Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 11:12 am

Assad ha vinto la guerra. E i media ora scoprono i crimini dei ribelli
Fulvio Scaglione
6 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/assad-ribelli-siria

In forma dubitativa, con ampio uso di condizionali e tra mille distinguo. Però adesso anche uno dei più diffusi quotidiani italiani si è accorto che il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani, installato nel Regno Unito, non è la bocca della verità. Che è “gestito da una sola persona”, la quale non ha mai dato conto di quali siano in realtà le sue fonti.

Questa persona si chiama Rami Abdulrahman, risiede a Coventry da molti anni e quando ancora viveva in Siria era un noto oppositore di Bashar al-Assad. La cosa in sé va benone, siamo o no per la libertà di opinione e di parola? Ma va un po’ meno bene quando ti atteggi a informatore libero e imparziale.

Lo stesso articolo non cita mai Abdulrahman ma aggiunge che l’Osservatorio “sarebbe finanziato da… agenzie occidentali, britanniche in particolare”, e in realtà è finanziato dal governo inglese. Che non ha mai raccontato la verità sui misfatti delle bande armate comunque definite “ribelli”, anche quando erano i tagliagole dell’Isis o di Al Nusra (ex Al Qaeda). E che le più accreditate agenzie internazionali, per esempio il Comitato internazionale della Croce Rossa, non hanno mai potuto confermare le affermazioni del suddetto Comitato contro l’esercito regolare siriano, accusato di affamare le popolazioni di molte città durante le operazioni militari.

Alla buon’ora. Ci sono voluti anni, e migliaia di articoli in cui invece l’Osservatorio era presentato come una fonte “terza” e affidabile, ma alla fine si fa strada la verità. Per i non moltissimi che, come noi, la ripetevano in tempi non sospetti, è comunque una soddisfazione.

Sarebbe una soddisfazione da poco, però, se restasse confinata in un bambinesco “io l’avevo detto”. Questo non conta niente. Conta molto, invece, il fatto che la gran parte dei media abbia raccontato l’atroce guerra civile siriana con un preconcetto che non poteva non distorcere la realtà. Poiché il cattivo era Assad, tutto ciò che andava contro Assad era buono. E se non era buono, comunque serviva alla causa. E quando la realtà smentiva la teoria, i suddetti media facevano come i leninisti e gli stalinisti di una volta e dicevano: è la realtà che sbaglia. È ciò che pensavano i politici americani, sauditi, turchi, inglesi, francesi. Ma appunto i politici. La stampa dovrebbe essere il loro cane da guardia, non la loro ancella.

Così l’Esercito libero siriano, diventato ininfluente dopo pochi mesi di conflitto, è stato raccontato come un protagonista. L’interventismo della Turchia e delle petromonarchie del Golfo Persico, grandi finanziatrici di Isis, Al Nusra e Fratelli Musulmani, mai sottolineata, e amplificata invece quella di Iran ed Hezbollah. Ogni civile morto era ucciso dai russi. Quando saltavano fuori le fosse comuni piene di persone assassinate dall’Isis e dagli altri gruppi “ribelli”, un riquadrino a pagina 38. La montagna di balle e distorsioni pian piano ha preso dimensioni tali da non poter più essere smantellata senza esserne travolti.

Lo si può fare adesso, come vediamo, perché l’Isis è stato sconfitto e la Siria sta uscendo dalle prime pagine. Il meccanismo, però, ha girato fino all’ultimo. Chi non ricorda le articolesse grondanti sdegno per la carneficina di Aleppo? I cannoni falciavano senza sosta i civili, l’ultimo pediatra-l’ultimo pompiere-l’ultimo blogger cadevano sotto i colpi, i bambini morivano come mosche, e tutto per colpa dei russi e degli assadiani. Pochissime parole erano state spese, negli anni precedenti, per compiangere gli aleppini bombardati giorno e notte dai “ribelli”, privati di acqua ed energia elettrica, chiusi nella parte occidentale della città e decimati giorno dopo giorno, ma pazienza. I nostri e i loro, serie A e serie B.

Poi è arrivata, in Iraq, la campagna per la liberazione di Mosul, occupata nel 2014 dall’Isis. La lunga battaglia (da ottobre 2016 e luglio 2017) è stata raccontata come una missione di gloria, tutta bella pulitina, una bomba intelligente qua, una incursione chirurgica là. Questa, sì, una cosa ben fatta.

Purtroppo sono, anche qui, arrivate le notizie vere. Gli alti comandi militari Usa parlavano di mille civili morti, e invece secondo le ricerche dell’Associated Press sono almeno 11mila. E il presidente della Commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento iracheno, Kakim al-Zamely, ha raccontato di 23 mila militari caduti in battaglia, con oltre 70 mila feriti. In questo caso, però, nessun ultimo pediatra, nessun Elmetto Bianco da candidare al Nobel per la Pace, pochissimo sdegno e via andare.

Ma il crimine più grave di questo modo di fare (dis)informazione è un altro. Sta nel fatto che è stata tolta dignità a una larga parte della popolazione siriana. Il punto non è e non è mai stato decidere se il presidente siriano è un benefattore dell’umanità o un aguzzino. Dibatterne non è lecito ma doveroso. Quello che non si doveva fare, ed è invece stato fatto, era decidere che chi non era dalla parte dei “ribelli” era un collaborazionista, un complice, un uomo o una donna in malafede, quasi di sicuro un corrotto, forse un potenziale assassino. Milioni di uomini e donne, dai vertici delle Chiese cristiane agli operai delle fabbriche distrutte, sono stati trasformati in mostri perché non la pensavano come opinion makers e giornalisti che nella maggior parte dei casi non sapevano nulla della Siria e men che meno si sognavano di metterci piede. Quel che quei milioni di siriani sentivano, ciò che loro a torto o a ragione pensavano, era senza valore. Loro stessi erano senza valore.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.




La Turchia minaccia gli Stati Uniti: "Via dalla Siria o entriamo in azione"
Lorenzo Vita
10 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/turchia- ... -cavusoglu

La Turchia avverte gli Stati Uniti: o si ritirano nei tempi previsti, o invaderà il nord della Siria. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, durante un’intervista con il canale Ntv, ha dichiarato: “Se il ritiro sarà ritardato adducendo scuse ridicole, come il fatto che i turchi stiano massacrando i curdi, cosa che non riflette la realtà, renderemo effettiva questa decisione””. E per decisione, intende quella di entrare con le forze armate nel nord della Siria.

Le frasi arrivano dopo lo scontro fra Recep Tayyip Erdogan e John Bolton. Due giorni fa, il presidente turco si è rifiutato id incontrare il Consigliere per la Sicurezza nazionale americano dopo che questi, a Gerusalemme, aveva detto di considerare prioritaria la protezione delle milizie curde. Frasi che erano state respinte dai turchi, che invece hanno detto di considerare le milizie Ypg al pari di altri gruppi terroristi, come lo stesso Stato islamico. E che adesso si preparano a entrare in azione per confermare il loro vero e unico obiettivo dall’inizio del conflitto: costruire nel nord della Siria una sorta di protettorato turco debellando la resistenza curda.

Ieri, la posizione statunitense è stata ribadita dal segretario di Stato Mike Pompeo, in missione in Iraq: “È importante fare tutto quello che è in nostro potere per assicurare che coloro che hanno combattuto al nostro fianco rimangano in sicurezza”. Il funzionario Usa, in visita a Baghdad e nel Kurdistan iracheno, ha ribadito la convinzione che il ritiro americano dalla Siria non debba avere effetti negativi sulla cooperazione tra Stati Uniti e Iraq, né sul rapporto con le forze curde impegnate sul campo.

Ma la mossa americana appare in ritardo, o quantomeno ipocrita, rispetto a quanto già realizzato (e non solo minacciato) dalle forze armate di Ankara con la complicità Usa. I curdi sono stati più volte abbandonati dal Pentagono per lasciare spazio all’alleato turco. E nonostante Erdogan continui a minacciare direttamente Washington, è del tutto evidente che fra Turchia e curdi, gli strateghi Usa abbiano già scelto: e l’opzione ricade sul Sultano. Ma con un occhio di riguardo alle milizie Ypg, che rappresentano in ogni caso una preziosa spina nel fianco, oltre che un’arma di ricatto, sia verso la Turchia che verso gli altri governi locali.

È chiaro che gli Stati Uniti non possono abbandonare la Turchia. Né la Turchia, con le sue minacce, può scegliere di punto in bianco di abbandonare la Nato e l’asse con l’Occidente. Ma Erdogan gioca in modo spregiudicato su due fronti. E questa soluzione gli consente di avere una posizione privilegiata e da battitore libero in tutto il Medio Oriente.

La guerra in Siria non è finita. E noi vogliamo tornare sul campo per raccontarvela. Scopri come aiutarci

Tanto è vero che lo stesso ministro Cavusoglu ha annunciato che i leader di Iran, Russia e Turchia si incontreranno di nuovo per discutere del futuro della Siria. Il ministro ha anche precisato che sarà il Cremlino a proporre una data per il trilaterale fra Erdogan, Vladimir Putin e Hassan Rohani. Ed è un annuncio che conferma la volontà turca di radicare i rapporti con Mosca e Teheran sul fronte siriano anche per ottenere maggiore autonomia rispetto all’Alleanza atlantica e agli Stati Uniti. E così “Vorremmo restare in contatto con la Russia durante questo processo così come con l’Iran, che è uno dei giocatori attivi nella regione, che ci piaccia o no”, ha detto Cavusoglu.

