveva studiato a Trento e aveva ancora un permesso di studio”.
Da rifugiata, Agitu aveva trovato nella Valle dei Mòcheni il luogo in cui portare avanti la sua visione e la sua sfida: vivere in armonia con la natura e recuperare dall’estinzione la bellissima capra che vive nella Valle. Il suo gregge, inizialmente composto da 15 animali, conta oggi più di 180 capre di razza pezzata mòchena e camosciata delle Alpi. Grazie alla passione e alle conoscenze apprese dai pastori al fianco dei quali lottava, Agitu allevava personalmente le capre e trasformava il formaggio con metodi tradizionali. Il centro di tutto era la sede della sua azienda - il Maso Villata, circondato da 11 ettari di pascolo incontaminato – unito ai punti vendita di Trento e Bolzano. Il suo banco era un’istituzione al Mercato dell’Economia solidale di Piazza Santa Maria Maggiore a Trento, e le sue consegne a domicilio un appuntamento ormai insostituibile per molti, da Bolzano a Rovereto. Formaggi, yogurt, uova, ma anche ortaggi e cosmetici bio: negli anni, La Capra Felice è diventata un marchio famoso anche fuori dal Trentino.
“Ci siamo conosciute a Trento durante l’Oltreconomia Festival, eravamo state invitate entrambe a un seminario come relatrici”, ricorda Amicucci, autrice della videointervista qui sotto. “Per tanti anni mi sono occupata di una campagna contro una diga sul fiume Omo, in Etiopia, ma senza mai poter avere contatti con attivisti locali. Quando ho incontrato lei, un’attivista etiope che si era battuta sugli stessi temi, è stata una specie di rivelazione. Appena è finito l’incontro le sono corsa dietro perché volevo intervistarla: mi ha invitato ad andare da lei e così è nata la nostra amicizia. Sono rimasta diversi giorni nella malga dove all’epoca teneva le capre in estate, tra schizzi di latte, taglieri di formaggi squisiti, risate, gente che andava e veniva. Sono tornata altre volte a trovarla e siamo sempre rimaste in contatto durante questi anni”.
Descritta come un modello di integrazione, Agitu si era scontrata con episodi di razzismo e discriminazione. Circa due anni fa, aveva ricevuto minacce e subito un’aggressione a sfondo razziale da parte di un suo vicino - “Sporca negra te ne devi andare”, secondo quanto riportato dalla stampa locale. L’uomo era stato condannato a 9 mesi per lesioni, ma assolto dall’accusa di stalking aggravato dall’odio razziale.
Questa storia l’aveva amareggiata ma la sua forza era inarrestabile, racconta ancora Amicucci. “Se dovessi scegliere una parola per descriverla, sceglierei forza. Sia per quello che faceva in Etiopia, dove ha avuto il coraggio di confrontarsi con un sistema così repressivo perdendo amici e compagni, sia per la sua attività in Trentino, dove è riuscita a inserirsi in una comunità di montagna sviluppando una realtà imprenditoriale di grande successo e in armonia con l’ambiente. Era una donna indipendente e aveva costruito attorno a sé una rete di amicizie e persone che la sostenevano. Era una persona iper socievole, allegra, che non si scoraggiava mai, sempre con il sorriso”.
Il 7 marzo del 2017 la senatrice Emma Bonino la volle al suo fianco in un’iniziativa di sensibilizzazione sul ruolo delle donne immigrate e rifugiate in Italia. “L’obiettivo – ricorda la senatrice - era far conoscere la sua storia che rappresenta uno straordinario esempio per tutte le donne rifugiate nel nostro Paese. Dalle sue parole, quel giorno, siamo riusciti a cogliere tutta la sua forza, determinazione, passione politica: la sua scomparsa tragica lascia un grande vuoto”.
