Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » lun apr 15, 2019 6:34 am

???
Davide Lovat il cattolico venetista antiamericano

https://www.facebook.com/davide.lovat/p ... 7344902225

Carles Puigdemont e Julian Assange sono le icone odierne di tutti i martiri della democrazia nel mondo.... A livello globale è in corso una riduzione delle libertà fondamentali, dai diritti politici ai diritti civili elementari come la libertà di pensiero e di espressione della parola, ai diritti naturali come l'intangibilità della proprietà proprietà privata e l'intangibilità della famiglia.... Il tutto avviene con violenza e rapidità inaudite, nell'indifferenza anestetizzata delle masse lobotomizzate da smartphone e media istituzionali, dai quali sono teleguidate come automi privi di anima e coscienza.... I giovani, storicamente contestatori, sono i primi conformisti adeguati al sistema.... Per le poche voci fuori dal coro, tanto le autorevoli quanto le minime, scatta la censura o la repressione violenta del "Politically correct".... E noi, resistenti dissidenti e sparuti, siamo sempre più "vox clamantis in deserto".... Ma smetteremo solo da morti....


Chi difende Assange
Niram Ferretti
2019/04/12

http://caratteriliberi.eu/2019/04/12/in ... r2FGsCTA_c

Ieri, dopo sette anni, è terminata per Julian Assange la sua permanenza al riparo dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove si era rifugiato nel 2012.
Il “combattente per la libertà“, cocco della sinistra radicale, è stato arrestato ieri da Scotland Yard dietro mandato americano con l’accusa di avere cospirato nel 2010 insieme a Bradley Manning, poi, con il cambio di sesso, diventato Chelsa, nel tentativo di ottenere illegalmente documenti secretati militari e diplomatici, la cui diffusione avrebbe potuto essere utilizzata per danneggiare gli Stati Uniti.

Dopo che l’inchiesta nei suoi confronti per un presunto stupro avvenuto in Svezia è stata archiviata nel 2017, Assange ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti. Nel 2010, il patron di Wikileakes, totalmente incurante delle conseguenze divulgò, grazie a Manning, chi fossero gli informatori locali degli Stati Uniti, durante la guerra in Afghanistan. L’allora Segretario alla Difesa, Robert Gates e il Capo di Stato Maggiore, Mike Mullen dichiararono: “Il signor Assange può dire quello che vuole sul bene maggiore che lui e la sua fonte stanno procurando, ma la verità è che potrebbero già avere sulle loro mani il sangue di qualche giovane soldato o di una famiglia afghana“.

Ma per una personalità patologicamente narcisista come quella dell’hacker australiano, tutto ciò era irrilevante, l’importante era mostrare al mondo gli arcana imperii, soprattutto se si trattava di quelli americani, e non, quelli di dittature e satrapie, o teocrazie, non avendo lì informatori adeguati a svelare al mondo i loro commerci più segreti.

Di lui, Rich Trzupek, in un articolo pubblicato su Frontpage Magazine, nel 2010, all’epoca dei leakes sull’Afghanistan, scrisse:

“Assange è un esempio primario di quel prodotto peculiarmente specifico delle istituzioni democratiche occidentali: un talento così accecato dalla propria intelligenza, da non vedere nulla di male nel fare a pezzi la società che gli consente la libertà di potere esercitare la propria arroganza, mentre resta beatamente incurante del fatto che le sue azioni forniscano aiuto e agevolazione a un nemico che non tollererà la sua stessa esistenza”.

Non può dunque suscitare meraviglia se in difesa dell’utile idiota antiamericano Assange giunga l’accorato appello del Cremlino attraverso il ministro degli Esteri russo Maria Zakharova, la quale ha fatto sapere che “l’arresto a Londra del fondatore di Wikileaks è un duro colpo alla democrazia”. In un mondo come il nostro, in cui per citare Heinrich Heine, “Dio esiste ed è Aristofane“, capita che arrivino da un paese retto da un cleptocrate autoritario lezioni di democrazia. Non contenta, la Zakharova, ha poi aggiunto su Facebook che “La mano della democrazia strangola la gola della libertà”, quella libertà che in Russia è, come noto, splendidamente garantita.

Alla Zarkharova si può aggiungere Evo Moraels, altro grande liberista e assiduo compulsatore di John Locke, il quale esprime via tweet la sua solidarietà per il “fratello perseguitato dagli Stati Uniti per avere rivelato la loro violazione dei diritti umani, l’assassinio di civili e lo spionaggio diplomatico”. In attesa della solidarietà di Nicolas Maduro, si registra, nek frattempo, l’indignazione di una grande fan di Assange, l’ex bagnina di Baywatch, Pamela Anderson, da tempo anche lei guerriera delle cause giuste e visitatrice assidua del perseguitato all’ambasciata dell’Ecuador a Londra, la quale si scaglia veemente contro il Regno Unito, “puttana dell’America”

Tuttavia la Anderson ha colto nel segno. Assange è l’eroe dei chomskiani impenitenti, e dei vecchi e giovani “anti-imperialisti”, è lo scoperchiatore delle nequizie americane, è il puro e indomito paladino del Bene costi quel che costi, soprattutto se costa agli USA, la vecchia baldracca a stelle e strisce, (per restare nei pressi della Anderson), è il vendicatore dei torti commessi dall’Occidente e dalla sua più grande superpotenza, ed è forse anche per questo motivo che, secondo Il Guardian, nel 2017, alcuni diplomatici russi avevano in mente un piano per farlo fuggire dall’ambasciata dell’Ecuador e portarlo in Russia. Nulla di sorprendente, visto che già nel 2010 dava mandato a un suo collaboratore, Israel Shamir, noto antisemita e negazionista, di procurargli un visto russo.

Dalla Russia con amore, per la libertà e la democrazia, di cui Assange è stato ed è, un grande e disinteressato sostenitore.


Wikileaks: Ecuador, "Assange usava ambasciata come centro spionaggio"
AGI - Agenzia Giornalistica Italia

https://www.agi.it/estero/assange_equad ... 2019-04-14

Julian Assange avrebbe ripetutamente violato le condizioni di asilo e cercato di usare l'ambasciata ecuadoriana di Londra come un "centro di spionaggio".

È l'accusa rivolta al fondatore di Wikileaks dal presidente dell'Ecuador Lenin Moreno in un'intervista al Guardian. Moreno, che giovedì scorso ha permesso l'arresto di Assange nella sua ambasciata, ha voluto però assicurare di avere un accordo scritto col governo britannico nel quale Londra garantisce che non saranno violati i diritti fondamentali dell'attivista e che non sarà estradato in nessun Paese che potrebbe condannarlo a morte.

Nella sua prima intervista con un giornale inglese da quando Assange è stato espulso dall'ambasciata, Moreno sostiene di aver permesso l'arresto di Assange, perché da lì il fondatore di Wikileaks avrebbe cercato di interferire nelle democrazie di altri Stati. "Ogni tentativo di destabilizzare è un atto riprovevole per l'Ecuador, perché siamo una nazione sovrana e rispettosa della politica di ogni Paese", ha detto Moreno, condannando inoltre che dall'ambasciata e "con il permesso delle autorità del precedente governo", siano stati forniti strumenti per "interferire nei processi democratici di altri Paesi".

"Non possiamo permettere che la nostra casa, la casa che ha aperto ad Assange le sue porte, diventi un centro di spionaggio", ha poi concluso il presidente dell'Ecuador. "Queste attività violano le condizioni di asilo. La nostra decisione non è arbitraria, ma si basa sul diritto internazionale".






Alberto Pento

Assange è solo un sinistro demenziale antiamericano che ha fatto tanti danni e aveva trasformato l'ambasciata equadoregna in una centrale di spionaggio antiamericana.

I talebani, al-Qaeda, l'ISIS e tutte le altre formazioni integraliste islamiche o mussulmane o maomettane d'Asia e d'Africa non sono un'invenzione americana ma di Maometto e della tradizione incivile e mostruosa maomettana.
Quello che hanno fatto gli americani in Afganistan è stato solo stimolare l'umus maomettano in funzione anticomunista, anti imperialismo comunista sovietico come poi hanno fatto in Irak in funzione anti dittatura (nazional socialista) come in precedenza avevano fatto erroneamente gli inglesi in India stimolando e istigando gli islamici indiani per indebolire l'India indù e la sua ribellione al colonialismo britannico.
Nel caso americano-afgano il male era l'imperialismo comunista sovietico mentre nel caso inglese-indiano il male era il dominio coloniale inglese; in Afganistan come in Irak gli americani hanno scelto quello che per loro pareva il male minore sottovalutando la pericolosità dell'esaltazione maomettana, del suo fanatismo integralista.
Purtroppo spesso si fa esperienza attraverso gli errori inconsapevoli, le valutazione e le scelte sbagliate.
Adesso spero che tutti abbiano imparato la lezione e che non si può adoperare il male per promuovere il bene; se liberarsi dalla dittatura e dall'imperialismo comunista è un bene non è certo un bene ma un male assoluto farlo promuovendo la dittatura e l'imperialismo nazi maomettano.



???
Chi è davvero Julian Assange?
13 aprile 2019

https://www.wired.it/attualita/politica ... -wikileaks

Eroe per alcuni, malfattore per altri, Assange è sempre stato una figura polarizzante. E ora rischia di uscire di scena lasciando domande senza risposta
Assange a Londra nel 2012. (foto: Peter Macdiarmid/Getty Images)

L’aspetto sembra quello di un santone conciato piuttosto male, oppure di un Saddam Hussein dalla barba sbiancata. Fragile e trascurato, il Julian Assange che veniva rimosso con la forza dall’ambasciata ecuadoriana di Londra, giovedì pomeriggio, sembrava un lontano ricordo dall’informatore che faceva tremare la politica mondiale sette anni fa, quando si era rintanato nell’edificio per chiedere asilo politico.

Eroe o malfattore?

A suo modo Assange – volto pubblico di WikiLeaks e figura enigmatica come poche – in questi anni è diventato un simbolo di tutto ciò che non funziona in Occidente nel rapporto tra istituzioni pubbliche, politica mainstream e opinione pubblica: un rapporto avvelenato da delegittimazione e sospetti da parte del demos, e dal tentativo di nascondere i meccanismi spesso cinici e moralmente riprovevoli del potere, da parte delle élite che lo esercitano.

Per i suoi critici, è un pericolo per la sicurezza nazionale e per le vite di migliaia di soldati, nonché un faccendiere abbastanza viscido pronto a vendersi a regimi illiberali; per i suoi sostenitori, è un eroe della trasparenza finito vittima della censura imperialista.

Entrato nei meandri più primitivi del mondo hacker già quand’era adolescente, il 47enne australiano – che più recentemente è finito sulle pagine di gossip anche per una relazione con Pamela Anderson – era salito all’attenzione del pubblico dopo aver fondato il portale di talpe più famoso di internet nel 2006, quando l’ideologia neocon regnava ancora suprema in Occidente e il populismo era materia da storici, più che da sociologi o politologi. WikiLeaks crebbe subito rapidamente, facendosi una reputazione nelle aree controculturali per la sua immensa library di documenti sgraffignati ai governi e de-secretati, alla faccia dell’intelligence mondiale, dei partiti al governo e delle multinazionali, che misero presto il sito e Assange sulla loro lista nera.

I server di WikiLeaks erano situati in diversi paesi diversi sparsi per i cinque continenti, ma il server principale sarebbe stato localizzato in un bunker nucleare di Stoccolma. Proclamatosi caporedattore della nuova temibile testata, Assange ha partecipato alla pubblicazione di oltre 10 milioni di documenti riservati che gli hanno attirato le simpatie, oltre che dell’ex attrice di Baywatch (a sua volta, ora, battagliera anti-imperialista) anche dello scrittore marxista Tariq Ali o del regista Ken Loach. In Italia, a difendere la correttezza e l’importanza del lavoro di Assange ci sono soprattutto la giornalista de L’Espresso Stefania Maurizi, Fabio Chiusi (collaboratore di Valigia Blu) e la rete di attivisti trans-europea Diem25. Quasi tutta la stampa mainstream lo detesta, con un particolare conto in sospeso tra lui e Gianni Riotta, de La Stampa, il quale alla notizia dell’arresto ha risposto “non confondete mai giornalismo e informazione con intelligence, spionaggio e cyberwar russa”.

Tra le fughe di notizie più clamorose passate per Assange ci sono alcune inchieste a dir poco imbarazzanti dai teatri di guerra in Iraq e in Afghanistan – tra cui uccisioni di civili e giornalisti resi bersaglio della Nato o dell’esercito americano – e per questo tenute lontane dagli occhi del pubblico, ma anche comunicazioni private tra diplomatici e funzionari politici di primo livello.

Per aver passato informazioni preziose a WikiLeaks, l’ex analista dell’intelligence Chelsea Manning è stato prima condannato a 35 anni da un tribunale militare degli Stati Uniti, e poi graziato dopo sette anni dall’allora presidente Barack Obama.

La stella di Assange forse ha iniziato a calare proprio nel momento in cui lui si è chiuso in quell’ambasciata, ma è dal 2016 che è entrato nel mirino non solo dei cosiddetti poteri forti, ma anche di molti giornalisti liberal e cittadini comuni. In modo eloquente, esattamente quando è il populismo a diventare mainstream. Durante la campagna per le primarie democratiche è costretto a smentire il sospetto di una collaborazione tra WikiLeaks e lo spionaggio russo, che avrebbe portato alla fuoriuscita di decine di migliaia di email provenienti dai server del Democratic National Congress (il nucleo dirigente del Partito democratico), rovinando così la campagna di Hillary Clinton in modo forse irreparabile.

Lui, che ha fatto di Clinton e di tutto ciò che lei rappresenta la sua nemesi, non si è fatto scrupoli prima di pubblicare migliaia di messaggi provenienti da un server personale dell’ex segretario di stato – ottenuti anche grazie a escamotage legali – che hanno contribuito a dipingere la donna più potente della politica americana come un campione di quell’establishment opaco e corrotto che Trump prometteva di smantellare (l’imprenditore e candidato repubblicano, del resto, non ha mai lesinato elogi agli scoop di WikiLeaks, salvo poi rimangiarseli una volta eletto presidente nello shock generale).

Le questioni che restano irrisolte

Una figura da sempre divisiva, Assange continua a lasciarci con numerose domande senza risposta. Per esempio, se lui sapesse o meno della reale identità di Guccifer 2.0, l’hacker responsabile del leak clintoniano, e che la polizia americana avrebbe in seguito identificato con una spia russa. Oppure, questione ancora più attuale, se Assange fungesse oppure o no da tramite tra gli hacker russi e la campagna elettorale di Trump. Nell’aprile 2017, in uno dei suoi primi discorsi ufficiali, Mike Pompeo – che all’epoca era direttore della Cia ma mesi prima, da deputato repubblicano, si era complimentato con WikiLeaks per le rivelazioni su Clinton – paragonò l’organizzazione a un “servizio di intelligence ostile”, al servizio di forze antidemocratiche. Una giravolta non da poco.

“Resistente a tutti i tentativi di censura”

Così si legge sul sito di WikiLeaks. L’attività online dell’organizzazione e del suo fondatore, però, ha contribuito a renderli entità controverse e sfuggevoli, al tempo stesso ammirate e detestate da milioni di persone. In uno degli episodi più controversi, nell’estate del 2016, WikiLeaks ha pubblicato una tirata antisemita contro i suoi critici che ha scioccato anche i fan più accorati, salvo poi essere maldestramente cancellata. Per conto suo, Assange ci ha fatto sapere di detestare le femministe, di aver maltrattato gli animali e, su un piano ovviamente molto diverso – e per quel che conta – di non essere particolarmente preoccupato per la sua igiene personale. Gli ecuadoriani hanno riferito di aver trovato diverse volte le pareti della sua stanza sporche di feci, e il reporter Andrew O’Hagan lo ha descritto come un imprevedibile egomaniaco ed eccentrico in un libro acclamato dalla critica, La vita segreta (Adelphi). Ad ogni modo, Assange ha ufficialmente abbandonato ogni carica all’interno di WikiLeaks lo scorso settembre.
Della vita privata di Assange si sa poco

Nato nella cittadina australiana di Townsville, sembra che i suoi genitori, entrambi attivisti politici, si siano incontrati a una manifestazione contro la guerra in Vietnam nel 1971, per poi separarsi poco prima della nascita di Julian. La madre, un’artista teatrale e sperimentale, cambiava spesso residenza e lui ha condotto con lei un’esistenza nomadica, cambiando oltre trenta città e una quarantina di scuole pubbliche, prima di stabilirsi a Melbourne.

È qui che è diventato il vicepresidente della società di matematica e di statistica della sua università, tra il 2003 e il 2005, prima di perdere ogni interesse per il mondo accademico e abbandonare gli studi senza laurearsi.

Assange si è rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra nel 2012, dopo essere stato interrogato da un giudice svedese per due accuse di stupro, a cui ha sempre reagito proclamandosi innocente. Nel dicembre 2010 si era presentato a Scotland Yard, e arrestato, in seguito a un mandato di cattura europeo per quel crimine (sarebbe poi caduto in prescrizione). La Svezia aveva presentato una richiesta di estradizione alle autorità britanniche che però, secondo alcune fonti, sarebbe stata una trappola per estradarlo negli Stati Uniti, dove lo attendeva un ben più pericoloso processo per spionaggio. Fallito il ricorso contro l’estradizione in Svezia, fuori su cauzione, Assange si è rifugiato nel santuario diplomatico del Paese sudamericano. Fino all’attuale tradimento delle autorità ecuadoriane, sotto indicazione politica di un presidente che, per l’ennesima ironia della sorte di una vicenda piena di contraddizioni e chiaroscuri, si chiama Lenin Moreno.



Assange a Londra nel 2012. (foto: Peter Macdiarmid/Getty Images)
https://images.wired.it/wp-content/uplo ... sange2.jpg
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » mer apr 17, 2019 6:40 am

Idiozie antiamericane e antioccidentali pro comunismo e pro maomettismo. Ganser è uno dei peggiori maestri della disinformazione sinistra e complottara che esistano.


I crimini di USA e Nato spiegati in 14 minuti
14/04/2019
https://www.pandoratv.it/i-crimini-di-u ... 4-minuti-2
Daniele Ganser spiega l’esportazione della democrazia made in USA.
https://youtu.be/IfG9jUR18qw

Dr. Daniele Ganser: L’Italia: Protettorato degli Stati Uniti (Bologna 12.2.2019)
https://www.youtube.com/watch?v=WgscgXl3iDk

Terrorismo reale. Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della NATO. La guerra segreta in Italia, da: "Réseau Voltaire" 2007, 01 di 03.
http://storiasoppressa.over-blog.it/art ... 71261.html


Il terrorismo non rivendicato della NATO – intervista a Daniele Ganser
1 aprile 2014 da Il nodo gordiano
http://www.ilnodogordiano.it/?p=6713
Daniele Ganser, professore di storia contemporanea all’università di Basilea e presidente dell’ Aspo-Svizzera, ha pubblicato un libro “sugli eserciti segreti della NATO”. Secondo lui, gli Stati Uniti hanno organizzato in Europa dell’Ovest durante gli ultimi 50 anni attentati che sono stati attribuiti alla sinistra e alla sinistra estrema per screditarli agli occhi dei loro elettori. Questa strategia dura ancora oggi per suscitare il timore dell’islam e giustificare le guerre per il petrolio.

Silvia Cattori: Il suo lavoro dedicato agli eserciti segreti della NATO [1], spiega come la strategia della tensione [2] e le operazioni “False Flag” [3]- operazioni “false bandiere”, è l’espressione usata per descrivere atti terroristici, portati avanti segretamente da governi o organizzazioni, per essere poi imputate ad altri) implicano dei grandi pericoli. Spiega come la NATO, durante la guerra fredda – in coordinamento con i servizi di informazioni dei paesi dell’Europa occidentale ed il Pentagono – si è servito di eserciti segreti, ha reclutato spie negli ambienti di estrema destra, ed ha organizzato atti terroristici attribuiti poi alla sinistra estrema. Apprendendo ciò, ci si può interrogare su quello che può passare a nostra insaputa.

