La bufala antifrancese sull'oro del Burkina Faso depredato dalle multinazionali e dalla Francia accusta di sfruttamento coloniale
LA FRANCIA “UMANITARIA” CHE SFRUTTA IL BURKINA FASO
http://www.stopeuro.news/la-francia-uma ... rkina-faso
Il Burkina Faso è uno stato dell’Africa Occidentale sub sahariana, è una ex(?) colonia francese. I burkinabè vivono essenzialmente di agricoltura (83% del PIL) ed è una terra ricchissima di oro.
I giacimenti di oro vengono minati da grandi multinazionali (perlopiù francesi) che drenano l’oro verso la Svizzera.
Le multinazionali sfruttano il lavoro locale (a bassissimo costo) e la Francia guadagna in ogni esportazione grazie alla moneta coloniale Franco CFA, una moneta controllata direttamente dalla Banque de France e garantita dal Tesoro Francese che incassa circa il 70% dei depositi nelle esportazioni.
Una forma di vero e proprio signoraggio usuraio nei confronti di un paese. Non solo: le miniere d’oro provocano la desertificazione dei terreni a discapito dell’agricoltura, unica fonte di sussistenza interna, a causa del massiccio utilizzo d’acqua. Per non parlare dei rifiuti tossici e dell’inquinamento ambientale che viene provocato dalla chimica delle tecniche estrattive.
I minatori del Burkina Faso sono spesso bambini sotto i 10 anni, abbastanza piccoli da potersi infilare nei cunicoli minerari per ‘grattare’ il metallo prezioso. I bambini fanno uso di anfetamine per non sentire dolore e anestetizzare la fame. Questo è solo uno dei tantissimi esempi di sfruttamento neocoloniale francese di una terra africana, che avviene nell’anno domini 2018, con Macron che si permette di dare lezioni umanitarie sui migranti, ovvero su quei giovani che fuggono dai lager che i francesi hanno instaurato nei loro paesi d’origine, nella speranza di raggiungere la madrepatria che però li respinge a Ventimiglia.
Il paradosso del colonialismo usuraio francese è che una terra ricca come il Burkina Faso venga impoverita a causa dei suoi giacimenti auriferi.
I bambini minatori nell'inferno delle cave d'oro del Burkina Faso
di Lisa Zancaner
2018/11/06
http://espresso.repubblica.it/internazi ... o-1.328405
Dabal sorride mentre esce da una buca profonda 20 metri, è soddisfatto anche se oggi non ha trovato nemmeno un grammo d’oro. Dabal ha 15 anni. Puntuale alle 8 del mattino arriva alla miniera, una delle tante sparse nella savana del Burkina Faso nell’Africa subsahariana, un Paese che continua a sprofondare nella miseria tra colpi di Stato militari, corruzione e instabilità politica, terreno fertile per i terroristi di Boko Haram che negli ultimi anni hanno allargato i loro confini geografici attraversando la Nigeria e il Niger fino al Nord del Burkina al confine con il Mali. Poco distanti dalle organizzate miniere professionali, business riservato ai paesi dell’Occidente, queste miniere artigianali spuntano tra un villaggio e l’altro, non ci sono macchinari per estrarre il prezioso metallo, solo braccia che scavano, secchi e corde per farsi calare nelle buche che sembrano fosse da cimitero e a volte lo diventano, quando la stagione delle piogge li coglie all’improvviso e alcuni non ritornano in superficie.
