Il Partito dei Veneti tra indipendenza e autonomia, ambiguità e careghe
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In Veneto è nato il Partito dei Veneti, ma servirà veramente ai veneti?
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Un collasso può cambiare l'Italia
25 novembre 2019
Enzo Trentin
https://www.vicenzareport.it/2019/11/co ... ApteHgVVfM
Vicenza – Nel mondo ci sono decine di manifestazioni popolari contro i rispettivi governi:
Non ci sono solo le odierne prolungate e violente proteste a Hong Kong.
A marzo 2019 ampie proteste di piazza hanno scosso l’Algeria ottenendo una prima ed importante concessione da parte del regime: il presidente Abdelaziz Bouteflika, ha deciso di fare un passo indietro e ritirare la propria candidatura in vista delle elezioni presidenziali che sono state rimandate alla fine del 2019.
Il 23 giugno 2019 c’è stata un’imponente manifestazione di 250mila giovani a Praga per chiedere le dimissioni del premier ceco, il miliardario Andrej Babiš, accusato di frode e sotto inchiesta anche in Europa per conflitto di interesse.
A inizio ottobre 2019 in Iraq ci sono manifestazioni contro il governo a Baghdad: tre morti, oltre 200 feriti, più di 3.000 le persone scese in piazza per protestare contro la corruzione della classe politica irachena e la disoccupazione
metà ottobre 2019, i cittadini libanesi di ogni estrazione sociale sono scesi in piazza con proteste senza precedenti che superano le barriere confessionali, di classe e regionali.
Nell’ultima decade di ottobre 2019 in Cile si sviluppa la rivolta popolare contro il governo di Piñera. Le proteste uniscono studenti e lavoratori in un paese con diseguaglianze sociali tra le più alte al mondo. Il presidente dichiara: «Siamo in guerra»
Il 10 novembre il boliviano Evo Morales alla fine ha ceduto annunciando nuove elezioni in seguito alle manifestazioni popolari al grido di «Togliete di mezzo il presidente indio.»
In Venezuela, le proteste contro Maduro durano da tempo. Nel corso di quella che è stata definita “Operazione Libertà”, Caracas è stata teatro di rilevanti scontri che hanno opposto le forze armate e i fedelissimi di Maduro da un lato ai partigiani di Guaidó e ad elementi della Guardia Nazionale in rivolta.
In queste ore la Colombia è nel caos. Almeno 3 morti e 273 feriti negli scontri con la polizia durante lo sciopero nazionale. In piazza contro le politiche economiche del presidente Ivan Duque e per difendere gli accordi di pace siglati dal suo predecessore con le Farc
In Francia vanno avanti da un anno le proteste dei gilet gialli.
Tutte queste manifestazioni sono il segno che i popoli ne hanno le scatole piene. A queste turbative si deve aggiungere la presa d’atto che sono molti i popoli senza Stato (come i curdi), che rivendicano l’autodeterminazione e l’indipendenza. il Corriere della Sera, del 17 settembre 2014, pubblica una mappa delle sole rivendicazioni in Europa.
Il Global Peace Index c’informa addirittura su quali sono i paesi più pacifici. Quanto è violenta l’Italia? Dove si è verificato il più alto incremento di violenza nell’ultimo anno? Questo e altro sulla mappa della pace del Global Peace Index, che ci racconta, purtroppo, che il mondo è sempre meno pacifico. Altro elemento di possibile instabilità lo si ricava dalle statistiche mondiali, aggiornate in tempo reale, su popolazione, governo, e altre interessanti rilevazioni come popolazione mondiale, emissioni di CO2, fame nel mondo etc.
«In tutte le tue battaglie combattere e conquistare non è la suprema eccellenza; l’eccellenza suprema consiste nello spezzare la resistenza del nemico senza combattere.» L’idea che il collasso possa essere uno strumento utilizzabile in guerra potrebbe risalire allo storico e teorico militare cinese Sun Tzu, che nel suo scritto “L’arte della guerra” (5° secolo a.C.), enfatizza il concetto di vincere le battaglie sfruttando la debolezza del nemico piuttosto che la forza bruta.