Daniele Ganser: È molto importante comprendere ciò che la strategia della tensione rappresenta realmente e come ha funzionato durante questo periodo. Ciò può aiutarci ad illuminare il presente ed a vedere meglio in quale misura è sempre in azione. Poca gente sa ciò che l’espressione “strategia della tensione” vuole dire. È molto importante parlarne, spiegarlo. È una tattica che consiste nel commettere degli attentati criminali ed attribuirli a qualcuno di altro. Con il termine tensione ci si riferisce alla tensione emozionale, a ciò che crea una sensazione di timore, di paura. Con il termine strategia, ci si riferisce a chi alimenta le paure della gente riguardo ad un gruppo determinato. Queste strutture segrete della NATO erano state equipaggiate, finanziate e addestrate dalla CIA, in coordinamento con l’MI6 (i servizi segreti britannici), a combattere le forze armate dell’Unione sovietica in caso di guerra, ma anche, secondo le informazioni di cui disponiamo oggi, per commettere attentati terroristici in diversi paesi [4].
Così, fin dagli anni 70, i servizi segreti italiani hanno utilizzato queste armate segrete per fomentare attentati terroristici con lo scopo di causare la paura in seno alla popolazione e, in seguito, accusare i comunisti di essere gli autori. Era il periodo dove la parte comunista aveva un potere legislativo importante al Parlamento. La strategia della tensione doveva servire a screditarlo, indebolirlo, per impedirgli di accedere all’esecutivo.

Silvia Cattori: Apprendere quello che sta dicendo è una cosa. Ma resta difficile credere che i nostri governi abbiano potuto lasciare la NATO , i servizi d’intelligence d’Europa occidentale e la CIA ad agire in modo da minacciare la sicurezza dei loro cittadini!

Daniele Ganser: La NATO era il cuore di questa rete clandestina legata al terrore; il Clandestine Planning Committee (CCP) e l’Allied Clandestine Committee (ACC) erano sottostrutture clandestine dell’Alleanza atlantica, che sono chiaramente identificate oggi. Ma, ora che ciò è stabilito, è sempre difficile sapere chi faceva cosa. Non ci sono documenti per provare chi comandava, organizzava la strategia della tensione, e come la NATO , i servizi di informazioni dell’Europa occidentale, la CIA , il MI6, e i terroristi reclutati negli ambienti di estrema destra, si distribuivano i ruoli. La sola certezza che abbiamo è che c’erano, all’interno di queste strutture clandestine, elementi che hanno utilizzato la strategia della tensione. I terroristi di estrema destra hanno spiegato nelle loro deposizioni che erano i servizi segreti e la NATO che li avevano sostenuti in questa guerra clandestina. Ma quando si chiedono spiegazioni ai membri del CIA o della NATO – ciò che ho fatto durante molti anni – si limitano a dire che potrebbero esserci stati alcuni elementi criminali che sono sfuggiti al controllo.

Silvia Cattori: Questi eserciti segreti operavano in tutti i paesi dell’Europa occidentale?

Daniel Ganser: Con le mie ricerche, ho dimostrato che questi eserciti segreti esistevano, non soltanto in Italia, ma in tutta l’Europa dell’Ovest: in Francia, Belgio, Olanda, Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Turchia, Spagna, Portogallo, Austria, Svizzera, Grecia, Lussemburgo, Germania. Inizialmente si pensava che ci fosse una struttura di guerriglia unica e che, quindi, questi eserciti segreti avevano tutti partecipato alla strategia della tensione, dunque ad attentati terroristici. Ma, è importante sapere che questi eserciti segreti non hanno tutti partecipato agli attentati. E comprendere ciò che li differenziava poiché avevano attività distinte. Quello che appare chiaramente oggi è che queste strutture clandestine della NATO, generalmente chiamate Stay Behind [5], erano concepite, in origine, per agire come una guerriglia in caso d’occupazione dell’Europa dell’Ovest da parte dell’Unione sovietica. Gli Stati Uniti dicevano che queste reti di guerriglia erano necessarie per superare l’impreparazione nella quale i paesi invasi dalla Germania si erano allora trovati.
Numerosi paesi che hanno conosciuto l’occupazione tedesca, come la Norvegia , volevano trarre le lezioni dalla loro incapacità di resistere all’occupante e si è detto, che in caso di nuova occupazione, dovevano essere meglio preparati, disporre di un’altra opzione e potere contare su un esercito segreto nel caso in cui l’esercito classico venisse distrutto. C’erano, all’interno di questi eserciti segreti, persone oneste, patrioti sinceri, che volevano soltanto difendere il loro paese in caso d’occupazione.

Silvia Cattori: Se comprendo bene, questo Stay behind il cui obiettivo iniziale era quello di prepararsi in caso di un’invasione sovietica, è stato deviato da questo scopo per combattere la sinistra. Di conseguenza, si è penato a comprendere perché i partiti di sinistra non hanno indagato, denunciato queste deviazioni prima?

Daniele Ganser: Se si prende il caso dell’Italia, appare che, ogni volta che la parte comunista ha sfidato il governo per ottenere spiegazioni sull’esercito segreto che operava in questo paese sotto il nome di codice Gladio [6], non ci sono state risposte con il pretesto di segreto di Stato. È soltanto nel 1990 che Giulio Andreotti [7] ha riconosciuto l’esistenza di Gladio ed i suoi legami diretti con la NATO , la CIA e il MI6 [8]. È in questo periodo che il giudice Felice Casson ha potuto provare che il vero autore dell’attentato di Peteano nel 1972, che aveva scosso l’Italia, e che era stato attribuito a militanti di estrema sinistra, era Vincenzo Vinciguerra, apparentato Ordine Nuovo, un gruppo di estrema destra. Vinciguerra ha riconosciuto di aver commesso l’attentato di Peteano con l’aiuto dei servizi segreti italiani. Vinciguerra ha anche parlato dell’esistenza di questo esercito segreto chiamato Gladio. E ha spiegato che, durante la guerra fredda, questi attentati clandestini avevano causato la morte di donne e di bambini [9].
Ha anche affermato che queste armate segrete controllate dalla NATO, avevano ramificazioni ovunque in Europa. Quando quest’informazione è uscita, ha provocato una crisi politica in Italia, ed è grazie alle indagini del giudice Felice Casson che siamo stati messi al corrente degli eserciti segreti della NATO. Nella Germania, quando i Socialisti del SPD hanno appreso, nel 1990, che esisteva nel loro paese – come in tutti gli altri paesi europei – un esercito segreto, e che questa struttura era legata ai servizi segreti tedeschi, hanno gridato allo scandalo ed incolpato la parte democristiana (CDU). Questi hanno reagito dicendo: se voi ci accusate, diremo pubblicamente che, anche voi, con Willy Brandt, avevate preso parte a questa cospirazione. Questo coincideva con le prime elezioni della Germania riunificata, che gli SPD speravano di vincere. I dirigenti del SPD hanno capito che non era un buono argomento elettorale; per finire hanno lasciato intendere che quest’eserciti segreti erano giustificabili. Al Parlamento europeo, nel novembre 1990, voci si sono alzate per dire che non si poteva tollerare l’esistenza di eserciti clandestini, né lasciare senza spiegazione degli atti di terrore la cui origine reale non era delucidata, e che occorreva indagare. Il Parlamento europeo ha dunque protestato per iscritto alla NATO ed il presidente George Bush senior. Ma nulla è stato fatto. Soltanto in Italia, in Svizzera ed in Belgio, che indagini pubbliche sono state iniziate. Sono del resto i tre soli paesi che hanno fatto un po’di ordine in quest’affare e che hanno pubblicato una relazione sui loro eserciti segreti.

Silvia Cattori: Cosa ne è oggi? Questi eserciti clandestini sarebbero ancora attivi?

Daniele Ganser: Per uno storico, è difficile rispondere a questa domanda. Non si dispone di un rapporto ufficiale paese per paese. Nei miei lavori, analizzo fatti che posso provare. Per quanto riguarda l’Italia, c’è una relazione che dice che l’esercito segreto Gladio è stato eliminato. Sull’esistenza dell’esercito segreto P 26 in Svizzera, esiste anche un rapporto del Parlamento, nel novembre 1990. Dunque, quest’eserciti clandestini, che avevano conservato esplosivi nei loro nascondigli ovunque in Svizzera, sono state sciolte. Ma, negli altri paesi, non si sa nulla. In Francia, mentre il presidente François Mitterrand aveva affermato che tutto ciò apparteneva al passato, si è appreso successivamente che queste strutture segrete erano sempre attive quando Giulio Andreotti ha lasciato intendere che il presidente francese mentiva: “Voi dite che gli eserciti segreti non esistono più; ma, nel corso della riunione segreta dell’autunno 1990, anche voi francesi eravate presenti; non avete detto che ciò non esiste più″.
Mitterrand fu molto contrariato con Andreotti poiché, dopo questa rivelazione, egli dovette rettificare la sua dichiarazione. Più tardi l’ex direttore dei servizi segreti francesi, l’ammiraglio Pierre Lacoste, ha confermato che questi eserciti segreti esistevano anche in Francia, e che anche la Francia aveva avuto delle implicazioni in attentati terroristici [10].
È dunque difficile dire se tutto è passato. E, anche se le strutture Gladio sono state sciolte, potrebbero avere create delle nuove pur continuando a utilizzare la tecnica della strategia della tensione e del “False flag”.

Silvia Cattori: Si può pensare che, dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti e la NATO abbiano continuato a sviluppare la strategia della tensione e “False flag” su altri fronti?

Daniele Ganser: Le mie ricerche si sono concentrate sul periodo della guerra fredda in Europa. Ma si sa che ci sono state altrove delle “False flag” dove la responsabilità degli stati è stata provata. Esempio: gli attentati, nel 1953, in Iran, inizialmente attribuiti a comunisti iraniani. Ma, è risultato che la CIA e il MI6 si sono serviti di agenti provocatori per orchestrare la caduta del governo Mohammed Mossadeq, questo nel quadro della guerra per il controllo del petrolio. Altro esempio: gli attentati, nel 1954, in Egitto, che si erano inizialmente attribuiti ai musulmani. Si è provato successivamente che, nell’affare chiamato Lavon [11], sono stati agenti del Mossad gli autori. Qui, si trattava per Israele di ottenere che le truppe britanniche non lasciassero l’Egitto ma vi rimanessero, per garantire la protezione di Israele.
Così, abbiamo esempi storici che dimostrano che la strategia della tensione e la “False flag” sono state utilizzate dagli USA, la Gran Bretagna e Israele. Ci occorre ancora proseguire le ricerche in questi settori, poiché, nella loro storia, altri paesi hanno utilizzato la medesima strategia.

Silvia Cattori: Queste strutture clandestine della NATO, create dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto l’impulso degli Stati Uniti, per dotare i paesi europei di un esercito capace di resistere ad un’invasione sovietica, sono serviti soltanto per condurre operazioni criminali contro cittadini europei? Tutto porta a pensare che gli Stati Uniti guardavano a qualcosa d’altro!

Daniele Ganser: Avete ragione a sollevare la questione. Gli Stati Uniti erano interessati al controllo politico. Questo controllo politico è un elemento essenziale per la strategia di Washington e di Londra. Il generale Geraldo Serravalle, capo di Gladio, la rete italiana Stay-behind, lo spiega nel suo libro. Egli racconta che ha compreso che gli Stati Uniti non erano interessati dalla preparazione di una guerriglia in caso d’invasione sovietica, quando ha visto che, cosa che interessava agli agenti dell’CIA, che assistevano alle esercitazioni d’addestramento dell’esercito segreto che dirigeva, era di assicurarsi che questo esercito funzionasse in modo da controllare le azioni dei militanti comunisti.
Il loro timore era l’arrivo dei comunisti al potere in paesi come la Grecia , l’Italia, Francia. Ecco a cosa doveva servire la strategia della tensione: orientare ed influenzare la politica di alcuni paesi dell’Europa dell’Ovest.

Silvia Cattori: Avete parlato dell’elemento emozionale come fattore importante nella strategia della tensione. Dunque, il terrore, la cui origine resta sfocata, dubbia, la paura che provoca, serve a manipolare l’opinione pubblica. Non si assiste oggi agli stessi metodi? Ieri, si utilizzava la paura del comunismo, oggi non si utilizza la paura dell’islam?

Daniele Ganser: Sì, c’è un parallelo nettissimo. In occasione dei preparativi della guerra contro l’Iraq, si è detto che Saddam Hussein possedeva armi biologiche, che c’era un legame tra il Iraq e gli attentati dell’11 settembre, o che c’era un legame tra l’Iraq e i terroristi di Al Qaida. Ma tutto ciò non era vero. Con queste menzogne, si voleva fare credere al mondo che i musulmani volevano spargere il terrorismo ovunque, che questa guerra era necessaria per combattere il terrore. Ma, la vera ragione della guerra è il controllo delle risorse energetiche. A causa della geologia, le ricchezze di gas e petrolio si concentrano nei paesi musulmani. Quello che vogliono accaparrarsi, deve nascondersi dietro questo tipo di manipolazioni.
Ora non si può dire che non c’è più molto petrolio poiché il massimo della produzione globale – “picco di petrolio” [12] – si verificherà probabilmente prima del 2020 e che occorre dunque andare a prendere il petrolio in Iraq, perché la gente direbbe che non occorre uccidere bambini per questo. Ed hanno ragione. Non si può nemmeno dire che, nel Mar Caspio, ci sono riserve enormi e che si vuole creare una conduttura verso l’oceano indiano ma che, siccome non si può passare per l’Iran al sud, né passare per la Russia al nord, occorre passare per l’est, il Turkmenistan e l’Afghanistan, e dunque, occorre controllare questo paese.
È per questo che si definiscono i musulmani come “terroristi”. Sono grandi menzogne, ma se si ripete mille volte che i musulmani sono “terroristi”, la gente finirà per crederlo e per accettare che queste guerre antimusulmane sono utili; dimenticando che ci sono molte forme di terrorismo, che la violenza non è per forza una specialità musulmana.

Silvia Cattori: Insomma, queste strutture clandestine sono state sciolte, ma la strategia della tensione ha potuto continuare?

Daniele Ganser: È esatto. Possono avere sciolto le strutture, e averne formato delle nuove. È importante spiegare come, nella strategia della tensione, la tattica e la manipolazione funzionano. Tutto ciò non è legale. Ma, per gli Stati, è più facile manipolare persone che dire loro che si cerca di mettere le mani sul petrolio di altri. Tuttavia, tutti gli attentati non derivano dalla strategia della tensione. Ma è difficile sapere quali sono gli attentati manipolati. Anche coloro che sanno che la maggioranza deli attentati sono manipolati da Stati per screditare un nemico politico, possono scontrarsi con un ostacolo psicologico. Dopo ogni attentato, la gente ha paura, è confusa. È molto difficile farsi all’idea che la strategia della tensione, la strategia del “False flag”, è una realtà. È più semplice accettare la manipolazione e dirsi: “Da trenta anni mi tengo informato e non ho mai sentito parlare di questi eserciti criminali. I musulmani ci attaccano, è per questo che si combatte”.

Silvia Cattori: Fin dal 2001, l ’Unione europea ha instaurato misure antiterroriste. È sembrato in seguito che queste misure hanno permesso alla CIA di rapire gente, di trasportarli in luoghi segreti per torturarli. Gli Stati europei non sono diventati un po’ ostaggi e sottomessi agli Stati Uniti?

Daniele Ganser: Gli stati europei hanno avuto un atteggiamento abbastanza debole in relazione agli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Dopo avere affermato che le prigioni segrete erano illegali, hanno lasciato fare. Stessa cosa con i prigionieri di Guantanamo. Delle voci si sono alzate in Europa per dire: “non si possono privare i prigionieri della difesa di un avvocato”. Quando la signora Angela Merkel ha evocato la questione, gli Stati Uniti hanno chiaramente lasciato intendere che la Germania è stata un po’ implicata in Iraq, che i suoi servizi segreti avevano contribuito a preparare la guerra, dunque dovevano tacersi.

Silvia Cattori: In questo contesto, in cui ci sono ancora molte zone d’ombra, quale sicurezza può portare la NATO al popolo che presumibilmente dovrebbe proteggere se permette a servizi segreti di manipolare?

Daniele Ganser: Per quanto riguarda gli attentati terroristici manipolati dagli eserciti segreti della rete Gladio durante la guerra fredda, è importante potere determinare chiaramente qual è l’implicazione reale della NATO là dentro, di sapere ciò che è realmente avvenuto. Si trattava di atti isolati o di atti organizzati segretamente dalla NATO? Fino ad oggi, la NATO ha rifiutato di parlare della strategia della tensione e del terrorismo durante la guerra fredda, rifiuta ogni questione che riguarda Gladio. Oggi, ci si serve della NATO come un’una armata offensiva, mentre quest’organizzazione non è stata creata per svolgere questo ruolo. E’ stata attivato in questo senso, il 12 settembre 2001, immediatamente dopo gli attentati di New York. I dirigenti della NATO affermano che la ragione della loro partecipazione alla guerra contro gli Afgani è di combattere il terrorismo. Ma, la NATO rischia di perdere questa guerra. Ci sarà, allora, una grande crisi, dibattiti. Che permetterà allora di sapere se la NATO conduce, come afferma, una guerra contro il terrorismo, o se ci si trova in una situazione simile a quella che si è conosciuta durante la guerra fredda, con l’esercito segreto Gladio, dove c’era un legame con il terrorismo. Gli anni futuri diranno se la NATO ha agito esternamente alla missione per la quale è stata fondata: difendere i paesi europei e gli Stati Uniti in caso d’invasione sovietica, evento che non si è mai verificato. La NATO non è stata fondata per impadronirsi del petrolio o del gas dei paesi musulmani.

Silvia Cattori: Si potrebbe ancora comprendere come Israele, che ha interessi ad allargare i conflitti nei paesi arabi e musulmani, incoraggi gli Stati Uniti in questo senso. Ma non si vede quale può essere l’interesse degli stati europei ad impegnare truppe in guerre decise dal Pentagono, come in Afghanistan?

Daniele Ganser: Penso che l’Europa è confusa. Gli Stati Uniti sono in una posizione di forza, e gli europei hanno tendenza a pensare che la migliore cosa sia di collaborare con i più forti. Ma occorrerebbe riflettere un po’ di più. I parlamentari europei cedono facilmente alla pressione degli Stati Uniti che richiedono sempre più truppe su questo o quel fronte. Più i paesi europei cedono, più si sottomettono, e più si troveranno con problemi sempre più grandi. In Afghanistan, i tedeschi e i britannici sono sotto comando dell’esercito statunitense.
Strategicamente, non è una posizione interessante per questi paesi.
Ora, gli Stati Uniti hanno chiesto ai tedeschi di impegnare i loro soldati anche al sud dell’Afghanistan, nelle zone in cui la battaglia è più cruenta. Se i tedeschi accetteranno, rischiano di farsi massacrare dalle forze afgane che rifiutano la presenza di qualsiasi occupante. La Germania dovrebbe seriamente chiedersi se non fosse il caso di ritirare i suoi 3000 soldati di Afghanistan. Ma, per i tedeschi, disubbidire agli ordini degli Stati Uniti, di cui sono un po’ vassalli, è un passo difficile da fare.

Silvia Cattori: Cosa sanno le autorità che ci governano oggi della strategia della tensione? Possono continuare come ciò a lasciare guerrafondai fomentare colpi di Stato, rapire e torturare gente senza reagire? Hanno ancora i mezzi per impedire queste attività criminali?

Daniele Ganser: Non so. Come storico, osservo, prendo nota. Come consigliere politico, dico sempre che non occorre cedere alle manipolazioni che mirano a suscitare la paura e fare credere che i “terroristi” siano sempre i musulmani; dico che si tratta di una lotta per il controllo delle risorse energetiche; che occorre trovare mezzi per sopravvivere alla penuria energetica senza andare nel senso della militarizzazione. Non si possono risolvere i problemi in questo modo; li peggiorano.

