Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 7:37 pm

Lambrenedetto un difensore della Germania


Vi faccio una domanda : Come mai in Germania funzion così ?
https://www.facebook.com/LambrenedettoX ... 1720536223


Prezzi alimentari in Germania, magazzini Muller
https://www.facebook.com/LambrenedettoX ... 1754177553


Prezzi alimentari supermercato in Lussemburgo
https://www.facebook.com/LambrenedettoX ... 1340756261

Tombini a livello in Svizzera
https://www.facebook.com/LambrenedettoX ... 8744589854

Paga poste tedesche (26/27 ore settimana x 1.800 euro netti)
https://youtu.be/lpLwNSEly8I
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 7:59 pm

Questi invece sono dementi che sparlano, calunniano e diffamano la Germania

La Germania delle meraviglie è come l'isola che non c'è
Anna Mazzone - 28 giugno 2013

https://www.panorama.it/news/esteri/ger ... uropa-euro

Avete presente quando gli italiani si lamentano dei servizi pubblici obsoleti, delle scuole che cadono a pezzi, delle nuove tecnologie che stentano a decollare? Ecco, immaginate che i tedeschi fanno la stessa cosa e il panorama che si trovano davanti non è poi così lontano da quello dell'Italia.

Incredibile ma vero, verrebbe da dire. Eppure le cifre si commentano da sole. Secondo un recente studio del German Institute of Economic Research (DIW), la Germania non è affatto l'economia trainante dell'Unione europea e, dietro una facciata glamour da superpotenza, nasconde in realtà una struttura fragile, che può deteriorarsi col passare del tempo. La Germania delle meraviglie, insomma, è come l'isola che non c'è di Peter Pan: una favola raccontata ad arte.

Secondo Der Spiegel i tedeschi sono i più risparmiatori del mondo industrializzato e investono poco e niente nel loro futuro. Con le elezioni alle porte il prossimo ottobre, i due principali partiti, la CDU della conservatrice Angela Merkel e l'SPD di Peer Steinbruck, giocano a dire le stesse cose per attirare il voto degli elettori.

Non passa giorno che la Cancelliera non decanti i "successi tedeschi" di una "nazione votata all'export", e dall'altra parte le fanno eco i socialisti che parlano di "un Paese forte" fondato sul "partenariato sociale". Ma, si sa, chi si loda si imbroda, ed ecco che i numeri squarciano il velo su una realtà completamente opposta rispetto a quella tratteggiata dai leader politici.

La Germania è "malata", scrive Der Spiegel, perché ha un'incapacità cronica a investire nel futuro. Nonostante Berlino sia riuscita ad attraversare la crisi economica che ha messo in ginocchio il Vecchio continente, creando più di un milione di posti di lavoro, il risultato di oggi è dovuto a "politiche del passato" e a lunghi anni di sacrifici salariali con la condiscendenza delle forze sindacali. Inoltre, la produttività di questi nuovi posti di lavoro secondo i calcoli dell'Istituto economico tedesco sarebbe pari a zero, e questo a causa proprio della mancanza sostanziale di investimenti.

Usiamo altre parole: se la Germania appare ancora solida agli occhi della comunità internazionale è solo grazie alle sue riserve, ossia a quelle sacche di risparmio che i tedeschi hanno accumulato nell'ultimo decennio. Ma un'economia che mira a mantenersi in forma non si può basare solo sul peso dei correntisti.

Il panorama descritto dalla ricerca dell'istituto di Berlino è desolante. Fabbriche cadenti, università d'altri tempi, un sistema scolastico del tutto inefficace in quanto a formazione della nuova classe dirigente. E poi, la nota dolente dei sistemi di trasporto: ferrovie obsolete, treni non al passo con le nuove tecnologie, viaggiatori scontenti per i ritardi e via dicendo. Insomma, se non lo scrivesse un giornale tedesco verrebbe il dubbio che si stia parlando dell'Italia. Il mito della Germania economicamente imbattibile viene smontato pezzo per pezzo e lo si fa "in casa".

Per Der Spiegel "i ponti tedeschi stanno crollando, industrie e università si stanno deteriorando e non viene speso nemmeno quello che è necessario per la manutenzione del sistema di telecomunicazioni, telefoni in primis". Il risultato di tutto ciò è un impoverimento generale del Paese, come scrivono nero su bianco i ricercatori dell'istituto economico di Berlino.

Se andiamo a guardare le cifre sugli investimenti, ci accorgiamo che la Germania è fanalino di coda dopo la Svezia (che investe il 3.5% del Pil in infrastrutture e servizi), l'Olanda (3.4%), la Francia (3.1%) e la Finlandia (2.6%).