È normale che in guerra il conflitto si concluda con il crollo di una delle due parti ma, in alcuni casi, il collasso avviene senza grossi combattimenti o addirittura nessuno. Un esempio particolarmente rappresentativo è quello del crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, arrivato dopo diversi decenni di “Guerra Fredda” che non era mai sfociata in un conflitto aperto. Come aveva già notato Sun Tzu, la capacità di innescare il collasso della struttura militare o socio-economica del nemico è probabilmente la strategia di risoluzione dei conflitti più efficace. Ma come raggiungere questo risultato? La moderna scienza dei sistemi complessi può dirci molte cose sui fattori coinvolti nel collasso di tali sistemi, sebbene non possa fornire ricette valide per tutte le situazioni.
Studiando le mobilitazioni che sono riuscite bene, come la Marcia dei bambini a Birmingham, in Alabama nel 1963 (che ebbe un ruolo fondamentale nel porre fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti), come i Lunedì di Lipsia del 1989 (dove tirarono palle di neve fin quando non riuscirono a far cadere il regime della Germania orientale) e il movimento di Jana Andolan in Nepal nel 2006 (che abbatté il potere assoluto della monarchia e contribuì a mettere fine all’insurrezione armata), Roger Hallam ha sviluppato una formula per efficaci “dilemma actions”. Un’azione di dilemma è quella che mette le autorità in una posizione scomoda: o la polizia permette la disobbedienza civile, incoraggiando così a far dimostrare altra gente, oppure deve caricare i manifestanti, creando un potente “simbolismo nel sacrificio senza paura”, incoraggiando, anche così, altra gente ad unirsi alla causa.
Tra i fattori essenziali che ha scoperto, ci sono le manifestazioni di migliaia di persone nel centro della capitale, che devono mantenere una disciplina rigorosamente non violenta, dimostrando contro il governo per giorni o per settimane. Il cambiamento radicale – si legge – “è per lo più un gioco di numeri. Diecimila persone che infrangono la legge hanno sempre avuto un impatto maggiore di un attivismo su piccola scala e ad alto rischio”. La vera sfida è organizzare azioni che incoraggino il maggior numero possibile di persone a unirsi e questo significa che dovrebbero essere programmate alla luce del sole, in modo inclusivo, divertente, pacifico e rispettoso. Una azione del genere è stata convocata da Extinction Rebellion nel centro di Londra, il 31 ottobre 2018. E le folle pacifiche degli indipendentisti catalani ne sono una conferma; anche se ad oggi hanno ottenuto poco.
Lo studio di Hallam fa intendere che questo approccio offre almeno la possibilità di infrangere l’infrastruttura di bugie che, per esempio, hanno materializzato le aziende produttrici di combustibili fossili. È difficile e il successo non è sicuro, ma – si legge – la possibilità che la politica faccia qualcosa di efficace in questa drammatica situazione è pari a zero. Le azioni di dilemma di massa potrebbero essere l’ultima, se non la migliore, possibilità di evitare il grande sterminio.
Facendo le cose per bene, anche in Italia le autorità non possono vincere. È per questo che sorprende e allibisce un certo pseudo indipendentismo veneto che non trova di meglio che coalizzarsi nel Partito dei Veneti, il quale ha per dichiarato scopo la promozione dei referendum consultivi (un vero furto di democrazia) e arrivano a pronosticare, tramite tale insulso strumento di arrivare alla dichiarazione dell’indipendenza della regione.
Alcuni considerano il Partito dei Veneti alla stregua della LN di Bossi, che sproloquiando di federalismo ha depotenziato lo stesso. Infatti, chi propone più il federalismo se non sparute élite? Oppure, altro esempio, il M5S che proponendo la democrazia diretta, ha disamorato l’elettorato al richiederla con decisione. Ed in fondo è la stessa operazione che Luca Zaia, per mezzo di alcuni elementi che oggi siedono in Consiglio regionale, nel corso della campagna elettorale del 2015 girovagano per i gruppi indipendentisti promettendo (se votati, e lo furono) l’autodeterminazione del Veneto; peraltro mai nemmeno tentata da costoro una volta installatisi in Consiglio regionale.
