Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » dom feb 09, 2020 8:28 pm

La barriera difensiva di Israele è legale o illegale?
David Elber
9 Febbraio 2020

http://www.linformale.eu/la-barriera-di ... yQjZ9glFHw

Una importante tappa della “guerra legale” (Lawfare) avente come obbiettivo la delegittimazione di Israele è passata attraverso il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia in merito alla costruzione della barriera difensiva eretta da Israele per proteggersi dagli attentati terroristici.

Questa “battaglia” è solo una delle tante che a partire dagli anni Settanta, si stanno svolgendo nei confronti di Israele in numerosi forum internazionali capeggiati dall’ONU e tramite numerose ONG.

Nella fase più sanguinosa della seconda intifada orchestrata da Yasser Arafat, tra il 2002 e il 2003, si sono succeduti un numero impressionante di attentati suicidi che causarono più di mille morti e migliaia di feriti tra la popolazione civile israeliana. La maggior parte degli attentatori proveniva da zone arabe della Samaria e di Gerusalemme. Non essendoci ostacoli o controlli di nessun tipo tra i territori amministrati dall’ANP e quelli amministrati da Israele, i terroristi potevano – anche con l’aiuto di arabi israeliani – compiere sanguinosi attentati nel cuore stesso di Israele. Come è emerso ampiamente da numerosi documenti ufficiali dell’Autorità Nazionale Palestinese, rinvenuti dall’esercito israeliano dopo l’operazione “Defensive Shield” del 2002, vi fu un coinvolgimento diretto da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese nella gestione degli attentati, logistico, organizzativo ed economico. Al fine di difendere la popolazione, nel 2003 il governo israeliano, iniziò la costruzione di una barriera in metallo e reticolato in Giudea, Samaria e attorno a Gerusalemme. Solo brevi tratti di questa barriera furono realizzati in cemento armato in prossimità di alcuni centri abitati dove i cecchini palestinesi potevano colpire indisturbati le case abitate e le strade frequentate dagli israeliani.

L’8 dicembre 2003, in maniera davvero repentina, L’Assemblea Generale dell’ONU convocata la decima sessione speciale d’emergenza, adottò la Risoluzione ES-10/14, nella quale – dopo aver accusato Israele di numerosi reati – chiedeva alla Corte di Giustizia Internazionale il suo parere in merito alla barriera difensiva che Israele stava costruendo. Qui sotto è riportato il testo in originale della richiesta contenuta nella risoluzione:

Questa è la traduzione del testo:

“Quali sono le conseguenze legali scaturite dalla costruzione del muro che sta venendo edificato da parte di Israele la Potenza occupante, nei territori palestinesi occupati, inclusa e attorno a Gerusalemme, come descritto nel report del Segretario Generale, considerando le leggi e i principi della legge internazionale, incluse la IV Convenzione di Ginevra del 1949, e le rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale?”

Il 9 luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia, con proprio pronunciamento ha dichiarato illegale la costruzione della barriera. Va precisato che anche in questo caso, come in tutti i casi riguardanti le risoluzioni avverse a Israele approvate dall’ONU, non si tratta di una sentenza che fa testo per il diritto internazionale essendo il pronunciamento della Corte un parere consultivo e non una sentenza vincolante.

Dal punto di vista mediatico e diplomatico, fu in ogni caso, un duro colpo per Israele, ed era esattamente quello che volevano ottenere i promotori del parere.

Lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia così come approvato dal Trattato di San Francisco del 1945 con il quale fu istituita, prevede che la Corte agisca su richiesta degli Stati membri dell’ONU i quali hanno una disputa. Il primo requisito è che siano gli Stati riconosciti all’ONU a rivolgersi alla Corte, e una volta ottenuta la sentenza, implicitamente, gli Stati coinvolti ne accettano la decisione che diventa per loro vincolante. È anche facoltà di altri organismi, come ONG o altri come nel caso dell’Assemblea Generale, di richiedere un semplice parere consultivo alla Corte che però in nessun caso diviene vincolante e perciò fa testo per il diritto internazionale. Tutto ciò non ha impedito che sia stato creato un caso politico ad arte da propagandato da numerosi mass-media per fare apparire la barriera israeliana in costruzione illegale dal punto di vista del diritto internazionale.

Relativamente alla barriera difensiva di Israele, va evidenziato in primis che fu l’Assemblea Generale a richiederne un parere alla Corte e non una sentenza, dal momento che non aveva l’autorità per farlo. Inoltre, fatto molto più importante, nella richiesta del parere era già scritto il verdetto.

Esaminiamo la richiesta in originale, presa dalla risoluzione dell’Assemblea Generale:

“Quali sono le conseguenze legali scaturite dalla costruzione del muro che sta venendo edificato da parte di Israele la Potenza occupante, nei territori palestinesi occupati, inclusa e attorno a Gerusalemme, come descritto nel report del Segretario Generale, considerando le leggi e i principi della legge internazionale, incluse la IV Convenzione di Ginevra del 1949, e le rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale?”

Come appare evidente, i termini della richiesta sono del tutto sbilanciati e accusatori nei confronti di Israele: si definisce Israele “potenza occupante” cosa non vera, si menzionano “territori palestinesi occupati” altra cosa palesemente falsa, in quanto questo implicherebbe l’esistenza di una entità statuale palestinese che ad un certo punto Israele avrebbe occupato. Si cita la IV Convenzione di Ginevra che nulla a che vedere con la situazione della Giudea e Samaria.

Le “rilevanti” risoluzioni di condanna nei confronti di Israele, prese dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale sono tutti testi orientati politicamente e privi di valore giuridicio.