«Siamo io, i miei genitori e 5 fratelli». racconta il giovane Dabal Moussa, «mia madre e mio padre lavorano i campi», ma in Burkina la terra da coltivare quasi non c’è. Qualche ettaro seminato a miglio e raccolti sempre più scarsi, mentre qui chi trova l’oro se lo tiene e lo può vendere. I compratori non mancano, controllano
il lavoro, stabiliscono i prezzi e pagano in contanti. Uno di loro si avvicina incuriosito dalla presenza dei bianchi nella miniera di Nebià e ci mostra un sassolino d’oro che non supera i due millimetri di diametro. «Si scavano buche che arrivano anche a 30 metri di profondità e l’oro c’è» assicura. Chi lo trova si rivolge a lui per venderlo in giornata e incassare il contante, quando gli affari vanno bene. Accanto alle “fosse” già scavate Jacques, poco meno di vent’anni, si aggira sul terreno con un metal detector artigianale quanto la miniera. A pochi metri dalla porzione di terra ispezionata da Jacques da una buca emerge uno degli “specialisti”. Il tempo di vedere la luce del giorno per calarsi subito nel buio della terra rossa da cui si scorge ormai solo il suo pollice alzato, segno che un secchio è pronto per essere vuotato in superficie e ricalato con una corda sfilacciata al limite della tenuta. Come Dabal, tanti piccoli cercatori d’oro, i bambini del buio del Burkina Faso lavorano senza sosta, senza cibo né acqua.
Combattono corruzione, dittature, neocolonialismo. Dal Senegal al Congo gli studenti riscoprono civismo e partecipazione. Un ’68 nero
Verso sera, quando le miniere si svuotano, Dabal trascina i piedi sporchi alla scuola coranica, magari con l’equivalente di sei euro in tasca, una piccola fortuna, una pagliuzza d’oro per sfamare una famiglia numerosa, una delle tante nel Paese degli uomini integri, ex Alto Volta che il 4 agosto 1984 cambiò nome grazie all’allora presidente rivoluzionario Thomas Sankara, assassinato tre anni dopo durante un colpo di Stato organizzato dall’ex compagno d’armi Blaise Compaoré. Chiamato il “Che Guevara nero”, Sankara fu messo a tacere dopo il suo ultimo discorso ufficiale che risvegliava la coscienza del popolo africano, sostenendo le ragioni degli ultimi. “Parlo anche in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico”, diceva Sankara. Che non ebbe il tempo di migliorare la condizione dei bambini burkinabè che oggi scavano a mani nude nelle miniere della brousse, in un Paese devastato dalla corruzione e dalla fame dove il tasso di alfabetizzazione arriva al 36 per cento appena.
Poco distante da Dabal, Alice maneggia abilmente una terrina di plastica facendola roteare alla ricerca di un milligrammo d’oro, una briciola quasi invisibile. Alza lo sguardo, due occhi neri e profondi come le buche della miniera fissano i nasara - così vengono chiamati i bianchi - poi ricomincia a far roteare la terrina corrosa dal mercurio e dal cianuro, i veleni usati dai bambini per lavare l’oro, anche se i giovani minatori negano l’utilizzo di queste sostanze. Ignari, forse, di inalare un metallo pesante potenzialmente letale. Ma tutto questo Alice non lo sa: in fondo ha soltanto sette anni, non parla francese, non sa nemmeno come sia fatto un banco di scuola, non ci è mai andata. Lavora alla miniera dalla mattina alla sera, magra e sporca sembra un’orfana assoldata come manovalanza da chi controlla quel lembo di savana poco distante dal villaggio di Dassà. Ma a Nebià ci arriva con la madre che zappa la terra, dove sarà scavata una nuova buca, e due sorelle più piccole.
Alice è già stanca a metà giornata, ricoperta di polvere e affamata.
In certi momenti lancia uno sguardo alla bottiglia vuota, vorrebbe bere un sorso d’acqua, ma con i suoi sette anni sa che quell’acqua non è destinata a lei, sa che il desiderio di placare la sua sete e alleviare la gola arsa non può valere quanto i 15 mila franchi Cefa di un grammo d’oro, poco più di 20 euro, una piccola fortuna che può emergere dalla sua terrina.
Attraversando la miniera di Nebià se ne incontrano a decine di bambini e ragazzi in cerca del prezioso oro, analfabeti senza futuro né prospettive, convinti che basti tenere tra le mani qualche grammo del brillante minerale per assicurarsi una vita dignitosa, lontana dalla fame e dalla miseria, condizioni in cui la maggior parte dei bambini del buio continueranno invece a vivere ma ancora non lo sanno, i loro occhi innocenti brillano di una speranza che si riflette nella polvere dorata.