È con queste premesse che deve essere compreso l’annuncio della Turchia sulla preparazione di un’operazione in Siria. La terza, dopo Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’Ulivo. Erdogan vuole garanzie sul suo “protettorato” nel nord del Paese devastato da quasi otto anni di guerra. E la soluzione del ritiro Usa permetterebbe ad Ankara di monitorare la parte nordorientale della Siria senza avere i curdi protetti dal Pentagono e dalla coalizione internazionale a guida americana. Ecco perché Erdogan guarda a Iran e Russia e continua ad affermare che sia necessario il ritiro americano.

Ma ci sono alcuni dubbi che riguardano la possibile espansione della Turchia in Siria. Ed è per questo che la Casa Bianca e il Pentagono hanno iniziato a riflettere sul ritiro. Erdogan è legato a doppio filo alla Fratellanza Musulmana e al governo del Qatar, mentre gli Stati Uniti hanno due alleati fondamentali in Medio Oriente che vanno dalla parte opposta: Arabia Saudita e Israele. Lasciare il Sultano prenda il sopravvento rischia di essere un clamoroso boomerang che a Washington preoccupa. E molto.



Pompeo: “Ritireremo le truppe dalla Siria ma la lotta all’Isis continua”
Paolo Mastrolilli
2019/01/10

https://www.lastampa.it/2019/01/10/este ... agina.html

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha confermato il ritiro americano dalla Siria. In un conferenza stampa al Cairo, dopo l’incontro con il presidente Abdel Fatah al-Sisi, ha precisato che gli Stati Uniti ritireranno le loro truppe. “La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stata presa, lo faremo”. Ha aggiunto però che l’America continuerà a combattere “il terrorismo dell’islam radicale”. La minaccia, ha detto “è reale, l’Isis esiste ancora, lo combatteremo in molte regioni del mondo, il nostro impegno è reale”. In Siria, dopo il ritiro dei militari sul terreno, “lo faremo in altri modi”, verosimilmente con raid e azioni di commando come già per esempio in Yemen.

Il discorso all’Università americana

Pompeo ha poi tenuto nel pomeriggio l’atteso discorso all’Università americana, incentrato sulla politica dell’Amministrazione Trump in Medio Oriente e sulle minacce dell’Iran. Il capo della diplomazia americani ha detto che gli Usa si impegneranno con l’appoggio degli alleati affinché “l’Iran lasci la Siria, fino all’ultimo stivale”, ma lo faranno con mezzi diplomatici. Poi ha aggiunto che gli Stati Uniti non possono accettare che Hezbollah come “importante presenza” in Libano e faranno in modo che venga ridotto il suo arsenale di razzi e missili. Pompeo ha insistito che l’America è “una forza del bene” e le sue forze armate sono impegnate a liberare i Paesi, non a occuparli. Ha rassicurato gli alleati che la presenza americana nella regione non è in discussione, anche se i Paesi arabi devono impegnarsi di più “contro l’estremismo” e contro le interferenze iraniane. Le dichiarazione arrivano dopo le tappe in Iraq e Giordania, altri Paesi in prima linea contro l’Isis. Il segretario di Stato visiterà anche i Paesi del Golfo, compresi Qatar e Arabia Saudita.



Trump e il lento ritiro dalla Siria: le due condizioni poste dai suoi consiglieri
Guido Olimpio
7gennaio 2019

https://www.corriere.it/esteri/19_genna ... 0e0b.shtml


Nulla è definitivo nella crisi siriana. Non potrebbe essere diverso visto i mutamenti di posizione repentini, le manovre, i tanti attori. Nelle ultime ore gli Usa hanno ricalibrato l’agenda per l’eventuale ritiro delle truppe mentre HTS, coalizione di ispirazione qaedista, ha dato una grande spallata nel nord. E il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha riferito che la Turchia ha promesso di continuare la campagna contro l’Isis dopo il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e di proteggere i combattenti curdi (alleati degli americani), che temevamo un’offensiva di Ankara.

Rientro prudente

Donald Trump aveva intimato un rientro entro 30 giorni dei circa 2 mila soldati impegnati nella parte orientale e nel sud della Siria. Poi ha deciso di concedere più tempo al Pentagono orfano del suo stratega, Jim Mattis, costretto alle dimissioni perché contrario a questa politica: allora - è stato detto - il contingente tornerà a casa entro 120 giorni. Infine una nuova precisazione. Il presidente ha dichiarato di voler un rientro cauto e prudente, ma ha ribadito che il “tutti a casa” è confermato. La puntualizzazione è coincisa con la missione nella regione del suo consigliere, John Bolton, che ha visitato Israele e sarà poi in Turchia. L’alto esponente statunitense è noto come “interventista”, specie in chiave anti-Iran, e raccoglie gli umori dell’establishment che non condivide la “visione” della Casa Bianca.

Le due condizioni

Proprio Bolton ha spiegato che i soldati americani faranno i bagagli solo dopo la sconfitta totale dell’Isis e se la Turchia garantirà che non lancerà l’offensiva contro i curdi siriani dell’YPG, alleati fondamentali dell’Occidente nella guerra al Califfato. Quindi ha aggiunto che nuclei di militari potrebbero restare nella base di al Tanf, nella zona sud della Siria. Un avamposto creato pensando ad un contrasto dell’azione iraniana. E, in futuro, come è stato sottolineato dalla stessa amministrazione potrebbero esserci azioni di forze speciali Usa a partire dall’Iraq. Questi sono i desideri del Pentagono che però si scontrano con la volontà di Trump, deciso a disimpegnarsi lasciando che siano Turchia, Russia e Iran a occuparsi del “calderone”. Non è contento neppure Israele, che teme di restare isolato. In questo vuoto si è ipotizzato anche un rilancio della vecchia idea di The Donald: mandare nella zona curda reparti forniti da paesi musulmani amici (Emirati, Marocco, Egitto…). Un piano che dovrebbe legarsi ad un programma di ricostruzione per villaggi e città devastate dal conflitto. Ma l’opzione B pare più un auspicio (forse un sogno) oppure è solo un tentativo di sondare il terreno in vista di future sistemazioni. Necessarie. Anche perché lo Stato Islamico, per quanto in ritirata, continua a colpire con la tattica della guerriglia/terrorismo. Lunedì un attacco suicida ha causato molte vittime a Raqqa.

I ribelli

Interessante, intanto, la manovra a sorpresa condotta dal movimento Hayat Tahrir Al Sham. Ben organizzato, con un buon arsenale, ha conquistato posizioni che erano tenute da guerriglieri filo-turchi a ovest di Aleppo e fin verso il confine con la Turchia. Notevole il bottino di guerra strappato agli avversari. La fazione, che sul piano formale si è distanziata dalla casa madre qaedista, cerca di incamerare chilometri quadrati di territorio e località per diventare l’interlocutore principale nel caso di trattative.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 11:13 am

RISPOSTE AGLI ASSADISTI
Daniele Raineri, Il Foglio

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

È vero che Assad sta vincendo la guerra e l’esito è ormai scontato, ma ha ancora molte battaglie davanti. E soffre di un problema enorme: la mancanza di soldati. Non lo dicono la Cia o George Soros, l’ha detto lui stesso in un discorso in tv mentre ringraziava pubblicamente la Russia per l’aiuto. Mancano i soldati, sette anni di guerra civile hanno ridotto l’esercito siriano all’ombra di quello che era prima – tra perdite, ammutinamenti e diserzioni. Il che spiega perché soltanto di recente Assad ha cominciato la battaglia per riprendere la zona della Ghouta, che dista soltanto dieci chilometri dal centro della capitale, e così sloggiare le migliaia di guerriglieri locali che in tutti questi anni gli avevano resistito. Ha un bisogno estremo di rimpinguare i suoi reparti. La polizia batte le università e i posti di blocco per cercare giovani che hanno approfittato del caos della guerra per fuggire dal servizio militare, le mazzette per evitare l’arruolamento coatto hanno raggiunto prezzi stellari e tutti i gruppi ribelli che capitolano – grazie ai mediatori russi – e che non accettano il trasferimento verso le zone ancora ribelli sono prontamente riciclati in milizie filogovernative, proprio per supplire alla scarsità di uomini. Tra poco comincerà un’offensiva per liberare il campo di Yarmouk, che è un quartiere a sud della capitale in mano allo Stato islamico e i reparti che saranno mandati avanti sono tutti formati da ex ribelli.

Per vincere Assad doveva prendere Duma, una cittadina che in tempi normali ha centodiecimila abitanti e dista pochi chilometri dal centro di Damasco. Dentro Duma erano ancora trincerati ottomila combattenti del gruppo Jaish al Islam, con almeno trenta pezzi d’artiglieria e centinaia di ostaggi, e il tutto era complicato dalla presenza di quarantamila civili. Questi dati non sono mai citati, ma è chiaro che sarebbe stata una battaglia violentissima. Ricordiamo cos’è successo agli americani quando tentarono di riprendere Fallujah in Iraq nel 2004? Ci vollero quasi due mesi per vincere contro meno di quattromila guerriglieri – e gli americani non ci andarono leggeri: proiettili incendiari al fosforo bianco, munizioni perforanti all’uranio impoverito – e alla fine la città era un cumulo di rovine. E più di recente si può ricordare cosa è successo in Libia, a Sirte, quando seimila combattenti delle milizie locali appoggiati dagli aerei americani provarono a prendere a strappare la città in mano a un numero non meglio definito di fanatici dello Stato islamico – tra i duemila e i tremila. Ci vollero sei mesi di scontri casa per casa e strada per strada e quando finirono, a dicembre 2016, soltanto un combattente libico su sei tornò a casa sulle sue gambe: gli altri cinque o erano feriti o erano morti. Nella guerra civile siriana, dove gli uomini a disposizione sono molti meno, le battaglie si trascinano per tempi lunghissimi. Quando gli assadisti hanno tentato di prendere Darayya, un sobborgo di Damasco in mano a ribelli che non erano né dello Stato islamico né di al Qaida, ci misero tre anni, dal 2013 al 2016, pur con bombardamenti aerei e di artiglieria intensissimi. E finì con un accordo di resa, altrimenti sarebbe andata ancora avanti. E questo ci riporta al problema della scarsità di soldati: il governo siriano può permettersi una battaglia di Fallujah? Sapendo che ce ne saranno anche altre? Chi dice che Assad non aveva ragioni tattiche per usare le armi chimiche dovrebbe prima provare a cacciare il Jaish al Islam da Duma.