Nel testo non c’è nessun accenno sulla ragione della costruzione della barriera né agli attentati terroristici che avevano colpito la popolazione civile di Israele. La richiesta dell’Assemblea Generale fa riferimento ad un rapporto del Segretario Generale dell’ONU inviato alla Corte per fornire gli elementi necessari all’emissione del parere consultivo. In questa circostanza l’Assemblea Generale superò se stessa. Infatti fece redigere ben due rapporti, realizzati, per conto della Commissione dei Diritti Umani, da John Dugard e Jean Ziegler che non avevano nessun titolo per un compito del genere ma erano noti solo per la loro posizione fortemente anti-israeliana. In particolare Jean Ziegler, tra le altre cose, era il co-fondatore del premio “Mu’ammar Gheddafi” per i diritti umani. Naturalmente Ziegler giunse alla conclusione che la barriera difensiva era un “muro dell’apartheid”.

In quello che può essere considerato un verdetto annunciato, la Corte Internazionale di Giustizia considerò la barriera difensiva illegale.

La motivazione del parere della Corte è ancora più grottesca della richiesta rivoltale dall’Assemblea Generale. Il parere della Corte, si basava sulla IV Convenzione di Ginevra, che si applica, solamente, nel caso di conflitto armato tra due Stati. In questo caso c’era uno Stato (Israele), che secondo la Corte non poteva difendersi – nei termini sanciti dall’art.51 della Carta ONU sulla legittima difesa – perché l’avversario non era uno Stato riconosciuto. Proprio così: Israele non può difendersi perché non è attaccato da un altro Stato ma al contempo viene condannato in base ad una Convenzione che si riferisce unicamente al caso di un conflitto tra due Stati. Come si può facilmente capire, il parere della Corte contiene una palese contraddizione che ne inficia la validità. Infatti, ben tre giudici membri della Corte espressero subito delle serie riserve sulla validità del parere espresso dalla Corte. Tuttavia lo scopo era stato raggiunto. Per i mass media e i sedicenti “esperti” Israele violerebbe anche le “sentenze” della Corte Internazionale di Giustizia che sentenze però non sono.
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Messaggioda Berto » dom feb 09, 2020 9:04 pm

La coerenza politica del piano Trump: isolare il terrorismo palestinese
9 febberio 2020

https://www.shalom.it/blog/editoriali-b ... NNQNg8z2yw

I nemici del sionismo, che sono tanti nei media e nella politica “progressista” (cioè in realtà conservatrice della vecchia ortodossia terzomondista del secolo scorso), dopo la presentazione del Piano Trump si sono affrettati a dichiararlo non solo sbagliato ma inutile, inapplicabile. E invece il piano è solo l’ultima tappa di un’azione politica coerente (dal riconoscimento di Gerusalemme capitale a quello della non illegalità degli insediamenti, alla difesa di Israele in tutte le sedi) che ha profondamente cambiato il Medio Oriente, mettendo fuori gioco il terrorismo palestinista e ponendo le basi di una pace possibile, se Israele avrà la forza di far proseguire la politica di Netanyahu. Per ora, bisogna notare le reazioni moderatissime degli arabi sunniti (Egitto, Arabia, Paesi del Golfo, Marocco) e il gesto importantissimo del leader sudanese di incontrare Netanyahu. Anche all’interno di Israele, a parte i criminali, ma anche pateticamente impotenti gesti di terrorismo promossi dall’Autorità Palestinese, vale la pena di sottolineare le manifestazioni dei cittadini arabi maggioritari nel “triangolo” a Est di Hedera, che sono scesi in strada per contestare quella parte del piano che unirebbe il loro territorio a un futuro stato palestinese. Che gli arabi israeliani, pur impugnando la bandiera rosso-nero-verde - che rifiutano - e non quella bianco-azzurra - che desiderano -, manifestino per restare israeliani, magari anche allo scopo di sostenere il carattere binazionale dello stato ebraico, ma certamente soprattutto per conservare i diritti politici e sociali e il benessere economico che Israele garantisce a tutti i suoi cittadini, è un evento che mostra la vittoria della democrazia israeliana sui corrotti e imbalsamati regimi dittatoriali che dominano a Ramallah e a Gaza. Anche questo è frutto del tanto disprezzato e odiato Trump, come la crescita economica degli USA e le vittorie nella trattativa con la Cina. Vogliamo scommettere che gli americani sceglieranno di nuovo lui, piuttosto che i confusi profeti di sventura del partito democratico?
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » dom feb 09, 2020 10:24 pm

L'antisemita Chef Rubio,in cerca di pubblicità, attacca Kirk Douglas
Commento di Deborah Fait
Informazione Corretta
08 febbraio 2020