Il 4 ottobre sul suo profilo Facebook Agitu pubblicava una foto delle sue capre accompagnata da un vero e proprio messaggio d’amore: “Amore incondizionato, nulla conta di più di loro nella mia vita e nulla mi appaga come il loro amore puro incondizionato, sono la mia forza e il mio rifugio, sono in grado di rigenerarmi, mi trasmettono serenità, tranquillità. Sono grata a loro, esisto perché ci sono loro e sono la mia vita”. Aveva imparato a proteggere le sue capre dagli orsi. “Quando vedo impronte o segnali della presenza di un orso – raccontava sul sito - mi chiudo in auto con dei petardi. Basta fare un po’ di rumore e il mio ‘vicino’ sa che è meglio andare da qualche altra parte”.
Amore incondizionato, nulla conta di più di loro nella mia vita e nulla mi appaga come il loro amore puro...
Pubblicato da La Capra Felice su Domenica 4 ottobre 2020
La scorsa estate Legambiente aveva riconosciuto il valore del progetto di Agitu assegnandole la Bandiera Verde. “Era stata molto contenta e orgogliosa del riconoscimento, la notizia della sua morte ci lascia sgomenti”, commenta ad HuffPost Andrea Pugliese, presidente di Legambiente Trento. “Abbiamo premiato La Capra Felice con la Bandiera Verde per il suo doppio valore di recupero delle tradizioni pastorali ed esperienza imprenditoriale brillante. Ci sono diverse attività di questo tipo in provincia, ma l’unicità dell’esperienza di Gudeta – donna, attivista, rifugiata – ci ha spinto a scegliere lei come modello d’iniziativa capace di coniugare tradizione, qualità e sostenibilità economica, un’attività portata avanti con coraggio come imprenditrice”.
Non aveva paura di niente, Agitu, e la sua mente era in continuo movimento, come la sua azienda. Malgrado le difficoltà imposte dal Covid, l’imprenditrice aveva grandi progetti per il futuro: aveva comprato un edificio dismesso dietro la sua abitazione per poter realizzare un agriturismo bio la prossima primavera. “Aveva un senso imprenditoriale e creativo molto forte, era capace di realizzare, oltre che di pensare”, conclude Amicucci. “Aveva in programma di aprire una foresteria con un piccolo bed and breakfast, aveva già chiesto i permessi per fare i lavori: eravamo tutti in attesa di andare a trovarla. Era una forza della natura, Agitu, la sua morte lascia un vuoto incolmabile”.
Az. Agricola "La Sopravissana dei Sibillini" di Silvia Bonomi
triste.
E' stata trovata morta a casa sua, nel maso della Valle dei Mocheni dove si era ricostruita una vita dopo essere fuggita nel 2010 dall'Etiopia, pensando di trovare salvezza in Italia.
Un destino crudele quello di #Agitu Idea Gudeta, dolcissima pastora Etiope che tanti trentini avevano imparato a conoscere ed amare, vuoi per la sua fiorente attività a Frassilongo, dove partendo dall'idea di salvare poche capre di razza Mochena era arrivata ad avere 200 capi di bestiame, vuoi per le vicende giudiziarie che l'avevano coinvolta, suo malgrado.
Agitu era infatti fuggita da casa sua, dove aveva tenacemente combattuto il "land grabbing" delle multinazionali - l'accaparramento dei terreni dei paesi poveri a danno delle popolazioni locali, ennesimo furto ai danni del continente Africano -. Per essersi opposta a tale sciacallaggio, era stato spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti, e Agitu era fuggita in Italia, scegliendo il Trentino per rifarsi una vita.
Agitu aveva timidamente ed ambiziosamente iniziato il recupero della razza caprina Mochena, una razza reliquia Italiana a rischio estinzione, con un occhio anche all'ambiente in cui viveva: per limitare il problema dei lupi, chiudeva le sue capre in un recinto su cui aveva montato delle lampadine colorate, azionate da un pannello solare, che si accendevano e spegnevano a intermittenza, mettendo in confusione i lupi.