Lasciando le miniere di Nebià, ai più grandi si augura buona fortuna e ai più piccoli si allunga quasi con vergogna una manciata di caramelle in attesa che ancora qualcosa avvenga nel Paese degli uomini integri dove già qualcuno, sommessamente, sogna la rivoluzione.
Quelle miniere dove si muore per un po' d'oro
Natascia Aquilano Alida Vanni
http://www.occhidellaguerra.it/miniere-burkina-faso
(Sougou, Burkina Faso) Il sole è già alto e martella i sensi. Davanti a noi sentieri di terra rossa battuta, alternata a rocce di granito inaspettate, come fossero cadute dal cielo. Nella pace di questa calda pianura, si scorge improvvisamente un piccolo pendio ricoperto di ciottoli e polvere grigia, crivellato da decine di “buchi” e cosparso di capanne fatiscenti fatte di teli azzurri e pezzi di legno. Di tanto in tanto si percepisce un’esplosione sotterranea accompagnata da voci soffocate, martellamenti continui e rumori assordanti di motori. Siamo nella miniera d’oro artigianale di Sougou, nella provincia di Zoundwéogo, in Burkina Faso.
L’Africa è il continente dove si concentra la maggior parte delle società minerarie per lo sfruttamento delle risorse auree. Uno dei principali forzieri del Continente nero è indubbiamente il Burkina Faso. Qui, infatti, l’oro rappresenta la prima merce di esportazione e contribuisce al 20% del Pil del Paese. Il Burkina Faso, letteralmente Terra degli uomini Integri, è uno dei Paesi più poveri al mondo, dove si muore ancora di fame, di sete e di malaria. Dove l’Aids ha contagiato più del 20% della popolazione, l’infibulazione è praticata tacitamente e la corruzione governativa è all’ordine del giorno.
Come riportato dalla Federazione Mondiale dei Diritti dell’Uomo, l’estrazione dell’oro rappresenta per il Burkina Faso una delle principali attività economiche, a discapito dell’agricoltura di cui ancora vive la maggior parte della popolazione locale. Proprio ques’ultima ha risentito maggiormente della “corsa all’oro” le cui disastrose conseguenze si riscontrano a livello ambientale e umano.
In potenza, il settore minerario rappresenterebbe un’enorme risorsa per la crescita del Paese. Ma la realtà è un’altra. Le multinazionali che gestiscono le miniere, infatti, agiscono in totale libertà e decidono i programmi da attuare, senza preoccuparsi delle comunità locali, spesso costrette a spostarsi per far posto a nuove miniere. L’esenzione di queste multinazionali dal pagamento delle imposte, e il fatto che la maggior parte dell’oro estratto sia destinato all’esportazione, frenano la crescita economica del Burkina Faso.
Il governo, che dovrebbe arginare lo strapotere delle multinazionali, non è in grado di far rispettare la legge né di fermare il dilagante fenomeno delle miniere artigianali illegali (circa un migliaio che danno lavoro a quasi un milione di persone), gestite dai clan locali.
Nella miniera di Sougou, centinaia di corpi nascosti dalla polvere si affannano attorno ai buchi disseminati nel terreno. Sono tunnel verticali strettissimi, con una profondità media di 80 metri. Le rocce vengono frantumate con picconi e dinamite. E con notevoli rischi per le persone che vi lavorano. La possibilità che il terreno ceda e che i lavoratori rimangano intrappolati è infatti altissima, soprattutto nel periodo delle piogge, durante il quale le norme di sicurezza, deliberatamente ignorate, imporrebbero la sospensione delle attività.