http://www.informazionecorretta.com/mai ... jx0FwQsg7A

Non avevo mai scritto niente del cuoco Rubio, alias Gabriele Rubini, perché mi seccava persino nominarlo, mi disturbava scriverne il nome e dargli il titolo immeritato di chef. Mesi fa vedevo in TV la pubblicità di un tizio dall'aspetto volgare che girava il mondo mangiando a bocca aperta porcherie untuose. Uno spettacolo nauseante. Non vivendo in Italia non sapevo chi fosse questo personaggio così repellente, privo del minimo buon gusto, rozzo, volgare sia nell'aspetto che nel modo di fare.
Poi ho capito che era una specie di cuoco diventato famoso non per i piatti che cucinava ma per le porcherie culinarie, secondo lui internazionali, che presentava in Tv. Leggendo qua e là alcuni suoi commenti, ho capito che Rubini era un antisemita, ammiratore dei terroristi palestinesi, un diffamatore di Israele.
Il programma TV che gli dava lavoro alla fine lo ha silurato, licenziandolo in tronco, probabilmente i suoi primi piani di grasso colante dalla bocca, avevano disgustato il pubblico televisivo.
Sparito dalla Tv ecco che lo ritroviamo a Gaza, in una pseudo missione umanitaria con un' associazione che collabora con il Centro Italiano Scambio Culturale Vittorio Arrigoni-Vick. Ve lo ricordate Arrigoni? Era quel giovane odiatore di Israele andato a vivere a Gaza per amore degli arabi palestinesi e che fu ammazzato dai suoi stessi amici-compagni, con la garrota, probabilmente, per i suoi gusti sessuali. Arrigoni, quello del "restiamo umani", uno che odiava tanto Israele da non volerlo attraversare nemmeno da morto tanto che la salma fu mandata in Italia dall'Egitto.
Cuoco Rubio, non contento dei suoi proclami antisemiti che quotidianamente scrive su Tweetter, si è scatenato anche contro Kirk Douglas, morto un paio di giorni fa a 103 anni. Senza rispetto per la morte e l'età veneranda del grande attore ebreo americano, il cuoco ha twittato:" E' morto uno dei più grandi attori sionisti della storia. Grazie a lui il revisionismo religioso e storico è stato possibile anche su pellicola".
A chi lo critica, risponde che i soldi e i film di Douglas hanno impedito alla gente di lottare "per l'unico popolo (i palestinesi) al mondo ancora sotto assedio".

Un altro tweet intriso nell'odio di Chef Rubio

L'odio antisemita di Rubio può aver origine solo da un grande disagio mentale, come sempre accade, un brutto virus incurabile, privo di antidoto, nessuno è mai riuscito a creare un antivirus, e chi ne è affetto cerca di sfogarsi come può. Un tweet pubblicato in ottobre in cui aveva definito i cittadini israeliani "esseri abominevoli" aveva provocato l'indignazione di un medico ebreo di Treviso, il dottor Ilan Brauner, che lo aveva querelato per antisemitismo e istigazione all'odio razziale. Per tutta risposta il cuoco ha scritto "Free Palestine. Israele non è una democrazia, non dimenticatelo mai". Da Gaza Rubini continua a mandare messaggi di odio contro Israele, bugie e invenzioni. Parla di Gaza con il linguaggio tipico dei fuori di testa, prigione a cielo aperto e altre stupidaggini del genere. Naturalmente non parla dei suoi amici terroristi di Hamas che vivono nella ricchezza e costringono la popolazione a vivere nella miseria e nell'ignoranza per coltivarne l'odio e deviarlo verso Israele.
Il nostro cuoco non ama ragionare, come accade a tanti malati di odio, e risponde a chi lo critica, in romanesco e con la volgarità che lo contraddistingue, "Che poi non lo dico io che er poro Kirke era un sionista. Lo dicono i fatti! Me fa ride che i sionisti se vergognano d’esse tali e se je lo fai presente te danno dell’antisemita. Non volete sentirvi dire che siete fascisti repressi? Smettete di esserlo". https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 22717.html

La storia di cuoco Rubio mi porta a fare il solito ragionamento. Per anni ci hanno bombardati con la storia che l'antisemitismo veniva solo da destra, che la sinistra amava gli ebrei, che aveva solo qualche problemino col sionismo.
Palle! La sinistra odia gli ebrei, odia Israele, e lo dimostra ad ogni occasione, antisemitismo e antisionismo sono esattamente la stessa cosa. A Gorizia la maggioranza di centro-destra ha proposto di conferire la cittadinanza onoraria all'Ucei, Unione delle comunità ebraiche italiane, per il dramma dei milioni dei deportati ebrei. Il 4 febbraio la proposta doveva andare al voto ma al moneto cruciale la sinistra, in blocco, si è alzata ed è uscita dall'aula. Il sindaco Ziberna spiega" “Erano interessati a dare la cittadinanza alla Segre solo per mettere una bandierina, obbedendo agli ordini del partito dall’alto ma questa campagna della sinistra è diventata divisiva, nonostante la Segre che stimo e a cui va il mio massimo rispetto. Così noi abbiamo pensato di fare una scelta che unisse e di darla a tutta la comunità ebraica. Altrimenti perché non conferirla a tanti altri singoli come le sorelle Bucci, Tatiana e Andra? Va data a tutti e lontano da ogni appartenenza partitica, vista anche l’avanzata di un nuovo e strisciante antisemitismo in Europa”.
L'antisemitismo non è strisciante, dopo la Shoah ha continuato a bruciare sotto la cenere dei crematori e poi con gli anni, a poco a poco, è uscito con forza sempre maggiore e senza vergogna. Oggi sta avvelenando tutto l'occidente, dal cialtrone pseudo cuoco che sparge odio sul web alle grandi organizzazioni internazionali. E Israele è sempre sotto attacco, dal terrorismo, all'Onu, alle varie Corti internazionali contro i crimini di guerra perché gli antisemiti non chiedono una patria per i palestinesi, né i palestinesi la vogliono, l'unico desiderio che hanno è la fine di Israele, la fine del sionismo, la fine degli ebrei.
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Messaggioda Berto » lun feb 10, 2020 8:21 pm

Incredibile sondaggio arabo: Israele miglior progetto degli ultimi 120 anni
Sadira Efseryan
10 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/incredib ... YXW_ENadck

Cosa succede se da un sondaggio arabo emerge che la maggioranza degli arabi pensa che Israele sia il progetto meglio riuscito degli ultimi 120 anni?

Succede che anche i nemici più acerrimi di Israele qualche domanda se la dovranno fare.