Silvia Cattori: Quando si osserva la diabolizzazione degli Arabi e dei musulmani a partire dal conflitto israeliano-palestinese, ci si dice che ciò non ha nulla a che vedere con il petrolio.

Daniele Ganser: Sì, in questo caso sì. Ma, nella prospettiva degli Stati Uniti, si tratta di una lotta per prendere il controllo delle riserve energetiche del blocco eurasiatico che si situa in questa “ellisse strategico” che va dall’Azerbaigian passando per il Turkmenistan ed il Kazachistan, fino all’Arabia Saudita, Iraq, Kuwait e Golfo Persico.
È precisamente là, in questa regione in cui si svolgono le pretese guerre “contro il terrorismo”, che si concentrano le importanti riserve in petrolio e gas. Secondo me, non si tratta di altra cosa che di una sfida geostrategica dentro la quale l’Unione europea può soltanto perdere. Poiché, se gli Stati Uniti prendono il controllo di quelle risorse, e la crisi energetica peggiora, diranno: “volete gas, volete petrolio, molto bene, in cambio vogliamo questo e quello”. Gli Stati Uniti non daranno gratuitamente il petrolio ed il gas ai paesi europei. Poche persone sanno che il “picco del petrolio”, il massimo della produzione, è stato già raggiunto nel mare del Nord e che, quindi, la produzione del petrolio in Europa – la produzione della Norvegia e della Gran Bretagna – è in declino. Il giorno che la gente si renderà conto che queste guerre “contro il terrorismo” sono manipolate, e che le accuse contro i musulmani sono, in parte, della propaganda, rimarranno sorpresi. Gli Stati europei devono svegliarsi e comprendere infine come la strategia della tensione funziona. E devono anche iniziare a dire no agli Stati Uniti. Inoltre, negli Stati Uniti anche, c’è molta gente che non vuole questa militarizzazione delle relazioni internazionali.

Silvia Cattori: Avete anche fatto ricerche sugli attentati dell’11 settembre 2001 e scritto un libro [13] con altri intellettuali che si preoccupano delle incoerenze e delle contraddizioni nella versione ufficiale di questi eventi come le conclusioni della Commissione d’indagine delegata da Mister Bush? Non temete di essere accusati di “teoria del complotto”?

Daniele Ganser: I miei studenti e altra persone mi hanno sempre chiesto: se questa “guerra contro il terrorismo” riguarda realmente il petrolio ed il gas, gli attentati dell’11 settembre non sono stati anch’essi manipolati? O è una coincidenza, che i musulmani di Osama bin Laden abbiano colpito esattamente nel momento in cui i paesi occidentali iniziavano a capire che una crisi del petrolio si annunciava? Ho dunque iniziato ad interessarmi a ciò che era stato scritto sull’11 settembre ed a studiare anche la relazione ufficiale che presentata nel giugno 2004. Quando ci si immerge in quest’argomento, ci si accorge di primo acchito che c’è un grande dibattito planetario attorno a ciò che è realmente avvenuto l’11 settembre 2001. L ’informazione che abbiamo non è precisa. Quello che chiede precisazione nel rapporto di 600 pagine è che la terzo torre che è crollata quel giorno, non è neppure citata. La Commissione parla soltanto del crollo delle due torri, “Twin Towers”. Mentre c’è una terza torre, alta 170 metri , che è crollata; la torre si chiamava WTC 7. Si parla di un piccolo incendio in quel caso. Ho parlato con i professori che conoscono perfettamente la struttura degli edifici; dicono che un piccolo incendio non può distruggere una struttura di una simile dimensione. La storia ufficiale sull’11 settembre, le conclusioni della commissione, non sono credibili. Questa mancanza di chiarezza mette i ricercatori in una situazione molto difficile. La confusione regna anche su ciò che è realmente avvenuto al Pentagono. Sulle fotografie che abbiamo è difficile vedere un aereo. Non si vede come un aereo possa essere caduto là.

Silvia Cattori: Il Parlamento del Venezuela ha chiesto agli Stati Uniti di avanzare ulteriori spiegazioni per chiarire l’origine di quegli attentati. Ciò non dovrebbe essere un esempio da seguire?

Daniele Ganser: Ci sono molte incertezze sull’11 settembre. I parlamentari, gli universitari, i cittadini possono chiedere conto su ciò che è realmente avvenuto. Penso sia importante continuare ad interrogarsi. È un evento che nessuno può dimenticare; ciascuno si ricorda dove si trovava in quel momento preciso. È incredibile che, cinque anni più tardi, non si sia ancora arrivati a vedere chiaro.

Silvia Cattori: Si direbbe che nessuno voglia rimettere in discussione la versione ufficiale. Si sarebbero lasciati manipolare con la disinformazione organizzata da strateghi della tensione e False flag? Daniele Ganser: Si è manipolabile se si ha paura; paura di perdere il proprio lavoro, paura di perdere il rispetto della gente. Non si può uscire da questa spirale di violenza e di terrore se ci si lascia manipolare dalla paura. È normale avere paura, ma occorre parlare apertamente di questa paura e delle manipolazioni che la generano. Nessuno può sfuggire alle loro conseguenze. Ciò è tanto più grave in quanto i responsabili politici agiscono spesso sotto l’effetto di questa paura. Occorre trovare la forza di dire: “Sì ho paura di sapere che queste menzogne fanno soffrire la gente; sì ho paura di pensare che non ci sia più molto petrolio; sì ho paura di pensare che questo terrorismo di cui si parla è la conseguenza di manipolazioni, ma non mi lascerò intimidire”.

Silvia Cattori: Fino a che punto paesi come la Svizzera partecipano, attualmente, alla strategia della tensione?

Daniele Ganser: Penso che non ci sia strategia della tensione in Svizzera. Questo paese non conosce attentati terroristici. Ma, la cosa vera è che, in Svizzera come altrove, è che i politici che temono gli Stati Uniti, le loro posizioni di forza, tendono a dire: sono buoni amici, non abbiamo interesse a batterci con loro.

Silvia Cattori: Questo modo di pensare e coprire le menzogne che derivano dalla strategia della tensione, non rendono tutti complici dei crimini che comporta? A cominciare dai giornalisti e partiti politici?

Daniele Ganser: Penso, personalmente, che tutti i giornalisti, universitari, politici devono riflettere sulle implicazioni della strategia della tensione e del “False flag”. Noi siamo evidentemente in presenza di fenomeni che sfuggono a qualsiasi comprensione. È per questo che, ogni volta che ci sono attentati terroristici, occorre interrogarsi e cercare di comprendere cosa si nasconde dietro. È soltanto il giorno in cui si ammetterà ufficialmente che le False flag sono una realtà, che si potrà stabilire una lista delle False flag che hanno avuto luogo nella storia e mettersi d’accordo su ciò che occorrerà fare.
La ricerca della pace è il tema che m’interessa. È importante aprire il dibattito sulla strategia della tensione e prendere atto che si tratta di un fenomeno reale. Fintantoché non si accetterà di riconoscere la sua esistenza, non si potrà agire. È per questo che è importante spiegare quello che la strategia della tensione significa realmente. E, una volta compreso, non di lasciarsi prendere dalla paura e odio contro un gruppo. _ Bisogno dire che non è soltanto un paese implicato; che non sono soltanto gli Stati Uniti, Italia, Israele o gli iraniani, ma che questo si produce ovunque, anche se alcuni paesi vi partecipano in modo più intenso di altri. Occorre comprendere, senza accusare tale paese o tale persona. Il timore e l’odio non aiutano ad avanzare ma paralizzano il dibattito. Vedo molti accuse contro gli Stati Uniti, contro Israele, la Gran Bretagna , o alternativamente, contro l’Iran, la Siria. Ma la ricerca della pace insegna che non occorre abbandonarsi a delle accuse basate sul nazionalismo, e che non serve né odio né paura; è più importante spiegare. Questa comprensione sarà benefica per noi tutti.

Silvia Cattori: Perché il vostro libro sugli eserciti segreti della NATO, pubblicato in inglese, tradotto in italiano, in turco, sloveno e presto in greco, non è pubblicato in francese?

Daniele Ganser: Non ho ancora trovato un editore in Francia. Se un editore è interessato a pubblicare il mio libro sarò felicissimo di vederlo tradotto in francese.
Fonte: http://www.voltairenet.org/article144711.html

[1] Nato’s secret Armies : Terrorism in Western Europe par Daniele Gabnser, préface de John Prados. Frank Cass éd., 2005. ISBN 07146850032005

[2] C’est après l’attentat de Piazza Fontana à Milan en 1969 que l’expression stratégie de la tension a été entendue pour la première fois.

[3] False flag operations (opérations faux drapeaux) est l’expression utilisée pour désigner des actions terroristes, menées secrètement par des gouvernements ou des organisations, et que l’on fait apparaître comme ayant été menées par d’autres.

[4] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 août 2001.

[5] Stay behind (qui veut dire : rester derrière en cas d’invasion soviétique) est le nom donné aux structures clandestines entraînées pour mener une guerre de partisans.

[6] Gladio désigne l’ensemble des armées secrètes européennes qui étaient sous la direction de la CIA.

[7] Président du Conseil des ministres, membre de la démocratie chrétienne.

[8] « Rapport Andreotti sur l’Opération Gladio » document du 26 février 1991, Bibliothèque du Réseau Voltaire.

[9] « 1980 : carnage à Bologne, 85 morts », Réseau Voltaire, 12 mars 2004.

[10] « La France autorise l’action des services US sur son territoire » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 8 mars

[11] Affaire Lavon, du nom du ministre de la Défense israélien qui a dû démissionner quand le Mossad a été démasqué comme ayant trempé dans ces actes criminels

[12] Voir : « Odeurs de pétrole à la Maison-Blanche », Réseau Voltaire, 14 décembre 2001. « Les ombres du rapport Cheney » par Arthur Lepic, 30 mars 2004. « Le déplacement du pouvoir pétrolier » par Arthur Lepic, 10 mai 2004. « Dick Cheney, le pic pétrolier et le compte à rebours final » par Kjell Aleklett, 9 mars 2005.« L’adaptation économique à la raréfaction du pétrole » par Thierry Meyssan, 9 juin 2005.

[13] 9/11 American Empire : Intellectual speaks out, sous la direction de David Ray Griffin, Olive Branch Press, 2006
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » mar apr 23, 2019 6:43 pm

Imperialismo americano e antimperialismo imperialista comunista sovietico e russo

Tutto quello che ha fatto l'America dopo aver aiutato l'Europa e il Mondo a liberarsi dalle dittature socialiste fascista e nazista che avevano scatenato la seconda guerra mondiale, è stato fatto principalmente in funzione anticomunista, anti imperialismo sovietico dell'URSS, tutte le scelte interventiste dalla Corea del Nord al conflitto vietnamita durante gli anni di tensione detti guerra fredd,a si sono avute e verificate sulla linea del fronte della contrapposizione con i nazicomunisti dell'URSS e dei loro satelliti che fomentavano in ogni parte del Mondo la deriva comunista.
Come abbiamo tutti sperimentato e riscontrato, tutti i paesi a regime comunista sono falliti compresa l'URSS lasciando centinaia di milioni di persone in miseria e nella disperazione.
Gli USA sono stati costretti a volte per necessità e realismo politico a scegliere il male minore, come il dittatore che pareva il meno peggio, non potendo fare altro e a volte le cose non sono andate sempre bene e per il verso giusto e a volte hanno prodotto conseguenze negative come in Afganistan dove in funzione antisovietica era stato promosso l'integralismo maomettano latente dei talebani come pure in Irak contro Saddam Hussein con le varie formazioni integraliste nazi maomettane da cui poi è uscito l'ISIS.
L'integralismo maomettano esisteva già in tutti i paesi islamici sunniti e sciiti come maomettismo ordinario eppoi nel novecento aveva subito una spinta ulteriore/rinascita con i Fratelli Mussulmani.
Comunque nel complesso delle vicende storiche, gli USA come maggiore potenza democratica civile economica e politica mondiale, è stat investita suo malgrado di enormi responsabilità e a conti fatti, nonostante gli errori, le approssimazioni, gli azzardi, le contraddizioni, le disfunzioni, ... hanno contribuito a generare più bene che male.





Le falsità antimericane di Ganser:

1) Elezioni politiche italiane del 1948, manipolazione CIA?
Elezioni italiane del 1948 grazie a Dio vinte dalla Democrazia Cristiana se avessero vinto i nazi comunisti saremmo finiti sotto l'URSS.
Grazie anche agli USA!
Quali manipolazioni negative o positive per la democrazia e la libertà in Italia avrebbero mai operato gli USA?
L'Italia aveva perso la guerra e giustamente gli USA e i loro alleati avevano tutto il diritto di controllare che le cose andassero bene.

2) Bombardamenti in Corea del Nord
Corea del Nord in mano ai nazi comunisti, guerra più che giusta a difesa della libertà e della democrazia della Corea del Sud.

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Corea

La guerra di Corea (conosciuta in Corea del Nord come 조국해방전쟁, Choguk haebang chŏnjaeng; in Corea del Sud come in 한국전쟁, Hanguk jeonjaeng) fu il conflitto combattuto nella penisola coreana dal 1950 al 1953. Essa determinò una delle fasi più acute della Guerra fredda, con il rischio di un conflitto globale e il possibile utilizzo di bombe nucleari.

La guerra scoppiò nel 1950 a causa dell'invasione della Corea del Sud, stretta alleata degli Stati Uniti, da parte dell'esercito della Corea del Nord comunista. L'invasione determinò una rapida risposta dell'ONU: su mandato del consiglio di sicurezza dell'ONU, gli Stati Uniti, affiancati da altri 17 Paesi, intervennero militarmente nella penisola per impedire una rapida vittoria delle forze comuniste. Dopo grandi difficoltà iniziali, le forze statunitensi, comandate dal generale Douglas MacArthur, respinsero l'invasione e proseguirono l'avanzata fino a invadere gran parte della Corea del Nord. A questo punto però intervenne nel conflitto anche la Cina comunista, mentre l'Unione Sovietica inviò segretamente moderni reparti di aerei che contribuirono a contrastare l'aviazione nemica. Le truppe statunitensi, colte di sorpresa, vennero costrette a ripiegare in Corea del Sud, perdendo tutto il territorio conquistato.

La guerra quindi si arrestò sulla linea del 38º parallelo dove continuò con battaglie di posizione e sanguinose perdite per altri due anni fino al precario armistizio di Panmunjeom che stabilizzò la situazione e confermò la divisione della Corea.


3) Colpo di stato in Iran nel 1953 (in piena guerra fredda gli USA non avevano tutti i torti. proprio come oggi che la Russia sostiene la dittatura nazi maomettana iraniana, la sua pericolosissima nuclearizzazione e il suo antisemitismo antisraelismo)
Operazione Ajax
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Ajax
L'operazione Ajax (nome ufficiale TP-AJAX per gli statunitensi, operazione Boot per i britannici) fu una missione coperta da segreto e promossa nell'agosto del 1953 dai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti d'America per sovvertire il regime democratico dell'Iran, allora governato dal nazionalista Mohammad Mossadeq, che aveva da poco nazionalizzato l'industria petrolifera.
Mentre il Regno Unito puntava a rafforzare il potere personale di Mohammad Reza Pahlavi per recuperare il controllo sui redditizi giacimenti petroliferi iraniani, gli Stati Uniti temevano che la crisi economica e politica dell'Iran potesse aprire la porta alla penetrazione sovietica in Medio Oriente in piena guerra di Corea.


4) 1954 Guatemala colpo di stato per fermare la comunistizzazione del Centro America e l'espansione de dell'imperialismo sovietico
https://it.wikipedia.org/wiki/Colpo_di_ ... a_del_1954

Il colpo di Stato in Guatemala del 1954 fu un golpe organizzato da Allen Welsh Dulles, direttore in quel periodo della CIA e da membri dell'élite centroamericana, al fine di rovesciare il governo democraticamente eletto di Jacobo Arbenz Guzmán, che dal 1951 aveva iniziato una decisa politica di nazionalizzazione delle principali infrastrutture nel paese centroamericano.
Il golpe fu realizzato attraverso un'operazione segreta denominata operazione PBSUCCESS; i documenti segreti relativi alla vicenda sono stati declassificati dalla CIA nel 1997.

5) 1961 Cuba invasione Baia dei Porci per rovesciare Castro e arginare il comunismo russo
https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione ... _dei_Porci
L'invasione della baia dei Porci fu il fallito tentativo di rovesciare il regime di Fidel Castro, messo in atto da un gruppo di esuli cubani e di mercenari, addestrati dalla CIA, che progettavano di conquistare Cuba a partire dall'invasione della parte sud-ovest dell'isola. L'operazione è conosciuta in inglese come "Bay of the Pigs Invasion" e, tra i cubani, col nome spagnolo di "invasión de Playa Girón" o "batalla de Girón".

6) 1964 guerra del Vietnam sempre per fermare il comunismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Vietnam
La guerra del Vietnam (in inglese Vietnam War, in vietnamita Chiến tranh Việt Nam) fu un conflitto armato combattuto in Vietnam tra il 1955 (data di costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista) e il 1975 (con la caduta di Saigon). Il conflitto si svolse prevalentemente nel territorio del Vietnam del Sud e vide contrapposte le forze insurrezionali filo-comuniste – sorte in opposizione al governo autoritario filo-statunitense costituito nel Vietnam del Sud – e le forze governative della cosiddetta Repubblica del Vietnam – creata dopo la conferenza di Ginevra del 1954, successiva alla guerra d'Indocina contro l'occupazione francese.
Il conflitto, iniziato fin dalla metà degli anni cinquanta con il primo manifestarsi di un'attività terroristica e di guerriglia in opposizione al governo sudvietnamita, vide il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti d'America, che incrementarono progressivamente secondo la strategia dell'escalation le loro forze militari in aiuto al governo del Vietnam del Sud, fino ad impegnare un'enorme quantità di forze terrestri, aeree e navali dal 1965 al 1972, con un picco di 550.000 soldati nel 1969.[12] Nonostante questo spiegamento di forze, il governo degli Stati Uniti non riuscì a conseguire la vittoria politico-militare, ma subì al contrario pesanti perdite, finendo per abbandonare nel 1973 il governo del Vietnam del Sud.

7) 1973 Cile governo socialista Allende
https://it.wikipedia.org/wiki/Colpo_di_ ... e_del_1973
Il colpo di Stato in Cile del 1973 fu un evento fondamentale della storia del Cile e della guerra fredda avvenuto l'11 settembre 1973. Gli storici hanno da allora discusso su quello che ancora oggi è considerato un argomento controverso. Questo evento è diventato un simbolo della guerra fredda e di una lotta tra servizi segreti che ha avuto effetti importanti sulla vita di milioni di persone.
Nelle elezioni presidenziali del 1970, in accordo con la costituzione, il Congresso risolse la situazione creatasi con il risultato del voto — tra Salvador Allende (con il 36,3%), il conservatore (ed ex presidente) Jorge Alessandri Rodríguez (35,8%), e il cristiano-democratico Radomiro Tomic (27,9%) — votando per l'approvazione della maggioranza relativa ottenuta da Allende. Diversi settori della società cilena continuavano ad opporsi alla sua presidenza, così come gli Stati Uniti, che esercitarono una pressione diplomatica ed economica sul governo. L'11 settembre 1973 le forze armate cilene rovesciarono Allende, che morì durante il colpo di Stato, probabilmente suicida. Una giunta guidata da Augusto Pinochet prese il potere.