E i numeri delle politiche per l'infanzia sono ancora più sorprendenti. Anche in questo campo la Germania si aggiudica la maglia nera con lo 0.1% di investimenti per la cura e la tutela dei bambini. È superata dall'Italia (0.2%), dalla Francia (0.4%), dalla Gran Bretagna (0.5%), dall'Olanda (0.5%) e dalla Spagna (0.6%).

Secondo gli economisti del DIW, se la Germania avesse investito più in casa invece che all'estero, la sua economia sarebbe più florida e, soprattutto, più solida. E questo, senza bisogno dei numeri, i cittadini tedeschi l'hanno capito da tempo, visto che recenti sondaggi mostrano come la maggior parte di loro propende per l'abbandono dell'euro e il ritorno al vecchio, caro marco.

E sul fuoco di questa insoddisfazione strisciante soffiano i leader populisti di vari schieramenti politici che sono nati come i funghi in tutto il paese e che godono di forti consensi locali. Ma anche alcuni accademici cominciano a voltare le spalle alle politiche rigorose di Angela Merkel, che vede la data delle elezioni di ottobre avvicinarsi sempre più e teme brutte sorprese dalle urne.

Difficile cambiare il vento in così poco tempo. I Piraten attendono la Cancelliera al varco e sognano di bissare i numeri dei grillini in Italia. D'altronde, di questi tempi Roma e Berlino sembrano somigliarsi come non mai.



No, la Germania non è il paradiso: viaggio nel paese che nessuno racconta
di Fabrizio Gatti
2017/04/24

http://espresso.repubblica.it/internazi ... i-1.300187

Manifestazione anti migranti a Dresda

La Germania è il tocco di un guanto di pelle sulla spalla. Ti svegliano così sul sedile dell’Eurocity 86 tra Verona e Monaco di Baviera. «Reisepass?», domanda il poliziotto della Repubblica federale. Poi sfoglia il passaporto e si sofferma sulla foto. L’epoca delle frontiere aperte è davvero finita, non solo per i profughi.

L’uomo in divisa nera chiede i documenti perfino a due ragazzi e alle loro fidanzate biondissime, che stanno rumorosamente chiacchierando nel loro marcato accento bavarese. Forse lo fa giusto per evitare discriminazioni in pubblico: gli agenti italiani, saliti sul treno al confine del Brennero un’ora e mezzo prima, hanno controllato soltanto i passeggeri con la faccia scura. La polizia tedesca sembra molto più attenta al galateo multiculturale: o si controllano tutti i cittadini, o non lo si fa con nessuno.

schulz-jpg
A settembre il Paese andrà alle urne e a giocarsela, a differenza del resto d'Europa, saranno i tradizionali centrodestra e centrosinistra con l'uscente Merkel e il socialista Schulz. Il direttore di Die Zeit cerca di spiegare i motivi di questa eccezione

La
Gleichheit

, l’uguaglianza: è il primo filo al quale è appesa la società che Angela Merkel, 63 anni, sta consegnando alle elezioni federali del 24 settembre. Il secondo è la fiducia reciproca. Il terzo la sicurezza economica che, dove non c’è lavoro, è garantita da un sistema di protezione sociale ancora diffuso. Tre fili ben visibili nella vita quotidiana: insieme sostengono l’immagine di un popolo solido e apparentemente unito. Ma sono fili sempre più sottili: una crisi improvvisa, un nuovo attentato jihadista, il risveglio populista li potrebbe spezzare. Lo si nota chiaramente, girando in lungo e in largo questa nazione in cui, secondo dati pubblicati nel 2016, il 15,7 per cento degli ottanta milioni di abitanti è considerato a rischio povertà. E il 14,7 è già povero, con punte del 19 per cento tra i bambini. Da Sud a Est, da Nord a Ovest. Dalle Alpi alla Polonia. Dal Mar Baltico al Reno. Rigorosamente su treni regionali. E qualche Intercity. Oltre tremila chilometri. Questo è il diario di un viaggio sottopelle nel corpo della Germania e dell’Unione Europea.