Faisal al-Qassem, conduttore di Al Jazeera, 5,5 milioni di follower su Twitter, da sempre critico dei regimi arabi, lancia una provocazione.

In un Twitt scrive che la maggioranza degli arabi quando ti vuole insultare ti dice che sei un “sionista” ben sapendo che il miglior progetto del secolo scorso e di quello presente è proprio il progetto sionista mentre invece tutti i progetti arabi, in particolare il nazionalismo, hanno fallito.

Naturalmente il Twitt è divisivo, in tanti danno ragione al giornalista di Al Jazeera, in tanti lo insultano egli danno del traditore.

Allora Faisal al-Qassem rilancia e ieri sempre su Twitter posta un sondaggio. Scrive il giornalista: «in un precedente tweet ho detto che il progetto sionista ha avuto successo, a differenza dei progetti arabi falliti, così tanti si sono ribellati e hanno considerato il tweet una sorta di elogio per i sionisti. Ok, facciamo un referendum: chi è il più avanzato, sviluppato, democratico e di successo … Israele o i regimi arabi?»

E qui arriva la sorpresa. Più dell’80% delle migliaia di persone che hanno partecipato al sondaggio dichiara che è Israele il paese più avanzato.

Ed è qui che cade un mito che ha resistito per decenni, quello che a dispetto dei numerosi avvicinamenti dei Paesi arabi a Israele, specie negli ultimi periodi, corrispondeva una accentuata ostilità “dell’uomo della strada arabo”.

La consapevolezza che si viva meglio in una moderna democrazia piuttosto che sotto un regime arabo comincia a prendere piede con particolare “pesantezza” in tutto il mondo arabo.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mer feb 12, 2020 3:12 am

TRISTE, SOLITARIO Y FINAL
Niram Ferretti
11 febbraio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Un vecchio e stantio show quello di Abu Mazen alle Nazioni Unite.

Il leader abusivo dell'Autorità Palestinese ci informa di essere pronto a iniziare i negoziati nel contesto di quelli che definisce i "quartieri della legittimità internazionale" (risum teneatis).

Allo stesso tempo lancia una captatio benevolentia nei confronti di Donald Trump che sarebbe stato consigliato male, "Lui non è così". Dopo averlo definito "figlio di un cane", ora gli alliscia il pelo.

Ha anche ripetuto la solita solfa di non avercela con gli ebrei, lui che, nel 1982, presentò presso il Collegio Orientale di Mosca la sua tesi negazionista dal titolo emblematico, "La connessione tra nazismo e sionismo 1933-1945", nella quale sottostimava le vittime della Shoah a poche centinaia di migliaia, ribadendo uno dei cavalli di battaglia della propaganda araba, che lo sterminio (per altro a suo dire ampiamente manipolato) degli ebrei sarebbe stata la causa, o meglio il pretesto, per il sorgere dello Stato ebraico.

La verità è che questo imbolsito cleptocrate ormai è completamente isolato e ha poche sponde a cui appoggiarsi. Gli Stati arabi, pur non avendo accolto con particolare favore il piano Trump per la risoluzione del conflitto israeliano-palestinese, hanno fatto capire ad Abu Mazen che questo è il meglio che può avere ed avrà.

Il piano proposto dall'Amministrazione Trump è davvero l'unico, dal 1922 ad oggi, che concede agli ebrei ciò che gli spetta di diritto, dimorare ad occidente del fiume Giordano nel cuore religioso di quello che è stato per millenni il paese nel quale hanno vissuto. E questo non può certo incontrare il favore di chi afferma senza alcuna legittimità e fondamento che la Giudea e Samaria sarebbe un territorio che spetta agli arabi-palestinesi.

Abu Mazen ha anche dovuto incassare mestamente il ritiro di una risoluzione contro il piano di pace targato Trump che doveva essere presentata al Consiglio di Sicurezza. E' la prima volta che i palestinesi non riescono ad ottenere all'ONU le adesioni necessarie.

Domani Abu Mazen incontrerà l'ex pregiudicato premier israeliano Ehud Olmert, quello che nel 2008, gli aveva prospettato infiocchettata l'intera Giudea e Samaria e parte di Gerusalemme.

Sarà un amarcord struggente.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 20, 2020 9:06 pm

LA PERENNE ATTUALITA' DEL LUPO
Niram Ferretti
13 febbraio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Vladimir Ze'ev Jabotinsky morì improvvisamente nei pressi di New York nel 1940, a causa di un infarto. Gli inglesi lo avevano esiliato dalla Palestina nel 1930. Non fece in tempo a vedere la nascita di Israele. Così come Mosè non potè entrare nella terra promessa vedendola solo da lontano, Jabotinsky non potè entrare nello Stato ebraico quando venne proclamato. Ci sarebbe entrato da morto solo nel 1964 grazie all'allora Primo Ministro di Israele, Levi Eshkol, che permise quello che David Ben Gurion, grettamente, non aveva mai permesso.

La storia non si fa con i se. Ma Jabotinsky non avrebbe sicuramente accettato il piano di partizione del 1947 approvato dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 181 e che defraudava ulteriormente il popolo ebraico concedendo agli arabi Giudea e Samaria. Come avrebbe potuto Jabotinsky accettare un simile obbrobrio che violava lo stesso articolo 80 dello Statuto della allora Società delle Nazioni che legittimava il Mandato Britannico per Palestina del 1922 il quale stabiliva inequivocabilmete che gli ebrei avevano il diritto di risiedere in tutti i territori a occidente del Giordano, e smembrava ulteriormente queste terre? Già gli inglesi, nel 1921, avevano regalato agli hashemiti i territori ad est del Giordano trasformandoli nella Transgiordania, decurtando il 77% del territorio su cui doveva nascere lo Stato ebraico.