Assad ha usato la scorciatoia chimica perché gli mancano gli uomini, ma non c’è soltanto questo motivo. Il rais sta vincendo ma ha il problema enorme di come controllare la popolazione che gli si è rivoltata contro. Quindi ha bisogno di molta manovalanza anche per il dopo, perché prima della guerra civile esercitava un controllo di sicurezza capillare, deve riportare le forze di sicurezza a quel livello. E deve anche spezzare la volontà dei siriani che gli si sono opposti. Chi si è ribellato ed è sopravvissuto dev’essere persuaso che la rivoluzione è impossibile oltre che inutile. I baathisti non cercano soltanto la vittoria, ce l’hanno già quasi in tasca grazie all’aiuto ricevuto dall’Iran e alla Russia, vogliono anche la capitolazione morale e psicologica dei nemici. È una versione contemporanea di una lezione che i classici conoscevano bene. Pensate ai romani che spargono il sale sulle rovine di Cartagine in modo che non cresca l’erba e in modo che le rovine stesse restino come ammonimento. Pensate a Omero che racconta di come Achille lega il cadavere di Ettore al suo carro e poi lo fa passare sotto le mura di Troia, in modo da terrorizzare gli assediati che avevano appena perso il loro campione. Oppure pensate ancora al dittatore iracheno Saddam Hussein, che ordinò una rappresaglia tremenda contro gli sciiti quando si ribellarono contro di lui nel 1991 – e aveva appena perso la guerra del Golfo contro gli americani. Quando Human Right Watch ebbe accesso all’Iraq tra il 2003 e il 2006 trovò più di duecento fosse comuni, una secondo le stime conteneva più di diecimila cadaveri. Senza andare lontano, c’è l’esempio di Hama in Siria: nel 1982 quando la rivolta della Fratellanza musulmana era ormai domata il padre di Assad, Hafez, ordinò ai soldati guidati da suo fratello Rifat di radere al suolo un terzo della città con l’artiglieria. Il numero di morti non fu mai chiarito, è fra i diecimila e i quarantamila. La lezione fu recepita. C’è voluta un’altra generazione perché qualcuno si ribellasse alla dinastia Assad.

Duma è caduta grazie all’uso di armi chimiche? Potrebbe essere. Jaish al islam era impegnato in trattative con i russi, ma si erano arenate. I governativi siriani sono intervenuti a modo loro. Il giorno della rottura dei negoziati, nel pomeriggio, ci sono stati due bombardamenti con armi chimiche, alle quattro e alle sette e trenta. Il giorno dopo la strage il gruppo ha accettato la capitolazione. Un combattente del gruppo, Yasser Dalwan, ha detto a Josie Ensor, corrispondente del Telegraph a Beirut: “Certo che l’attacco chimico è stato la cosa che ci ha spinti ad accettare l’accordo”.

Molti dicono che si è trattata di una strage fatta da qualcun altro per incolpare il governo siriano e attirare un intervento internazionale.

Ecco il fatto incredibile: chi dice queste cose – quindi chi sostiene la teoria dell’operazione false flag – rifiuta di portare anche soltanto un piccolo elemento di prova per corroborare la sua tesi. Non spiega chi sarebbe allora il responsabile della strage. E non spiega come avrebbe fatto materialmente a fare la strage. Il mandante misterioso ha inviato una sua squadra provvista di tute e maschere antigas dentro una città assediata fuori da militari dal grilletto facile e dentro piena zeppa di ribelli islamisti – e bombardata dall’alto a ciclo continuo – per soffocare decine di uomini, donne e bambini con armi chimiche tra le quattro e le sette di pomeriggio e poi l’ha fatta uscire, senza che nessuno la vedesse? Oppure ha bombardato Duma dall’alto con aerei invisibili che sono sfuggiti agli altri aerei e ai radar nella zona più sorvegliata del pianeta, da Russia, America, Iran, Siria, Israele e altri? Oppure ha convinto i ribelli a uccidere le loro famiglie – o a suicidarsi assieme a loro – in una strage false flag per far scattare l’intervento internazionale e loro sono stati così scemi da accettare dopo che le due stragi precedenti, 1.400 morti nell’agosto 2013 e cento morti nell’aprile 2017, non hanno impedito a Bashar el Assad di vincere la guerra? Non solo, ma mentre la mano misteriosa faceva questo, due elicotteri siriani dello stesso tipo usato per sganciare barili bomba al cloro sono decollati dalla vicina base aerea di Dumayr e hanno sorvolato la zona colpita. La mano misteriosa non è soltanto intrepida e letale, ha anche un tempismo perfetto (sarcasmo). Ci chiedono di credere a un complotto dalla realizzazione enormemente complessa – non una, ma tre volte – e non c’è un briciolo di prova. Eppure chi ne parla non si sente mai in obbligo di spiegare, anzi crede di fare la figura di quello intelligente. Diciamolo: se il governo americano o il governo israeliano provassero a dire che i loro nemici si sono ammazzati da soli, o che una mano misteriosa li ha ammazzati al posto loro, sarebbero subissati dal ridicolo in eterno. C’è un doppio standard: la Russia e Assad parlano e dovremmo creder loro sulla fiducia.

Non sarà come nel 2003, quando il segretario di Stato americano, Colin Powell, andò alle Nazioni Unite a mostrare la fialetta con l’antrace per giustificare l’invasione americana in Iraq e poi si scoprì che Saddam Hussein non aveva alcuna arma di distruzione di massa?

È l’esatto contrario. Colin Powell andò davanti alle Nazioni Unite il 5 febbraio per convincere l’assemblea che Saddam aveva armi di distruzione di massa e che quindi il regime change in Iraq era necessario. In Siria il governo siriano ha ammesso di avere le armi chimiche nel luglio 2012 e le Nazioni Unite hanno dimostrato che il governo siriano ha usato le armi chimiche. A ottobre 2017 la commissione d’inchiesta dell’Opcw ha stabilito che il bombardamento con l’agente nervino che ha ucciso cento persone a Khan Sheikoun vicino Idlib nell’aprile 2017 è responsabilità del governo siriano. Ha inoltre stabilito che l’agente nervino usato nel massacro della Ghouta che uccise 1.400 persone nell’agosto 2013 è lo stesso delle scorte del governo siriano (grazie ad alcuni elementi chimici in comune). Si capisce la differenza no? Colin Powell cercava di convincere le Nazioni Unite che in Iraq c’erano armi di distruzione di massa, ma non furono trovate. In Siria le Nazioni Unite dicono che ci sono armi chimiche (e l’ha detto anche il governo siriano) e ne vediamo gli effetti quando sono usate. Il paragone con la fialetta di Powell è folle.

I russi dicono che non c’è stato alcun attacco chimico.

La posizione del governo russo e di quello siriano è che non c’è nulla di vero. L’attacco è un’invenzione, le vittime con la schiuma alla bocca filmate mentre agonizzano sono un’invenzione, i morti e i funerali pure sono un’invenzione. Una messinscena enorme ordita da potenze straniere. La posizione del governo iraniano invece è diversa, sostiene che la strage c’è stata ma che è stata fatta dai ribelli per incolpare Assad. Mercoledì la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha scritto forse in un momento di confusione che se gli americani attaccano è per cancellare le prove della strage con armi chimiche, quindi in un colpo solo ha ammesso che la strage è vera e ne ha incolpato gli americani. Poi la versione russa è tornata quella di prima: non c’è nulla di vero. Il giorno dopo l’attacco la zona è stata evacuata dai ribelli ed è passata sotto il controllo di governativi siriani e di militari russi. I militari russi hanno detto che non c’è alcun segno di un attacco chimico, anche se esistono i filmati e le foto che mostrano i serbatoi caduti dall’alto con agenti tossici. In realtà i segni ci sono. L’Organizzazione mondiale per la Sanità a Damasco ha detto di avere soccorso cinquecento persone con sintomi di soffocamento. I media internazionali hanno raccolto le testimonianze di chi c’era – anche di medici, che per primi hanno riconosciuto i sintomi – che sono concordanti fra loro e concordano con i video e le fotografie. Damasco e Mosca hanno chiesto all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di mandare una missione investigativa. Però l’ultima missione investigativa dell’Opcw ha stabilito che il governo siriano è colpevole della strage con armi chimiche dell’aprile 2017 e per questo a novembre 2017 la Russia ha sciolto con un veto alle Nazioni Unite quella commissione. Insomma, chiamare la missione è un espediente per prendere tempo, tanto poi ignoreranno le conclusioni.

Ma anche i ribelli hanno usato le armi chimiche.