È necessario prendere atto che Il popolo e i suoi rappresentanti non coincidono affatto. Nelle assemblee e nei Parlamenti c’è una sovra-rappresentazione delle professioni liberali, come avvocati, insegnanti, etc. e ci sono pochi artigiani o commercianti, pochi operai o contadini, pochi tassisti o autisti di autobus, pochi studenti o casalinghe. Questo significa che esiste una parte della società che semplicemente non è rappresentata. E poi per sperare di essere eletti, bisogna avere denaro, essere disinvolti e disinibiti, bisogna entrare in un apparato, prendere la forma di un partito (il PdV appunto). Questa democrazia rappresentativa ha fatto il suo tempo. Il referendum sul Trattato di Maastricht del 20 settembre 1992, in Francia, e il successivo Trattato di Lisbona sono la perfetta incarnazione dei suoi limiti: gli eletti dal popolo che operano e votano contro il popolo. Insomma, un collasso dello Stato italiano è un’eventualità che anche l’uomo qualunque percepisce come possibile e imminente.
A questo punto, secondo fonti riservate, sembra (il condizionale qui è d’obbligo) che ci sia un “altro” indipendentismo veneto che lavora sotto traccia per elaborare una bozza di progetto politico-istituzionale innovativo, dove al federalismo sono affiancati gli strumenti di democrazia diretta tra i quali l’iniziativa di delibere e leggi, il recall, il sorteggio degli incarichi istituzionali e giudiziali. Ma si tratta di persone che di necessità stanno facendo virtù, poiché appare evidente che prima qualsiasi attività pubblica bisognerà superare la primavera elettorale del 2020.
Questi indipendentisti “ad oltranza” sembra siano persone che non riescono a rallegrarsi nel vedere eventualmente vincente l’ennesima riproposizione della strategia del «Facciamo-fronte-contro-il-nemico-nel-nome-dell’indipendenza-poi-si-vedrà», considerando che il programma politico-elettorale del Partito dei Veneti è tanto pretenzioso quanto inconsistente. E sapere che qualche innocente credulone contribuirà per l’ennesima volta a incoraggiare e far proseguire sulla strada della coltivazione pluridecennale del nulla, non li consola. Insomma, se i cittadini vogliono imporre le loro regole, le devono creare essi stessi e non demandarle alla partitocrazia, dimostrando così che il vecchio modello non funziona più.
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Successo del Partito dei Veneti: lo “Tsunami Veneto” riunisce oltre 2000 partecipanti
01 dicembre 2019
http://www.trevisotoday.it/politica/tsu ... cGc1ZG9rys
Sale stracolme per il lancio del Partito dei Veneti avvenuto simultaneamente sabato nelle 7 Province venete. Centinaia di persone tra cui Amministratori, imprenditori ma anche tanta gente comune curiosa di capire il senso della nascita del Partito dei Veneti si sono ritrovate nelle varie location sparse per il Veneto. Oltre 50 relatori hanno denunciato il fallimento dei partiti nazionali in tema di autonomia e decentramento e lanciata l’unica loro alternativa credibile: un Partito unicamente veneto che difenda solo gli interessi dei veneti.
Il Coordinatore Regionale Giacomo Mirto commenta entusiasta: «Abbiamo centrato l’obiettivo. Grazie al lavoro straordinario dei nostri coordinamenti provinciali siamo riusciti a riempire gli auditorium in nemmeno tre settimane, muovendo centinaia di persone in ogni Provincia. La strada è segnata, ed è quella di successo portata avanti dall’SVP in Sud-Tirol o dall’SNP in Scozia ovvero quella di Partiti regionalisti che sono riusciti concretamente a trattenere le loro risorse economiche nei loro territori. Il PdV sarà quindi il partito di riferimento per tutti quei veneti che vogliono l’Autogoverno e che nel 2017 votarono in massa un’autonomia fiscale, mai arrivata a causa dei fallimentari partiti nazionali. Da oggi non si potrà più fingere che non esista un’alternativa veneta, l’unica alternativa: il Partito dei Veneti».