La Risoluzione 181, nonostante questo ulteriore impoverimento del territorio concesso agli ebrei, venne accettata dall'Agenzia ebraica e respinta dagli arabi.

Terra in cambio di pace. Una pace che non è mai arrivata e che Jabotinsky, con l'estrema lucidità che lo connotava, sapeva che non sarebbe mai arrivata se gli arabi non fossero stati costretti ad ammettere che Israele non poteva essere annientata.

In uno dei suoi articoli più famosi, "Il Muro di Ferro", pubblicato il 4 novembre del 1923 scriveva:

"E inutile sperare, in alcun modo, in un accordo tra noi e gli arabi accettato volentieri, nè adesso nè in un futuro prevedibile...Messi da parte i ciechi dalla nascita, tutti i sionisti moderati hanno capito che non c'è la minima speranza di ottenere l'accordo degli arabi di Palestina per trasformare questa 'Palestina' in uno Stato in cui gli ebrei sarebbero maggioranza... La mia intenzione non è quella di affermare che un qualsiasi accordo con gli arabi palestinesi sia assolutamente fuori questione. Finchè sussiste, nello spirito degli arabi, la benchè minima scintilla di speranza di potersi un giorno disfare di noi, nessuna buona parola, nessuna promessa attraente indurrà gli arabi a rinunciare a questo spirito".

I fatti degli ultimi 72 anni hanno dato ragione a Jabotinsky.

Sì, lo Stato ebraico nacque nel 1948, fortemente dimidiato rispetto alle aspettative ebraiche, ma da allora ogni tentativo fatto dai pontieri ebraici di accordarsi con gli arabi è costantemente fallito. Il motivo? Non avere costruito fin da subito il muro di ferro, non avere determinato inflessibilmente la volontà di accordarsi solo DOPO che fossero stati costretti a una resa incondizionata.

Non ti accordi con chi ti vuole distruggere se prima di tutto non lo metti nella condizione di arrendersi all'evidenza senza scampo che non lo può fare.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 20, 2020 9:07 pm

I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015

http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk

Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.

Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.

Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.

Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?

Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.

Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.

Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.

Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.

Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.

Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.

Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.

Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.

Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.

Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.

Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.

Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.

L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.

La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.

Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.

“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)

Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.

Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.

Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.

Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.




Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.


Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019

https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk


Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).

Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.

Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.

Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.

Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”

È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.

La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.



Informazione corretta: Palestina, ecco l'origine del nome di uno Stato arabo che non è mai esistito
Vivi Israele
Fabrizio Tenerelli
21 febbraio 2018

http://viviisraele.it/2018/02/21/inform ... -esistito/


Cari lettori, io cerco di parlare poco della questione arabo-israeliana, perchè la mia mission è soprattutto approfondire i temi legati a Israele e all’ebraismo. Tuttavia, talvolta è doveroso far chiarezza su alcuni aspetti che riguardano la cosiddetta “corretta informazione”. La disinformazione dilagante in materia (il suo esatto opposto), purtroppo contribuisce a dare una cattiva immagine di uno Stato che da vittima, passa come carnefice.

Ciò senza nulla togliere all’aspirazione ultima che è quella della pace in Medio Oriente e della convivenza di due popoli. Utopia? Una pace che, a mio modestissimo avviso, potrà giungere soltanto, quando il mondo arabo riconoscerà il diritto ad Israele di esistere.

Detto ciò, dopo un mio primo approfondimento in tema di informazione corretta (LEGGI QUI) vi propongo questa sorta di “upgrade”, che riguarda i concetti di “Palestina” e “palestinese”. Molto spesso chi non studia abbastanza, attacca con estrema arroganza il popolo ebraico, sulla base di falsi presupposti e di clamorosi equivoci.

In attesa di preparare un digest, tratto da “Arabi ed Ebrei”, del buon Bernard Lewis, ho pensato di scrivere queste poche righe, invitandovi a divulgarle, condividerle e via dicendo, affinchè si faccia chiarezza su una questione importante.

La prima cosa che va detta è che non c’è mai stata una nazione araba di nome “Palestina”. Questo, in realtà, è il nome che gli antichi romani diedero a Eretz Yisrael, con l’espresso proposito di umiliare gli ebrei, dopo la conquista. Gli inglesi chiamarono così la terra sulla quale avevano avuto il mandato, dopo lo scioglimento dell’Impero Ottomano.

Gli arabi, in disputa con gli ebrei, decisero allora di raccontare che quello era l’antico nome della loro terra, “malgrado non fossero capaci a pronunciarlo in modo corretto, ma trasformandolo in Falastin”, come disse nel 1995, Golda Meir, in una intervista a Sarah Honig del Jerusalem Post. Ma soprattutto va detto che non esiste una lingua palestinese, non una cultura e neppure una terra governata da palestinesi.

Quest’ultimi non sono altro che arabi non distinguibili dai giordani o dai siriani, dai libanesi o dagli iracheni. A ciò aggiungiamo che il mondo arabo controllo il 99,9 per cento del Medio Oriente. Israele, pensate, che rappresenta soltanto un decimo dell’uno per cento del totale. Ma ciò è troppo per gli arabi, che vogliono anche quella minuscola parte. Non importa, dunque, quanti territori un domani potrebbero concedere gli israeliani: in ogni modo non saranno mai abbastanza. Ma allora, da dove deriva questo termine? Palestina ha da sempre designato un’area geografica, che deriva da “Peleshet”, un nome che appare di frequente nella Torah, successivamente chiamata “Philistine”.