Il turno di lavoro di un minatore va dalle otto alle dieci ore consecutive. Ore di buio totale, parzialmente illuminato da torce elettriche, di aria irrespirabile e di caldo insostenibile. I minatori rimasti in superficie cercano di aiutare i loro compagni a sconfiggere le alte temperature – che a determinate profondità possono raggiungere anche i 50 gradi – sventolando sacchi di juta e indirizzando l’aria in coni di plastica rudimentali calati nei buchi. I più fortunati possono permettersi un ventilatore alimentato ad energia solare.
La febbre dell’oro non risparmia neppure donne e bambini. L’Unicef ha reso noto che in Burkina Faso lavorano nel settore minerario tra i 500 e i 700mila adolescenti o pre-adolescenti. Questi, insieme alle donne, vengono solitamente usati per trasportare e spaccare le pietre portate in superficie. Alcune volte, però, vengono fatti calare nei buchi. Scendere o meno nei cunicoli non è una questione di età, ma di coraggio e corporatura.
Una volta che le pietre sono state totalmente frantumate, vengono macinate e ridotte in sabbia aurifera con appositi macchinari. Rumori assordanti di generatori e motori la fanno da padrone, assieme alla polvere che ricopre corpi striscianti sfatti dalla stanchezza.
Alla roccia polverizzata vengono infine aggiunte acqua e alcune sostanze nocive, come il mercurio, così da formare un amalgama con l’oro, chiamata semplicemente “pasta”. Parte del mercurio usato viene recuperato per distillazione, riscaldando l’amalgama. I fumi altamente tossici prodotti durante questa operazione vengono regolarmente respirati e contaminano inevitabilmente anche acqua e terreni. A tutto questo si aggiungono i danni a lungo termine sulla salute delle persone, causati principalmente dall’avvelenamento da cianuro che attacca il sistema nervoso centrale, causando disabilità permanente. Senza contare i rischi causati da crolli o incidenti.
Trovare l’oro, però, non è semplice. A volte si scava per mesi. Durante questo periodo l’investitore garantisce ai minatori solamente del cibo. Nulla di più. I lavoratori verranno pagati solo quando porteranno in superficie rocce aurifere.
All’investitore spetta il 20% della produzione mineraria e, nel caso di terreni privati, ai proprietari dei terreni è dovuta una quota variabile tra l’1% e il 10%. Il profitto restante viene diviso tra il capo villaggio e i minatori. Questi ultimi, fino alla fine del processo, non sanno se le loro pietre contengono oro, né in che quantità. Potrebbero quindi scavare per mesi senza percepire alcun reddito, con la sola garanzia di un vitto.
Un grammo d’oro viene venduto ai privati della capitale Ouagadougou a 10mila franchi (circa 15 euro). In alcuni casi il guadagno è davvero sostanzioso e sono proprio le storie dei minatori che hanno ottenuto un buon profitto ad alimentare le speranze dei disperati.
Tapsoba, 26 anni, lavora nella miniera da due mesi e racconta a Gli Occhi della Guerra: “Sono stato fortunato perché a solo 25 metri ho trovato l’oro, per un valore di 300mila franchi. Il padrone ha preso la sua parte e il resto è stato diviso per due”.
Tapsoba ha un sogno: aprire una falegnameria tutta sua. Ed è per questo sogno che continua a scavare. Ad oggi è sceso a 50 metri di profondità ma non si arrende. “Sono certo che troverò altro oro”, aggiunge. “La vita da minatore per me finirà presto”.
Ma non tutti sono fortunati. “Ho lavorato diversi anni in Costa d’Avorio”, racconta Kabakoti, minatore di 37 anni, “ma con la guerra civile nel 2006 sono dovuto scappare. Arrivato in Burkina Faso, a Tiebelè ho sentito parlare di questa miniera e ho voluto provare. Sono due mesi che scavo, ho raggiunto i 98 metri di profondità, ma dell’oro ancora nessuna traccia”. Sospira e aggiunge: “Prego Allah ogni giorno, prima di entrare nel buco, affinché i miei sforzi siano ricompensati”.