Ci sono due grandi equivoci in questa frase. Il primo è che gli attacchi chimici sono di due categorie, quelli rudimentali fatti con le bombe al cloro – che in molti casi non fanno vittime e creano soltanto panico, a uccidere è più che altro l’esplosione – e quelli sofisticati eseguiti con agenti molto complessi da produrre e da custodire come il sarin, che è molto corrosivo e può essere prodotto soltanto poco prima dell’uso. Il secondo equivoco è che non si tratta di “ribelli”: soltanto lo Stato islamico ha usato il cloro per arricchire le sue bombe e creare una zaffata verdognola e tossica post esplosione, e soltanto molto di rado negli anni passati. Gli attacchi di questo tipo non hanno mai fatto vittime su scala comparabile agli attacchi sofisticati del secondo tipo, anzi è proprio difficile trovare dei casi accertati. Gli attacchi con il sarin che uccidono decine di persone sono riconducibili soltanto al governo. I ribelli assediati a Ghouta non erano dello Stato islamico e non usano le bombe al cloro.

Il capo di stato maggiore russo, Valery Gerasimov, il 13 marzo ha detto che ci sarebbe stato un attacco contro i civili con armi chimiche e che sarebbe stato il risultato di un’operazione false flag per incolpare il governo siriano. Ventisei giorni dopo quell’attacco c’è stato. Come la mettiamo?

L’avvertimento del generale russo è facile da spiegare se si conta che in Siria ci sono stati molti più attacchi con armi chimiche di quanti ne abbia registrato l’opinione pubblica mondiale. Dall’agosto 2013 sono stati 85 e di solito sono minori, con il cloro, con pochissime vittime o zero vittime e non riescono a superare la soglia dell’attenzione dei media. Russia e Siria non sono un monolite che prende decisioni all’unisono, a volte divergono senza darlo troppo a vedere. Per esempio Mosca aveva chiesto al presidente Bashar el Assad di non tenere le elezioni presidenziali del 2014, per rendere meno problematici i negoziati, ma lui era andato avanti lo stesso. Se Gerasimov temeva che i siriani avrebbero forzato la mano e usato le armi chimiche, allora conveniva mettere le mani avanti e parlare in anticipo di una messinscena pianificata fuori dalla Siria per dare la colpa ad Assad. Inoltre c’è la possibilità che i siriani non volessero compiere un bombardamento così serio, talmente serio da finire sui media internazionali, ma un attacco in scala minore per mettere pressione sugli assediati. Una bomba con un agente tossico ha sfondato il tetto di un edificio che era affollato di gente che scappava alle bombe convenzionali. Se avesse centrato un altro tetto, il numero delle vittime sarebbe stato molto inferiore.

La Ghouta era infestata da un gruppo di combattenti salafiti, il Jaish al islam, appoggiato dall’Arabia saudita.

Vero. Ma l’ideologia del Jaish al islam – che si è macchiato di delitti e ha sequestrato non soltanto molti alawiti ma anche molti siriani moderati e riformisti che lottavano per cambiare il sistema politico del paese – non cancella il problema centrale: le armi chimiche colpiscono indiscriminatamente tutti, combattenti e civili. Chi le usa in zone assediate e densamente popolate accetta il fatto che donne e bambini e civili che non c’entrano nulla con la guerra e non sono riusciti a scappare moriranno soffocati, con i polmoni progressivamente paralizzati da un agente nervino che impedisce loro di riempirsi d’aria. In quanto all’ideologia molto rigida del Jaish al islam, c’è un velo di ipocrisia da parte degli accusatori. Uno dei migliori alleati di Vladimir Putin è il ceceno Ramzan Kadyrov, che governa la Cecenia imponendo un codice islamico molto stretto e simile – molto vicino al Jaish al islam. L’altro grande alleato della Russia nella guerra siriana è l’Iran, che è una teocrazia sciita impegnata a esportare la rivoluzione khomeinista nella regione mediorientale. Un altro alleato della Russia è il generale Khalifa Haftar, in Libia, che riesce a governare Bengasi e la Cirenaica soltanto grazie a un accordo con le fortissime milizie salafite locali. Se qualcuno provasse a camminare con una donna senza velo a Grozny, a Teheran o a Bengasi, capirebbe che c’è una verità taciuta ed è che gli islamisti sono molto comodi quando sono nostri alleati e sono sempre spaventosi quando combattono a fianco dei nostri nemici. Il Jaish al islam non ha rapporti con lo Stato islamico, anzi nelle zone che controlla lo ha sradicato con efficienza.

Il segretario alla Difesa americana, James Mattis, ha detto in una conferenza stampa a febbraio che non ci sono prove che la Siria abbia usato il gas sarin, come risulta da un articolo del settimanale americano Newsweek.

Si tratta di una bufala. Mattis in quell’occasione disse che non c’erano prove che il governo siriano avesse usato di nuovo il sarin nei mesi intercorsi tra l’attacco dell’aprile 2017 e febbraio 2018. La sua dichiarazione, che è integrale nella trascrizione della conferenza stampa, è stata tagliata per far sembrare che Mattis abbia detto che il governo siriano non ha mai usato l’agente nervino. Ci vuole meno di un minuto per smontare questa bufala, ma gira ancora.

Se l’Amministrazione Trump lancia un raid punitivo contro la Siria, c’è il rischio di una escalation con i russi e di scatenare la Terza guerra mondiale.

Nel 2013, quando l’Amministrazione Obama parlò di un’operazione di rappresaglia contro la Siria per bloccare l’uso di armi chimiche, il segretario di Stato John Kerry precisò che sarebbe stata un’operazione “unbelievably small”, incredibilmente piccola. Poi non ci fu nessuna operazione, ma a Washington sono sempre stati consapevoli che c’è un rischio di escalation e che è necessario evitarlo. Nell’aprile 2017 il raid punitivo autorizzato da Trump fu lanciato soltanto dopo avere avvertito i russi, e a rimetterci furono soltanto sei soldati siriani uccisi dai missili Tomahawk dentro la base a cui facevano la guardia. Anche oggi c’è enorme cautela: i media stanno dicendo che russi e americani si stanno mettendo d’accordo sulla lista dei bersagli e questo fa apparire l’ipotesi terza guerra mondiale molto più remota. Le dichiarazioni dei giorni scorsi erano molto aggressive, la realtà è diversa. Forse è questo il problema di fondo. La minaccia è sempre così blanda e poco credibile che Assad non rinuncia alle armi chimiche, perché sono la sua garanzia di sopravvivenza. E’ la stessa ragione per cui la Corea del nord compie periodicamente test nucleari.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 8:50 pm

AVVERTIMENTO alla Turchia

Niram Ferretti
14 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il Trump che mi piace è quello non solo che minaccia ma che dalle minacce passa ai fatti.

Sentirlo dire che se la Turchia attacherà gli alleati curdi in Siria verrà devastata economicamente fa piacere.

Ian Bremmer, presidente del think tank Eurasia Group, l'ha definita "la più straordinaria minaccia diretta che io abbia mai visto da un Presidente contro un alleato della Nato".

Il ritiro americano dalla Siria, deciso soprattutto per motivi di consenso elettorale più che di vera e propria necessità geopolitica, aveva suscitato una forte levata di scudi soprattutto in campo repubblicano.

Era un segreto di Pulcinella che John Bolton, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, desiderava che le truppe americane restassero in Siria per vigilare nei confronti delle mire espansionistiche iraniane. Lo aveva dichiarato pubblicamente durante un incontro con la stampa, avvenuto all'ONU un mese. Di tutto questo Trump ne ha dovuto tenere conto.

Il durissimo discorso di Mike Pompeo al Cairo, vera e propria pietra tombale sulla dottrina Obama di appesament con l'Iran, la ribadita rassicurazione a Israele di una vicinanza inossidabile e ora l'avvertimento perentorio alla Turchia, raddrizzano in parte la barra, nonostante continui, personalmente, a ritenere la decisione di lasciare la Siria un errore.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mer gen 16, 2019 4:24 am

Israele bombarda depositi di missili iraniani in Siria. Disappunto russo
BySarah G. Frankl
Gennaio 12, 2019

https://www.rightsreporter.org/israele- ... AOddesKOpQ

Nuovo attacco israeliano in Siria contro obiettivi iraniani e terroristici
Un nuovo attacco israeliano contro depositi di missili iraniani destinati a Hezbollah è avvenuto ieri sera poco prima della mezzanotte.
Secondo media siriani ad essere colpito è stato un deposito di missili iraniani situato a ridosso dell’aeroporto di Damasco, anche se a questo riguardo le notizie sono contraddittorie.

L’Agenzia di stampa siriana SANA non dice se l’obiettivo è stato colpito o meno ma sostiene che la contraerea siriana avrebbe abbattuto almeno otto missili lanciati dai jet israeliani. Altre fonti della resistenza siriana sostengono invece che i missili israeliani hanno distrutto il magazzino.
La TV libanese Al-Manar, di proprietà di Hezbollah, pur non dicendo se i missili israeliani hanno colpito o meno i loro obiettivi, parla di “un attacco di vasta portata” che avrebbe preso di mira tre obiettivi. Una versione confermata parzialmente anche da un portavoce dell’esercito israeliano il quale ha detto che i jet israeliani hanno attaccato e colpito diversi obiettivi situati in tre luoghi ben distinti e che gli obiettivi erano principalmente strutture di stoccaggio e logistica utilizzate dall’Iran per spedire armi a Hezbollah.
Secondo fonti libanesi i caccia israeliani avrebbero violato lo spazio aereo del Libano per raggiungere i loro obiettivi.