Il nome inizia ad essere usato nel tredicesimo secolo a.e.v. da una serie di migranti del mare, provenienti dal mar Egeo e dalle isole greche, i quali si insediarono nella costa sud della terra di Canaan. Laggiù istituirono cinque città-stato indipendenti, inclusa Gaza, in una stretta striscia di terra chiamata “Philistia”, i greci e i romani la chiamarono “Palastina”.

I palestinesi, dunque, non erano arabi e neppure semiti; non avevano alcun legame etnico o linguistico e neppure storico con l’Arabia e il termine Falastin non è altro che la pronuncia araba del termine “Palastina”. Dunque, chi si può considerare palestinese? Durante il mandato britannico era la popolazione ebraica ad essere considerata palestinese, inclusi coloro che hanno servito l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. L’indirizzo britannico fu quello di limitare l’immigrazione di ebrei. Nel 1939, il Churchill White Paper (3 giugno 1922) mette fine all’ammissione di ebrei in Palestina. Uno “stop” che avviene nel periodo in cui c’era più disperatamente bisogno di emigrare in Palestina, quello dopo l’avvento del nazismo in Europa.

Nello stesso tempo in cui sbattevano la porta in faccia agli ebrei, gli inglesi permettevano (o facevano finta di niente) il massiccio ingresso clandestino nella Palestina occidentale di arabi provenienti da Siria, Egitto, Nordafrica e via dicendo. In questo modo, sembra che dal 1900 al 1947, gli arabi sulla sponda ovest del fiume Giordano si siano quasi triplicati. Il legame degli ebrei con la Palestina risale ai tempi biblici. Quello tra gli ebrei ed Hebron, ad esempio, corre indietro ai tempi di Abramo, ma nel 1929, gruppi di arabi in rivolta cacciano la comunità, uccidendo numerosi ebrei.

A supporto della tesi che non esiste uno stato arabo chiamato Palestina, c’è una letteratura fiume. Noi ricordiamo alcune dichiarazioni, tra le più significative, come quella del professore di storia araba, Philip Hitti (uno dei più illustri), secondo cui: “There is no such thing as Palestine in history, absolutely not”, dichiarò al Anglo-American Committee of Inquiry (1946). E poi. “It is common knowledge that Palestine in nothing but southern Syria”, affermò nel 1956: Ahmed Shukairy (United Nations Security Council).




L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851


La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso

La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.


Palestina: le ragioni di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2271


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.


Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2765

Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2774

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » ven feb 21, 2020 9:22 pm

LA LINEA ROSSA DI RON
Niram Ferretti
21 febbraio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Chi ha bisogno di nemici quando si hanno amici come Ron Huldai, il sindaco mucho progressista di Tel Aviv, il quale, nel 2016, spiegava che sì il terrorismo palestinese è la conseguenza della "repressione" israeliana?

Il vero problema, bellezze, è l'"occupazione". Senza occupazione non ci sarebbe violenza araba. Ed effettivamente è vero, solo che non lo è nel senso inteso da Huldai, ma nel senso che per l'OLP e poi per Hamas, e poi per l'Autorità Palestinese e prima di loro per il Mufti filo nazista di Gerusalemme, Amin Al Husseini, gli ebrei tutti sono occupanti e la Palestina liberatà lo sarà solo quando non ci sarà più Israele e magari verrà concesso ad ebrei filopalestinesi come Huldai, Gideon Levi, Amira Haas, Zeev Sternhell, di risiedervi come dhimmi.

Ma veniamo all'oggi. Il progressista Huldai ha fatto rimuovere un cartellone sponsorizzato dal Middle East Forum, il think tank americano di cui è presidente Daniel Pipes, nel quale sono raffigurati il presidente abusivo dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas e uno dei maggiorenti di Hamas, Ismael Haniyeh, con le mani alzate e in posizione di resa. Le immagini sono accompagnate dalla scritta in ebraico, "La pace può essere fatta solo con i nemici sconfitti". Una lezione che accompagna tutta la storia.

Huldai da vero pluralista (come sono sempre e inevitabilmente gli uomini e le donne di sinistra) ha motivato così la decisione:

“Ho ordinato la rimozione del cartellone raffigurante Abbas e Haniyeh inginocchiati con gli occhi coperti e le mani in alto in un gesto di resa. L'immagine incita alla violenza e ricorda lo Stato Islamico e le immagini naziste con le quali non vogliamo essere associati. Esistono delle linee rosse anche durante le campagne elettorali".

Certo a chi ritiene che la responsabilità della violenza araba nei confronti di Isrele non risieda nel rifiuto islamico di uno Stato ebraico in una terra considerata dotazione musulmana, ma sia nell'"occupazione" di territori che il Mandato Britannico per la Palestina assegnava inequivocabilmente agli ebrei nel 1922, l'immagne provocatoria del cartellone e il messaggio che lo accompagna non può essere tollerato.

Sarebbe reminiscente del nazismo. Eh sì. Non le bandiere e gli aquiloni con le svastiche utilizzati da Hamas, quando due anni fa ci furono gli scontri di confine tra Gaza e Israele, non l'affiliazione storica tra Hitler e il Mufti, non l'esplicita intenzionalità eliminazionista nei confronti degli ebrei espressa dagli Stati arabi dal 1948 fino al 1973, e chiaramente espressa nello Statuto di Hamas del 1989. Naziste sarebbero le immagini di un conclamato terrorista e di un cleptocrate arabo antisemita mostrati in condizione di resa.

Sì, esistono delle linee rosse e si è splendidamente pluralisti quando si censurano le idee che non si conformano con la vulgata che la violenza palestinese è la risposta a una colpa ebraica.