La sua storia però, le aveva insegnato che più che dei lupi, bisogna aver più paura di certi lupi a due zampe: gli uomini.
La donna aveva presentato denunce negli anni scorsi, per le quali era finito ai domiciliari (per minacce e stalking aggravato da discriminazione razziale) un vicino italiano anche lui trapiantato in Val dei Mocheni, evidentemente infastidito dalla presenza di Agitu, donna solare e di successo.
La sua inarrestabile passione, l'amore per le sue adorate capre, però, l'avevano spinta ad andare avanti, a lottare ed andare avanti lo stesso, con tutte le sue forze.
Ieri sera però, i suoi progetti sono stati drammaticamente interrotti, i sogni di questa straordinaria donna infranti.
Agitu è stata trovata morta a casa sua.
Sul suo corpo, ferite che hanno fatto subito pensare ad una fine violenta.
I carabinieri di Borgo Valsugana, arrivati sul posto con il sindaco Bruno Groff, avevano mantenuto il più stretto riserbo fin quando nella notte, dopo ore di interrogatorio serrato, hanno avuto la piena confessione di un ragazzo Ghanese di 32 anni, dipendente di Agitu, il quale avrebbe avuto con lei una lite per motivi economici e l'avrebbe uccisa a martellate.
A MARTELLATE.
Dopo averla VIOLENTATA.
Ci lascia inorriditi la raccapricciante morte di Agitu.
Unica certezza, la sua Azienda Agricola biologica "La Capra felice", da ieri sera è orfana della sua titolare.
Un colpo durissimo anche per gli altri amati collaboratori ai quali aveva dato lavoro, e che aveva coinvolto nella sua passione per le cose naturali, etiche e tradizionali.
Agitu infatti si era proposta capofila di un'intera filiera in cui avevano trovato lavoro moltissime persone.
Con le sue 200 adorate capre Mochene, infatti, Agitu era riuscita a realizzare un caseificio, producendo yogurt, ricotta e formaggi con alcuni suoi collaboratori, ma anche creme cosmetiche a base di latte caprino.
Insieme ad altre realtà, erano riusciti a ristrutturare un antico maso dell'800 per farne un agriturismo, e ad aprire recentemente anche una bottega anche a Trento, in Piazza Venezia, dove venivano venduti i prodotti di queste attività.
Agitu era quindi un simbolo di collaborazione, di unione, nonché la dimostrazione concreta di come sia possibile creare un'economia circolare attorno ad un numero di capi di bestiame non impattante sull'ambiente, in cui possano lavorare numerose realtà, anche molto differenti tra loro.
Ci lascia una donna in gamba, anzi, in gambissima. Una donna che evidentemente faceva paura a qualche essere gretto ed abietto. Una donna che era partita con un progetto ambizioso riuscendo poi a realizzarlo, spaventando i mediocri, gli arrampicatori, gli invidiosi.
Brilla Agitu. Brilla per tutte noi.
Continueremo in tuo nome a denunciare le minacce, le molestie e lo stalking di cui spesso sono vittime le donne che brillano, che spaventano gente frustrata.
È una promessa.
Riposa in pace, amica.
La pagina rimarrà in silenzio in segno di rispetto.
Agitu Ideo Gudeta, simbolo di autonomia e libertà femminile Montagna.TV
https://www.montagna.tv/172460/agitu-id ... femminile/ “La storia di Agitu Ideo Gudeta parlava di emigrazione, accoglienza, integrazione, valorizzazione del territorio, amore per la terra e gli animali, autonomia e libertà femminile, di nuove radici”. A scriverlo è il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Teresa Bellanova. Un ricordo breve, ma significativo per la sorridente etiope che ha trovato una fine tragica la notte del 29 dicembre scorso, in Trentino, dove la vita le aveva offerto una seconda opportunità. Uccisa a colpi di martello dal custode dell’azienda agricola che la stessa Agitu aveva creato.