C’è poi chi, come Ibraim, chiama la propria famiglia prima di calarsi. Ha 30 anni ed è padre di due figli. “Se sono qui è solo per la mia famiglia, per dare loro una piccola casa”, ci racconta con gli occhi bassi. “Ho guadagnato un po’, ma non è ancora abbastanza. Quel che è certo è che in miniera ho la possibilità di guadagnare di più che nei campi”. La sua voce debole si arresta. Poi alza lo sguardo e, con gli occhi lucidi, continua a raccontare: “Credo di essere un buon padre, penso solo ai miei figli: quando sono giù in quel buio pesto mi sembra quasi di vederli. Li chiamo sempre prima di scendere, ho paura che potrebbe essere l’ultima volta. Raccomando loro di obbedire alla madre e di aiutarla nei lavori. Faccio lo stesso ogni volta che risalgo vivo”.
Il lavoro nella miniera di Sougou in Burkina Faso è l’emblema della della schiavitù moderna. Racconta di un luogo di desolazione, di diritti umani violati e di sfruttamento. E dove il domani è appeso alla speranza di tornare alla luce con la fortuna tra le mani.
Nelle viscere del Burkina Faso, il forziere dell’oro africano
2018/11/26
http://www.vita.it/it/story/2018/11/26/ ... ricano/257
A 150 metri di profondità con 50 gradi di temperatura uomini, donne e bambini scavano per dieci ore al giorno per trovare il metallo prezioso tra il rischio di crolli, fumi altamente tossici e a stretto contatto con mercurio e cianuro. È la miniera d’oro artigianale di Sougou, nella provincia di Zoundwéogo
Il sole è già alto e martella i sensi. Davanti a me sentieri di terra rossa battuta, alternata a rocce di granito inaspettate, come fossero cadute dal cielo. Nella pace di questa calda pianura, si scorge improvvisamente un piccolo pendio ricoperto di ciottoli e polvere grigia, crivellato da decine di “buchi” e cosparso di capanne fatiscenti fatte di teli azzurri e pezzi di legno. Di tanto in tanto si percepisce un’esplosione sotterranea accompagnata da voci soffocate, martellamenti continui e rumori assordanti di motori. Sono nella miniera d’oro artigianale di Sougou, nella provincia di Zoundwéogo, in Burkina Faso.
Nel corso della storia, nessun minerale è stato più apprezzato dell’oro. Circa 5mila anni fa, l’uomo ha cominciato ad usarlo nei più svariati ambiti (commerciale, medico, finanziario, ecc) e da allora molte sono le civiltà nate, cresciute e scomparse per quella che viene definita la “corsa all’oro”. L'Africa è il continente dove si concentra la maggior parte delle società minerarie per lo sfruttamento delle risorse auree. Uno dei principali forzieri dell’oro africano è indubbiamente il Burkina Faso, dove questo rappresenta il primo prodotto di esportazione. Fornisce il 20% del suo PIL. L’economia del Paese infatti, dipende in larga misura dal prezzo di questo minerale sul mercato internazionale.
Il Burkina Faso, letteralmente Terra degli uomini Integri , come ha voluto ribattezzarlo il suo ex presidente Thomas Sankara, è uno dei paesi più poveri al mondo, dove si muore ancora di fame, di sete e di malaria. Dove l'AIDS ha contagiato più del 20% della popolazione, l'infibulazione è praticata tacitamente e la corruzione governativa è fiorente.
