Perché critico le annessioni21 Giugno 2020
Francesco Lucrezi
https://www.italiaisraeletoday.it/perch ... nnessioni/ Si susseguono, sui mezzi di comunicazione israeliani e stranieri, i commenti sul controverso piano di annessione di alcune zone della Cisgiordania preannunciato dal nuovo governo di Gerusalemme. Il tenore dei commenti, fuori da Israele, è quasi universalmente negativo. Cambiano le parole e i toni (chi dice semplicemente che l’annessione allontanerà la pace, chi profetizza catastrofici scenari di guerra e distruzione), ma è comunque un dato di fatto che le voci di approvazione, riguardo al progetto, sono praticamente zero, al di là di alcuni ristretti gruppi di persone ideologicamente orientate.
Tutti i politici del mondo o si dicono contrari, o contrarissimi, o tacciono, e lo stesso può dirsi per tutti gli opinionisti, intellettuali e artisti, di vario genere. Ma anche all’interno di Israele le voci contrarie sembrano molto superiori a quelle favorevoli. Ciò, naturalmente, non vuol dire che la maggioranza degli israeliani sia contraria, ma soltanto che i contrari parlano di più dei favorevoli, o a voce più alta, e, soprattutto, che la loro parola è ospitata, dai media internazionali, molto di più di quella dei “pro-annessione”.
Ma questa non è certo una novità: è ben noto che quasi tutti gli israeliani che hanno la possibilità e la voglia di fare sentire, all’estero, le loro idee sui problemi del Medio Oriente e del loro Paese, sono sempre molto critici verso le scelte del loro governo. Comunque, nel caso di specie, non si può certo liquidare il movimento di opposizione alla scelta di Netanyahu come lo snobismo di una èlite di intellettuali di sinistra, dal momento che anche non pochi esponenti di partiti conservatori, di giornali popolari e delle stesse forze armate hanno manifestato le loro preoccupazioni, o la loro aperta contrarietà.
Io credo che, prima di esprimersi nel merito del problema, sarebbe utile, o indispensabile, porsi una domanda preliminare, che invece viene sistematicamente elusa, da pressoché tutti i commentatori, siano essi simpatizzanti, antipatizzanti o indifferenti nei confronti dello Stato ebraico.
Questa domanda è suggerita, fra l’altro, da una nota di commento sulla vicenda formulata su queste pagine, lo scorso 4 giugno, da una persona che stimo molto, e con le cui analisi sono spesso d’accordo, Stefano Jesurum. Il noto scrittore si dichiara fortemente critico nei confronti dell’annessione, e confessa, “col senno di poi”, di essersi pentito del consenso a suo tempo manifestato riguardo al ritiro unilaterale da Gaza, deciso, com’è noto, dal governo Sharon nel 2004, e attuato nel 2005.
Stefano Jesurum
Anche quella, infatti, osserva Jesurum, “non è stata una scelta lungimirante e certamente non ha portato benefici né allo Stato di Israele, né ai palestinesi, né all’ANP e di conseguenza tanto meno al processo di pace. D’altronde la Storia insegna che l’unilateralità rarissimamente produce buoni risultati”.
La domanda, dunque, è questa: se le scelte unilaterali sono sempre sbagliate, cosa bisogna fare nel caso che quelle bilaterali o multilaterali siano del tutto impraticabili, in ragione della totale assenza di un tavolo negoziale, e della completa mancanza di fiducia negli interlocutori? Anzi, nella completa mancanza di interlocutori, di alcun tipo?
Perché il problema di fondo è questo.
Che le soluzioni negoziate e concordate siano preferibili è un dato su cui tutte le persone ragionevoli e pacifiche non possono non convenire, ma ciò non significa che queste soluzioni siano sempre effettivamente a portata di mano, per il solo fatto che le si desidera. E l’atteggiamento, le posizioni, il linguaggio, le azioni delle attuali dirigenze palestinesi sono quelle che sono, non lasciano, su questo piano, nessun margine di speranza.
Ariel
L’esempio del ritiro unilaterale di Sharon da Gaza, evocato da Jesurum, è emblematico al riguardo. Israele smantellò gli insediamenti senza chiedere nulla in cambio: avrebbe potuto concordare la mossa ad un tavolo negoziale, ottenere magari qualche contropartita, ma ciò era impossibile, perché Arafat aveva chiaramente fatto una scelta radicale di rifiuto del negoziato e di scelta della violenza e del terrore (e come ringraziamento, com’è noto, da Gaza sono poi solo piovute decine di migliaia di missili
Abu Mazen
L’alternativa, in quel caso, non era tra ritirarsi in modo concordato o unilateralmente, ma tra ritirarsi o no, e il governo fece, valutando le conseguenze, quella che riteneva la scelta più opportuna. Finché non ci sarà una chiara e sincera volontà negoziale, senza ambiguità, doppiezze e retropensieri, l’unilateralismo non può essere considerato conseguenza di un deliberato rifiuto del multilateralismo, ma, piuttosto, una scelta obbligata. Ciò è una cosa molto negativa, certo, una vera e propria tragedia, la cui prima responsabilità, però, non mi pare proprio che si possa attribuire a Israele. Tanto premesso, nel merito della vicenda, pur evitando in genere di giudicare le legittime e opinabili scelte dei governi israeliani, anch’io, per quel che vale il mio parere, mi iscrivo al partito dei critici dell’annessione, per motivi diversi da quelli correnti, che spiegherò la settimana prossima.