Flavio Corazza, Coord. Prov. Di Treviso: «Un sabato pomeriggio frizzante all’hotel Crystal di Preganziol. Dopo l’unione delle principali sigle autonomiste e indipendentiste, il PdV si propone e si lancia alle prossime regionali del 2020 come unico partito territoriale». Fra i relatori Riccardo Szumsky, ex leghista e sindaco di Santa Lucia di Piave che ha parole dure e ferme: «Basta autocelebrarsi in Regione, da Roma non si cambiano le cose». E ancora, Simonetta Rubinato senatrice ex PD: «La Costituzione italiana sarà la nostra arma. L’uniformità italiana uccide le singolarità territoriali». Parola utilizzata da tutti i relatori è “responsabilità”, spesso utilizzata ma tradita dai partiti nazionali. «Se queste sono le premesse, lo tsunami annunciato dagli esponenti del PdV si protrarrà fino alle prossime regionali, e allora si, ne vedremo delle belle» concludono gli organizzatori.
"Houston, abbiamo avuto un problema"
2 dicembre 2019
Enzo Trentin
https://www.vicenzareport.it/2019/12/ho ... cQQtGO03Iw
Vicenza – “Houston, abbiamo avuto un problema”. La frase è diventata celebre. Fu pronunciata da Jim Lovell, uno dei tre astronauti della navicella Apollo 13, decollata l’11 aprile 1970, per annunciare il guasto che impedì l’allunaggio e rese difficoltoso il rientro sulla Terra. Furono dei perdenti di successo. Una cosa che non si può dire per i protagonisti dell’intera scena politica italiana.
Per comprendere quanto le odierne vicende parlamentari siano fuori luogo è sufficiente prendere atto di quanto il politico inglese Edmund Burke (1709-1797) a suo tempo disse: «Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il Parlamento è l’assemblea deliberante di una Nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale.»
Sotto il profilo della politica interna, dal 1861 in poi vi sono stati 131 governi in 158 anni di storia dell’Italia, invece dei prevedibili 31. Questo dato è indicativo dell’alto fermento interno della politica partitica italiana che porta a due risultati: incapacità di dare senso compiuto alle riforme per adeguare il Paese alle nuove esigenze e ininfluenza in politica estera. Comprensibile, dunque, che da tempo siano nati soggetti politici che puntano all’indipendenza e all’autodeterminazione di alcune aree dello stivale, e almeno dell’unico popolo storicamente riconoscibile – quello veneto – ivi residente.
Max Weber dal canto suo ebbe a scrivere: «la politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile…». Purtroppo, però, si deve prendere atto che la cultura politica di coloro che oggi si dichiarano indipendentisti, e che temporaneamente si camuffano da autonomisti, non è diversa da coloro che appartengono alla partitocrazia dominante.
Fare politica è un servizio alla collettività, non una professione: «I 246 membri del Consiglio nazionale e del consiglio degli Stati della CH dedicano al mandato parlamentare una parte del proprio tempo di lavoro. Generalmente oltre al ruolo di parlamentare, svolgono anche una attività professionale. Il fatto di assumere compiti e mandati pubblici in quanto attività accessoria viene definito in Svizzera sistema di milizia». Lo si può leggere a pagina 30 dell’opuscolo “La Confederazione in breve. 2014”.
Anni di sacrifici e di lotte non hanno ancora lasciato spazio all’autonomia dei veneti, né è servito un referendum (nel 2017, e per giunta “consultivo”) ad affrancare gli “schiavi fiscali” italiani, e nemmeno alla sostituzione di una classe politica corrotta e inetta con una diversa rappresentanza politica che invece appartiene alla stessa educazione politica. Si confronti, per esempio, il neonato Partito dei Veneti, che nel proprio programma politico-elettorale, a pagina 11, si ripropone d’introdurre i referendum consultivi negli Statuti degli Enti locali (che peraltro ci sono già) come accentuazione della democrazia partecipativa.