Un Paese in cui il sogno panafricano di Sankara è stato strozzato dalle multinazionali e dalla corruzione governativa. Dove si dispone non solo delle ricchezze del continente, ma anche e soprattutto della vita degli africani, violando ogni giorno la dignità, il rispetto e la bellezza di uomini, donne e bambini. Come riportato dalla Federazione Mondiale dei Diritti dell’Uomo, l’estrazione dell’oro, rappresenta per il Burkina Faso, una delle principali attività economiche, a discapito dell’agricoltura, di cui ancora vive la maggior parte della popolazione locale. Proprio quest'ultima ha risentito maggiormente della “corsa all’oro” le cui disastrose conseguenze si riscontrano a livello ambientale e umano. In Burkina Faso il settore minerario potrebbe essere un’enorme risorsa per sollevare l’economia del Paese. Tant’é che molti vedono il lavoro in miniera come la migliore alternativa ai campi. In realtà però il mercato dell'oro è decisamente mal gestito. Da un lato ci sono le multinazionali che ottenuta la gestione delle miniere, si sentono libere di agire e decidere i programmi da attuare, noncuranti delle comunità locali, spesso costrette a dislocare per far posto a nuove miniere. Inoltre l’esenzione di queste multinazionali dal pagamento delle imposte, e il fatto che la maggior parte dell’oro estratto sia destinato all’esportazione, frenano la crescita economica del Paese. Dall’altro lato è lo stesso governo ad aggravare il tutto. Questo infatti, venendo meno all’istituzionalizzazione di procedure legali, per evitare la distruzione ambientale, incentivare la crescita economica e soprattutto tutelare i diritti umani dei lavoratori, alimenta il fenomeno delle miniere artigianali illegali (circa un migliaio che danno lavoro a quasi un milione di persone), gestite dai clan locali.
Nella miniera di Sougou, centinaia di corpi nascosti dalla polvere si affannano attorno ai buchi disseminati nel terreno. Sono dei tunnel verticali strettissimi con una profondità media di 80 metri. Se non sei fortunato però, da trovare la vena aurea, possono tranquillamente superare i 150 metri. Raggiunta la falda aurifera, si continua a scavare orizzontalmente. Le rocce vengono frantumate con picconi e dinamite. E con notevoli rischi per le persone che vi lavorano. La possibilità che il terreno ceda e che i lavoratori rimangano intrappolati è infatti altissima, anche perché spesso si scava nell’acqua freatica, soprattutto nel periodo delle piogge. Durante questa stagione, che va da luglio a settembre, per misure di sicurezza, l’attività mineraria andrebbe sospesa. Purtroppo però, questa interdizione viene ignorata. Il turno di lavoro di un minatore, va dalle otto alle dieci ore consecutive. Ore di totale buio, parzialmente illuminato da torce elettriche, tenute salde attorno alla fronte, da fasce elastiche. Lunghe interminabili ore, in cui si gioca d’azzardo con la morte, in cui l’aria è irrespirabile e il caldo insostenibile. I minatori che restano in superficie, cercano di fronteggiare l’alta temperatura, che a determinate profondità può raggiungere anche i 50 gradi, sventolando aria con sacchi di juta in coni rudimentali di plastica calati nei “buchi”. I più fortunati possono permettersi un ventilatore alimentato ad energia solare.
La febbre dell’oro non risparmia neppure le donne e i bambini. L’Unicef ha reso noto che in Burkina Faso, lavorano nel settore minerario, tra il mezzo milione e i 700.000 adolescenti o pre-adolescenti. Questi, assieme alle donne, generalmente sono impiegati per trasportare e spaccare le pietre portate in superficie. Ciò non esclude che anche loro possano calarsi nel “buco”. Scendere o meno nei cunicoli non è una questione di età, bensì di coraggio e corporatura. Una volta che le pietre sono state totalmente frantumate, vengono macinate e ridotte in sabbia aurifera con appositi macchinari. Rumori assordanti di generatori e motori la fanno da padrone, assieme alla polvere che ricopre corpi striscianti sfatti dalla stanchezza.
Alla roccia polverizzata viene infine aggiunta acqua e sostanze nocive, come il mercurio, così da formare un amalgama con l’oro, chiamata semplicemente “pasta”. Parte del mercurio usato viene recuperato per distillazione, riscaldando l’amalgama. I fumi altamente tossici prodotti durante questa operazione vengono regolarmente respirati e contaminano inevitabilmente anche acqua e terreni. Il lavoro nelle miniere d’oro uccide, dentro e fuori dai “buchi”. Morti imminenti o a lungo termine. Ogni giorno si rischia di rimanere vittima di crolli o incidenti con strumenti di lavoro rudimentali. Senza contare i danni a lungo termine sulla salute a causa dei carichi trasportati, dei fumi e della polvere respirati, dell’avvelenamento da cianuro che attacca il sistema nervoso centrale, causando disabilità permanente.