Critiche dalla Russia

Dure critiche sono arrivate dalla Russia. Mosca ha parlato nuovamente di “attacco provocatorio” da parte di Israele. Nell’ultimo attacco israeliano in Siria avvenuto lo scorso 25 dicembre, il Cremlino aveva affermato che l’attacco aveva messo in grave pericolo due voli civili e aveva ammonito Israele a non compiere nuovi attacchi in Siria.

Ma in Israele non si curano degli “ammonimenti” russi e vanno avanti per la loro strada. Il comando dell’IDF ha ribadito infatti che le operazioni militari per impedire la consegna di armi iraniane a Hezbollah e il radicamento di Teheran in Siria andranno avanti fino a quando a Gerusalemme lo riterranno necessario.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:03 pm

Israele bombarda obiettivi Iran in Siria
Insolita dichiarazione ufficiale, 'Damasco non ci colpisca'
21 gennaio 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... d8cc8.html

Con una mossa davvero insolita, l'esercito israeliano ufficializza l'attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria e intima alle autorità siriane di non vendicarsi contro Israele. La dichiarazione arriva ore dopo il bombardamento aereo diurno effettuato nei pressi dell'aeroporto internazionale di Damasco. Fino ad ora Israele non aveva mai ammesso operazioni militari nella vicina Siria. Obiettivo di Israele è la 'Forza Qods' iraniana in territorio siriano.

L'aviazione israeliana ha condotto la scorsa notte un esteso attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria. Lo ha riferito il portavoce militare precisando che esso è avvenuto in risposta al lancio di ieri di un razzo terra-terra iraniano verso una località sciistica israeliana sul Monte Hermon (alture del Golan), che è stato peraltro intercettato in volo. Le forze armate israeliane, ha avvertito il portavoce, "restano determinate ad agire per impedire il rafforzamento iraniano in Siria".

Il portavoce militare ha precisato che l'aviazione israeliana ha colpito in Siria diversi obiettivi della forza 'Quds' iraniana fra cui "magazzini di munizioni ed installazioni vicine all'aeroporto di Damasco, un sito dell'intelligence ed un campo di addestramento delle forze armate iraniane". Durante l'attacco verso i jet israeliani sono stati lanciati decine di razzi terra-aria siriani e di conseguenza sono state colpite anche batterie della difesa aerea della Siria. Secondo la radio militare, tutti gli aerei israeliani sono rientrati indenni alle loro basi. Per ragioni prudenziali, il sito sciistico israeliano del Monte Hermon - dove ieri al momento del lancio del razzo iraniano si trovavano circa 5.000 escursionisti - resterà oggi chiuso. Nel suo comunicato il portavoce militare afferma che "sparando ieri verso Israele l'Iran ha dato la prova definitiva delle sue reali intenzioni in Siria" ed ha aggiunto che da parte sua il regime siriano resta responsabile per tutto quanto avviene nel suo territorio.

"Il missile terra-terra di media gittata di ieri contro le Alture del Golan controllate da Israele è di produzione iraniana e non è mai stato usato all'interno della guerra in Siria". Lo ha spiegato ai giornalisti il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus secondo cui "il missile è stato portato in Siria dall'Iran con l'intento di colpire nel futuro Israele". "Quello di ieri sul Monte Hermon - ha concluso - è stato un attacco premeditato in un'aerea dove c'erano migliaia di civili israeliani".

Netanyahu, non possiamo ignorare minacce dell'Iran - "Non possiamo ignorare le esplicite dichiarazioni di Teheran sulla sua intenzione di distruggerci così come sostenuto dal comandante dell'aviazione iraniana". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu per il quale Israele non può soprassedere anche "agli atti di aggressione dell'Iran e ai suo tentativi di rafforzarsi militarmente in Siria". "Chi cerca di colpirci, noi lo colpiamo. Chi minaccia di distruggerci - ha concluso - subirà le conseguenze".

Iran:capo aeronautica, impazienti di eliminare Israele - L'Iran è "impaziente di combattere il regime sionista", cioè Israele, ed "eliminarlo dalla Terra". Lo ha affermato oggi il comandante dell'aeronautica di Teheran, generale Aziz Nasirzadeh, dopo gli attacchi aerei di Israele in Siria diretti contro installazioni militari iraniane. Lo riferisce la televisione di Stato.
Le giovani generazioni iraniane si stanno addestrando per "il giorno promesso", ha aggiunto il generale, riferendosi evidentemente ad un presunto scontro aperto con Israele. "Assicuriamo il popolo iraniano - ha aggiunto Nasirzadeh - che siamo pronti a rispondere ad ogni minaccia e che i nemici non oseranno invadere il territorio dell'Iran".

Mosca, forze Damasco hanno distrutto 30 razzi Israele - Le forze di difesa aerea siriane hanno distrutto oltre 30 missili da crociera e bombe guidate durante l'attacco israeliano nelle prime ore di oggi: lo sostiene il ministero della Difesa russo, citato dall'agenzia Interfax.

"Quattro soldati siriani sono stati uccisi e sei hanno riportato ferite" nel raid israeliano in Siria: lo riferisce il Centro di Controllo di difesa nazionale del ministero della Difesa russo.

L'aeroporto di Damasco ha subito dei danni "parziali" in seguito ai raid israeliani in Siria: sostiene sempre il Centro di Controllo di difesa nazionale del ministero della Difesa russo. "L'attacco - fanno sapere i russi - ha arrecato danni parziali all'infrastruttura dell'aeroporto internazionale di Damasco".

Ong,raid Israele uccide 11 militari e miliziani - E' di 11 uccisi, tra militari e miliziani, il bilancio dei raid aerei israeliani compiuti nelle ultime ore nella zona di Damasco in Siria contro obiettivi iraniani, secondo quanto riferito dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). In precedenza, fonti russe avevano parlato di 4 militari siriani uccisi. Mentre l'Ondus afferma che due soldati siriani sono stati uccisi assieme a nove miliziani non meglio precisati.



GIOCO SPORCO
Niram Ferretti
21 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La Siria gioca con il fuoco e il fuoco brucia. Il missile iraniano lanciato ieri in territorio israeliano è potuto partire grazie al consenso di Assad. Israele ha risposto prontamente con un attacco concentrato e massiccio e continuerà a farlo. L'Iran alza il tiro? Israele risponde senza esitazione. E il messaggio arriva a diversi destinatari contemporaneamente, Khamenei, Assad e Putin.

I jet dell'IDF hanno colpito vari magazzini contenenti bombe, di cui uno vicino all'aeroporto di Damasco insieme a un campo di addestramento militare delle Guardie Rivoluzionarie.

Israele non permetterà l'insediamento dell'Iran in Siria. Assad è di nuovo in sella, grazie a Putin e a Khamenei, ma non ha capito bene che le due garanzie non sono sufficienti a mantenerlo dove si trova, soprattutto se continuerà a giocare sporco nei confronti di Israele permettendo all'Iran di usare il territorio siriano per insidiare lo Stato ebraico.

A sua volta, Putin, non ha nessuna convenienza a che lo scontro tra Israele e l'Iran si innalzi. Putin vuole la stabilità regionale e questa non può certo essere garantita se l'Iran continuasse nel suo proposito di volersi insediare sul territorio siriano.

Nel mentre, le truppe americane di stanza sono ancorà in Siria. Ci vorrà molto tempo prima che smobilitino. Erdogan, dopo l'iniziale esultanza alla dichiarazione di Trump di smobilitare le truppe ha ricevuto una bella doccia fredda. E chi vuole vedere dietro l'allungamento dei tempi il ruolo giocato da John Bolton e Mike Pompeo, vede giusto.




Iran, il delirio, l’odio, la follia “Impazienti di eliminare il regime sionista dalla terra”
21 gennaio 2019

http://www.italiaisraeletoday.it/iran-i ... alla-terra

L’Iran è “impaziente di combattere il regime sionista”, cioè Israele, ed “eliminarlo dalla Terra”. Lo ha affermato oggi il comandante dell’aeronautica di Teheran, generale Aziz Nasirzadeh, dopo gli attacchi aerei di Israele in Siria diretti contro installazioni militari iraniane. Lo riferisce la televisione di Stato.

Le giovani generazioni iraniane si stanno addestrando per “il giorno promesso”, ha aggiunto il generale, riferendosi evidentemente ad un presunto scontro aperto con Israele. “Assicuriamo il popolo iraniano – ha aggiunto Nasirzadeh – che siamo pronti a rispondere ad ogni minaccia e che i nemici non oseranno invadere il territorio dell’Iran”.



Gli attacchi israeliani in Siria spiegati a chi non li comprende
Marco Loriga
Gennaio 23, 2019

https://www.rightsreporter.org/gli-atta ... -comprende

Vale la pena spiegare bene i motivi degli attacchi israeliani in Siria specie a chi, in particolare sui social, non li capisce o fa finta di non capirli

Dopo la prima ondata di attacchi delle IDF contro gli obbiettivi iraniani in Siria (e la contraerea siriana) il brigadier generale Aziz Nasirzadeh ha dichiarato che “i giovani dell’aeronautica iraniana sono pronti e impazienti di confrontarsi con il regime sionista e di eliminarlo dalla faccia della terra” , come riportato dalla Reuters.

Questa dichiarazione è solo l’ultima di una serie di minacce che il regime degli ayatollah rivolge verso quello che considerano “il piccolo satana” (il grande satana sono gli USA per chi non lo sapesse).