Arrivata in Italia diversi anni fa Agitu era una rifugiata fuggita dal suo Paese Natale per scappare al mandato d’arresto emesso dal governo nei suoi confronti. Il suo impegno contro le pratiche del “land grabbind” (acquisto di terreni agricoli da parte di multinazionali a discapito dei popoli locali, repressi e sfruttati) l’aveva resa personaggio scomodo per i vertici del governo etiope. In Trentino, in Valle di Gresta, non senza difficoltà, si era ricreata una vita. Tra queste docili montagne esposte al sole aveva messo in piedi un progetto di recupero e valorizzazione del territorio orbitante intorno alla capra mochena, specie in via di estinzione. Nel giro di poco tempo, per la comunità era diventata la “regina delle capre felici”. Appassionata e meticolosa ci aveva raccontato il suo lavoro, la sua creazione, un paio di anni fa. Partita da appena 15 capre, recuperate brade su per i monti trentini, nel tempo era riuscita a mettere su un vero e proprio allevamento con la produzione di formaggi biologici e a vendita diretta inseguendo una filosofia “no global”.
“La produzione massiccia del cibo lo rende non sostenibile e questo va contro la mia filosofia di vita. Anche la scelta di non vendere ai negozi è fatta per legare a noi il consumatore. Per questo proponiamo anche giornate al pascolo per famiglie: è un modo per conoscersi, per scoprire la mungitura e la produzione del formaggio, fidelizzando il legame e inculcando nelle nuove generazioni la cultura che lega produttore, consumatore e territorio”.
Per la donna, classe 1978, era quasi un dovere la divulgazione delle peculiarità territoriali, della tradizione. “Voglio fare il contrario rispetto a quel che han fatto le multinazionali a casa mia, in Etiopia. Lì gli interessi economici hanno portato a espropriazioni di terreni, allo sfruttamento della manodopera, allo sfruttamento delle terre senza nessun riguardo verso le tematiche ambientali”. Per tutte queste ragioni nell’ultimo periodo la sua realtà era stata premiata con la Bandiera verde di Legambiente.
Era felice di quel che era riuscita a creare, da rifugiata a imprenditrice produttiva capace di offrire lavoro. Il primo gennaio avrebbe compiuto 43 anni, era un simbolo di autonomia e libertà femminile.
Uccisa a colpi di martello la pastora anti-razzistaTrovata morta in casa Agitu Gudeta, 42 anni, simbolo dell’integrazione . Viveva nella Valle dei Mocheni con le sue capre. Sospettato un dipendente
30 dicembre 2020
https://www.quotidiano.net/cronaca/ucci ... -1.5862101TRENTO
Agitu Gudeta, la rifugiata etiope di 42 anni diventata simbolo di integrazione per il successo della sua azienda agricola biologica la ‘Capra Felice’ - undici ettari e ottanta capre autoctone nella Valle dei Mocheni, in Trentino - è stata trovata morta ieri sera nella sua abitazione, a Frassilongo (Trento).
Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, si tratterebbe di un omicidio. Sul corpo della donna ci sarebbero lesioni riconducibili a un atto violento. Sarebbe stata colpita da un martello, alla testa. Martello poi rirtovato.
A scoprire la donna già morta, in camera da letto, sono stati i vicini di casa, allertati da un conoscente della vittima preoccupato perchè la donna non era andata a un appuntamento.
I carabinieri sono accorsi sul posto assieme al magistrato, e dal medico legale si attendono chiarimenti sulle cause del decesso. Dai primi riscontri non appaiono segni di effrazione. Circa due anni fa, Agitu aveva ricevuto minacce e subito una aggressione a sfondo razziale. L’uomo che abita la baita vicino all’abitazione della ‘pastora bio’ l’avrebbe apostrofata con male parole: "Sporca negra te ne devi andare". Lo scorso gennaio, l’autore della violenza, che si era scagliato anche contro il casaro del Mali che aiutava Agitu, era stato condannato a 9 mesi per lesioni dal Tribunale di Trento, mentre l’accusa di stalking finalizzato alla discriminazione razziale era stata lasciata cadere, contrariamente a quanto aveva chiesto il pubblico ministero.