Nonostante ciò, con i prezzi dell’oro altissimi e la sua altrettanta richiesta, molti continuano ad essere abbagliati da questo minerale. Seppure per le loro vite non è poi così brillante. Ma quanto costa realmente l’oro? Per i minatori a volte solo un pasto. Trovare il minerale non è semplice, a volte si scava per mesi. Durante questo periodo l’investitore garantisce ai minatori solamente del cibo. Verranno pagati solo quando porteranno in superficie rocce aurifere. All’investitore spetta il 20% della produzione mineraria e, nel caso di terreni privati, ai proprietari dei terreni è dovuta una quota variabile tra l’1% e il 10%. Il profitto restante viene diviso tra il capo villaggio e i minatori. Questi ultimi, fino alla fine del processo, non sanno se le loro pietre contengono oro, né in che quantità. Potrebbero quindi scavare per mesi senza percepire alcun reddito, con la sola garanzia di un vitto. Un grammo d’oro viene venduto a privati della capitale Ouagadougou, a 10,000 franco CFA (circa 15,00 euro). In alcuni casi il guadagno è davvero sostanzioso e sono proprio le storie dei minatori che hanno ottenuto un buon profitto ad alimentare le speranze dei disperati.
Come quella di Tapsoba, un ragazzo di 26 anni, che lavora nella miniera da due mesi. «Sono stato fortunato», racconta, «perché a solo 25 metri ho trovato l’oro, per un valore di 300,000 franco CFA, il padrone ha preso la sua parte e il resto è stato diviso per due». Tapsoba ha un sogno: aprire una falegnameria tutta sua. Solo per questo continua a scavare. Attualmente ha raggiunto i 50 metri di profondità, ma non si arrende. «Sono certo che troverò altro oro» aggiunge, «la vita da minatore per me finirà presto».
Ma questi “fortunati” non sono poi molti. «Ho lavorato diversi anni in Costa d’Avorio» racconta Kabakoti, minatore di 37 anni, «ma con la guerra civile nel 2006 sono dovuto scappare. Arrivato in Burkina Faso, a Tiebelè ho sentito parlare di questa miniera e ci ho voluto provare. Sono due mesi che scavo, ho raggiunto i 38 metri di profondità, ma dell’oro ancora nulla». Sospira e poi aggiunge «Prego Allah ogni giorno, prima di entrare nel “buco”, affinché i miei sforzi siano ricompensati».
C’è poi chi, come Ibrahim, chiama la propria famiglia prima di calarsi. Lui è un minatore di 30 anni, marito e padre di due figli. «Se sono qui è solo per la mia famiglia, per dare loro una piccola casa» racconta con gli occhi bassi. «Ho guadagnato un pò, ma non è ancora abbastanza. Certo è, che in miniera ho la possibilità di guadagnare di più che nei campi». La sua voce debole si arresta, poi alza lo sguardo e con gli occhi lucidi e arrossati continua «credo di essere un buon padre, penso solo ai miei figli, quando sono giù in quel buio pesto mi sembra quasi di vederli. Li chiamo sempre prima di scendere, ho paura che potrebbe essere l’ultima volta. Raccomando loro di obbedire alla madre e di aiutarla nei lavori. Faccio lo stesso ogni volta che risalgo vivo».
Il lavoro nella miniera di Sougou non è altro che la drammatica storia della moderna schiavitù. Un luogo fatto di desolazione, di diritti umani violati, dove “si scava il futuro” senza avere futuro, ma con la speranza di di tornare alla luce con la fortuna tra le mani.