Minaccia fine a se stessa perché, anche se nelle basi siriane ci sono caccia iraniani oppure piloti iraniani ai comandi di caccia siriani (più probabile visto la carenza di uomini che affliggono le forze armate di Assad dopo anni di guerra civile), non sono comunque all’altezza di quelli israeliani, sia per addestramento che per arretratezza tecnologica di mezzi, come abbiamo scritto più volte in questo sito.

Gli attacchi chirurgici sono avvenuti a causa di un missile lanciato verso la località sciistica sul monte Hermon, intercettato con successo dal sistema difensivo Iron Dome. Si tratta del più intenso attacco dopo l’annuncio del disimpegno americano nella zona nord della Siria. Ci sono però alcune cose da mettere in chiaro, che abbiamo scritto più volte ma che vale la pena elencare allo scopo di rispondere ai vari commenti inesatti e più o meno provocatori apparsi sui social e in qualche sito:

Con questi attacchi Israele non fa il gioco dell’ISIS, anche perché ormai è stato sconfitto. Semmai è la Turchia che fa (o faceva) il suo gioco, funzionale in chiave anti-curda.

Israele non era e non è tuttora interessata ad abbattere Assad (lo era la Francia di Hollande, lo era Erdogan e ci stava pensando pure Obama ma fu stoppato dal Pentagono) anche perché quel fronte era relativamente tranquillo a parte qualche scaramuccia (che sono normali nelle zone dove vige un “cessate il fuoco”).

L’operazione Good Neighbor ha permesso l’assistenza verso la popolazione siriana con l’allestimento di ospedali da campo sulle Alture del Golan. Un paese che vorrebbe destabilizzarne un altro non farebbe una cosa simile (vedi sito www.idf.il/en o anche in questo sito).

L’assenza, tra le 11 vittime, di russi indica che il canale preferenziale tra i governi di Gerusalemme e Mosca funziona ancora bene nonostante qualche protesta russa.

Israele non ha bisogno dell’ok degli USA o del suo appoggio diretto in quanto in caso di minaccia verso la sicurezza nazionale agisce in autonomia come stato sovrano (e come ha fatto già in passato anche nelle operazioni segrete come OPERA del 1981 e ORCHARD del 2007). L’Iran trincerato in Siria che rifornisce Hezbollah (quello dei presepi della Meloni…) e annunciano morte a Israele e agli ebrei sono una seria minaccia.

Ovviamente un paese con un opinione pubblica spiccatamente pacifista come quella italiana inorridisce ogni volta che ci sono questi raid con un intensità maggiore come quest’ultimo, nonostante vengano colpiti obbiettivi specifici già studiati e localizzati in anticipo. I più che non hanno conoscenze specifiche o gli anti-militaristi pensano che gli attacchi aerei siano come nella seconda guerra mondiale, cioè radere al suolo un intera città.

Mentre alcuni si accorgevano tardivamente della escalation tra Iran e Israele, altri faranno finta di nulla per il prossimo meeting che si terrà a Varsavia il prossimo febbraio, organizzato da Stati Uniti e Polonia sul terrorismo, in particolare sulla minaccia iraniana.

Qualche servizio in più nei TG non sarebbe male per informare meglio su cosa accade da quella parte del mondo. Anche se già si registrano le assenze della Mogherini (supporter iraniana) e della Francia (la patria adottiva di Khomeini).

L’ambasciatore siriano all’ONU minaccia di attaccare l’aeroporto Ben Gurion se Israele non interromperà gli attacchi contro obiettivi iraniani in Siria

La Siria minaccia Israele alle Nazioni Unite e avverte che se gli attacchi aerei israeliani sull’aeroporto di Damasco non si fermeranno reagirà attaccando l’aeroporto Ben Gurion, poco fuori Tel Aviv.

Lo ha detto ieri l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bashar Jaafari, parlando al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

L’inviato siriano ha duramente attaccato Israele per gli ultimi raid aerei contro obiettivi militari iraniani nei pressi dell’aeroporto di Damasco che, secondo fonti siriane, avrebbero provocato la morte di 21 persone tra cui 12 iraniani.

Bashar Jaafari ha duramente criticato gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia accusandoli di coprire al Consiglio di Sicurezza i “crimini israeliani” contro il suo paese.

«Non è forse giunto il momento per il Consiglio di sicurezza dell’ONU di fermare le ripetute aggressioni israeliane sui territori della Repubblica araba siriana?», ha chiesto Jaafari.

Secondo l’agenzia di stato siriana SANA se l’invito dell’ambasciatore siriano all’ONU non venisse accolto dal Consiglio di Sicurezza la Siria si riserverà il Diritto all’autodifesa attaccando l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

Giusto per essere chiari, è molto difficile che la Siria abbia i mezzi per colpire l’aeroporto Ben Gurion, ma se dovesse cercare di farlo da Gerusalemme hanno già fatto sapere che considererebbero l’escalation come “un fatto molto grave” che comporterebbe una ritorsione adeguata.

Cercando commenti sulle minacce dell’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite un funzionario della difesa israeliana ha detto a RR in condizioni di anonimato che l’utilizzo del termine “autodifesa” da parte della Siria è “improprio” visto che sono gli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani in Siria ad essere “atti di autodifesa” e che basterebbe che la Siria si opponesse alla radicazione iraniana in suolo siriano per interrompere immediatamente i raid aerei israeliani.

Nel frattempo ieri il comando IDF ha diffuso un video dove viene mostrata la distruzione di diversi sistemi di difesa siriani entrati in funzione contro i caccia israeliani durante l’ultimo attacco.

L’IDF ha precisato che i sistemi siriani sono stati attaccati e distrutti perché hanno cercato di colpire i caccia israeliani ma che non erano tra gli obiettivi del raid aereo. Lo sono diventati nel momento in cui hanno cercato di difendere le postazioni iraniane e hanno sparato decine di missili contro i caccia israeliani.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » ven gen 25, 2019 5:28 am

"Un patto tra Erdogan e Putin sulla Siria" l'analisi di Giuseppe Agliastro
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/01/2019, a pag.14
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=73486

Putin ed Erdogan sono alla ricerca di un compromesso sulla Siria. In un incontro al Cremlino all’insegna della massima cordialità e chiamandosi l’un l’altro «caro amico», i leader di Russia e Turchia hanno discusso ieri di come spartirsi le zone di influenza nel Paese mediorientale in vista del ritiro delle truppe americane, che dovrebbe completarsi all’inizio di maggio.

La «striscia» di sicurezza
L’impressione è che, in cambio di una «safe zone» anti-curdi nel Nord della Siria, Ankara possa fare delle concessioni nella provincia nord-occidentale di Idlib, dove - ha sottolineato Putin - Russia e Turchia potrebbero intervenire con «misure supplementari» per «stabilizzare la zona», che doveva passare sotto il comando turco ma per ora è in pratica in balia degli estremisti del gruppo Hayat Tahrir al-Sham, l’ex Al Nusra, forte di 15-20.000 miliziani.
Ad ascoltare Erdogan, infatti, durante il faccia a faccia potrebbe essere stato compiuto un importante passo verso la creazione di una «striscia di sicurezza» a guida turca nel Nord-Est della Siria per mettere fuori causa i guerriglieri curdi dell’Ypg che temono di finire nel mirino di un’offensiva turca dopo l’uscita dei loro alleati americani dal Paese. «Con la Russia sotto questo profilo non abbiamo alcun problema», ha assicurato Erdogan dopo l’incontro con Putin, lasciando intendere che un’intesa con Mosca sia ormai vicina. «A Idlib contro il terrorismo continua il nostro impegno insieme alla Russia - ha aggiunto Erdogan -. L’intervento continuerà per rafforzare la tranquillità dei civili siriani, ma non ci fermeremo fino a quando non avremo raggiunto i nostri obiettivi. Abbiamo parlato in passato della possibilità di costituire un comitato elettorale e continuiamo sulla strada delle decisioni prese nel vertice di Istanbul», ha poi concluso Erdogan
Il presidente russo ha parlato anche del ritiro americano, pur mostrando qualche diffidenza: «Se sarà realizzato veramente, è un passo positivo» che aiuterà a stabilizzare la situazione in una regione travagliata del Paese».

Il nodo dei curdi
Il Cremlino, in cambio, vuole che i territori a Est dell’Eufrate, ora controllati da curdi e americani, passino ai soldati di Assad, rimasto in sella con il sostegno militare russo. Su questo Putin di certo non transige e anche ieri ha ribadito di voler promuovere «il dialogo di Damasco con i curdi». Mosca e Ankara hanno interessi divergenti in Siria, ma dialogano e si coordinano per mantenere il rapporto privilegiato creatosi dopo il tentato golpe in Turchia dell’estate del 2016. La loro cooperazione economica è in costante crescita e proprio attraverso la Turchia il gas russo potrebbe raggiungere presto l’Europa con il TurkStream. Russia e Turchia fanno inoltre parte assieme all’Iran (come Mosca alleato di Assad) di un terzetto ormai consolidato che promuove i cosiddetti negoziati di Astana sulla Siria e soprattutto i propri interessi nel Paese levantino. Vladimir Putin ieri ha fatto sapere che un vertice dei capi di Stato di questo terzetto si svolgerà in Russia «nel prossimo futuro». È possibile che da questo summit emergano delle novità sulla Siria a cui ieri al Cremlino hanno solo accennato.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun mar 04, 2019 8:37 pm

Una forza a guida Nato verrà stanziata in Siria?
Mauro Indelicato
4 marzo 2019

http://www.occhidellaguerra.it/una-forz ... a-in-siria

Via gli Usa sì, ma al contempo ecco che si fa strada l’idea di un contingente Nato: le ultime evoluzioni dalla Siria e sulla Siria, suggeriscono da più parti questa ipotesi come tra le più accreditate per i prossimi mesi, quando cioè i militari americani dovrebbero completare il ritiro dal paese arabo. A rivelarlo sono funzionari Usa all’Associated Press.