8) 1979 Afganistan
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in ... (1979-1989)
La guerra in Afghanistan del 1979-1989, talvolta indicata anche come guerra russo-afghana, invasione sovietica dell'Afghanistan o intervento sovietico in Afghanistan, fu un conflitto intercorso tra il 24 dicembre 1979 e il 15 febbraio 1989 nel territorio dell'Afghanistan, e che vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell'Afghanistan (RDA), sostenute da un massiccio contingente di truppe terrestri e aeree dell'Unione Sovietica, e dall'altro vari raggruppamenti di guerriglieri afghani collettivamente noti come mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere; il conflitto viene considerato parte della guerra fredda nonché prima fase della più ampia guerra civile afghana.
Il conflitto ebbe inizio con l'invasione del paese a opera delle forze dell'Armata Rossa sovietica, intenzionate a deporre il presidente della RDA Hafizullah Amin per rimpiazzarlo con Babrak Karmal; l'intervento militare dell'URSS provocò una recrudescenza della guerriglia afghana contro il regime della RDA, già da tempo molto estesa nel paese: i combattenti mujaheddin, divisi in più schieramenti e partiti che mai nel corso del conflitto ebbero una guida unitaria, intrapresero quindi una lunga campagna di guerriglia a danno delle forze sovietico-afghane, spalleggiati in questo senso dagli armamenti, dai rifornimenti e dall'appoggio logistico fornito loro (in modo non ufficiale) da nazioni come gli Stati Uniti, il Pakistan, l'Iran, l'Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.

9) 1979 aiuto a Saddam Hussein che aveva abbandonato le posizioni filo sovietiche
https://it.wikipedia.org/wiki/Saddam_Hussein


10) 1980 Guerra Iraq Iran, aiuto a Saddam Hussein che era divenuto
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_Iran-Iraq
Si allontana dalle posizioni filosovietiche dei suoi predecessori e si avvicina agli Stati Uniti per formare con la Giordania e l'Egitto del regime di Hosni Mubarak un "asse arabo moderato".
La guerra del 1980-88 per l'egemonia nella regione del Golfo Persico affonda le proprie radici nella millenaria rivalità tra le regioni della Mesopotamia e della Persia. Prima della nascita dell'Impero Ottomano, l'odierno Iraq era parte dell'impero persiano sotto una quantità di dinastie, e vi rimase fino a che il sultano Murad IV strappò la regione al controllo dei Safavidi nel 1638. Le dispute sui confini proseguirono fino al termine della Prima guerra mondiale nel 1918, anno in cui l'Impero Ottomano si disciolse e la regione entrò nella sfera britannica, che ereditò, oltre ai territori, tutte le tensioni tra Turchia e Persia.
Nel 1979 la rivoluzione iraniana sovvertì il potere dello Scià e invertì il ruolo della classe dirigente; l'Iraq, che aveva negoziato con l'imperatore persiano la fine del sostegno di Teheran alle attività indipendentiste dei Curdi iracheni, e una gestione moderata della questione sciita (che in Iraq generava aspre dissidenze tra la maggioranza seguace dello sciismo e la minoranza dominante sunnita) divenne oggetto di una quantità di provocazioni di frontiera. Alcuni colloqui con lo Scià portarono allo studio di un piano iracheno per invadere fulmineamente il Paese vicino approfittando della semi-smobilitazione delle forze armate, e strappare la ricca regione del Khūzestān e la città di Susa, storicamente passata di mano più volte tra Mesopotamici e Persiani nel corso del II millennio a. C.
La propaganda del partito Ba'th (in arabo: "Rinascita", "Risorgimento") cominciò dunque a lavorare attraverso i mass media iracheni, mostrando immagini di un Khuzestan presentato come la nuova provincia irredenta, e annunciando la sostituzione del nome del capoluogo in Nāsiriyya, secondo la filosofia per la quale tutte le città iraniane passate sotto il controllo iracheno avrebbero preso nomi arabi. Lo stesso Golfo Persico, veniva chiamato "Golfo Arabico" e così il Mar Caspio veniva chiamato "Lago Arabico".
Un altro fattore che contribuì alle ostilità tra le due nazioni fu il pieno controllo dei corsi d'acqua dello Shatt al-ʿArab all'estremo nord del Golfo Persico, che costituivano un fondamentale canale di trasporto del petrolio per entrambe le economie. Nel 1975, il Segretario di Stato Henry Kissinger ammonì di mettere un freno agli attacchi verbali all'Iraq da parte di Mohammad Rezā Pahlavī, Scià iraniano, sulla disputa del corso d'acqua conteso. Poco tempo dopo Iran e Iraq siglarono gli Accordi di Algeri, in cui l'Iraq accettò come linea di confine dello Shatt al-ʿArab la linea di massima portata del corso d'acqua ( thalweg ), in cambio di una normalizzazione dei rapporti diplomatici.



11) 1980 George Friedman e il sangue dei tedeschi e dei russi da izzare gli uni contro gli altri a vantaggio degli americani; non da dimenticato che i tedeschi avevano perso la seconda guerra mondiale combattuta anche con gli USA e che i russi comunisti erano in guerra fredda e calda con gli americani da 35 anni, dalla fine della seconda guerra mondiale e che per gli amerticani erano nemici.


12) 1986 Bombardamento Libia con Ronald Regan
Operazione El Dorado Canyon
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazion ... ado_Canyon
Operazione El Dorado Canyon è il nome in codice che fu attribuito al bombardamento della Libia che gli Stati Uniti d'America eseguirono il 15 aprile 1986. L'attacco fu condotto da U.S. Air Force, U.S. Navy e U.S. Marine Corps dal cielo, in reazione all'attentato alla discoteca di Berlino del 1986. Risulta che vi siano stati 40 morti dei quali almeno 30 civili tra i libici e l'abbattimento di un aereo statunitense, che ha cagionato la morte di due aviatori.
La Libia era una priorità assoluta per Ronald Reagan sin dal suo insediamento nel 1981. Gheddafi era decisamente anti-Israele ed aveva appoggiato gruppi estremisti nei territori palestinesi ed in Siria. Secondo alcune informative la Libia tentava di diventare una potenza nucleare e il fatto che Gheddafi avesse occupato parte del Ciad, ricco di uranio, destava enorme preoccupazione in America. Altrettanto allarmanti per gli USA erano l'allineamento di Gheddafi con l'Unione Sovietica e le sue ambizioni di creare in Nordafrica una federazione di stati arabi e musulmani. Inoltre, l'allora Segretario di Stato Alexander Haig voleva adottare misure proattive contro Gheddafi poiché aveva utilizzato ex operativi CIA per organizzare campi di terroristi (i nomi di spicco erano Edwin P. Wilson e Frank E. Terpil.

13) 1990-91 Invasione di Saddam del Kuwait e bombardamento dell'Iraq
https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_del_Kuwait
L'Invasione del Kuwait o Guerra Iraq-Kuwait (in arabo: غزو العراق للكويت‎) è stata la guerra combattuta dall'Iraq per invadere il Kuwait. La guerra si è conclusa con l'annessione del Kuwait all'Iraq, non riconosciuta dall'ONU. L'Invasione del Kuwait porterà alla Guerra del Golfo nel 1991.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo
La guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991), detta anche prima guerra del Golfo in relazione alla cosiddetta seconda guerra del Golfo, è il conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 35 stati formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso e annesso dall'Iraq.

14) 1990 Embargo contro l'Irak, colpa dell'Iraq e se sono morti anche molti bambini è sempre colpa dell'Iraq
https://www.teleborsa.it/Accadde-Oggi/6 ... aq-10.html
6 agosto 1990: Dopo l'invasione del Kuwait le Nazioni Unite ordinano l'embargo contro l'Iraq. Il blocco economico, finanziario e commerciale, si rivela disastroso soprattutto per i civili con gravi conseguenze umanitarie. L'ONU infligge infatti alla popolazione irachena le sanzioni economiche più estese e severe mai applicate.
BONINO: PERCHÉ DIFENDO L'EMBARGO CONTRO L'IRAQ
Cesare Martinetti
http://www.emmabonino.it/press/about_emma_bonino/72
Nella storia ricorre una malattia che si chiama "fascino dell'uomo forte". Colpisce i popoli e attacca la comunità internazionale, inquina rapporti e trasforma in ricatti le relazioni tra Stati. Prendiamo l'Iraq, 21 milioni di anime nella mani di Saddam e della sua cricca. Trent'anni di potere e di deliri di guerra (a lungo tollerati e "usati" dalle nazioni "civili") che hanno ridotto il Paese peggio che alla fame, mentre nei laboratori di regime si produceva il più folle arsenale di armi chimiche, biologiche e batteriologiche del mondo.

Emma Bonino, Commissario europeo per gli Aiuti umanitari, ci parla del "fascino dell'uomo forte" nel suo ufficio di Bruxelles dove sta tirando le somme della missione appena compiuta in Iraq e nelle terre dei Curdi. L'Unione Europea indirizzerà 300 milioni di dollari all'anno di aiuti soprattutto nello sminamento ai confini, mentre è partita la gigantesca operazione-aiuti dell'Onu ("Oil for food", petrolio in cambio di cibo) che dovrebbe sbloccare i primi 4 miliardi di dollari di greggio iracheno, forse con effetti calmieratori sui prezzi.
Segni positivi, ma non sufficienti a rimuovere l'embargo nei confronti dell'Iraq.
Ancora recentemente è stato scoperto un enorme quantitativo di armi batteriologiche, mai usate, ma stoccate e pronte. Armi chimiche vennero invece usate nella guerra contro i curdi. Poi c'è la questione dei prigionieri di guerra: il Kuwait afferma che almeno seicento uomini sono tuttora detenuti da Saddam.
C'è la questione dei diritti umani: sparizioni e torture nelle carceri. C'è una barzelletta che si bisbiglia a Baghdad (Quanti sono gli abitanti dell'Iraq? Quarantadue milioni.
Ma non erano ventuno? Più 21 milioni di fotografie di Saddam...) che racconta di un regime tuttora impermeabile e ossessivo.
Signora Bonino, perché ci parla dell'"uomo forte"?
"Perché, dopo essere stata in Iraq ad occuparmi di aiuti umanitari, sto pensando all'impotenza della comunità internazionale di fronte ai dittatori. Qual è lo strumento per allontanarli? Da radicale, penso che non bisognerebbe sostenerli fin dall'inizio. E invece quel "fascino" colpisce anche gli Stati e non solo i popoli".
Certo, Saddam è stato sostenuto.
"Anche Mobutu, perché ci sono momenti in cui i dittatori rassicurano, gestiscono la stabilità di un'area. Saddam fu preso per filo-occidentale nel momento in cui era contro l'Iran. Ma era vicino all'Urss. Poi gli Usa appoggiarono i curdi per metterlo in difficoltà e lui usò le armi chimiche. Per abbatterlo si sono tentati complotti, usate spie che "venivano dal caldo"; embarghi duri e morbidi. Il risultato è la sofferenza della popolazione: bisognerebbe rifletterci sul serio".
Anche perché l'embargo nei confronti dell'Iraq colpisce il regime, ma colpisce anche i suoi abitanti.
"E questo è un argomento nelle mani del regime. Però io sonoconvinta che gli iracheni abbiano sofferto molto più per i trent'anni di dittatura che per i sei di embargo. E fa rabbia, perché è un Paese che potrebbe essere ricco come il Kuwait: c'è acqua, petrolio, tutto".
Lei ha incontrato Tarek Aziz, uno degli immortali della nomenklatura di Saddam. Che intenzioni hanno?
"Ha ammesso che sulla distruzione delle armi "di massa" esistono ancora problemi "marginali". La verità è che non ci siamo ancora: io credo che la Risoluzione dell'Onu per la sicurezza vada rispettata.
Allora le sanzioni saranno tolte. Adesso ci sono i 4 miliardi di dollari all'anno delle Nazioni Unite: per un Paese di 21 milioni di abitanti non sono pochi".
Ora a chi tocca la mossa?
"Al governo di Baghdad: sono loro ad avere nelle mani il loro futuro. Il messaggio di Aziz è stato: attenti che con l'embargo ci guadagnano solo Arabia, Usa e Gran Bretagna, produttori di petrolio. Come dire: avete interessi economici a togliere l'embargo. Ma per me ci sono anche altri valori e la risoluzione dell'Onu va rispettata. Per ballare il tango bisogna essere in due, anche per volere la pace".
Lei è stata anche in Kurdistan. Com'è la situazione?
"A prima vista migliore che nel resto del Paese. Siamo stati sia ad Arbil, capitale del Pdk di Barzani, sia a Suleimaniya, base del Puk di Talebani. Abbiamo incontrato i governi, tutti e due dicono che bisognerebbe fare le elezioni e si danno reciprocamente la colpa, vogliono più aiuti per ricostruire il Paese. Sono stati gentili: a Suleimaniya mi hanno regalato un tappeto di seta e tre vestiti, il primo corredo della mia vita".
Aiuterete a sminare?
"A Suleimaniya, nel bellissimo ospedale diretto dal medico italiano Gino Strada, abbiamo visto morire uno dei più bravi sminatori curdi: era appena saltato su una mina ai confini con l'Iran. è un'emergenza ancora forte e nel programma dell'Onu ci sono altri aiuti. Ce ne occuperemo noi. In quell'ospedale abbiamo visto decine e decine di mutilati, anche bambini". Che non sentivano alcun fascino per l'"uomo forte".


15) 1999 Serbia bombardamenti della NATO (non USA) e senza mandato ONU ??? scelte politiche controverse e criticabili specialmente alla luce di quanto poi è accaduto con l'esplosione del nazismo maomettano passante per la Bosnia, il Kosovo e l'Albania maomettane.
Vi furono in verità le risoluzioni ONU contro la Serbia a difesa dei bosniaci e dei kosovari ritenuti a rischio genocidio.

https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Allied_Force
L'operazione Allied Force (in italiano "Forza Alleata") è la campagna di attacchi aerei portata avanti dalla NATO per circa due mesi contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milošević, con l'intento di ricondurre la delegazione serba al tavolo delle trattative, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni politiche, e di contrastare l'operazione di spostamento della popolazione del Kosovo allo scopo di predisporre una sua spartizione tra Serbia e Albania. L'esistenza di un piano predisposto a tale scopo non è mai stata provata con sufficiente certezza, ma resta un fatto che appena iniziarono le incursioni aeree NATO l'esercito serbo iniziò operazioni volte ad ottenere esodi massicci e compì in taluni casi dei veri massacri.

Demenziali domande scriteriate e paragoni impossibili dei demenziali sostenitori di Putin per giustificare i suoi crimini e demonizzare l'Ucraina e l'Occidente UE, USA e NATO
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... M3UMFmzfql
Non sono domande di buon senso ma domande demenziali assemblate appositamente dalla propaganda filo russa che fanno leva e presa sulla ignoranza della maggior parte della persone.
Vedasi capitolo 1 e 2



16) 2001 Distruzione delle Torri gemelle, accadimento che secondo Ganser non sarebbe chiarito e che sarebbe servito per dare all'imperialismo americano la scusa della "guerra al terrorismo" per poter fare impunemente tutte le guerre che voleva come l'invasione dell'Afganistan.
https://it.wikipedia.org/wiki/Attentati ... embre_2001
Gli attentati dell'11 settembre 2001 sono stati una serie di quattro attacchi suicidi che causarono la morte di 2 996 persone e il ferimento di oltre 6 000, organizzati e realizzati da un gruppo di terroristi aderenti ad al-Qāʿida contro obiettivi civili e militari nel territorio degli Stati Uniti, spesso citati dall'opinione pubblica come i più gravi attentati terroristici dell'età contemporanea.

https://it.wikipedia.org/wiki/Teorie_de ... embre_2001
Le teorie del complotto sull'attentato al World Trade Center dell'11 settembre 2001 sono una serie di teorie del complotto che sostengono come argomento centrale il fatto che gli attentati dell'11 settembre 2001 siano da imputare a soggetti diversi dal terrorismo islamico.



17) 2001 Invasione dell'Afganistan come paese terrorista
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in ... 1-in_corso)
La guerra in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001, ha visto l'avvio delle ostilità con l'invasione del territorio controllato dai talebani, da parte dei gruppi afghani loro ostili dell'Alleanza del Nord, mentre gli USA e la NATO hanno fornito, nella fase iniziale, supporto tattico, aereo e logistico. Nella seconda fase, dopo la conquista di Kabul, le truppe occidentali, statunitensi e britannici in testa, hanno incrementato la loro presenza anche a livello territoriale per sostenere il nuovo governo afghano: Operazione Enduring Freedom.
L'amministrazione Bush ha giustificato l'invasione dell'Afghanistan, nell'ambito della guerra al terrorismo, seguita agli attentati dell'11 settembre 2001, con lo scopo di distruggere al-Qāʿida e di catturare o uccidere Osama bin Laden, negando all'organizzazione terroristica la possibilità di circolare liberamente all'interno dell'Afghanistan attraverso il rovesciamento del regime talebano. A dieci anni dall'invasione, il 2 maggio 2011, le forze statunitensi hanno condotto un'incursione ad Abbottabad, vicino Islamabad in Pakistan, uccidendo, nel suo rifugio, il leader di al-Qāʿida, Osama Bin Laden.


18) 2003 Guerra in Iraq per deporre Saddam
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Iraq
La guerra d'Iraq (o seconda guerra del Golfo) è stato un conflitto bellico iniziato il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d'America, e terminato il 18 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene insediate dall'esercito americano su delega governativa statunitense.
L'obiettivo principale dell'invasione era la deposizione di Saddam Hussein, già da tempo visto con ostilità dagli Stati Uniti per vari motivi: timori (poi rivelatisi infondati) su un suo ipotetico tentativo di dotarsi di armi di distruzione di massa, il suo presunto appoggio al terrorismo islamista, il volersi appropriare delle ricchezze petrolifere e l'oppressione dei cittadini iracheni da parte di una dittatura sanguinaria. Questo obiettivo di invadere l'Iraq fu raggiunto rapidamente: il 15 aprile 2003 tutte le principali città erano nelle mani della coalizione, e il 1º maggio il presidente statunitense George W. Bush proclamò concluse le operazioni militari su larga scala. Tuttavia il conflitto si tramutò abbastanza presto in una resistenza e in una guerra di liberazione dalle truppe straniere, considerate invasori da molti gruppi armati arabi sunniti e sciiti, per sfociare infine in una guerra civile fra le varie fazioni, causata da una squilibrata gestione del potere (che agevolò le componenti sciite maggioritarie).

19) 2011 Bombardamento della Libia, hanno agito su mandato ONU
https://it.wikipedia.org/wiki/Intervent ... a_del_2011
L'intervento militare in Libia del 2011 iniziò il 19 marzo ad opera d'alcuni paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno, aveva istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della prima guerra civile libica.
L'intervento fu inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi[23], attacco seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo "Tomahawk" da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia.
Gli attacchi, inizialmente portati avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far rispettare il divieto di sorvolo, furono unificati il 25 marzo sotto l'Operazione Unified Protector a guida NATO. La coalizione, composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel tempo fino a comprendere 19 stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque libiche o nel far rispettare la zona d'interdizione al volo. I combattimenti sul suolo libico tra il Consiglio nazionale di transizione e le forze di Gheddafi cessarono nell'ottobre 2011 in seguito alla morte del Ra'is. Conseguentemente, la NATO cessò ogni operazione il 31 ottobre.

20) 2011 Guerra in Siria è una guerra civile tra la minoranza sciiti laicizzata oggi integrata da quella religiosa sciita iraniana contro la maggioranza sunnita.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana
La guerra civile siriana (in arabo: الحرب الأهلية السورية‎, al-Ḥarb al-ahliyya al-sūriyya), o crisi siriana, ha avuto inizio il 15 marzo 2011 in Siria con le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale, parte del contesto più ampio della primavera araba, per poi svilupparsi in rivolte su scala nazionale e quindi in una guerra civile nel 2012; il conflitto è tuttora in corso.
Operazione Sycamore è del 2013 (a sostegno dei ribelli sunniti alleati dell'Arabia Saudita, mentre gli sciiti siriani erano sostenuti dall'Iran e dalla Russia)
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazion ... r_Sycamore
Timber Sycamore è un programma segreto di fornitura armi e addestramento gestito dalla Central Intelligence Agency (CIA) degli Stati Uniti d'America e sostenuto da altri servizi di intelligence come quello dell'Arabia Saudita. Lanciato nel 2012, ha fornito denaro, armi e addestramento alle forze ribelli che combattono il governo del presidente siriano Bashar al-Assad nella Guerra civile siriana. Secondo i funzionari statunitensi, il programma ha addestrato migliaia di ribelli. Il presidente Barack Obama ha autorizzato segretamente la CIA ad armare i ribelli siriani dal 2013.