La Cancelliera di Berlino non è infatti soltanto la donna che governa da dodici anni, leader dell’Unione cristiano democratica, candidata per la quarta volta consecutiva. Angela Merkel rischia di essere l’ultimo robusto sbarramento europeo contro l’avanzata delle destre nazionaliste e sovraniste, a cominciare dalla Francia di Marine Le Pen. E può essere un rischio, sì: perché Frau Merkel è perfino umanamente più concreta di papa Francesco nell’accogliere i rifugiati, ma è più brutale di Margaret Thatcher nel difendere i dogmi economici. La sua dottrina contiene il bello e il brutto tempo. Industria galoppante a Ovest, Stato assistenziale a Est e nelle periferie delle grandi città. Disoccupazione intorno al tre per cento in Baviera e Baden-Württemberg, percentuali mediterranee sopra il dieci in quasi tutte le regioni orientali. La ricchezza media dei tedeschi per ora nasconde bene lo stress. Ma fino a quando reggeranno quei tre fili ai quali sono tutti appesi?

DALLA BAVIERA ALLA POMERANIA

Il viaggio in treno in Germania 
del nostro inviato Fabrizio Gatti: dalla Baviera verso nordest, per arrivare a Berlino e attraversare i Länder della vecchia Ddr, quindi risalire fino in Pomerania e da lì discendere lungo la Renania e il Baden-Württemberg

LA CITTA' SENZA PAURA

La stazione Centrale di Monaco è completamente aperta. Non ci sono controlli per accedere ai binari. Non ci sono camionette mimetiche e soldati nelle piazze, intorno alle chiese, davanti ai monumenti. L’attentato del 22 luglio 2016 al centro commerciale Olympia nel quartiere di Moosach sembra avvenuto in un altro mondo: 9 morti e 35 feriti, colpiti dalla pistola di Ali David Sonboly, 18 anni, genitori iraniani, passaporto tedesco, simpatizzante di estrema destra. L’arma con cui poi si è ucciso, Ali David l’aveva comprata da un amico afghano conosciuto in un reparto psichiatrico. Ma gli spari di quel pomeriggio di guerra non hanno scalfito la Vertrauen, la fiducia reciproca a cui partecipano tutti: tedeschi e immigrati.

Noi italiani al confronto viviamo in uno stato d’assedio permanente. Non è solo questione di sicurezza. Non ci sono tornelli, sbarre, cancelli nemmeno per entrare o uscire dalle stazioni sotterranee della metropolitana. Un euro e quaranta il biglietto. E solo una persona ogni venti timbra l’ingresso. Gli altri? Avranno l’abbonamento, o forse no. Ma la fiducia è un collante sociale che vale molto di più di un euro e quaranta centesimi. Così nessuno ferma nessuno. Lo stesso filo riappare agli angoli di qualche strada o nelle piazze. I tedeschi non hanno mai smesso di leggere i giornali. E non dappertutto ci sono edicole. Bastano una scatola di vetro trasparente sul marciapiede, un coperchio sempre aperto, una feritoia per i soldi. Si infilano le monete e si prende il quotidiano. “Bild” costa 90 centesimi. Ma “Frankfurter Allgemeine” 2,70 euro al giorno, 2,90 il sabato, 4 euro la domenica. Chiunque potrebbe prendere il giornale o tutti i giornali senza pagare. Oppure forzare la cassetta e rubare i soldi. Soltanto “Süddeutsche Zeitung”, a pochi passi da Marienplatz, usa un distributore che rilascia una copia alla volta dopo aver infilato gli spiccioli.

Dimostranti protestano contro l'opera...
Dimostranti protestano contro l'opera di un artista siriano a Dresda

La fiducia fa funzionare lo stesso sistema ovunque. Anche in campagna. Al posto dei quotidiani lì vendono prodotti della terra come zucche, sacchi di patate, frutta. Nessun agricoltore si sognerebbe di perdere tempo a fare il commerciante. Bastano un tavolo lungo la strada, un cartello con il listino prezzi e una cassetta: il cliente prende gli ortaggi e lascia il dovuto, senza che nessuno controlli. La sera passa il contadino e ritira l’incasso. Se questo rodato meccanismo sopravvive è perché i furti sono ancora una rara eccezione.

Il sabato sera la Baviera è un viavai di trentenni, quarantenni, cinquantenni in calzoncini corti, calzettoni, bretelle e camicia a quadri. Non tutti indossano i costosi Lederhosen originali in pelle di camoscio. Va di moda la versione casalinga del pantalone vecchio di velluto, tagliato appena sopra il ginocchio. Vestirsi secondo la tradizione piace soprattutto agli uomini. Le donne agghindate con gonnellino e grembiule sono più rare. È anche un gesto politico il loro. Un po’ come se Matteo Salvini si vestisse da Brighella e gli industriali veneti da Pantalon. Alle undici di sera quasi tutti i ristoranti di Monaco hanno già le sedie rovesciate sopra i tavoli per le pulizie. L’Augustiner Klosterwirt, proprio davanti la cattedrale di Nostra Signora, è invece un frastuono di voci, gente in piedi e boccali di birra. Lì dentro tutti, proprio tutti, indossano Lederhosen e camicia a quadri. Camerieri e clienti. Al punto che è difficile distinguere a chi chiedere l’ordine: scambiare un imprenditore bavarese alticcio per il barman non provoca certo risposte amichevoli.