La Nato al posto del contingente Usa?

L’annuncio di dicembre da parte di Donald Trump coglie di sorpresa un po’ tutti, anche nella stessa Washington. Il ritiro dalla Siria di cui espressamente parla il presidente Usa, spiazza il Pentagono e porta alle dimissioni dell’allora segretario alla difesa, James Mattis. Ed ovviamente tutto questo ha importanti implicazioni all’interno dello scacchiere mediorientale. Con gli Stati Uniti che tolgono i propri militari a sostegno dei filo curdi, si certifica la vittoria militare di Assad e si creano i presupposti per un dialogo proprio tra il presidente siriano e le stesse forze curde. Ma restano aperti non pochi nodi, a partire da quello turco.

Erdogan, che considera le milizie Sdf alla stregua dei terroristi curdi turchi del Pkk, con l’addio degli Usa vorrebbe ripetere ad est dell’Eufrate la stessa esperienza già compiuta ad Afrin e Jarabulus: ossia l’ingresso di miliziani filo turchi e di forze speciali turche a discapito delle truppe dell’Sdf. Una circostanza che continua a non piacere ai generali americani, dopo il sostegno dato in questi anni ai filo curdi. Un elemento che da più parti si vorrebbe evitare, pena anche il rafforzamento dell’asse tra Mosca ed Ankara inaugurato a partire dalle settimane successive al fallito colpo di Stato turco del luglio del 2016. Ecco perchè dunque un continente internazionale a guida Nato sarebbe il giusto compromesso: da un lato Trump salverebbe i suoi propositi di ritiro delle truppe Usa dalla Siria, dall’altro i curdi non verrebbero lasciati i curdi in balia delle mire di Erdogan.

La possibile funzione del contingente internazionale

Ed in effetti, la forza a guida dell’alleanza atlantica dovrebbe fungere da cuscinetto nel nord della Siria. In tal modo ovviamente verrebbero placate le preoccupazioni turche: con la Nato schierata lungo il confine tra le zone del paese arabo controllate dai curdi e la Turchia, Erdogan non dovrebbe temere possibili collegamenti logistici e politici tra il Pkk e le forze Sdf. Dunque, una soluzione che accontenterebbe tutti e forse pure la stessa Russia. Mosca sta cercando una via d’uscita politica, dopo aver messo al sicuro la vittoria militare dell’alleato Assad. Dal Cremlino si prova in queste settimane a convincere la Turchia a riprendersi i “propri” terroristi ancora presenti ad Idlib, proprio perchè ulteriori sforzi militari sarebbero eccessivamente onerosi anche per lo stesso esercito siriano. Una via politica, in cui certamente potrebbe rientrare la possibile forza cuscinetto nel nord del paese.

Ma ancora il tutto ha un rango di mera ipotesi. Non ci sono certezze e, fanno notare fonti della difesa italiana a La Stampa, tutto dovrebbe comunque passare da un mandato dell’Onu. Insomma, dettagli e nodi politici sono ancora da ultimare e sciogliere. Pur tuttavia, l’idea di una forza internazionale a guida Nato in Siria non sembrerebbe da scartare a priori.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mer mar 06, 2019 8:34 pm

Con la caduta di Baghouz finisce il Califfato ma non l'Isis
Paolo Mauri
5 marzo 2019

http://www.occhidellaguerra.it/baghouz- ... erra-siria

Sono le ultime ore di vita del Califfato dopo che le Sdf, le cosiddette Syrian Democratic Forces, supportate dall’appoggio aereo della Coalizione a guida Usa, stanno portando a termine l’offensiva sull’ultima roccaforte di quello che un tempo era un vero e proprio Stato che si estendeva tra la Siria e l’Iraq su una superficie, alla sua massima espansione nel 2015, di 270mila chilometri quadrati (quasi quanto l’Italia) e vedeva assoggettata una popolazione di 11 milioni di abitanti.

L’ultima resistenza dei terroristi islamici che hanno insanguinato il Medio Oriente – e non solo – negli ultimi 15 anni si sta consumando nel villaggio di al-Baghouz, nella regione di Deir Ezzor.


Lo scontro finale

La battaglia è cominciata nella notte tra venerdì e sabato scorsi quando le forze dell’Sdf hanno cominciato a stringere nella propria tenaglia gli ultimi combattenti dell’Isis – stimati tra le 1000 e 1500 unità secondo fonti curde – nel villaggio di al-Baghouz circondandolo da cinque direttrici diverse.

Le milizie sono state supportate negli aspri combattimenti porta a porta dall’aviazione della Coalizione che ha effettuato alcune operazioni di bombardamento sul villaggio. Sebbene il portavoce dell’Us Army, colonnello Sean Ryan non abbia detto nulla sulla natura e sul numero delle incursioni aeree effettuate, i media libanesi vicini ad Hezbollah riferiscono che gli aerei alleati avrebbero usato anche munizionamento al fosforo bianco.

Al-Manar Tv, citando l’agenzia siriana Sana, riferisce che nella giornata di sabato è stato effettuato almeno un attacco con questo tipo di munizionamento su di una fattoria nei sobborghi di al-Baghouz.

Dopo quindi sei mesi dal lancio dell’offensiva finale delle forze della Coalizione sull’ultimo fazzoletto di terra raccolto intorno al fiume Eufrate, il sedicente Califfato Islamico sembra essere consegnato ai libri di storia.

L’attacco finale ha rischiato però di trasformarsi in un massacro: i report che giungono dal fronte indicano infatti che nell’area di Baghouz siano stati radunati circa 10mila civili che sono stati usati dai terroristi come scudi umani. Negli ultimi 38 giorni, come riportato dal Jerusalem Post, convogli umanitari hanno permesso alla maggior parte di essi di abbandonare il territorio ma gli ultimi terroristi rimasti hanno trattenuto almeno 24 ostaggi tra cui figurerebbero anche occidentali.

Nelle ultime ore, infatti, del migliaio di combattenti e fiancheggiatori ancora presenti a Baghouz, circa 800 si sono arresi, compresi 150 jihadisti. Attualmente sembra siano in corso trattative tra le Sdf e i terroristi per il rilascio degli ostaggi tra cui, secondo fonti libanesi non confermate, potrebbe esserci anche Padre Dall’Oglio, il gesuita scomparso in Siria nel 2013, ed il giornalista inglese John Cantlie.


Finisce il Califfato ma non l’Isis

Non bisogna però illudersi che il terrorismo di matrice islamica sia stato eradicato dalla Siria e dall’Iraq: il Califfato ha solo cessato di esistere come entità territoriale ma i suoi membri si sono semplicemente dati alla macchia quando non sono rientrati in Europa attraverso la “via del terrore” che passa dalla Turchia e dal Kosovo.

Dove non esiste più un fronte ma continuano ad esistere i combattenti si passa infatti a situazioni di guerriglia.

Proprio mentre le Sdf conducevano l’ultimo decisivo attacco contro al-Baghouz, i jihadisti hanno colpito, sabato all’alba, posizioni dell’Esercito Siriano ad al-Masasneh, a nord di Hama, partendo dai territori soggetti all’accordo di de-escalation firmato tra Russia, Turchia e Iran ad Astana a maggio del 2017.

Nell’attacco sono state riportate alcune vittime tra l’Esercito Siriano che ha risposto con vigore infliggendo numerose perdite ai miliziani dell’Isis sempre secondo il media libanese al-Manar Tv.

Quello che ci aspetta nei prossimi mesi, quindi, sarà un lungo confronto che vedrà coinvolte le milizie dell’Sdf e l’Esercito Siriano in una difficile e sicuramente dispendiosa campagna di pacificazione, che potrebbe anche portare ad uno stillicidio di uomini e mezzi se i terroristi dell’Isis riuscissero a continuare ad ottenere rifornimenti di armi da parte di entità statuali che vedono di buon occhio una guerriglia continua in Siria che tenga impegnate Damasco, Teheran e Mosca in un confronto asimmetrico di non facile risoluzione.

Gli Stati Uniti in questo oscuro futuro potrebbero avere ancora una parte non del tutto secondaria, considerato che il Presidente Trump ha sì annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria ma nello stesso tempo ha riferito l’intenzione di voler lasciare un contingente che varia tra le 200 e le 500 unità – presumibilmente composte da forze speciali come i Ranger – appunto per le operazioni di peacekeeping.