21) 2014 Ucraina e Crimea (certo è che l'Ucraina non ne poteva più della Russia)

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_del ... a_del_2014
La crisi della Crimea del 2014 è stata una crisi politica scoppiata nella penisola della Crimea, la cui popolazione è per maggioranza di etnia russa, che ha portato alla separazione della penisola dal resto dell'Ucraina in seguito ai disordini locali e all'intervento militare russo come reazione all'esautoramento, nel febbraio 2014, del presidente Viktor Janukovyč e del governo ucraino da parte del parlamento ucraino, a sua volta quale conseguenza dei fatti dell'Euromajdan.
Il governo locale della Crimea ha rifiutato di riconoscere il nuovo governo e il nuovo presidente ucraino, sostenendo che il cambiamento sarebbe avvenuto in violazione della Costituzione ucraina vigente, mentre la legittimità del nuovo governo è stata riconosciuta dalla gran parte degli stati, eccetto la Russia e alcuni altri. A fronte della nuova situazione politica delineatasi, il governo locale ha dichiarato la propria volontà di separarsi dall'Ucraina chiamando a referendum la popolazione di Crimea: l'esito della consultazione ha visto un'altissima maggioranza dell'opzione indipendentista (con oltre il 97% di consenso sul totale dei votanti) ma la legittimità di tale referendum, tuttavia, è respinta dai Paesi dell'Unione europea, dagli Stati Uniti d'America e da altri 71 Paesi membri dell'ONU (Risoluzione 68/262 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite) che la ritengono in violazione del diritto internazionale e della Costituzione dell'Ucraina, mentre il referendum è ritenuto valido dalla Russia.

Crimea!
La Crimea non è russa ma ucraina

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22) Certo gli USA hanno bombardato le bande di terroristi assassini nazi maomettani jadhisti nei vari paesi canaglia come la Somalia, l'Afganistan il suo vicino Pakistan che dava loro ospitalità e protezione, la Siria, l'Iraq, la Libia, lo Yemen con i loro dittatori e le loro dittature. Hanno fatto sicuramente più che bene, sempre chiamati in aiuto dai loro alleati o dalle parti indifese che stavano subendo la prepotenza e la malvagità.

Guerra civile Yemen
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_ci ... emen_(2015)
La guerra civile dello Yemen del 2015 è un conflitto in corso cominciato nel 2015 tra le fazioni che dichiarano di costituire il legittimo governo dello Yemen, insieme ai loro alleati.
Le forze degli Huthi, che controllano la capitale Sana'a e sono alleate con le forze fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, si sono scontrate con le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede ad Aden.
Anche al-Qāʿida nella Penisola Arabica (AQAP) e gli affiliati yemeniti dello Stato Islamico (ISIS) hanno eseguito attacchi, ed AQAP controlla porzioni di territorio nella parte centrale del Paese e lungo la costa.


USA tornano ad attaccare lo Yemen: sei raid aerei in una settimana
2 aprile 2019
http://sicurezzainternazionale.luiss.it ... -settimana
Sei raid aerei americani, contro presunti affiliati di al-Qaeda, sono stati effettuati in Yemen, nell’ultima settimana. Questi rappresentano il primo attacco statunitense da mesi, nel Paese devastato dalla guerra civile.
Gli attacchi hanno avuto luogo nel governatorato di al-Bayda, secondo quanto ha riferito l’esercito americano, in una dichiarazione. “In coordinamento con il governo dello Yemen, le forze statunitensi continuano a sostenere le continue operazioni di antiterrorismo contro al-Qaeda nella Penisola Arabica e contro l’ISIS”, si legge nella dichiarazione statunitense. L’obiettivo di tali operazioni è quello di diminuire gli attacchi dei militanti nell’area, di smantellare le loro reti criminali e di impedirgli la libertà di manovra all’interno della regione. Questo è quanto ha riferito il colonnello Earl Brown, portavoce del Comando Centrale degli Stati Uniti. Le autorità americane o yemenite non hanno rilasciato informazioni sulle eventuali vittime dei raid.
La settimana precedente, il 26 marzo, nella capitale dello Yemen, Sana’a, numerose persone si erano radunate per mostrare sostegno al movimento Houthi, nel quarto anniversario dell’inizio della sanguinosa guerra nel Paese. Lo stesso giorno, un attacco aereo aveva causato la morte di 7 persone, che si trovavano in un ospedale in cui opera Save the Children. La notizia dell’attacco contro l’ospedale è stata diffusa dall’agenzia di stampa Reuters, che ha citato fonti interne all’organizzazione che si occupa dell’ospedale, Save the Children. Un missile ha colpito una stazione di servizio all’ingresso di un ospedale rurale che si trova a circa 100 km dalla città di Saada, nella parte nord-occidentale del Paese. L’attacco è avvenuto alle 9:30, ora locale, e ha causato la morte di 7 persone, tra cui 4 bambini e un operatore sanitario di Save the Children. Altre 8 persone sono rimaste ferite. Intanto, nella capitale Sana’a, uomini, donne e bambini hanno marciato sventolando i colori nazionali e hanno scandito slogan contro l’Arabia Saudita, che guida la coalizione militare che si oppone ai ribelli Houthi, e contro gli Stati Uniti, che la appoggiano. Slogan anche contro Israele, principale alleato americano nella regione, sono stati uditi nella capitale, fin dalle prime ore del mattino. La guerra in Yemen, ormai entrata nel quinto anno, continua ad essere uno dei conflitti più problematici dell’area, ma il supporto della popolazione ai ribelli Houthi non sembra essersi esaurito. A gennaio, un attacco degli Stati Uniti, nello Yemen centrale, aveva ucciso uno dei comandante di al-Qaeda, considerato una delle menti principali dietro alcuni attentati.
Il conflitto in Yemen è scoppiato a marzo del 2015 e vede contrapporsi due fazioni: da una parte, i ribelli sciiti Houthi, supportati dall’Iran, e, dall’altra, le forze governative del presidente Hadi. Quest’ultimo è sostenuto dalla coalizione a guida saudita, appoggiata, a sua volta, dagli USA, i quali inviano armi, carburante per gli aerei e riferiscono informazioni dell’intelligence. La coalizione araba a guida saudita è entrata nel conflitto yemenita il 26 marzo 2015, in sostegno del presidente Hadi, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. Gli Houthi hanno controllato la capitale del Paese, Sana’a, e le più vaste aree popolate dello Yemen dallo scoppio del conflitto. Le Nazioni Unite stanno portando avanti numerosi colloqui con gli Houthi e il governo sostenuto dai sauditi per trovare una soluzione politica a questa tremenda guerra, che continua a seminare morte e che ha ridotto lo Yemen sull’orlo della carestia. Il Paese, a seguito di questi 4 anni di conflitto, rappresenta la realtà più povera del Medio Oriente. Inoltre, a novembre del 2018, che è stato il mese che ha contato più vittime in Yemen, dall’inizio del conflitto, si sono verificati almeno 2.959 decessi documentati.


Yemen, dove la guerra non finisce perché è un affare troppo grande per lo smercio di armi
Documentate 119 violazioni delle leggi di guerra della coalizione a guida saudita. Lo afferma Human Rights Watch (HRW) in una sua nota, con la quale segnala anche gravissime trasgressioni del diritto internazionale dell'esercito di Riyad. Amnesty International e altri gruppi internazionali e yemeniti hanno fatto una dichiarazione congiunta
22 marzo 2016

https://www.repubblica.it/solidarieta/d ... -136071954

Yemen, dove la guerra non finisce perché è un affare troppo grande per lo smercio di armi
SANA'A - Gli Stati Uniti, Regno Unito, Francia, e altre nazioni occidentali dovrebbe sospendere tutte le vendite di armi all'Arabia Saudita, almeno fino a quando smetterà i suoi attacchi aerei illegali nello Yemen. Lo afferma Human Rights Watch (HRW) in una sua nota, con la quale segnala anche gravissime violazioni del diritto internazionale da parte delle forze armate saudite, leader della coalizione. Dal 26 marzo dell'anno scorso - si legge in sostanza nel comunicato di HRW - una coalizione di nove paesi arabi ha condotto operazioni militari contro il gruppo armato sciita zaydita degli Houthi e portando a termine numerosi attacchi aerei indiscriminati e sproporzionati. I raid hanno continuato nonostante l'annuncio di un nuovo "cessate il fuoco", dice ancora la nota. "La coalizione - conclude - ha costantemente omesso di indagare sui presunti attacchi illegali, come le leggi di guerra richiedono".

Almeno 550 civili uccisi. "Human Rights Watch ha documentato 36 illeciti attacchi aerei -. alcune delle quali possono ammontare a crimini di guerra - che hanno ucciso almeno 550 civili, così come 15 attacchi che coinvolgono munizioni a grappolo vietate a livello internazionale.Le organizzazioni non governative e le Nazioni Unite hanno indagato e riportato notizie su numerosi attacchi aerei illegali della coalizione. Oltre Human Rights Watch, anche Amnesty International e altri gruppi internazionali e yemeniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, che chiede la cessazione delle vendite e dei trasferimenti di ogni tipo di arma e attrezzature militari legati alle parti in conflitto nello Yemen. Il gruppo di esperti dell'ONU sullo Yemen, istituito ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite numero 2140 emanata nel 2013, recentemente ha reso pubblico un rapporto documentando ben 119 violazioni della coalizione in materia di leggi di guerra.

Le bombe sui quartieri residenziali. Il gruppo di esperti dell'ONU ha rilevato che, "la coalizione di mira sui civili quando realizza gli attacchi aerei, bombardando quartieri residenziali o trattando l'intera città di Sa'dah e Maran nel nord dello Yemen come obiettivi militari. si tratta di gravissime violazioni dei principi di proporzionalità e precauzione. In alcuni casi, il gruppo di esperti ha trovato che tali violazioni sono state condotte in modo capillare e sistematico. Il documento delle Nazioni Unite riferisce anche che gli attacchi sono avvenuti (e continuano ad avvenire) sui "campi per sfollati interni e dei rifugiati; raduni civili, compresi i matrimoni; sui veicoli civili, sugli autobus, sulle strutture mediche, le scuole, le moschee, i mercati, le fabbriche e i magazzini di stoccaggio degli alimenti, sull'aeroporto di Sana'a sul porto di Hudaydah e le vie di transito nazionali". E' stato documentato l'uso di munizioni a grappolo, nelle città e nei villaggi, utilizzate in almeno cinque dei 21 governatorati del Yemen: Amran, Hajja, Hodaida, Saada e Sanaa. Sono stati usati almeno sei tipi di munizioni a grappolo, tre lanciati con bombe aeree e tre da razzi lanciati da terra.

Breve cronologia degli ultimi 2 anni. Nel settembre del 2014, il gruppo Houthi ha preso il controllo del capitale dello Yemen, Sana'a. Nel gennaio 2015, hanno effettivamente deposto il presidente Abdu Rabu Mansour Hadi e il suo governo. La formazione Houthi, insieme con le forze fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, ha poi minacciato di prendere la città portuale di Aden. Il 26 marzo, la coalizione saudita, composta da Bahrain, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Marocco e Sudan, ha iniziato una campagna di bombardamenti aerei contro Houthi e le forze alleate. In tutto, almeno 3.200 civili sono stati uccisi e 5.700 sarebbero i feriti, da quando le operazioni militari della coalizione sono cominciate. Il 60 per cento delle vittime ci sono state durante i numerosi attacchi aerei della coalizione, stando a quanto dice l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il blocco navale della coalizione imposto sullo Yemen ha contribuito ad una crisi umanitaria senza precedenti, che ha lasciato l'80 per cento della popolazione impoverita e bisogna di assistenza e protezione umanitaria.

Le risoluzioni del Parlamento UE. Il 25 febbraio scoso, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini "per lanciare un'iniziativa capace di imporre un embargo sulle armi dell'UE contro l'Arabia Saudita". Il 17 febbraio, il parlamento olandese ha votato a favore dell'embargo del divieto di tutte le esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita.

"USA, braccio di supporto per la coalizione guidata dai Sauditi". Gli Stati Uniti - si legge nei documenti diffusi - sono parti del conflitto armato in Yemen. Il tenente generale Charles Brown, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti Air Force, ha detto che l'esercito USA ha schierato personale dedicato alla progettazione e alle operazioni congiunte delle cellule saudite per il "coordinamento delle attività". In particolare le forze armate statunitensi partecipano ad operazioni militari specifiche, quali la fornitura di consigli sulla scelta degli obiettivi e sul rifornimento in volo, durante i bombardamenti. Dunque - si afferma ancora nella nota diffusa - in quanto parte del conflitto, gli Stati Uniti sono in sé obbligati ad indagare sui presunti attacchi illeciti cui ha preso parte. Il governo britannico invece ha fatto sapere che, sebbene sia stato inviato personale militare, non esiste coinvolgimento nel dirigere o condurre operazioni nello Yemen. Il primo ministro David Cameron ha dichiarato che il personale del Regno Unito sono schierati a "fornire consigli, aiuto e formazione" per i militari sauditi sulle leggi di guerra.

Le armi vendute dagli Stati Uniti in Arabia Saudita. Nel luglio 2015, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha approvato una serie di vendite di armi in Arabia Saudita, tra cui un contratto di 5.4 miliardi di dollari per 600 missili Patriot e un accordo di 500 milioni di dollari per più di un milione di munizioni di vario genere, bombe a mano ed altri oggetti bellici, per l'esercito saudita. Secondo la revisione del Congresso americano, tra maggio e settembre, gli Stati Uniti ha venduto $ 7.8 miliardi di dollari di armi ai sauditi. Nell'ottobre scorso, il governo degli Stati Uniti ha approvato la vendita all'Arabia Saudita di un massimo di quattro navi da combattimento Lockheed Littoral a 11.25 miliardi di dollari. A novembre, è statto firmato un accordo di fornitura di armi con l'Arabia Saudita del valore di 1.29 miliardi di dollari per più di 10.000 munizioni aria-superficie, tra cui bombe a guida laser, "bunker" bombe, e MK84, una bomba a frammentazione.

Le armi vendute dal Regno Unito. Secondo la Campagna contro il commercio di armi con sede a Londra, il governo britannico ha approvato 2,8 miliardi di sterline nelle vendite militari in Arabia Saudita, tra il gennaio e il settembre 2015. Le armi includono 500 libbre di bombe Paveway IV. Il Regno Unito sta negoziando un accordo un altro miliardo di armi con gli Emirati Arabi Uniti.

Le armi vendiute dagli spagnoli. A giugno 2015, secondo un rapporto del governo spagnolo, sono state autorizzate otto licenze per le esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita del valore di 28,9 milioni di dollari, nel primo semestre dell'anno. Nel mese di febbraio 2016, i media spagnoli hanno riferito che la società di costruzione navale di proprietà del governo, Navantia, era sul punto di firmare un contratto del valore di 3.3 miliardi di dollari con l'Arabia Saudita, per la costruzione di cinque Avante 2200, tipo fregata, per la marina saudita.

Le armi vendute dalla Francia. Nel mese di luglio 2015, l'Arabia Saudita ha imbastito accordi del valore di 12 miliardi di dollari con la Francia, che includeva 500 milioni di dollari per 23 elicotteri Airbus H145. Riyad è pronta per ordinare anche 30 motovedette militari entro il 2016. La Reuters ha riferito che l'Arabia Saudita è recentemente entrata in trattative in esclusiva con la società francese Thales Group per acquistare il satellite-spia e altre apparecchiature di telecomunicazione.




Pakistan, drone Usa bombarda il Nord Waziristan: 17 morti

06/05/2011
https://www.informazione.it/a/F0A4159F- ... n-17-morti
(Sezione: Esteri) L'attacco coincidenza con le proteste antiamericane organizzate dall'opposizione islamica. E' il primo raid Usa in Pakistan dopo l'uccisione di Osama bin Laden - Un nuovo bombardamento missilistico condotto dai droni della Cia ha colpito oggi il ...




Pakistan: drone Usa bombarda mercato, morti 5 miliziani
24 settembre 2014
http://www.repubblica.it/ultimora/24ore ... io/4545965
Islamabad, 24 set. - Almeno cinque miliziani islamisti sono morti e diversi altri sono rimasti feriti in un bombardamento di un drone Usa su un mercato nella regione tribale nord-occidentale pakistana del Waziristan del Nord. Lo ha riferito una fonte ufficiale spiegando che il mercato colpito si trova nell'area di Datta Khel. .


Guerra civile somala
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_in_Somalia
La guerra civile somala è un conflitto scoppiato nel 1986 e tuttora in corso che abbraccia nel suo complesso tre fasi distinte:
dal 1986 al 1991, comprendente la fase della rivolta contro il regime di Siad Barre, al potere dal 1969;
dal 1991 al 2000, vede fronteggiarsi i signori della guerra locali che, nella fase più cruenta del conflitto (1991-1996), ha come principali antagonisti il presidente ad interim Ali Mahdi e il generale Aidid (il successivo periodo di transizione, che ha condotto prima ad un governo nazionale di transizione e poi ad un governo federale di transizione, si è concluso nel 2012 con l'istituzione di un nuovo governo federale);
dal 2006, che vede opposti al governo internazionalmente riconosciuto prima i ribelli dell'Unione delle corti islamiche e poi i gruppi di Al-Shabaab, legati al terrorismo islamista.


Trump bombarda in Somalia. La sua strategia per la lotta al terrore
Matteo Carnieletto
Giu 11, 2017

http://www.occhidellaguerra.it/26857-2
Dopo la Siria e l’Afghanistan, Donald Trump inizia a bombardare pure in Somalia, dove è attivo il gruppo jihadista Al Shabaab. L’operazione, fa sapere il Pentagono, è stata condotta intorno alle 8 (ora italiana) e “in coordinamento con i partner regionali, in risposta diretta ad azioni dei miliziani, tra le quali recenti attacchi alle forze regolari somale”. Sostenute dal bombardamento americano, le forze speciali somale sono riuscite a distruggere un campo di addestramento del gruppo jihadista, si legge in un comunicato del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed. Secondo alcune fonti almeno 8 miliziani sono stati uccisi.

L’attacco di Al Shabaab ad una base militare

Proprio ieri i jihadisti hanno attaccato una base militare somala nella città di Bosaso, uccidendo almeno 38 militari dell’esercito. All’assalto è seguito un conflitto a fuoco di tre ore al termine del quale i miliziani hanno battuto in ritirata. Sempre a Bosaso il mese scorso al Shabaab ha rivendicato il suo primo attacco suicida che ha provocato la morte di cinque persone, di cui un agente della sicurezza e quattro civili. La rivendicazione è stata pubblicata sull’agenzia di stampa “Amaq”, organo di propaganda dello Stato islamico, secondo cui nell’operazione è stata utilizzata un “giubbotto esplosivo“.

La mossa di Trump

La decisione di Trump di bombardare le postazioni jihadiste somale – unita all’invio delle forze speciali americane a Marawi, la città delle Filippine conquistata dallo Stato islamico – indica la nuova strategia di Donald Trump: colpire i terroristi senza dar loro via di fuga. Un piano che era stato enunciato durante il suo discorso di insediamento alla Casa Bianca: “Faremo sparire il terrorismo dalla faccia della terra”. Questi bombardamenti, però, proprio come accadeva con l’amministrazione Obama, stanno provocando molte vittime civili. Solamente tra marzo aprile di quest’anno, sarebbero infatti almeno 332 le persone morte sotto i bombardamenti americani nella lotta al Califfato.


Somalia, oltre 50 terroristi di al-Shabab uccisi da un raid aereo Usa
Il gruppo somalo legato ad Al Qaeda aveva provato ad attaccare un convoglio di soldati etiopici e colpito una base somala. Il comando delle forze armate di Addis Abeba aveva annunciato: "Prepariamo una massiccia offensiva contro i terroristi"
19 gennaio 2019
https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -216944045
MOGADISCIO - Cinquantadue militanti somali di al-Shabab sono stati uccisi da un raid aereo dell'esercito statunitense in Somalia in risposta a attacchi sferrato dai jihadisti contro soldati somali ed etiopi. Lo ha reso noto il Comando statunitense in Africa. Il raid è avvenuto a Jilib nella regione del Medio Juba.