Alberto Pento
Questo sindaco sinistro, si può permettere di fare e di dire tutto ciò soltanto perché a governare il paese c'è gente di destra come Netanyahu al governo e Yossi Cohen nel Mossad, se non ci fossero loro a Tel Aviv non ci sarebbe certo la pace e la convivenza che c'è oggi e loro non potrebbero permettersi di fare i buoni sinistri.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » sab feb 22, 2020 7:14 am

Il Fatah di Abu Mazen rifiuta il piano Trump perché rifiuta qualunque spartizione. E lo dice chiaro
Continua martellante la propaganda per la cancellazione di Israele dalla carta geografica
(Da: palwatch.org, israele.net, 2.2.20)

https://www.israele.net/fatah-rifiuta-i ... 29jCwq-LpU

Fatah, il movimento che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, non si limita a dichiarare che il piano di pace proposto dall’amministrazione Trump “non passerà” e che i palestinesi “difenderanno la Palestina con il sangue e l’anima”. In una serie di vignette pubblicate su Facebook e sul quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese al-Hayat al-Jadida, Fatah proclama esplicitamente il suo rifiuto di qualunque piano di spartizione della terra in due stati: per Fatah, lo stato di Palestina dovrà includere tutto ciò che è oggi Israele, oltre a Cisgiordania e Gaza.

In una immagine postata sulla pagina Facebook ufficiale di Fatah il 30 gennaio 2020, la foto con la cupola della moschea di al-Aqsa (a Gerusalemme) viene introdotta dalle parole: “Non in vendita. L’accordo del secolo non passerà”. Sull’immagine stessa, si legge: “Palestina. Non è una patria che viene venduta e acquistata, bensì un pezzo del Corano che difenderemo con il sangue e l’anima”.

Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese e di Fatah, può anche affermare che i palestinesi sono interessati a una “Palestina” limitata alle linee del 1967 con Gerusalemme est come capitale, ma i messaggi del suo movimento contraddicono questo assunto in modo costante e martellante.

Un’altra immagine postata sulla pagina Facebook ufficiale di Fatah lo scorso 30 gennaio mostra che cosa intende Fatah per “Palestina”. Si vede un uomo con la kefiah che giace sulla mappa di una “Palestina” che comprende anche tutto Israele. L’uomo, che occupa in questo modo l’intero paese, rappresenta il rifiuto dell’esistenza di Israele entro qualsiasi confine.

Sotto la suola del suo sandalo, come segno di massimo disprezzo, la scritta: “L’accordo del secolo”. Sopra la figura, per fugare ogni possibile dubbio, la scritta: “Dal mare [Mediterraneo] al fiume [Giordano]”. Palestinian Media Watch ha documentato come i dirigenti dell’Autorità Palestinese e di Fatah usino spesso l’espressione “dal mare al fiume” per enunciare l’obiettivo del nazionalismo palestinese che nega il diritto d’Israele ad esistere.

Sempre il 30 gennaio, sulla sua pagina Facebook Fatah ha postato una vignetta che riprende l’appello fatto da Abu Mazen, dopo l’annuncio del piano Trump, a unire le forze di tutte le fazioni palestinesi (anche quelle jihadiste da sempre contrarie a qualunque accordo di pace con Israele).

Il disegno mostra, da sinistra a destra: il presidente del politburo di Hamas Ismail Haniyeh, lo stesso Abu Mazen, il capo della Jihad Islamica palestinese Khaled Al-Batsh e la figura di un altro arabo, tutti con le braccia intrecciate fra loro in cerchio a difesa della immancabile mappa della “Palestina” che cancella Israele dalla carta geografica. Sotto la figura, il testo: “No all’annessione della Valle del Giordano, Gerusalemme è la capitale della Palestina, abbasso l’accordo del secolo”.

Come Palestinian Media Watch ha più volte documentato, agli alunni delle scuole dell’Autorità Palestinese viene sistematicamente insegnato che tutto Israele è “Palestina” da “liberare”.

Sempre il 30 gennaio 2020, Fatah ha postato sulla sua pagina Facebook una foto di alunni palestinesi indotti a formare coi loro corpi la mappa della “Palestina” che cancella Israele dalla carta geografica. Nel mezzo della mappa, una bandiera palestinese a indicare la piena sovranità palestinese sull’intera area. La didascalia recita: “Gli alunni della scuola esprimono in strada il rifiuto dell’accordo del secolo. Lunga vita alla Palestina”. In altri termini: il rifiuto dell’accordo di Trump equivale alla rivendicazione di tutta la terra cancellando lo stato nazionale del popolo ebraico entro qualunque confine.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mer feb 26, 2020 11:09 pm

La Corte Penale Internazionale e il “caso” Israele
David Elber
25 Febbraio 2020

http://www.linformale.eu/la-corte-penal ... x5D_Ss9L0Y

Nei giorni scorsi è avvenuto un fatto di tutto rilievo, in merito al “caso” di Israele presso la Corte Penale Internazionale.

In attesa che i giudici (tre) della camera pre processuale si riuniscano per decidere se la Corte Penale ha giurisdizione in merito al caso aperto contro Israele dal giudice Fatou Bensouda, per conto dello “Stato di Palestina”, in merito a presunti crimini di guerra in Giudea, Samaria e Gaza, si stà delineando un interessante schieramento di posizioni. Prima di entrare nei dettagli degli ultimi sviluppi del caso, è opportuno ricordare che Israele non è tra gli Stati firmatari del Trattato di Roma del 1998 con il quale si istituiva la Corte Penale Internazionale (i paesi che vi hanno aderito sono 122 su 193 riconosciuti dall’ONU, non vi hanno aderito tra gli altri gli USA e la Russia). Lo Stato ebraico, quindi, ha deciso non presentare nessuna tesi difensiva perché non riconosce nè l’autorità nè le competenze di questo tribunale.