Qui è necessario constatare che una nuova classe dirigente, e non dominante, nasce quando si affermano nuove idee, o quando la storia imbocca nuove vie. Ai giorni nostri quelli che attendono di sostituire i predecessori, prendendone il posto, non sono una nuova classe dirigente anche quando parlano e straparlano di democrazia diretta o addirittura d’indipendenza. Sono semplicemente la continuazione della precedente. Il senso di vuoto che si vive in molte parti d’Italia lo si deve al non identificare nulla di nuovo, di efficiente ed efficace per l’esercizio facile e tempestivo della democrazia diretta come deterrente alla democrazia rappresentativa.
Tutto questo con il risultato che una credibile proposta per l’indipendenza priva di un progetto istituzionale innovativo, e soprattutto concertato a priori, non esiste. Rimandano ad un imprecisato futuro la sostanza che dovrebbe consentire all’uomo qualunque, alla casalinga, al pensionato, all’imprenditore di conoscere i vantaggi che darebbe l’indipendenza. A queste condizioni l’Abracadabra “indipendenza” servirà solo ai disinvolti perdenti di successo per vestire, ancora una volta, i panni di Quisling. E con questo stendiamo un velo pietoso sull’autonomia che è ancora da venire nonostante un referendum (consultivo) dall’esito plebiscitario.
Diventa allora un apprezzabile ma vuoto esercizio intellettuale il punto di vista giuridico di un indipendentista veneto quale è l’avvocato veronese Vittorio Selmo: «Sul decr. leg.vo 212/2010 di abrogazione del r.d.l. 3300/1866 conv. In legge 3841/1867 di annessione dei Territori Veneti allo Stato Italiano:
a) L’art. 5 Cost. Ital. dispone solo un decentramento amministrativo per gli enti regionali che fanno parte del territorio italiano, senza nominare le regioni, con la conseguenza per cui alle regioni, o meglio ai territori sui quali insistono amministrativamente, ma non più facenti parte del territorio politico italiano, non può applicarsi lo stesso art. 5 Cost. sul decentramento amministrativo.
b) Non è dimostrato in alcun modo che il decr. leg.vo 212/2010 abbia ecceduto, ovvero abbia disposto in senso incompatibile con i limiti della legge delega.
c) Il decr. leg.vo 212/2010 è stato applicato con effetto utile per l’abrogazione di tutte le altre normative con esso elencate. Perciò non vi è una ragione giuridica per cui solamente l’abrogazione del r.d.l. 3300/1866 e la legge di conversione 3841/1867 dovrebbe fare eccezione.
d) Non esiste nell’Ordinamento italiano la previsione legale di resurrezione di una legge abrogata, tanto meno mediante “emendamento” di un preteso errore nel disporla. Mentre potrebbe essere riproposta la legge abrogata, tuttavia con ciò riconoscendone la sua precedente avvenuta abrogazione.
e) Le leggi successive al decr. leg.vo 212/2010, dispositive di norme concernenti comunque i Territori dichiarati non facenti parte dello Stato Italiano, sono da considerarsi inefficaci, tanto come quelle che disponessero norme su altri territori esteri e, in ogni caso, non hanno alcun effetto sanante del presupposto abrogativo del decr. leg.vo 212/2010.
f) L’elenco delle regioni di cui all’art. 131 Cost. It. ha scopo e contenuto esclusivamente amministrativo, non già ricognitivo di una loro sottostante territorialità politica?»
Insomma per alcuni le terre venete sarebbero già indipendenti dallo Stato italiano. Ma come si governerebbero? Chi amministrerebbe la giustizia e secondo quali Codici? Chi provvederebbe all’ordine pubblico e alla difesa? Come sarebbe tutelata la proprietà privata e la libera impresa? Quale sarebbero il Welfare? La pubblica istruzione? Il sistema fiscale colpirà la proprietà privata o come in certi paesi (pochi in verità) sarà ridotta al minimo o assente? Come verrebbero orientati i rapporti internazionali? Come e chi provvederebbe alla vitale questione energetica? I governanti pro tempore (vedi qui) sarebbero scelti mediante elezioni o sorteggio? Tutto questo solo per evidenziare alcune delle questioni totalmente sottaciute da coloro che si propongono come autonomisti sulla via dell’indipendenza.