Il desiderio di identità dei tedeschi del Sud ha il suo risvolto con gli immigrati turchi e arabi. La domenica pomeriggio vengono dalla periferia a passeggiare tra i negozi chiusi della centralissima Neuhauser Strasse. Davanti i bambini. Per ultimi i papà. In mezzo, le loro mogli rigorosamente avvolte nello chador nero. E di tanto in tanto qualche niqab, il velo integrale che lascia scoperti soltanto gli occhi.

UNA LAMPEDUSA SUL DANUBIO

Giovani rifugiate dalla Siria e...
Giovani rifugiate dalla Siria e dall'Iraq a una fiera del lavoro a Berlino

Passau, la città al confine austriaco dove confluiscono i fiumi Inn e Danubio, è la porta tedesca della rotta balcanica. Gli accordi con la Turchia e il filo spinato in Ungheria hanno ridotto il flusso di profughi. Quanti ne passano adesso? «Sempre troppi», risponde il poliziotto di pattuglia al marciapiede dove si fermano i treni in arrivo dall’Austria. Ousmane Gaye, 28 anni, è partito da Bamako in Mali, ha attraversato il Sahara e ha chiesto asilo in Germania. La qualità del sistema di accoglienza è dimostrata dal suo tedesco: in appena due mesi di corsi obbligatori, lo parla già discretamente. Stanotte ha lasciato il dormitorio per venire in stazione a raccogliere bottiglie: «Al supermercato c’è una macchina che ricicla la plastica. Per ogni bottiglia ti danno venticinque centesimi», spiega e va a rovistare nei cestini. Solo che ha la pessima idea di attraversare i binari, anziché scendere nel sottopasso. E due agenti, l’uomo di prima e una ragazza, lo bloccano.

L’identificazione va per le lunghe. Proviamo ad avvicinarci. «Mi hanno fermato perché ho attraversato i binari», ammette Ousmane. Bella stupidaggine, attraversare i binari è pericoloso. «No, non è pericoloso», interviene il poliziotto, «è proibito». Le sue parole sono lo spartiacque della vita quotidiana di un tedesco. Non è necessario scomodare l’inflessibilità con cui la Germania mette periodicamente sotto accusa i bilanci di Stato italiani o greci. Basta fermarsi di notte davanti al semaforo pedonale di Karlsplatz a Monaco, all’angolo con il senso unico di Prielmayerstrasse. Non c’è traffico, non arrivano auto, sono solo pochi metri. Davanti al rosso si fermano gruppi di giovani tiratardi. Passare a quest’ora non sarebbe pericoloso. Ma tutti aspettano il verde. Il rigore teutonico costa a Ousmane 25 euro di multa: cento bottiglie da raccogliere e infilare nella macchina mangiaplastica.

L'EREDITÅ DI CARLO MARX

Uscire dalla stazione di Chemnitz è un tuffo nel silenzio. Strade deserte, non si vedono auto né persone, anche se sono le quattro del pomeriggio. Durante la dittatura della Germania Est si chiamava Karl-Marx-Stadt e del periodo conserva la grande statua del filosofo, i casermoni di cemento, i vialoni tipici della megalomania comunista. Mancano però gli abitanti. Il trenta per cento delle case è vuoto. E lo si sente nella mancanza di rumore di fondo. Chi ha potuto, se ne è andato all’Ovest o si è avvicinato ad altre città della Sassonia, come Lipsia e Dresda.

Chemnitz ha due anime. Una è luminosa e per molti irraggiungibile dentro le vetrine dei due grandi centri commerciali, che si fronteggiano sulla piazza del municipio. L’altra è l’anima cupa e disoccupata di Sonndenberg, il vecchio quartiere in cui i fili dell’uguaglianza, della fiducia e della sicurezza economica si sono spezzati da tempo. Superata la sede dei socialdemocratici della Spd e una sala slot-machine, si cammina tra gli isolati dei negozi turchi e arabi. Gli alunni di una classe attraversano il cortile della scuola: su otto bambine, sei indossano il velo. Già in quarta elementare in Germania bisogna decidere cosa fare da grandi: il Gymnasium, il liceo che apre le porte all’università, comincia a dieci anni. E qui in Sassonia si è ammessi soltanto se la media dei voti è almeno due, secondo una scala che attribuisce uno come punteggio massimo e quattro come sufficienza: una selezione che divide la società tra manager e operai fin da piccoli.