Operazioni che però, potrebbero essere del tutto inefficienti senza che si risolva il vero problema della Siria, ovvero la ri-definizione di una o più entità territoriali sovrane – non necessariamente sotto Damasco – che possano fungere da catalizzatore del malcontento popolare dopo anni di guerra per metabolizzarlo e conquistare “i cuori e le menti” di coloro che hanno supportato non solo l’Isis ma la ribellione anti Assad. Un problema sottovalutato in Afghanistan dove il ritiro americano e alleato, e la decisione di trattare coi Talebani, rappresenta una disfatta dei piani di Washington e dei suoi alleati.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » ven mar 08, 2019 7:24 pm

«I terroristi svizzeri vanno giudicati all'estero»
Secondo la strategia adottata oggi dal Consiglio federale le persone recatesi nella regione di conflitto siriano-irachena per motivi terroristici dovrebbero essere giudicate sul posto
08 marzo 2019

https://www.cdt.ch/svizzera/politica/i- ... o-FJ964968

BERNA - Le persone recatesi nella regione di conflitto siriano-irachena per motivi terroristici dovrebbero essere giudicate sul posto, conformemente agli standard internazionali. È quanto prevede la strategia adottata oggi dal Consiglio federale, anticipata alcune settimane fa ai media dalla Consigliera federale Karin Keller-Sutter, in cui a prevalere è la sicurezza della popolazione. La Svizzera è anche disposta a sostenere l'eventuale istituzione di un tribunale speciale internazionale e l'esecuzione delle pene in loco.

Ad eccezione dei minori che dovessero trovarsi nelle zone di conflitto, la Svizzera non intende rimpatriare attivamente i cittadini adulti recatisi all'estero per motivi terroristici. Per quanto riguarda i minorenni, la Confederazione è invece "disposta a valutare il rimpatrio attivo".

Per quanto riguarda gli adulti, il governo vuole evitare un ritorno incontrollato. Secondo le informazioni più recenti, precisa una nota odierna dell'esecutivo, al momento nella regione di conflitto siriano-irachena si trovano circa 20 Svizzeri (uomini, donne e bambini), che presumibilmente vi si sono recati per motivi terroristici. Alcuni di essi sono attualmente detenuti da attori non statali.

Vi è il rischio che queste persone siano liberate in modo incontrollato, mette in guardia il comunicato. La Svizzera intende quindi adottare tutte le misure operative a sua disposizione per impedire "il ritorno incontrollato dei suddetti cittadini, in particolare segnalandoli nel sistema d'informazione Schengen SIS ai fini dell'accertamento del luogo di dimora o dell'arresto e avvalendosi dello scambio di informazioni con le autorità estere di polizia e quelle preposte alle attività informative".

In conformità con l'articolo 24 della Costituzione federale, la Svizzera non rifiuta il ritorno di questi cittadini. Tuttavia, l'esecutivo non vuole che le autorità svizzere rimpatrino attivamente gli adulti in questione.

Un rimpatrio attivo può essere preso in considerazione soltanto se si tratta di minori. L'elemento determinante per la decisione è il bene di questi ultimi. Il rimpatrio deve avvenire con l'esplicito consenso dei servizi competenti per la protezione dei minori (autorità cantonali e comunali nonché genitori titolari dell'autorità parentale). Va in ogni caso garantita la sicurezza delle persone e degli organi di sicurezza che partecipano all'eventuale rimpatrio. Negli Stati in cui è possibile, la Svizzera fornisce sostegno nell'ambito della protezione consolare in caso di privazione della libertà.

Il secondo intento del Consiglio federale è garantire che i terroristi svizzeri non restino impuniti. L'obiettivo è il perseguimento penale e l'esecuzione dell'eventuale pena, conformemente agli standard internazionali, nello Stato in cui è stato commesso il reato. Se ciò non fosse possibile, la Svizzera è responsabile di perseguire i propri cittadini non appena questi tornano in patria o si trovano in uno Stato con cui Berna può cooperare per mezzo dell'assistenza giudiziaria.

Per i cittadini svizzeri, maggiorenni o minorenni, che, dopo essersi recati all'estero per motivi terroristici, tornano in Svizzera, vanno inoltre adottate misure di reinserimento prima, durante e dopo l'esecuzione della pena. Tali misure sono previste dal Piano d'azione nazionale per prevenire e combattere la radicalizzazione e l'estremismo violento, adottato alla fine del 2017.

Questo piano d'azione è completato da una serie di misure di polizia volte a combattere il terrorismo. Si tratta in particolare di misure nei confronti di individui potenzialmente pericolosi. Il Consiglio federale sottoporrà entro breve al Parlamento un messaggio in materia. Il 14 settembre 2018, nel quadro della sua strategia di lotta al terrorismo, aveva già adottato il messaggio concernente il potenziamento del dispositivo penale contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

In vari Stati, come rammenta il comunicato del Consiglio federale, sono in corso discussioni sul ritorno e sul perseguimento penale delle persone che si sono recate all'estero per motivi terroristici. A scatenare le discussioni sul tema sono state le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump, che ha invitato i Paesi europei a riprendersi i propri combattenti dell'Isis. L'alternativa è quella di rilasciarli, con il rischio che si riversino sul continente europeo.

Lo scorso 19 di febbraio, la consigliera federale Karin Keller-Sutter aveva dichiarato alla radio romanda RTS che i processi nei confronti di jihadisti elvetici di ritorno in Svizzera avrebbero dovuto essere celebrati direttamente in Medio Oriente, in modo da garantire la sicurezza dei cittadini nella Confederazione.

Nel frattempo, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) sta esaminando se non sia il caso di privare della nazionalità elvetica i terroristi con doppio passaporto partiti dalla Svizzera. Circa una dozzina disporrebbe della doppia nazionalità.

Da quando il fenomeno viene monitorato, oltre 90 persone sono partite dalla Confederazione per partecipare alla jihad, di cui 31 di nazionalità svizzera. Di queste, 18 aveva un doppio passaporto (alcune di queste persone sono decedute nel frattempo).

Tenendo conto degli ultimi dati forniti dai servizi segreti, una buona dozzina avrebbe la doppia nazionalità. Sono nel mirino soprattutto persone che hanno commesso gravi crimini, per esempio crimini di guerra e contro l'umanità, oppure crimini legati all'estremismo violento.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom mar 10, 2019 11:14 pm

Morto il figlio di Shamima Il governo May nella bufera
Andrea Cuomo - Dom, 10/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 59648.html

La «sposa dell'Isis» aveva chiesto di tornare in patria ma il ministro Javid le aveva revocato la cittadinanza
Jarrah aveva pochi giorni ed era un cittadino britannico e secondo tutti non sarebbe dovuto morire.

Ma è morto - e tutti temevano sarebbe accaduto - e ora sul governo conservatore di Theresa May si scatenano polemiche bipartisan. Al punto che il segretario di Stato per gli affari interni, il quarantanovenne ed ex banchiere di origini pakistane Sajid Javid, ora rischia il posto.

Il bimbo aveva poche settimane ed era figlio di Shamima Begun, la giovane britannica che quattro anni fa, all'età di 15 anni, aveva scelto di viaggiare con altre due compagne di scuola verso la Siria per unirsi allo Stato islamico. Si era trasformata in una «sposa dell'Isis», per lei era stato scelto come marito un radicalizzato olandese Yago Riedijk, 27 anni, che gli aveva dato già due figli, entrambi morti di stenti, malnutrizione, malattie. Ora anche il terzo figlio si è unito alla piccola Spoon River di questa assurda famiglia del terrore.

Javid è nella bufera perché qualche tempo fa aveva deciso di revocare la cittadinanza britannica a Shamima malgrado la giovane avesse manifestato l'intenzione di fare ritorno in patria per crescere là il terzo figlio ed evitargli la fine dei primi due. Ma la decisione del ministro dell'Interno - difesa con grande virulenza malgrado le polemiche - ha chiuso la porta in faccia alla «sposa dell'Isis» pentita e ha condannato di fatto il neonato a restare nel campo profughi al Nord della Siria, in condizioni igieniche disperate. Un ufficiale curdo ha raccontato che jarrah nell'ultima settimana era stato portato più volte in ospedale per difficoltà respiratorie. Un altro testimone, un amico di Shamima, ha raccontato di aver visto il bambino di colore bluastro e molto raffreddato. Secondo la Bbc il piccolo sarebbe morto di polmonite. Sarà sepolto nell'affollato cimitero del campo, accanto ai due fratelli ugualmente sfortunati.

Di morte che «macchia la coscienza di questo governo» parla Diane Abbott, ministro ombra laburista dell'Interno. «È contro il diritto internazionale - prosegue Abbott - che qualcuno sia privo di cittadinanza. E lasciare una giovane donna vulnerabile e un bambino innocente in un campo per rifugiati dove sappiamo bene quanto sia alta la mortalità infantile è moralmente deprecabile». La Abbott si era battuta perché Shamima potesse fare ritorno in Gran Bretagna anche a costo di essere incriminata ma secondo lei Javid aveva ceduto alla pressione della stampa oltranzista di destra.

Ma anche i conservatori sono critici con Javid. Il parlamentare Phillip Lee ammette che la scelta di negare la cittadinanza alla Begum fu una scelta populista, anche se precisa: «È evidente che Shamima Begum abbia idee abominevoli e che la sua scelta di unirsi all'Isis vada oltre ogni comprensione, ma lei è pur sempre frutto della nostra società. Penso quindi che abbiamo una responsabilità morale nei confronti suoi e ancor di più del suo bambino. Per questo io fui molto turbato dalla decisione di Javid». Javid che viene invece difeso da Brandon Lewis, presidente dei Conservatori: «La perdita di ogni vita di un bambino è assolutamente tragica ma del resto bisogna ricordare il pericolo di raggiungere quell'area. Penso che il ministro abbia preso una decisione basata su quello che è l'interesse nazionale e la sicurezza dei cittadini qui in Gran Bretagna». Ma il tema è drammatico: ci sono almeno 3mila bambini figli di occidentali a rischio in Siria. E il dilemma se sia giusto o meno consentire ai jihadisti e ai fiancheggiatori dell'isis di rientrare nei Paesi d'origine ed essere processati è ancora drammaticamente aperto.
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