Ma a tarda sera le indagini si sono concentrate su un giovane africano dipendente dell’azienda, che avrebbe avuto dissidi con la donna per motivi economici.
Agitu, nata ad Addis Abeba nel 1978, aveva studiato sociologia all’Università di Trento e poi era tornata nel suo Paese. Nel 2010, a causa della situazione di conflitto interna, aveva fatto ritorno in Italia e nella Valle dei Mocheni, dove dal Medioevo vive una minoranza di lingua tedesca, aveva dato vita alla sua azienda della quale si erano occupate anche trasmissioni televisive e riviste come Vanity Fair.
A Trento aveva aperto un punto vendita di formaggi e prodotti cosmetici a base di latte di capra. Sul suo profilo Facebook aveva appena scritto "Buon Natale a te che vieni dal sud, buon natale a te che vieni dal nord, buon natale a te che vieni dal mare, buon natale per una nuova visione e consapevolezza nei nostri cuori".
Perché anche definire Agitu Gudeta “simbolo di integrazione” è razzismoAnnalisa Girardi
31 dicembre 2020
https://www.fanpage.it/politica/perche- ... -razzismo/Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa due giorni fa. È stata trovata morta nella sua casa a Frassilongo, in provincia di Trento, dove si era trasferita dall'Etiopia. Nelle ultime 48 ore i media hanno dedicato moltissima attenzione all'omicidio e una parola ricorrente che è stata usata, che però non si capisce bene cosa c'entri con la violenza che ha messo fine alla vita di Agitu Ideo Gudeta, è stata "integrazione". Ma perché? Se la sua storia fosse stata diversa, la sua vita avrebbe forse avuto meno valore? I lettori avrebbero forse dovuto dispiacersi meno per la sua morte?
Il racconto della morte di Agitu Ideo Gudeta trasuda razzismo
Le parole usate per raccontare l'omicidio di Agitu Ideo Gudeta trasudano razzismo. E ci mostrano come i media italiani siano lo specchio di una cultura intrinsecamente xenofoba, incapace di raccontare storie come quella di Agitu Ideo Gudeta, della sua vita tanto quanto della sua morte, se non in maniera fuorviante. Sottolineando che in Italia una donna come lei sarà sempre etichettata come una migrante. Perché in fondo, definirla un "modello di integrazione", è solo un altro modo per ricordare che lei non fosse italiana. Ma che, nonostante questo, potesse essere un esempio. I giornali, in queste ore, hanno semplicemente alimentato la retorica del "deserving migrant", evidenziando come siamo ancora anni luce dall'essere veramente un Paese accogliente, solidale e libero dal razzismo.
La sua non è solo una storia di migrazione
Agitu Ideo Gudeta era già stata in Italia prima di stabilirsi a Frassilongo e fondare la sua attività. Aveva infatti studiato alla facoltà di Sociologia a Trento, per poi decidere di tornare nella sua città natale, Addis Abeba, dove aveva denunciato le politiche di land grabbing, cioè l'appropriazione di terre da parte di multinazionali o governi stranieri senza il consenso delle comunità che le abitano. Nel suo Paese aveva ricevuto minacce ed era stata costretta a fuggire. Era quindi tornata in Italia, in Trentino, dove aveva iniziato la sua attività come allevatrice di capre di razza mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, recuperando allo stesso tempo terreni abbandonati. Aveva anche aperto una bottega nel centro di Trento, la Capra Felice. Anche qui, tuttavia, aveva ricevuto minacce per il colore della sua pelle. Che però non sono state riconosciute come tali, perché in Italia è ancora facile fare finta che il razzismo non esista. Due anni fa, infatti, un vicino di casa è stato condannato a 9 mesi per lesioni dopo averla aggredita, ma sono cadute le accuse per stalking e l'aggravante dell'odio razziale, avanzate dal pm.