Va notato che il giudice Fatou Bensouda, prima di aprire la procedura vera e propria per crimini di guerra, ha richiesto il parere della Camera pre processuale per stabilire se “lo Stato di Palestina”, che ha intentato causa a Israele, possieda tutti i requisiti statuali previsti per poter essere considerato uno Stato a pieno titolo, dando piena giurisdizione alla Corte Penale per l’apertura del procedimento.

A poche settimane dalla riunione dei giudici della Camera pre processuale, diversi paesi che fanno parte della Corte Penale, non in qualità di paesi coinvolti direttamente nel procedimento ma come amici curiae hanno voluto depositare un loro parere per fornire ulteriori elementi probatori ai giudici che dovranno esaminare il caso. Questa è una prassi consolidata presso la Corte Penale Internazionale. Questi paesi sono: Germania, Repubblica Ceca, Brasile, Austria, Australia, Ungheria e Uganda. La loro posizione è chiara: “la Palestina” non può in nessun modo essere definito uno Stato secondo il diritto internazionale mancando ad esso i criteri giuridici basilari. È da notare che tra questi paesi, il Brasile e l’Ungheria hanno riconosciuto politicamente lo “Stato di Palestina” ma per loro stessa ammissione di tratta di un atto squisitamente politico che non ha fondamento nel diritto internazionale. Oltre a loro numerosi giuristi si sono espressi allo stesso modo. In tutte le tesi sottoposte ai giudici, da parte di questi Stati e da parte dei giuristi, è evidenziato in modo inequivocabile che lo “Stato di Palestina” – che è membro anche se non si capisce a che titolo della Corte –non possiede nessun requisito minimo richiesto dal diritto internazionale per potere essere considerato uno Stato a tutti gli effetti: non ha i requisiti richiesti dalla Convenzione di Montevideo, non è uno Stato a pieno diritto dell’ONU ma solo uno Stato osservatore, non ha i requisiti richiesti dall’articolo 12 dello Statuto di Roma, non rispetta gli Accordi di Oslo che ha sottoscritto con Israele che gli impedisce di utilizzare i forum internazionali per delegittimare lo Stato ebraico. Di fronte a tutte queste evidenze si capisce, chiaramente, come lo “Stato di Palestina” sia un artificio politico privo di qualsivoglia base giuridica.

Ad avvalorare la tesi contraria, cioè che lo “Stato di Palestina” ha in realtà i requisiti legali per essere considerato come uno Stato a tutti gli effetti non ha provveduto nessuno Stato membro della Corte Penale ma solo due organizzazioni internazionali: la Lega Araba e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (delle quali molti membri non fanno parte della Corte stessa…). Le loro tesi difensive si sono limitate ad indicare come i palestinesi sarebbero stati vittime di “torti” a partire dalla dichiarazione Balfour e dalla decisione ONU di partizione del Mandato di Palestina del 1947. È da sottolineare che all’epoca dei fatti appena menzionati, gli stessi arabi abitanti del Mandato non si definissero “palestinesi” non avendo nessuna identità nazionale la quale sarebbe stata formalizzata a partire dalla fine degli anni Sessanta e riconosciuta in sede internazionale a partire dai primi anni Settanta.

Questo processo di retrodatazione dei fatti, da parte delle due organizzazioni islamiche, è prassi abbastanza comune anche in sede ONU: basta leggersi numerose risoluzioni dell’Assemblea Generale, dell’UNESCO e la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza per capire come tale modalità sia diventata la regola quando si tratta di Israele: una vera e propria alterazione della storia.

Oltre alle organizzazioni islamiche, alcuni giuristi hanno proposto tesi a favore della validità legale dello “Stato di Palestina”. Tra di essi si distingue senza dubbio il professore canadese William Schabas. Già noto alle cronache del Medio Oriente per essere stato membro della commissione di inchiesta dell’ONU sulla guerra di Gaza del 2014, salvo poi doversi dimettere quando è emerso che era sul libro paga dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La tesi di Schabas è davvero interessante: lo “Stato di Palestina” sarebbe uno Stato, a prescindere dai requisiti giuridici necessari, perché è membro della Corte Penale. Inoltre, anche se è uno Stato privo di confini certi e di un territorio del quale possiede la piena giurisdizione, questi “aspetti” non “devono impedire” alla Corte di esercitare la propria giurisdizione. Senza però specificare in quali territori la Corte debba esercitare la sua giurisdizione se i territori in questione non sono a pieno titolo dello “Stato palestinese”.

Un altro difensore della “causa palestinese” è l’altrettanto noto Richard Falk (per molti anni speciale relatore ONU sui diritti umani nei territori palestinesi), la cui tesi si basa sul fatto che lo “Stato di Palestina” è riconosciuto da 130 paesi a prescindere dal fatto che abbia i requisiti legali o no. Secondo Falk lo Stato è “un concetto complesso ai sensi del diritto internazionale”, oltre al fatto che, sempre parole sue, “il rifiuto di riconoscere lo Stato di Palestina come uno Stato ai fini dello Statuto di Roma porterebbe a certe assurdità legali nel quadro dello Statuto”. È superfluo osservare che nessuna convenzione, trattato o regola internazionale è mai citata per sostenere le sue opinioni.

Ora non rimane che aspettare la decisione dei tre giudici e sparare che ancora una volta non prevalga la politica a discapito del diritto e della logica.



Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.
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