"Loro (gli al-Shabab, ndr) hanno attaccato la base militare a Bar-Sanguni questa mattina, ma le nostre truppe hanno avuto la meglio su di loro", aveva dichiarato il ministro della Sicurezza della regione somala del Juba, Abdirashid Hassan Abdinur, alla radio statale di Mogadiscio. I militanti avevano lanciato l'attacco facendo esplodere un'autobomba all'ingresso della base. All'esplosione aveva fatto seguito una violenta sparatoria. Secondo il ministero della Difesa di Addis Abeba, gli al-Shabab avevano anche provato a tendere un'imboscata a un convoglio di etiopi che si stava spostando. L'Etiopia in Somalia è il primo contributore a una forza di peacekeeping dell'Unione Africana sotto il mandato delle Nazioni Unite.

Gli estremisti di al-Shabab controllano gran parte della Somalia rurale meridionale e centrale e continuano a condurre attacchi di alto profilo nella capitale Mogadiscio e altrove. Cellula somala di Al Qaeda dal 2012, gli al-Shabaab vogliono imporre alla Somalia una versione estrema della sharia, la legge islamica, e per questo cercano di cacciare le truppe straniere dall'ex colonia italiana devastata una guerra civile iniziata nel 1991. Il gruppo terroristico ha anche rivendicato la responsabilità dell'attacco mortale, martedì scorso, a un complesso alberghiero di lusso a Nairobi, capitale del confinante Kenya costato la vita a 14 persone.



Afghanistan, i talebani pronti al dialogo con gli Stati Uniti
Mauro Indelicato
23 aprile 2019

http://www.occhidellaguerra.it/afghanis ... on-gli-usa

Un apertura al dialogo ma a “determinate condizioni”: è questo quello che emerge nelle ultime settimane in Afghanistan da parte dei Talebani, l’organizzazione fondamentalista che controlla gran parte del paese ed a cui ormai sia Usa che Russia aprono per arrivare alla stabilizzazione dello Stato asiatico. Ad esprimere questa posizione lo stesso portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid, il quale rilascia a tal proposito una significativa intervista a La Stampa.

“Sì al dialogo, ma jihad prosegue”

A Doha nei giorni scorsi si sarebbe dovuto tenere un vertice proprio tra talebani e governo. Una sede non certo casuale, il Qatar è l’unico paese infatti che ospita una rappresentanza diplomatica del gruppo integralista afgano. Ma l’incontro però risulta rinviato a data da destinarsi. A prescindere dai motivi che portano al provvisorio, per adesso, annullamento del vertice, Zabihullah Mujahid conferma comunque la volontà di trattare: “Speriamo che la conferenza si svolga come previsto. Si tratta di un incontro che può contribuire a raggiungere un’ intesa comune”, afferma a La Stampa il rappresentante dei talebani.

Mujahid parla di “diciotto anni di occupazione da superare“: è proprio questo il nodo principale da sciogliere in vista dei futuri incontri con i rappresentanti del governo guidato dal presidente Ghani. Gli Usa vengono percepiti come forza straniera di occupazione, che deve andare via dal paese: “La nostra condizione con gli Usa è quella di un dialogo diretto, in cui si parli in primis della fine dell’ occupazione – dichiara Mujahid – Senza questo elementi la jihad proseguirà”. Ed in effetti i talebani proprio nelle scorse settimane avviano la cosiddetta “offensiva di primavera“: si tratta di attacchi contro i simboli della presenza occidentale e dello Stato centrale che vengono perpetuati, con una certa regolarità da anni, alla fine dell’inverno. Un’offensiva che vuole mettere, adesso più che mai, sotto pressione le forze del governo centrale.

Lo spauracchio dell’Isis

Al potere a Kabul dal 1996 al 2001, i Talebani nascono come gruppo interno alla galassia islamista che negli anni ’80 combatte contro l’invasione sovietica. Il loro nome in lingua pasthun significa “studenti”, si tratta infatti di studiosi del Corano che applicano una rigida interpretazione dei testi sacri dell’Islam: per questo, durante il loro regime, a Kabul le donne vengono costrette ad indossare il burqa, gli alcolici vengono banditi e si ripristina la lapidazione per gli adulteri. Pur avendo dato ospitalità a Bin Laden, appaiono distanti sia da Al Qaeda che dall’Isis: il loro obiettivo è infatti un emirato in Afghanistan, non la lotta internazionale contro la jihad. Bombardati a seguito dell’11 settembre 2001 proprio per dare asilo allo sceicco del terrore, i Talebani vengono detronizzati da Kabul grazie all’avanzata della cosiddetta “Alleanza del nord”.

Ma nonostante la missione Nato e la presenza delle forze internazionali, il gruppo fondamentalista ad oggi controlla più della metà del paese ed appare quasi egemone nelle aree rurali. Per questo sia Kabul che la coalizione a guida Usa appaiono inclina al dialogo con i Talebani. Anche perché oggi in Afghanistan avanza l’insidia dell’Isis: assente nel paese fino al 2015, il gruppo terrorista oggi appare in ascesa specialmente in alcune zone del paese. Mujahid, nella sua intervista a La Stampa, appare molto sicuro sotto questo fronte: “Abbiamo i mezzi per affrontare l’Isis e sconfiggerlo, non abbiamo bisogno delle forze internazionali”.

Ancora una volta dunque, i Talebani si pongono come favorevoli al dialogo ed alla collaborazione a patto però che venga sancito il loro obiettivo considerato primario: il ritiro, in primis, delle forze Usa.


Demenziali domande scriteriate e paragoni impossibili dei demenziali sostenitori di Putin per giustificare i suoi crimini e demonizzare l'Ucraina e l'Occidente UE, USA e NATO
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... M3UMFmzfql

Non sono domande di buon senso ma domande demenziali assemblate appositamente dalla propaganda filo russa che fanno leva e presa sulla ignoranza della maggior parte della persone.
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » mer apr 24, 2019 10:59 am

Il Venezuela e l'opzione dell'intervento militare Usa: "Rovesciarono 41 governi in Sudamerica"
Adele Lapertosa
24 Aprile 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... ca/5033846

Anche se finora esclusa, l’opzione di un intervento militare in Venezuela, ventilata dagli Stati Uniti di Donald Trump, rimane comunque sul tavolo come extrema ratio. Quella di agire militarmente in America Latina non è certo una novità per gli americani, anzi. Uno studio pubblicato nel 2005 da John Coatsworth, docente dell’università di Harvard, e tornato a circolare sui media sudamericani in questi giorni ha calcolato come tra il 1898 e 1994 gli Stati Uniti siano intervenuti ufficialmente per cambiare i governi dell’America Latina in ben 41 occasioni, cioé una volta ogni 2,5 anni quasi. In quasi tutti i casi gli interventi sono iniziati ai primi del ‘900, continuati poi per tutto il secolo, e spesso presentati come l’unica soluzione per risolvere le loro crisi interne o proteggere gli interessi dei cittadini Usa che vivevano lì.

Uno dei casi più noti è quello di Cuba. Impegnata dal 1895 nella guerra di indipendenza contro la Spagna, l’isola caraibica vide partecipare anche gli Stati Uniti alla cosiddetta guerra ispano-statunitense del 1898. Ci fu un governo militare americano di quattro anni nell’isola, ma la sua influenza, anche grazie alla base navale di Guantanamo, aumentò nel tempo. Le forze armate Usa furono chiamate nel 1906 dal governo cubano di Estrada Palma per far fronte ad un’insurrezione interna, e tornarono nuovamente nel 1917 con lo sbarco dei marines.

Panama è un altro dei paesi latinoamericani la cui storia si è incrociata parecchie volte con il gigante nordamericano. Nel 1903 l’intervento di Washington fu determinante per aiutare il paese a separarsi dalla Colombia, di cui faceva parte, e per cui ricevette in cambio 16 chilometri nella zona del canale in concessione perpetua, lasciando così il paese fisicamente diviso in due, fino al 1999 quando recuperò la sovranità sul suo territorio. Nel 1989 gli Usa bombardarono Città di Panama per catturare il generale Manuel Antonio Noriega, governatore di fatto del Paese, accusato di narcotraffico, uccidendo tra i 500 e 4000 civili (a seconda delle fonti).

In Nicaragua l’intervento americano è stato ancora più pesante e continuo. Iniziato di fatto nel 1900 con l’appoggio alla rivolta contro il presidente José Santos Zelaya, è poi continuato con lo sbarco dei marines nel 1910 dopo l’esecuzione di due cittadini americani, ed è continuato sostenendo sempre i conservatori al governo. Nel 1927 furono inviati di nuovo soldati per la guerra civile seguita al golpe del generale conservatore Emiliano Chamorro, in cui affrontarono il movimento guerrigliero di Augusto César Sandino, contrario all’occupazione Usa. Nel 1933 finì la ribellione e gli americani andarono via, lasciando Anastasio Somoza a capo della Guarda nazionale creata da Washington, come unica forza armata del paese. Sandino fu assassinato nel 1934, mentre il presidente Juan Batista Sacasa fu rovesciato da Anastasio Somoza, che rimase al potere per quasi 20 anni, con l’appoggio degli Usa.

Interventi si sono verificati anche in Messico, Repubblica Dominicana, Granada e Haiti, ultimo scenario di un intervento diretto degli Stati Uniti. Anche in quest’ultimo caso furono i marines a sbarcare nel 1915, e l’intromissione degli Usa durò fino al 1934. Poi nel 1994 Washington ha guidato la coalizione internazionale e le forze militari che invasero l’isola, riuscendo a convincere il governo militare, che aveva preso il potere nel ’91, a lasciarlo e indire nuove elezioni. Il Guatemala invece subì un colpo di Stato nel 1954 per via di un’operazione orchestrata dalla Cia per far cadere il presidente Jacobo Árbenz Guzmán, ‘colpevole’ di aver avviato politiche considerate comuniste dagli Usa, come la riforma agraria e le espropriazioni che danneggiavano la United Fruit Company.

E questi sono solo i casi di intervento diretto ‘ufficiale e riuscito’. Ci sono poi da aggiungere quelli (non citati nell’articolo di Harvard) falliti in cui gli Usa hanno tentato di deporre un governo, come nella Baia dei porci a Cuba nel 1961, e i 27 interventi ‘indiretti’, in cui hanno appoggiato ‘attori’ locali, come con il golpe militare in Cile di Augusto Pinochet contro Salvador Allende nel 1973. Le cose non sembrano cambiate molto dunque, da quando James Monroe proclamò nel 1823 il diritto per gli Stati Uniti di intervenire per stabilizzare gli stati deboli nelle Americhe, poi rafforzato da Theodore Roosevelt con il suo corollario, che rafforzò ulteriormente l’egemonia regionale statunitense, e infine dalla visione di Woodrow Wilson di diffusione della democrazia e della pace sotto l’egida americana.


Alberto Pento
Le responsabilità di chi è la massima democrazia, economia e potenza militare del Mondo sono grandi e tutti confidano nel suo aiuto se necessario. Gli USA hanno aiutato molti paesi specialmente contro le dittature socialiste: fasciste, naziste, comuniste e contro quelle nazi maomettiste.
Avranno anche fatto qualche errore, qualche abuso ma nel complesso hanno fatto più del bene.
È un fatto che nell'Europa liberata dagli USA si sono avuti decenni di sviluppo, democrazia e benessere, mentre nell'Europa liberata dai comunisti rossi o sovietici o URSS si sono avuti decenni di dittature, di sottosviluppo, di miseria, di fame, di ingiustizia e di morte che ancora stanno pagando.
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » mar mag 21, 2019 7:06 pm

Nave Usa entra nel Mar Cinese Meridionale e scatena l'ira di Pechino
Articolo di Federico Giuliani
21 maggio 2019

https://it.insideover.com/guerra/mare-c ... chino.html

Il Mar della Cina è un ginepraio di acque contese sui quali Pechino fa la voce grossa forte della sua importanza geopolitica. Ma il Dragone ha dei vicini molto rumorosi perché Malaysia, Vietnam, Filippine e perfino Brunei ritengono che le pretese del gigante asiatico ricadano oltre le rispettive frontiere marittime. Ad alimentare la tensione, già in precario equilibrio, c’ha pensato una nave degli Stati Uniti che ha effettuato un’operazione in un tratto di mare conteso nei pressi delle rocce Scarborough Shoal.

La furia di Pechino

Il governo cinese non ha affatto gradito la mossa statunitense di inviare un cacciatorpediniere nel mare del sud della Cina. Le forze armate Usa hanno denominato l’operazione, avvenuta domenica, Libertà di navigazione, quasi come per lanciare un segnale di forza a Pechino, irato per questa scellerata azione che potrebbe rappresentare la scintilla perfetta per far scoppiare un incendio in una zona caldissima.

Gli artigli del Dragone sul Mar Cinese Meridionale

Stuzzicare la Cina sul tema del Mar Cinese Meridionale può essere molto pericoloso. Già, perché la Cina ha definito la sovranità del Paese su quelle acque nel 2010 e non intende accettare compromessi con nessuno, a costo di scatenare una guerra. Pechino non ha accettato alcun accordo multilaterale con gli altri Stati asiatici, e anzi ha rivendicato il controllo esclusivo di una curva a U che copre circa l’80% della regione contesa; figuriamoci se Xi Jinping intende farsi mettere i piedi in testa dagli Stati Uniti.

L’atollo conteso

La Scaraborough Shoal, vicino al quale ha transitato la nave americana, è un gruppetto di isole conteso da Cina e Filippine. Manila inserisce l’atollo nella municipalità di Masinloc Zambales ma Pechino non ci sta e afferma che quelle isole siano affar suo. Perché il Dragone vuole imporsi su alcune rocce prive di apparente valore? Perché controllare la Scaraborough Shoal consente di controllare anche le 200 miglia nautiche circostanti alle stesse isole, ricche di risorse naturali e ittiche.
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » gio mag 30, 2019 6:28 am

Paul Hollander, morto l'aprile scorso, è stato uno dei più lucidi e acuti intellettuali del nostro tempo. Non molti lo conoscono.
Niram Ferretti

Riporto un articolo apparso sul Foglio del 2008 a firma di Tommaso Piffer. L'articolo è lungo, ma merita di essere letto fino in fondo.


https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

IL SUICIDIO DEGLI INTELLETTUALI

Come è stato possibile che intellettuali sensibili, colti e dotati di spirito critico abbiano potuto appoggiare, durante il secolo scorso, regimi repressivi e votati alla negazione dei più elementari diritti umani? È la domanda che continua a porsi Paul Hollander. Come è successo che personaggi del calibro di Pablo Neruda, Jean-Paul Sartre, Susan Sontag, George Bernard Shaw e tanti altri siano rimasti affascinati dalla Russia staliniana, dalla Cina maoista o dalla Cuba castrista, ignorandone completamente i difetti e le storture. E come ancora oggi vi siano affermati intellettuali che guardano con condiscendenza se non con simpatia ai fondamentalisti islamici che predicano l’odio e la distruzione dell’occidente.

Paul Hollander è uno storico ungherese che a questi temi ha dedicato buona parte della sua vita di studioso. Nato in Ungheria all’inizio degli anni Trenta, di famiglia ebrea, fu costretto durante la Seconda guerra mondiale a nascondersi per sfuggire alle persecuzioni naziste. Visse l’arrivo dell’Armata Rossa come una liberazione, rimanendo sinceramente affascinato dal comunismo. “Ne ero attratto – racconta – perché lo identificavo con l’Unione Sovietica, ed erano i soldati dell’Unione Sovietica ad aver liberato l’Ungheria dalla truppe naziste”. L’illusione però dura ben poco. Nel 1948 il Cremlino impone con la forza un regime autoritario alle strette dipendenze da Mosca, e il clima nel paese cambia rapidamente: gli avversari politici vengono sottoposti a processi farsa, ogni spazio di libertà viene soppresso. Sono vietati film e libri occidentali e imposto il culto di Stalin e del suo discepolo ungherese, Mathias Ràkosi. Il nonno di Hollander prima della guerra era un ricco commerciante: “Una mattina – ricorda lui – un poliziotto in motocicletta si presentò a casa nostra per consegnarci l’ingiunzione di lasciare Budapest entro ventiquattro ore”. Deportato in un paesino dell’Ungheria orientale a duecento chilometri di distanza dalla capitale, vive il dramma dell’esilio e l’umiliazione della continua sorveglianza politica, alla quale si unisce il divieto di ogni attività culturale e sociale.

Nel 1953 viene richiamato sotto le armi dove, classificato come politicamente inaffidabile, è costretto a seguire ripetuti seminari di rieducazione politica. Solo nel 1955 riuscirà a tornare a Budapest, grazie a un permesso di soggiorno che può ottenere perché ha iniziato a lavorare come muratore per una ditta di costruzioni. L’anno successivo i carri armati russi stroncano la giovane rivoluzione ungherese. Hollander decide di lasciare il paese. Il 19 novembre passa clandestinamente il confine con l’Austria e da qui raggiunge la Gran Bretagna. “Fu la migliore decisione della mia vita”, racconta. Ma fuggito nelle braccia delle libere società occidentali da un sistema repressivo e totalitario, Hollander scopre proprio che un settore considerevole della classe intellettuale occidentale è seriamente impegnato nella difesa del sistema sovietico e nella demonizzazione della propria. “In un certo senso – ci racconta – ero affascinato dal loro orientamento di sinistra. Allo stesso tempo mi irritava. Mi misi a cercare di capire la loro cecità”. Nel 1981 pubblica uno dei suoi libri più importanti, tradotto in Italia dal Mulino con il titolo “Pellegrini politici. Intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina e Cuba” (1988). È un ritratto impietoso della classe intellettuale occidentale. Hollander mette in discussione la credenza assai diffusa secondo cui una caratteristica fondamentale degli intellettuali sia la difesa della libertà e la loro disposizione critica.

Al contrario, i resoconti dei viaggi compiuti nei paesi socialisti mostrano una predisposizione a farsi ingannare da burocrati di partito esplicitamente incaricati di falsificare la realtà a uso e consumo dei visitatori, da zelanti funzionari travestiti da operai che mostrano un’assoluta conoscenza delle opere del marxismo, o da villaggi modello costruiti ad arte e immediatamente smantellati dopo il passaggio del visitatore. Seppur riconoscendo che le manipolazioni delle esperienze dei visitatori ne avevano senza dubbio influenzato i giudizi, Hollander giunse alla conclusione che a essere decisivi non furono gli inganni, ma la predisposizione con la quale intellettuali affrontavano la realtà: “Noi volevamo ingannarvi – disse molti anni dopo un comunista cinese a una delle vittime delle sue mistificazioni – ma voi volevate essere ingannati”. Per capire questa predisposizione, prima di tutto bisogna guardare alle condizioni storiche che vi fecero da sfondo. La crisi economica a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, così come quella degli anni Cinquanta e le proteste contro la guerra del Vietnam, il razzismo, il consumismo e la burocratizzazione nei primi Settanta contribuirono a dare forma a un diffuso malessere e un forte senso di alienazione rispetto alle società occidentali, e alla ricerca di modelli alternativi. L’Unione Sovietica, Cuba e poi la Cina fornivano questi modelli, grazie al combinarsi con l’universale fascino del messaggio socialista.