Basta con la retorica del deserving migrant
Oggi però non sentiamo parlare di Agitu Ideo Gudeta come imprenditrice, come simbolo di emancipazione per le donne, come allevatrice ambientalista. Tutto viene in secondo piano rispetto al suo essere un'immigrata. Raccontare la sua vita sotto la definizione di "esempio di integrazione" è l'ennesima affermazione del razzismo in questo Paese. Se fosse stata "solamente" una donna arrivata dall'Africa, magari su un barcone, in fuga da violenza e discriminazione, la sua morte sarebbe stata meno grave? Perché è questo che suggerisce una retorica che ancora una volta separa tra i migranti buoni, ben integrati e protagonisti di storie eroiche, e quelli cattivi. Quelli che uccidono e stuprano, proprio come il suo presunto assassino.
Parlare di Agitu Ideo Gudeta come dell'eccezione alla regola non le fa onore. Svilisce anzi la sua memoria. Perché il fatto che fosse "perfettamente integrata" non c'entra nulla con il suo valore. Che è dato da ben altro, come ci racconta la sua storia. Ma una persona come Agitu Ideo Gudeta in Italia resterà sempre una migrante. Certo, ben integrata, ma una migrante.
La morte di Agitu Gudeta Il Post
martedì 29 Dicembre 2020
https://www.ilpost.it/2020/12/29/agitu-gudeta-morta/Era un'imprenditrice etiope molto nota in Trentino per via della sua azienda di formaggi e della sua storia: è stata trovata morta in casa, aveva 42 anni
Aggiornamento del 30 dicembre: Nella notte è stato arrestato un uomo per l’omicidio di Agitu Gudeta, una nota imprenditrice etiope che lavorava in Trentino, trovata morta martedì 29 dicembre nella sua casa di Frassilongo, in provincia di Trento. L’uomo si chiama Adams Suleimani, è ghanese e ha 32 anni: lavorava come collaboratore nell’impresa di Agitu Gudeta, dove si occupava del pascolo delle capre. L’uomo, scrivono i giornali Il Dolomiti e Trentino, avrebbe confessato ai carabinieri di aver colpito la donna durante una lite per motivi economici.
Gudeta era arrivata in Italia nel 2010 dall’Etiopia, dove era scappata a violenze e persecuzioni da parte del governo. Da alcuni anni aveva avviato una azienda di formaggi e prodotti caprini dal notevole successo, la Capra Felice, che di recente aveva aperto un negozio anche nel centro di Trento. Qualche mese fa il giornale locale Dolomiti l’aveva definita «la pastora più nota del Trentino».
Le circostanze della morte di Gudeta sono ancora poco chiare. Fonti dell’Adige hanno raccontato che sul suo corpo sono state trovate alcune lesioni, ma la notizia non è ancora stata confermata ufficialmente.
I giornali locali del Trentino hanno fatto notare che in passato Gudeta era stata perseguitata da uno dei suoi vicini, che nel gennaio del 2020 è stato condannato a nove mesi di carcere per lesioni a causa di un’aggressione – preceduta da diversi altri episodi sgradevoli – avvenuta nel 2018. L’avvocato di Gudeta aveva chiesto di includere nella condanna anche i reati di stalking e di considerare l’aggravante razziale, ma il giudice respinse la richiesta. Al momento comunque non c’è alcun elemento che collega l’uomo alla morte di Gudeta, e fonti investigative hanno detto al Dolomiti che «tendono ad escludere» un suo coinvolgimento.
Negli scorsi anni la storia di Gudeta era stata raccontata da molti giornali nazionali, e anche da una puntata della trasmissione Caro marziano di Pif.