Si consideri che la giustizia in Italia (ma anche in UE, come dimostra il caso della Catalogna) è alquanto singolare, specie se si tiene presente la recente crisi del Consiglio superiore della magistratura oramai [volutamente?] scomparsa dalle cronache dei principali mezzi d’informazione. Nondimeno anche se non esistesse questa congiuntura, non ci sarebbe comunque da star allegri: il “Potere” ha sempre potuto contare sulla magistratura nei momenti decisivi della storia.
Né i sedicenti indipendentisti, sinora, hanno elaborato delle linee giuda di un innovativo patto sociale che comprendesse le tre indicazioni fondamentali:
la spontaneità delle leggi [dal basso, dalle reali esigenze delle persone];
lo spirito di cooperazione [ricostituendolo in alternativa alla demenziale, imperante, competitività];
il rispetto della reciprocità degli interessi, e soprattutto rispondendo efficacemente all’antico quesito: Quis custodiet ipsos custodes? [«Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?»].
Il referendum di iniziativa dei cittadini è una soluzione molto interessante. Ma chi lo propone? Eppure l’idea che i parlamentari eletti possano essere revocabili prima della scadenza del mandato (recall election) è una buona cosa. Il grande vantaggio di Internet è che le persone possono cercare informazioni alternative. È fantastico quel popolo che decide di assumersi le proprie responsabilità. Che un testo di legge possa essere pensato e criticato dal popolo è un’ottima ipotesi.
Al giorno d’oggi non è più possibile mandare i militari per strada, perché grazie, ancora una volta, al flusso delle informazioni, se ne accorgono subito tutti. Un partito che se ne va e un altro che lo sostituisce non rappresentano – nel panorama odierno – una innovazione. Cos’è cambiato sinora? Quale grande rivoluzione democratica c’è in tutto questo? Eppure tutti questi movimenti sono il segno che i popoli ne hanno le scatole piene.
Oggi abbiamo l’impressione che la nostra civiltà stia avanzando alla cieca. Ci s’impegna sempre meno ad acculturare il cittadino a pensare, e sempre più di creare un consumatore che paga. Impariamo sempre meno cose. Qualcuno dice che non dovremmo fare i dettati, studiare la grammatica, etc., ma se non lo manteniamo in attività il cervello comincia a rattrappirsi.
Il Partito dei Veneti candida Guadagnini, Popolo di S.Marco esce
Sabato 22 Febbraio 2020
IL RITIRO
https://www.ilgazzettino.it/pay/nordest ... 67939.html
VENEZIA Con un post pubblicato su Facebook da Davide Lovat, il Popolo di San Marco ha annunciato di ritirare «la sua adesione dal comitato elettorale denominato Partito dei Veneti, costituito in vista delle elezioni regionali. La decisione è maturata in seguito ai recenti sviluppi che hanno portato alla designazione del candidato presidente di Regione». E cioè Antonio Guadagnini: l'attuale consigliere regionale di Siamo Veneto, che nel 2015 era stato eletto con la lista Indipendenza Noi Veneto con Zaia, è stato scelto come candidato governatore del Partito dei Veneti dopo che si sono ritirati prima l'imprenditore vicentino Roberto Brazzale e poi il sindaco di Chiampo Matteo Macilotti. La candidatura di Guadagnini sarà presentata martedì a Vicenza. Con l'uscita del Popolo di San Marco, il fronte venetista autonomista e indipendentista torna a sgretolarsi.
Nel post Lovat spiega che nel processo decisionale che ha portato alla scelta di Guadagnini «sono emerse incompatibilità» sia nel «metodo usato per la designazione» che nel merito, «cioè i contenuti ideologici e filosofico-politici che saranno proposti all'elettorato in conseguenza di questa scelta». «Tale evoluzione ha fatto venir meno i presupposti per la partecipazione della nostra associazione culturale-politica che è la sola tra quelle che avevano aderito al comitato elettorale a promuovere nei territori che furono della Repubblica Veneta la battaglia per l'autodeterminazione dei Veneti secondo valori cristiano-popolari marciani, valori per noi irrinunciabili». (al.va.)
Alberto Pento
A cosa si sono ridotti questi del PdV a candidare Guadagnin uno dei peggiori politicanti del Veneto, i valenti uomini della società civile come Brazzale e Macilotti si sono defilati.