Le difficoltà economiche e sociali sono però solo una parte, e marginale, della spiegazione, e non la più importante. “Le società capitaliste – ha scritto Hollander – suscitano l’ostilità degli intellettuali soprattutto perché non possono soddisfare i loro bisogni di senso e di progetto nella vita, e si tratta, come si può vedere, di qualcosa che scatena l’ostilità che è abbastanza diversa dalla scoperta dello sfruttamento e di altre forme di ingiustizia sociale. Così la critica sociale alienata è spesso o in parte una reazione alla frustrazione dell’impulso religioso (o della ricerca di senso) di cui il critico attribuisce la responsabilità all’ambiente sociale”. Eliminata la categoria della trascendenza, l’intellettuale occidentale, specmachio di un’epoca che si voleva secolarizzata, tentava di rintracciare in diversi modelli sociali la risposta a quelle esigenze che la sua società non gli permetteva di realizzare. La ricerca non avrebbe dato buoni risultati: disinnamoratisi a partire dagli anni Cinquanta della Russia comunista, avrebbero cercato conforto nella Cina, poi nella Cuba castrista, poi nel Nicaragua, nell’Albania e via di seguito. A contribuire all’accecante innamoramento per i sistemi socialisti fu poi secondo Hollander anche uno straordinario senso di colpa per le supposte mancanze della società occidentale, che non tardò a manifestarsi in una vera e propria avversione per il sistema occidentale nel suo complesso. Non a caso il tema dell’antiamericanismo si rivelerà più di recente un nuovo campo di studio per lo storico ungherese.

Alla radice di questo fenomeno vi è secondo Hollander soprattutto una radicale avversione verso la modernità, che l’America simboleggia in tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Si tratta di un fenomeno che ancora una volta riguarda in primo luogo gli intellettuali e coloro che ne vengono influenzati, come dimostra il fatto che il radicalizzarsi del sentimento antiamericano non diminuisce in nessun modo il costante e anzi crescente numero di quanti aspirano a vivere proprio negli Stati Uniti. Hollander è in un certo senso sinceramente affascinato da come l’infatuazione politica abbia privato molti intellettuali della loro capacità di discernere e di esercitare le loro facoltà critiche, contribuendo al radicarsi di un doppio standard morale con il quale giudicare la propria società e quella che si indicava come modello di riferimento, e determinando una “propensione a farsi ingannare” che fu abilmente sfruttata dai propagandisti dei regimi socialisti. Il libro sui “Pellegrini politici” si chiudeva con un interrogativo inquietante sugli effetti che la denigrazione della società di occidentali da parte degli intellettuali avrebbe avuto sul lungo periodo: “Gli intellettuali contribuiranno – si chiedeva – volontariamente o involontariamente, alla distruzione delle loro società relativamente libere, a causa delle loro illusioni su altre società e a causa delle loro ricorrenti fantasie su nuove forme di liberazione e realizzazione collettive”?

Oggi Hollander, davanti alla sfida posta all’occidente dall’islam radicale, vede in parte realizzarsi queste previsioni: “Gran parte degli intellettuali – ci dice – non hanno sufficientemente a cuore le società a cui appartengono, e non sono preparati a difenderle. Ma il radicalismo islamico è una minaccia ben più seria del comunismo, in quanto è molto più irrazionale e fanatico. I comunisti non compivano attentati suicidi, non c’era il culto della morte e del martirio” Se alla base dell’atteggiamento tiepido nei confronti del radicalismo islamico vi è un’avversione verso la società occidentale che è simile a quella degli intellettuali socialisti nel secolo scorso, altrettanto importanti sono le caratteristiche peculiari della situazione attuale, che ha determinato una forma di antiamericanismo secondo Hollander prima sconosciuta. Vi è innanzitutto l’inedita identificazione degli Stati Uniti, e di tutto ciò che ha a che fare con l’America, con un elemento demoniaco e non solo con l’ingiustizia sociale, la corruzione o lo sfruttamento economico. E’ una fase nuova che a dire il vero si manifesta a partire dai primi anni Novanta, e che con l’11 settembre ha avuto solo il suo apice, costringendo però lo stesso Hollander alla ridefinizione delle categorie concettuali delle quali si era servito precedentemente. “Nella mia definizione originaria – scrive in un saggio del 2004 – non avevo valorizzato il fatto che il sentimento antiamericano potesse culminare nella violenza politica. A quel tempo la maggior parte delle forme di antiamericanismo apparivano in larga parte retoriche o comunque espresse in modi che non avevano nulla a che fare con l’assassinio di massa”. Il secondo aspetto è la convergenza tra fondamentalisti islamici e antiamericani occidentali, fenomeno che manifesta la sua prima evidenza nella richiesta di “non giudicare” i terroristi e in quella di “comprenderli”.

Hollander constata come a partire dai giorni immediatamente successivi agli attentati di New York e Washington, l’antiamericanismo abbia trovato nuovo vigore nel tentativo degli intellettuali occidentali di spiegare gli eventi cercandone le cause profonde nell’atteggiamento degli stessi Stati Uniti. In questo si è verificata anche una inedita consonanza tra destra e sinistra: “Noam Chomsky, Norman Mailer, Susan Sontag o Gore Vidal – ha scritto Hollander nel novembre del 2002 – non avrebbero molto da dissentire dal leader della destra radicale ungherese Istven Csurka”, quando questi, dopo l’attentato contro le Torri gemelle, si è chiesto come gli americani si potessero aspettare che i popoli oppressi non reagissero alle “umiliazioni, gli sfruttamenti e i massacri portati avanti in Palestina”. La chiave di questa convergenza, per Hollander, è ancora in un odio verso gli Stati Uniti tanto profondo che rende possibile sorvolare su ogni altro elemento. “Il flirt della sinistra coi fondamentalisti islamici ha infatti questo di interessante, che – dice Hollander – i valori di questi ultimi sono tutto il contrario di quello che la sinistra ha sempre predicato e sostenuto. Abbiamo intellettuali di sinistra che, mentre si dicono sostenitori del secolarismo occidentale, simpatizzano con movimenti fanatici e rigidamente religiosi e con sistemi di pensiero che discriminano le donne, reprimono orientamenti sessuali non convenzionali e praticano i più barbari sistemi di politica criminale”. Come nel caso degli intellettuali che magnificavano il comunismo vivendo nei liberi paesi occidentali, vi è una profonda schizofrenia tra l’ideologia predicata e quella effettivamente vissuta, solo che ora si tratta di un fenomeno considerevolmente più marcato.

Nessuno degli intellettuali che flirtano con il fondamentalismo accetterebbe mai di vivere sotto un regime radicale islamico, dove verrebbe probabilmente riservato loro trattamento ben peggiore di quello di cui godono in occidente. Del resto, sono molto rari i casi di intellettuali che non si limitano a sostenere questi movimenti politico-religiosi ma che si convertono effettivamente all’islam. Per Hollander è una nuova conferma di come l’odio sia una forma potente di formazione della credenza politica, molto più della classe, l’etnia, la nazionalità o un qualche interesse materiale. Il frutto più compiuto di queste ultime riflessioni si trova nel volume “The end of commitment”, uscito due anni fa negli Stati Uniti, e all’interno del quale si incrociano molti dei temi della produzione dello storico ungherese. E’ in un certo senso una continuazione di “Pellegrini politici” scritta all’ombra degli attentati dell’11 settembre. L’oggetto dell’attenzione di Hollander sono questa volta i processi di disillusione politica che hanno portato gli intellettuali comunisti verso il ripensamento della loro adesione ideologica. Il libro ha un precedente illustre ed esplicitamente riconosciuto, quel “Il dio che è fallito” pubblicato all’inizio degli anni Cinquanta con le testimonianze tra gli altri di Arthur Koestler, André Gide e Ignazio Silone. Ma la parte probabilmente più interessante è quella che Hollander dedica a coloro che nonostante tutte le smentite della storia, le riprove del fallimento della loro adesione ideologica, le sofferenze subite a volte sulla propria pelle, non hanno rinnegato nulla di quello in cui avevano creduto, continuando pervicacemente a sostenere sistemi politici relegati dagli eventi negli archivi polverosi della storia.

Hollander, che nulla concede al politically correct (“la forma più diffusa dell’intolleranza istituzionalizzata nell’alta educazione americana”) non risparmia strali agli intellettuali occidentali che non solo non hanno ritenuto di dover rinnegare la loro adesione al comunismo, ma che oggi ancor più di prima rimangono ancorati all’acceso antiamericanismo che a questa adesione stava sotteso. E che hanno trovato nell’11 settembre la conferma di tutti i loro preconcetti nei confronti dell’America, imputando alla politica estera americana crimini assai più gravi degli attentati terroristi di bin Laden e di al Qaeda. Hollander, formidabile osservatore della realtà, come ogni descrittore onesto è anche cosciente del punto fino al quale ritiene di potersi spingere. La ragione più profonda di certi fenomeni di fascinazione politica è per lui uno di questi. Il modo migliore per descriverli – ha affermato in varie occasioni – è quello di collocarli tra le immortali espressioni dell’irrazionalità umana, che include quella di lasciarsi accecare da un odio logorante.


Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo e dell'umanità
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » dom giu 16, 2019 9:29 pm

Niram Ferretti Coordinate essenziali per comprendere...
16 giugno 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Coordinate essenziali per comprendere l'andamento del mondo. Tutto ciò che si oppone agli Stati Uniti e a Israele è buono e giusto. È una vecchia storia, d'altronde, quella contro il libero mercato, il capitalismo e i valori democratici dell'Occidente. Non inizia certo oggi e non finisce certo oggi. L'importante è capire che quelli che nel passato tifavano per l'URSS si sono quasi tutti riallineati sull'Islam e sul mondo arabo in generale. Oddio, anche qui nulla di nuovo, l'amore per il mondo arabo è un vecchio sbandamento della sinistra dall'epoca in cui a Mosca si decise che l'alleanza con gli arabi in funzione antiamericana era essenziale. Naturalmente ci sono anche vecchi fasci tutti amanti delle virtù guerriere e maschie dei jihadisti, le quali si contrappongono alle effeminatezze e alle mollezze occidentali. Ma costoro non hanno mai fatto molto testo, sono una piccola setta di esaltati tenuti alla periferia della cultura mainstream, mentre la sinistra è in Europa culturalmente egemone dal dopoguerra.

L'Islam, nel repertorio di sinistra è venuto in auge come conseguenza di uno slittamento referenziale. Scomparsi dalla scena della storia i proletari che avrebbero dovuto fare la rivoluzione che non fecero, si dovette sostituirli con altri oppressi. Non bastavano gli oppressi dell'America Latina, sempre e solo resi tali dalla famelicità occidentale, beninteso, bisognava integrare anche i musulmani. Allora si è proceduto a creare il romance, perché qui, intendiamoci bene, è tutto frutto di uno slancio romantico irresistibile. La realtà deve essere sostituita dalla fabula che trasforma, idealizza ed erotizza ideologicamente l'oggetto della propria attenzione.

La sinistra ha così edificato il Grande Mito dell'Islam splendido e splendente a confronto dell'Occidente sporco, brutto e cattivo, facendo dei jihadisti quando non dei legittimati combattenti contro la cattiveria del mostro bianco colonialista e imperialista (l'uomo bianco colpevole in quanto tale non è mai uscito dalla scena), degli alienati dall'aggressività capitalista. Una religione presentata come pace e concordia non può essere disfunzionale. Oltretutto, nella vulgata marxista, la ragione di tutto è l'economia. Se ci sono musulmani che praticano il terrorismo può essere solo colpa della sperequazione economica. Il materialismo, infatti, tra le altre cose, ci riduce a tubi digerenti, per cui ciò che mangiamo è molto più importante di ciò che pensiamo, mentre è evidente il contrario, visto che molti rilevanti jihadisti mangiavano assai bene e altrettanto bene vivevano ma ritenevano e ritengono che l'Occidente sia da distruggere non perchè c'è la povertà di tanti ma perchè non si uniforma interamente al dettato del Corano.

L'importante, in tutto questo canovaccio in cui si intrecciano pulsioni autodistruttive assai profonde (il nemico come oggetto di desiderio, la vittima da portarsi a letto per poterla accudire meglio aspettando il momento voluttuoso in cui, tra le lenzuola, ti taglierà la gola), è l'intensità del livore implacabile per se stessi e le proprie biografie.

Il catalogo dell'autoperversione della sinistra salvatora comprende un ampio spettro di deviazioni che avrebbero deliziato Richard von Krafft-Ebing.

E forse un giorno qualcuno avrà voglia di scrivere di questo deragliamento sotto forma di una Psychopathia sexualis politica.
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » mar giu 18, 2019 7:23 am

Salvini a Washington: l’intesa con Trump “esistenziale” per l’Italia (e la Lega)
di Marco Gervasoni per Atlantico Quotidiano

https://www.facebook.com/alqantarah/pos ... 3774805892

Non serve ribadire, soprattutto qui, l’estrema importanza del viaggio ufficiale di Matteo Salvini negli Stati Uniti, che proprio oggi comincia. Estrema a ben vedere è eufemistico, ma nella lingua italiana non mi viene un aggettivo ancora più rafforzativo, se non a definirlo, senza enfasi, “esistenziale”. E non solo per il destino del governo, che è cosa transeunte e figuriamoci in Italia, e poi Conte non è certo la nostra cup of tea per via di molti ministri, tecnici e politici, che stanno andando nella direzione sbagliata, anche con gli Usa.

No, è un rapporto, quello con l’America di Trump, esistenziale per il futuro della Lega e per quello del paese. Faremo sentire le nostre ragioni all’interno della Ue solo con il sostegno americano, diventando tra i migliori alleati di Washington (ora lo sono la Polonia e, con Boris Johnson a Downing Street, il Regno Unito, per il poco tempo che speriamo vi resti), ma soprattutto all’interno dell’area euro. Qualcuno direbbe: bei sovranisti siete. Ma i nazional-conservatori (definizione che preferisco) non sono così fessi da evitare di stringere alleanze, solo che vogliono allacciarle facendo decidere alla nazione quale sia il migliore partner, e non sulla base di regolamenti, come quelli europei, su cui il Parlamento mai ha legiferato.

Nonostante la mascalzonata che il governo ha combinato sulla Cina, nei confronti se non dell’Esecutivo almeno della Lega, Washington pare fortunatamente ancora nutrire fiducia, e poi il 34 per cento aiuta! Lo dimostra l’alto livello degli interlocutori di Salvini, dal vice presidente Pence al segretario di Stato Pompeo. Come ha scritto Paolo Mastrolilli sul La Stampa del 15 giugno, molto onore per un Salvini che, agli occhi diplomatici, è “solo” ministro degli interni, essendo la carica di vice premier in sé del tutto informale. Ma tanto onore come contropartita richiede una buona dose di oneri. Come ha scritto Daniele Capezzone su La Verità di ieri, sono tre i dossier chiave su cui Salvini dovrà fornire assicurazioni soprattutto a Pompeo: Venezuela, Russia e soprattutto Cina.

Tralasciando il Venezuela, pure assai importante, Russia e Cina sono due questioni legate tra loro. Per Trump il vero nemico strategico è Pechino e, anche se Pompeo e Bolton sembrano pensarla diversamente, a noi pare che il disegno del presidente si prefigga, in un secondo mandato, un grande deal storico con la Russia che la sganci dalla Cina; a cui, vanificando decenni di diplomazia iniziata da Nixon e Kissinger, lo sciagurato Obama l’aveva riavvicinata. Per ora ci sono solo timidi segnali: alcuni interventi di Walter Russel Mead sul Wall Street journal, dichiarazioni sibilline di Trump che dice di non aver problemi ad accettare in futuro informazioni straniere, un Bannon che non si sa quanto conti, ma intanto è da giorni in Francia ad elogiare la filo russa Marine Le Pen, a ripetere che il vero nemico dell’Europa è la Cina e, sul numero del settimanale Valeurs actuelles attualmente in edicola, a scagionare Salvini dall’accordo dell’Italia con la Cina, “che del resto non si è ancora formalizzato”. Su tutto ciò Salvini può giocare la carta di un interlocutore, tanto più che Putin sarà in Italia tra pochi giorni: chiarendo però senza ambiguità alcuna che il nostro campo è quello atlantico.

Quando però si parla di atlantismo, a questo concetto dobbiamo associare nuovi significati. Non è più il patto dei decenni della Guerra Fredda, ma non è più neppure quello dei tempi di Berlusconi-Bush jr., in cui gli Usa continuarono la loro vocazione wilsoniana di nazione esportatrice di democrazia: la cosiddetta dottrina neo-con. Nonostante patteggiamenti con il vecchio establishment repubblicano, essa è quanto di più estraneo a Trump. La linea trumpiana, come ha scritto nel suo recentissimo libro Germano Dottori (La Visione di Trump. Obiettivi e strategia della nuova America, Salerno Editrice), è davvero quello del recupero della linea jacksoniana, che solo gli ignoranti chiamano isolazionismo. Si tratta invece di un nazionalismo democratico che rompe con la fallimentare e pericolosa dottrina wilsoniana della nazione missionaria e lavora a tutelare ed espandere il proprio interesse strategico. Per questo chi pensa Trump voglia sostituire l’internazionale liberale del “nuovo ordine mondiale” di Clinton, Bush e Obama, con un’internazionale sovranista rischia di restare deluso. Certo, a Trump, Salvini starà più simpatico della Merkel, per cui l’Islam fa parte della cultura europea, e di un Macron che non cita mai la parola cristiani nei suoi interventi. Gli elementi della identità e della guerra culturale non sono secondari. Ma non sono quelli strategici, per Trump. Predominante è invece il poter contare su alleati sicuri che, grazie a un patto chiaro tra schietti amici di cui l’uno possa fidarsi dell’altro, si sostengano a vicenda. E noi, intendo noi italiani, questo deal dobbiamo sottoscriverlo.


Bruno Sion
Che sia la volta buona che questa volta l'Italia scelga la parte giusta, dopo aver scelto quella fallimentare nella prima guerra mondiale, fallimentare ancora scegliendo i socialisti nazionalisti tedeschi nella seconda guerra mondiale e fallimentare nel dopoguerra con la scelta dei comunisti sovietici. La libertà oggi è la scelta democratica sovranista di Trump, Netanyahu, Orban, Bolsonaro contro i globalisti socialisti islamici. Auguriamoci che vengano affossati a breve e che si portano con sé negli abissi tutti i governi socialdemocratici del mondo e tutte le teocrazia islamiche. Si salveranno solo Usa, Europa dell'est, Israele di Netanyahu e forse anche L'Italia, nonostante tutti questi paesi abbiamo una parte malata e marcia socialista al loro interno

Dario Brega
Sinceramente non vedo&non capisco,pur non essendo x niente un fan dei 5Stalle,perche'dovremmo rinunciare ad un'accordo&politica di sostegno alla Cina.Che oltre ad essere il paese emergente&prossimamente egemone dell'ordine mondiale,nell'ottica del bipolarismo che varie volte si e'presentato sulla scena della Storia(Sparta/Atene-Roma/Cartagine...etc)rappresenterebbe un "padrone"molto piu'leggero&distante.Non penso che aprirebbe basi militari nel nostro paese,con le conseguenti servitu'a cui siamo obbligato da decenoi verso gli Americani,dal caso Moro al Cermis;& poi l'Ano sfera di cui gli Usa son parte integrante ha dominato gli ultimi due secoli,dalla caduta di Napoleone in poi&il motore della Storia e'ciclico,il loro tempo si va esaurendo,in termini temporali di decenni certo,ma x il sistema paese Italia sarebbe piu'utile in prospettiva coltivare rapporti con la Cina.

Gino Quarelo
Gli USA sono una democrazia liberale e federale, che hanno aiutato l'Italia più volte, di cui sono sempre stati amici e che hanno accolto milioni di migranti italici; la Cina è una dittatura comunista.
Gli italiani hanno fatto ben di peggio in USA con la mafia che gli americani in Italia con il caso Cermis che è stato un incidente senza dolo.
L'egemonia mondiale cinese sarebbe una disgrazia per l'intera umanità, assolutamente da contrastare, specialmente quella economica.