L’ ANNO PROSSIMO A GERUSALEMMEDi Bassem Eid - Analista politico palestinese e pioniere dei diritti umani.
17 giugno 2020
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 6049058403 Sono nato nel quartiere Ebraico nella Città Vecchia di Gerusalemme, sotto l’occupazione Giordana. Nel giugno del 1966, il governo Giordano decise di evacuare 500 famiglie palestinesi compresa la mia famiglia, dal quartiere ebraico e di trasferirci nel campo profugo di Shuafat senza darci spiegazioni e senza motivi chiari.
Un giorno, prima della guerra del 1967, andai dal campo di Shuafat alla Città Vecchia di Gerusalemme per visitare mia zia. Il giorno dopo scoppiò la guerra del ‘67, avevo nove anni e rimasi a casa di mia zia. Sentii sparare e chiesi a mia zia spiegazioni di quello che stava succedendo- rispose - “ è una guerra tra arabi ed ebrei ‘ - gli chiesi “ cosa è un ebreo? Sono esseri umani come noi ?” Mi rispose di no.
“ Mangiano esseri umani “ ebbi paura. Tanta paura.
Dopo tre giorni di guerra, mia zia mi chiese se volevo andare a prendere del cibo, risposi di no. Ho pensato, mi mangeranno. Lei mi disse che non sarei andato solo ma accompagnato dai nostri vicini. Andai con loro e trovai soldati dell’ esercito Israeliano che distribuivano pane, pomodori e latte. Portai più cibo possibile a casa e capii che i soldati israeliani non erano come la strega della storia di Hansel e Gretel e che non facevano ingrassare i bambini per mangiarseli. Capii che mia zia mi menti’ e che il tutto non era una favola.
Il sesto e l’ultimo giorno di guerra, fecero ripetuti annunci tramite altoparlanti che chiunque volesse uscire era libero di farlo. La gente poteva aprire i negozi e poteva partire. Dissi a mia zia che volevo tornare dalla mia famiglia a Shuafat e camminai per sette km verso casa, attraversai Wadi al Joz, trovai cadaveri sparsi lungo la strada ed incontrai un auto militare Israeliana che mi nascose in una casa per aiutarmi e proseguire poi il mio cammino fino al campo di Shuafat.
All’entrata del campo trovai i miei genitori che stavano venendo a cercarmi, fu un momento molto emozionante dopo essersi persi per sei giorni senza sapere cosa fosse successo uno all’altro.
A Shuafat la vita era molto noiosa, terribile. Niente elettricità, niente acqua, corrente, televisione, frigo e nemmeno un bagno. Mio padre era un sarto, guadagnava un penny e noi in famiglia eravamo otto, costretti a sopravvivere in una stanza sola.
Nel 1972 mio padre trovò lavoro all’ospedale di Hadassah come uomo delle pulizie. Negli anni in cui mio padre lavorò li divenne molto amico di un medico ebreo. Questo medico veniva a trovarci il venerdì di Shabbat con sua figlia al campo di Shuafat. Il professor Isaac come lo chiamavamo noi, riuscì a costruire il Centro Sharett per la ricerca sul cancro a Hadassah e trovò un lavoro a mio padre nel nuovo edificio e fece fare un corso di sei mesi a mio padre a Tel Aviv per imparare a sterilizzare le attrezzature mediche. Mi ricordo di un giorno in cui vidi mio padre uscire di casa in giacca e cravatta e chiesi a mia mamma preoccupato “ ma sta partendo?” Mia mamma mi rispose di no, che stava andando al lavoro. Gli risposi “ ma perché gli serve una giacca ed una cravatta per fare le pulizie?” Lei mi rispose “ tuo padre ha una nuova posizione “
Un giorno andai a trovare mio padre all’ospedale di Hadassah e lo vidi indossare un camice da medico in una stanza con macchinari e strumenti enormi. Quel giorno capii e realizzai di quanto fosse importante sostenere Israele, perché Israele è stato l’unico paese che ci diede l’opportunità per una vita migliore.
Io penso che la questione della causa palestinese sia quasi finita. Ne gli arabi, nel gli Stati Musulmani, ne la leadership palestinese si interessano alla causa palestinese. Chiedo quindi ai miei colleghi palestinesi di calmarsi e di realizzare i fatti sul campo. È arrivato il momento per i palestinesi di dire “ muoio dalla voglia di vivere!” Adesso è il momento di farlo.
In questi giorni sono davvero felice di vivere a Gerusalemme sotto il Governo Israeliano e non c’è dubbio che Gerusalemme sia la Capitale di Israele e questo fatto non può essere cambiato a prescindere dalla decisione USA di spostare l’Ambasciata. Se sarò invitato a festeggiare la nuova apertura dell’ Ambasciata a Gerusalemme sarò lieto di farlo. Il giorno di Gerusalemme sarà particolarmente denso di significato quest’anno in virtù della prima Ambasciata straniera a Gerusalemme voluta dalla prima amministrazione americana che ha avuto il coraggio di rompere uno stallo senza fine. Mi auguro che l’anno prossimo lo faccia l’ Arabia Saudita, la UE ed il Regno del Bahrein. L’anno prossimo a Gerusalemme!
Bassem Eid è analista politico palestinese di Gerusalemme, pioniere dei diritti umani e commentatore esperto della questione Israelo- Palestinese.