«Quando sono arrivata a Trento avevo duecento euro in tasca, niente di più», raccontò nel 2017 ad Annalisa Camilli di Internazionale: «Ho trovato lavoro in un bar, per mantenermi, ma nel frattempo ho cominciato a pensare all’allevamento delle capre. In Etiopia avevo lavorato in alcuni progetti con i pastori nomadi del deserto e avevo imparato ad allevare le capre. Ho pensato che con tutti questi pascoli non sarebbe stato difficile fare del buon latte». I formaggi prodotti dalla Capra Felice hanno ottenuto negli anni diversi riconoscimenti, fra cui un premio ricevuto nel 2015 da Cheese, l’annuale fiera internazionale dei formaggi curata da Slow Food.
La gaffe della capogruppo di Nardella: "Omicidio Gudeta? Colpa della Lega"Elena Barlozzari
31 dicembre 2020
https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 13588.html Omicidio Gudeta, Mimma Dardano, capogruppo della lista Nardella al Comune di Firenze chiama in causa "la politica di intolleranza delle destre e della Lega" ma l'omicida è un ghanese. Salvini: "Questa è la sinistra"
Il mistero del delitto di Agitu Ideo Gudeta per qualcuno era una trama già scritta.
Ancor prima che gli investigatori dessero un nome e un volto al suo omicida c’è chi aveva già risolto il caso. Subito dopo la scoperta del corpo senza vita dell’imprenditrice, d’altronde, le ricostruzioni giornalistiche puntavano tutte nella stessa direzione: quella dell’odio razziale.
Per saltare alle conclusioni è bastato inserire il suo nome nel motore di ricerca. Scoprendo così che due anni fa era stata insultata, minacciata e persino aggredita per ragioni squisitamente razziali. È vero, la donna simbolo dell’integrazione gentile non piaceva a tutti, ma stavolta l’intolleranza non c’entra. E non c’entra neppure la Lega. Già, la Lega. A tirarla in ballo è stata Mimma Dardano, capogruppo della lista Nardella al Comune di Firenze.
In un post Facebook pubblicato il giorno successivo al ritrovamento del cadavere la consigliera emette il suo verdetto. Il movente è sicuramente da ricercare nel colore della pelle della vittima: “Mentre siamo distratti dalla domanda: cosa farai il giorno di Capodanno? – scrive la capogruppo – gesti ignobili si consumano nel nostro Paese "libero" e "democratico", dove l’inclusione e il colore della pelle fanno ancora paura”.
Cosa c’entra la Lega? La Dardano lo spiega qualche riga dopo: “Agitu era un’imprenditrice di successo, ma era nera e questo in una delle tante regioni italiane dove, grazie ad una politica di intolleranza delle destre e della Lega, per qualcuno non era ammissibile”. Insomma, la nardelliana sembra suggerire che ad armare idealmente la mano dell’assassino siano stati proprio i sovranisti.
Qualche ora dopo il giallo viene risolto e le congetture della Dardano si rivelano errate. L’omicida è un pastore ghanese che lavora alle dipendenze di Agitu, si chiama Adams Suleiman ed ha agito per questioni di denaro. Nel frattempo il j’accuse della consigliera è arrivato all’orecchio di Matteo Salvini. “La capogruppo della lista Nardella – scrive sui social il leader del Carroccio – aveva già messo la Lega e il "razzismo" sul banco degli imputati per l’orribile omicidio di Agitu Gudeta, questa è la sinistra”.
Del post incriminato adesso non c’è più traccia. Al suo posto ce n’è un altro dove la nardelliana prova a correggere il tiro. “La mia posizione è stata evidentemente fraintesa (…) non era certo mia intenzione individuare alcun mandante dell’omicidio, questo – chiarisce – non spetta a nessuno fuorché alla giustizia, che ha fatto il suo corso individuando il responsabile, né tantomeno addossare colpe a parti politiche”.
Ma la toppa è peggio del buco. Sì perché adesso è lei a rivolgere al mittente le accuse di strumentalizzazione: “Adesso smettiamola con le strumentalizzazioni su una tragedia che ha sconvolto tutti e su una giovane donna, vittima di una violenza feroce”.