QUELLO CHE DESIDERANO A WASHINGTON
Niram Ferretti
18 giugno 2016

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7196631445

Alta è la confusione sotto il cielo e a Washington, dove Matteo Salvini si è recato per una visita lampo per incontrare il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, vogliono capire bene e spiegare al Ministro dell'Interno nonché vicepremier come funziona l'ordinamento geopolitico e quali sono le priorità statunitensi.
A Washington non è molto apprezzata la linea di credito aperta alla Russia né gli amorosi sensi nei confronti della Cina, soprattutto da parte del M5S. Ci sono molti dossier delicati e si desidera che l'Italia resti il più possibile nel solco di un atlantismo che non sia solo declamatorio ma fattivo.
Dunque chiarezza sul Venezuela, appoggio a Juan Guaidó, sponda con Israele per quanto riguarda la teconologia di importazione e non con Pechino, affari con Mosca sì, ma regolati da un sano pragmatismo.
Da una parte ci sono gli interessi americani che coincidono con l'apertura di mercato e una convergenza tattica con il Regno Unito che si contrapporrebbe a una UE a traino francotedesco. Allo stesso tempo, si auspica che la Lega si faccia forza politica che rifugga dall'infuenza russa che ha come mira quella di sganciarla da quella americana e dunque dal liberalismo.
Se si tiene la foto di Putin sugli scaffali della libreria, va bene come folklore, meno bene va se si stringono rapporti troppo stretti.
Si vedrà nei fatti, soprattutto se Trump verrà riletto. Questa è una amministrazione che non concede molti sconti.



Conferenza stampa di Salvini negli USA
https://www.facebook.com/salviniofficia ... 9013638103
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » gio lug 18, 2019 4:17 pm

Dementi sinistri, nazi-comunisti razzisti antisemiti e antisraeliani, razzisti antiamericani bianchi, pro invasione e filo nazimaomettani


Usa, Camera approva una risoluzione di condanna per i commenti di Trump su 4 deputate
Il presidente Usa nella bufera per i tweet contro le parlamentari Ocasio-Cortez, Omar, Tlaib e Pressley. E un deputato dem chiede impeachment
17 luglio 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -231355796

Usa, Camera approva una risoluzione di condanna per i commenti di Trump su 4 deputate
NEW YORK - La Camera a maggioranza democratica approva la risoluzione che condanna i commenti razzisti del presidente Donald Trump contro le deputate progressiste appartenenti a minoranze. Il via libera è arrivato al termine di una seduta convulsa, durante la quale la speaker Nancy Pelosi è stata ripresa dai colleghi per aver violato le regole vigenti, che vietano di definire il presidente razzista o dire dichiarare razzisti i suoi commenti.

Dopo il tweet di domenica in cui Trump aveva invitato Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar, quattro donne, elette alla camera dei rappresentanti, nessuna delle quali bianca, a tornarsene nel loro Paese d'origine, il presidente degli Stati Uniti aveva rincarato la dose, chiedendo perfino al partito repubblicano di difenderlo dalle critiche ricevute.

"Quando si scuseranno con il nostro Paese, il popolo di Israele e con l'ufficio del Presidente, per il linguaggio volgare che hanno usato e per le cose terribili che hanno detto? Tante persone sono arrabbiate con loro e le loro azioni sono orribili e disgustose!", aveva scritto il presidente Usa. Poi, citando tra virgolette e taggando l'attuale senatore della Carolina del Sud, Lindsey Graham, aveva aggiunto: "Sono anti-semite, anti-americane, la loro agenda politica è disgustosa e gli americani la bocceranno". "Sappiamo tutti - ha scritto ancora - che Ocasio Cortez e le altre sono un branco di comunisti, che odiano Israele e il nostro Paese". In ogni caso, aveva aggiunto, "se non sono contente di stare qui, possono andarsene". "Queste sono persone, a mio avviso, che odiano l'America", aveva concluso.

La Camera americana si è spaccata dopo un dibattito feroce. La risoluzione voluta dai democratici è stata approvata con 240 voti a favore e 187 contrari: solo quattro repubblicani si sono uniti ai democratici nel condannare il presidente americano per i "commenti razzisti che hanno legittimato e aumentato i timori e il disprezzo".

Trump, secondo indiscrezioni, avrebbe seguito il voto incollato alla tv e per seguirlo passo a passo avrebbe cancellato anche alcuni appuntamenti. Nonostante i tentativi repubblicani di bloccare il provvedimento, la Camera ha dato il suo via libera in uno schiaffo deciso e forse senza precedenti a Trump. La risoluzione approvata, secondo alcuni osservatori, potrebbe ora essere utile a contrastare Trump e le sue politiche nei tribunali americani, soprattutto sul fronte dell'immigrazione, tema caro al presidente. Il partito repubblicano ha tutto sommato superato il test del voto, mostrandosi compatto dietro al suo presidente e seguendo la linea dettata dal leader del Senato, Mitch McConnel. Dopo un assordante silenzio durato giorni, McConnell è finalmente uscito allo scoperto e affermato che il presidente "non è razzista".

Il deputato democratico del Texas Al Green ha presentato alla Camera la sua risoluzione per l'impeachment di Donald Trump in seguito ai suoi commenti razzisti nei confronti delle deputate progressiste appartenenti a minoranze. Non è la prima volta che Green intraprende questa strada: l'obiettivo del deputato è spingere la Camera ad affrontare il nodo dell'impeachment nel breve termine vista la natura 'privilegiata' della risoluzione. L'iniziativa di Green è simbolica e appare sicuro che non sfocerà in nessun voto. La mossa si differenzia dalla richiesta avanzata da 80 membri della Camera di lanciare un'indagine per un possibile impeachment di Trump.

L'attacco di Trump alle neodeputate "colpevoli" agli occhi del presidente di aver difeso i diritti dei migranti, ha scatenato un puriferio negli Stati Uniti ma anche fuori dai confini nazionali. A Trump ha risposto con durezza la premier britannica, Theresa May: le parole del presidente americano sono "completamente inaccettabili". La questione razziale è dunque tornata a dominare il dibattito politico americano.


Alberto Pento
Grazie e forza Trump!



IL MARTELLO SULL'INCUDINE
Niram Ferretti
18 luglio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

In North Carolina, Donald Trump rincara la dose contro le pasionarie di sinistra. No, non si pente di averle invitate a lasciare gli Stati Uniti. Ricorda al pubblico che per Illhan Omar, nativa della Somalia, sono gli USA i responsabili dell'11 settembre. Tesi cara all'estremismo di sinistra. Ricorda che Alexandra Ocasio Cortez, ha paragonato i centri di accoglienza per immigrati messicani ai campi di concentramento. Campi di concentramento con aria condizionata, pulizia impeccabile e acqua pulita.
"Non amano gli USA. E ci definiscono, 'spazzatura'. Non è carino, vero?".
Trump non demorde e fa bene, contro il radicalismo di estrema sinistra, terzomondista e filoislamico che ha nidificato all'ombra del partito democratico e che in Inghilterra è ben rappresentato dal Labour di Jeremy Corbyn mentre in Spagna gode ottima salute dentro Podemos e qui da noi ha addentellati nel Movimento 5 stelle.
E fa bene a non demordere ma a battere il martello sull'incudine. Non sono tempi da fioretto. La posta in gioco è troppo alta.
Le Alexandra Ocasio Cortez, i Gino Strada, i Moni Ovadia, le Illhan Omar, fanno parte tutti della stessa deriva. Vogliono paesi aperti all'immigrazione incontrollata, detestano gli USA e Israele, sono solidali con il terrorismo islamico interpretato come reazione alle supposte malefatte occidentali.
Vanno combattuti con determinazione.



Ma quale razzismo, Trump difende la libertà dell'America
Marco Gervasoni
18 luglio 2019

https://www.nicolaporro.it/ma-quale-raz ... 0o2GwWa4TQ

Immaginate se in casa vostra – ereditata dai vostri padri – a un certo punto decideste di ospitare qualcuno che, invece di rispettarla, la denigra e la insulta ogni giorno, nostalgico dei tuguri da dove lo avete strappato. Che cosa gli direste di fare? Come minimo, lo invitereste a lasciare la vostra dimora, se ingenera tanto ribrezzo.
Si può in sostanza spiegare così l’ultimo polverone mediatico e politico abbattutosi su Trump, nientemeno che dipinto come razzista da un voto della Camera – anche se nessun repubblicano ha appoggiato la mozione. È vero che in un’America in cui mai i rapporti tra le razze sono stati cosi equilibrati l’accusa di razzismo da sinistra è ormai talmente generica da risultare quasi una medaglia. Ma in questo caso più che in altri essa è del tutto fuori luogo.
Andiamo a vedere cosa dicono quotidianamente Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley, Ilhan Omar e Rashida Tlaib le quattro deputate oggetto, sia pur senza nominarle, del tweet in cui Trump le invitava a tornare nei loro paesi di origine: «L’America ospita campi di sterminio (al confine con il Messico)». « La politica americana è in mano agli ebrei». «Trump persegue i neri e usa Black faces, finti neri, per manipolare gli elettori di colore ». Fino all’intervento più clamoroso, quello della sudanese Omar: «possa Allah aprirci gli occhi e farci capire il male che rappresenta Israele ».

L’America dipinta dalle squad, come sono chiamate le quattro, è insomma il regno dell’orrore e della nequizia, retta da un governo de facto fascista – senza che le signore sappiano cosa voglia dire questa parola.

Nell’invitarle a ritornare nei loro paesi di origine – anche se tre di loro sono nate negli Stati Uniti – Trump ha voluto fornire il suo personale contributo al dibattito sulla identity politics. E ha voluto ribadire che si è americani non perché vi si è nati, ma perché si condivide e si rispetta un patrimonio culturale, linguistico, costituzionale, a cui hanno contribuito mille nazionalità , fedi religiose, culture, diverse tra loro ma tutte pronte a condividere il Grande Patto, ideale continuazione di quello siglato alle origini della nazione americana.
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Re: Io sto con Trump e gli USA - contro l'antiamericanismo

Messaggioda Berto » sab gen 04, 2020 10:55 am

FURORI DEMENTI E ARDENTI
Niram Ferretti
21 luglio 2019

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Oggi parlerò di alcuni casi che appartengono, in una certa misura, alla psicopatologia ma non per questo motivo sono meno indicativi di una mentalità esistente e di un deragliamento complessivo della ragione. Il primo è Giulietto Tovarisch Chiesa, il complottista antiamericano di stretta osservanza sovietica, l'altro è Massimo Fini, giornalista e scrittore tuttologo con velleità da guru. Entrambi, pur propugnatori di narrative diverse, hanno però una cosa che gli accomuna, l'odio al calor bianco per l'Occidente e un virulento antiamericanismo. L'antiamericanismo radicale costituisce una forma di ortodossia politica che vede negli Stati Uniti l'incarnazione del male assoluto. Per i sacerdoti di questa ortodossia, Noam Chomsky in testa, gli Stati Uniti sarebbero i responsabili di tutta l'ingiustizia del mondo. L'antiamericanismo si salda con l'esecrazione nei confronti degli assetti strutturali che l'Occidente ha consolidato negli ultimi trecento anni, quindi le sue forme culturali, politiche, economiche. Fin qui nulla di nuovo. Anzi è un discorso vecchio, vecchissimo che puzza di stantio lontano un miglio e ha i suoi precedenti nell'antimodernismo fascista e nazista e ovviamente nell’ex Unione Sovietica e nella Russia attuale.

Chiesa non è un irrazionalista e non posa a flaneur anarchico come Fini, si accontenta di piani più bassi facendo da portavoce della vulgata paranoide cospirazionista secondo cui dietro fenomeni sconvolgenti ed epocali come l'11 Settembre ci sarebbero i servizi segreti americani e quelli israeliani. I Protocolli dei Savi di Sion sono l’Urtext di tutti i complottisti. Bisogna capirlo Giulietto Chiesa, tutto sommato. Il trauma profondo che ha vissuto e che lo ha irreversibilmente squassato psicologicamente è stata la caduta del Muro di Berlino e la fine dell'Unione Sovietica, la sua amata casa per tutta una vita. Come Hiroo Onoda, lui si valoroso soldato, che ventinove anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale combatteva ancora da solo in una isola delle Filippine, Giulietto Chiesa è ancora convinto di trovarsi in piena Guerra Fredda. L’elezione di The Donald lo ha notevolmente rinfrancato.

La rimozione della realtà è una forma di difesa per non dovere accettare di venire a patti con essa. Le parole d'ordine dei bei tempi del KGB, quando le direttive si ricevevano da Mosca, continuano a vivere perenni nella mente come i fantasmi degli amori indissolubili. In ossequio al famoso adagio secondo il quale i nemici dei miei nemici sono miei amici, Chiesa è per partito preso a favore di chiunque sia contro gli Stati Uniti e contro Israele. Lo Stato ebraico sarebbe infatti un'appendice di quel tentacolare potere mondialista e oppressivo che da sempre vittimizza il globo e che ha impedito dal dopoguerra al 1989 che l’Unione Sovietica si pappasse tutta l’Europa. Così, tra le numerose e gloriose gesta di Giulietto lo vediamo firmare nel 2012 un appello su Il Manifesto insieme a Gianni Vattimo, Domenico Losurdo (stalinista al cubo) Franco Cardini e altri, contro il “Nuovo Ordine Mondiale” (sic), una versione aggiornata del Complotto Pluto-Giudaico-Massonico di fascistissima memoria.

Il compagno e Kamerata Cardini, il compagno Losurdo e l’anziano esegeta heiddegeriano Vattimo sono tutti apparentati dallo stesso odio profondo. Piccolo inciso. Chi crede nei grandi complotti è in genere persona psichicamente fragile la quale ha bisogno di essere rassicurata circa una realtà che percepisce come minacciosa e sfuggente. Il complotto è la Grande Madre, la metastruttura che consente di dotare di senso tutta una serie di eventi e di figure. Così, si ha l'illusione di avere capito ciò che gli altri non vedono e non comprendono. Il proprio ego ne trae un profondo nutrimento, poi, ritemprati, si indossa l'elmo di Mambrino e ci si butta nella mischia. Ma torniamo all'appello de Il Manifesto.

I firmatari esprimono la loro “solidarietà al popolo iraniano e siriano”, le prossime vittime del Nuovo Ordine Mondiale. I solidarizzanti solidarizzano con due regimi illiberali, di cui uno teocratico e sponsor internazionale del terrorismo e l'altro una dittatura feroce. I Chiesa, i Losurdo e i Cardini, hanno un irresistibile bisogno di uomini forti, di maschi alfa che li istruiscano e li guidino. Sul bisogno ulteriore di Vattimo sarebbe facile profferire grossolanità e dunque mi asterrò. Il loro desiderio di servire è troppo impellente, e allora il padre diventa non quello che è nei cieli, ma il dittatore, l'ayatollah, il mullah. Cardini e Chiesa, pur così diversi, sono affratellati dal lori antiamericanismo viscerale, nel primo più accigliato, dotato di un apparato concettuale colto e informato anche se delirante, nel secondo trasformato nella grottesca pochade durrenmattiana del cospirazionismo internazionale con agenti del Mossad e della CIA che sbucano dietro ogni angolo.

Massimo Fini è per certi versi più interessante di Chiesa perché ha tentato disperatamente di darsi un ubi consistam intellettualmente raffinato attraverso un patchwork di autori diversi, di riferimenti trasversali, da Evola a Nietzsche, a Rousseau a De Benoist, i quali, prendendolo per mano lo hanno condotto alla sua dissacrante disamina contro l'Occidente e i suoi mali, di cui, ovviamente, la causa principale sono gli Stati Uniti. Israele merita un capitolo a parte nella fantasia febbricitante di Fini. Naturalmente è uno stato terrorista, ca va sans dire... Il Nuovo Ordine Mondiale è costituzionalmente terrorista e coloro che lo combattano, vedi i talebani, l'ISIS, Al Qa'da, Hezbollah, Hamas, ecc. sono “resistenti”.

Il canovaccio di questi “vorrei essere un dandy ma sono solo una caricature”, è sempre quello. L'estrema destra e l'estrema sinistra sono un Giano bifronte ideologico con un unico cervello che divarica lo sguardo in due opposte ma complementari direzioni. Il colore che apprezza di più è il rossobruno.

Nel caso di Fini non mancano gli elogi, vere e proprie esaltazioni per l'Islam e il suo purificante impeto guerriero. Lo stesso impeto che affascinava il Fuhrer. Ah, le brune bestie islamiche al posto di quelle bionde ariane! Fini, più di Cardini e Chiesa si sente animato dalla volontà nietzscheiana così piccolo borghese di volere a tutti i costi épater le bourgeois. È un po' un Carmelo Bene dell'opinionismo intellettuale di mezza tacca, privo completamente del talento istrionico del Pugliese, che tenta di compensare con trouvailles da rigattiere dello scandalo, come quando nel 2011 scrive un libro sul Mullah Omar di cui ammira le maschie e “fasistissime” virtù eroiche e guerriere... (Siamo sempre lì). Ma è solo di poco tempo fa un delirante articolo sul Fatto Quotidiano, probabilmente innaffiato da buone dosi di Cointreau (mancando l’assenzio) in cui, animato da indignazione prorompente Fini, lancia i suoi fulmini contro il “pupazzo” dell'Occidente Al Sisi, rimpiangendo la caduta dei Fratelli Musulmani, il gruppo radicale islamico di cui Hamas è la costola, il quale, come Hitler nel ‘33 aveva vinto le elezioni e dunque, doveva restare al proprio posto.

I Fratelli Musulmani, fondati in Egitto nel 1928 sono il movimento radicale islamico che ha rivitalizzato il concetto di jihad e ha fatto della morte l'ideale da perseguire. Un afrodisioaco per Fini, il quale invece di cercare l'eroica morte si portava in giro fino a qualche tempo fa da un salotto televisivo all'altro biascicando il suo clawnesco verbo. Ma così va il mondo. Dovrebbe avere un po' più di palle e seguire le orme di un altro smascheratore delle storture occidentali e grande ammiratore di Khomeini, Michael Foucault, che trovò e praticò l'estremo fino in fondo. Ma Foucault era Foucault e Fini è Fini.

L'afflato di Fini e company per il totalitarismo è irresistibile. Ma vale la pena di citarlo: “Al Sisi serve all'Occidente, come oggi gli servono i pasdaran dell'Iran, che per più di trent'anni, senza alcuna ragione plausibile, è stato inserito nel famoso 'Asse del Male', e i peshmerga curdi che, tramite Saddam Hussein - quando ci serviva - e la Turchia abbiamo contribuito a massacrare per altrettanti decenni, per contrastare il fenomeno Isis che noi stessi abbiamo creato. Di fronte a queste ripugnanti ipocrisie della cultura superiore', che si perpetuano da due secoli da quando risuonarono le sacre parole della Rivoluzione francese, liberté, legalité, fraternité, dando inizio nell'Ottocento al colonialismo sistematico, militare, politico, economico, uno comincia a chiedersi, come Grillo ma per tutt'altri motivi: io da che parte sto?”

Sublime no? Bisognerebbe segnalare il pezzo a Jeremy Corbyn o a Manduro nel caso in cui Fini perdesse il proprio posto di lavoro. Questo piccolo campione dei suoi furori è in sé un vademecum di falsità stupefacenti e segno tangibile di una mente potentemente e irrimediabilmente ottenebrata. Speriamo solo, per il suo bene, che non finisca come uno dei suoi eroi preferiti ad abbracciare singhiozzando un cavallo e a firmare missive con il nome di Dioniso.

Si ripetono in questo trafiletto i topoi della narrativa antioccidentalista e filo-islamica ben noti, come quello secondo il quale l'Isis sarebbe una “creatura dell'Occidente”, e non com'è in realtà, un prodotto dell'Islam più puro e sine glossa, e deliri veri e propri come quello che gli fa scrivere che l'Iran “senza alcuna ragione plausibile per più di trent'anni è stato inserito nell'Asse del Male”, l'Iran che, da trent'anni appunto ha sponsorizzato azioni terroristiche e gruppi come Hezbollah e Hamas, e ha collaborato attivamente con Al Qaeda. Ma fermi. Fermi un attimo. Al Qa'da? Hezbollah? Hamas? Ma non sono forse prodi e maschi guerrieri anti-imperialisti, combattenti contro il Nuovo Ordine Mondiale? Loro che con bombe, mitra e autoimmolazioni tolgono la maschera al nostro Occidente decadente in viaggio inarrestabile verso il Nada? Il Nada, di cui Fini ha orrore e a cui preferisce il sole ardente degli editti del Profeta, come un altro prode combattente il Kamerata Kardini dalla scintillanta lorica.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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