Più su in cima alla salita, i caseggiati più vecchi. Giovanissime mamme tedesche escono dai portoni e spingono carrozzine e passeggini. Molte di loro costituiscono famiglie monogenitoriali, mantenute dai sussidi statali. La quantità di piercing, anelli al naso, tatuaggi sulla pelle degli abitanti tradisce il forte bisogno di identità. Questo quartiere popolare nasconde una diffusa rete neonazista. Come se ne incontrano ovunque a Est, alla periferia di Dresda. Oppure nei paesi agricoli tra Schwerin e Wismar, in Meclemburgo-Pomerania Anteriore, il profondo Nord, bacino elettorale della Cancelliera: dove i commercianti mettono in vetrina riviste dai titoli “Califfato Germania” contro l’accoglienza dei profughi musulmani e “Merkel vattene”. A forza di minacce, ratti morti lasciati davanti alla porta e gavettoni di vernice contro le finestre, lo scorso inverno il partito di sinistra “Die Linke” di Chemnitz ha chiuso l’ufficio in Zietenstrasse 53, proprio nel cuore di Sonndenberg. Poco più avanti è apparsa una nuova vetrina con una macabra insegna: un teschio e i numeri otto e uno che nella numerologia estremista coincidono con le lettere H e A dell’alfabeto. Le iniziali di Hitler Adolf.

L'ARRIVO DEL BRUTTO TEMPO

In una calda serata fuori stagione a Gera, nello stato centrale della Turingia, la polizia anticipa di qualche metro il corteo di duecento sostenitori di”Afd - Alternative für Deutschland”. Lungo la centralissima Leipziger Strasse gli agenti fanno rientrare nei loro negozi di alimentari i proprietari e i clienti dall’aspetto arabo o turco, perché i manifestanti non li vedano. Soltanto loro. Anche se abitano tutti a Gera. Come il fruttivendolo libanese a metà della via, residente e contribuente tedesco da oltre vent’anni.

Una scena agghiacciante. Afd, il partito xenofobo, sta riunendo sotto un abbigliamento apparentemente borghese il consenso di “Pegida”, che tradotto significa “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, e dell’Npd, il partito filo nazista: un fronte antieuropeo che raccoglie simpatie e voti dalla costa sul mar Baltico fino ai confini con la Repubblica Ceca, nei distretti berlinesi di Pankow, Marzahn e Treptow-Köpenick, ma anche nei piccoli paesi agricoli ricchi degli stati federali del Sud.

«Fino agli anni Novanta, la Germania era ancora uno Stato che sosteneva l’economia sociale di mercato e l’equità. Per questo avevamo basse disparità di reddito, tanto da avvicinarci ai Paesi scandinavi», spiega il grande giornalista e scrittore Günter Wallraff, 74 anni, che ha raccontato la spregiudicatezza della società tedesca in libri come “Faccia da turco” o “Notizie dal migliore dei mondi”: «Oggi invece, secondo ricerche dell’Unione Europea, soltanto in due Paesi il divario tra redditi alti e bassi aumenta più velocemente che in Germania e sono la Bulgaria e la Romania.

Le crescenti diseguaglianze, la retrocessione della classe media e la campagna contro i profughi minacciano la coesione sociale. Il dieci per cento dei tedeschi possiede i due terzi delle risorse nazionali. Mentre il cinquanta per cento della popolazione si divide soltanto l’uno per cento. Se si tratta di rispettare il semaforo verde, la Germania garantisce la certezza della legalità. Ma far valere diritti più importanti, come scoprono i lavoratori che si rivolgono ai Tribunali, è molto complicato. Nelle industrie tedesche vale la legge del più forte. Se ci fosse più uguaglianza tra classi, partiti come Afd non avrebbero questo consenso».

Il risveglio dell’estrema destra sta provocando una reazione uguale e contraria. Tra Neukölln e Kreuzberg, quartieri multietnici di Berlino, una coppia di omosessuali dovrà cercare casa altrove. Da qualche tempo i vicini, soprattutto turchi, li prendono a sassate ogni volta che li vedono uscire.

Katharina Windmeisser, giovane inviata del settimanale “Bild am Sonntag”, da anni racconta il dramma dei piccoli profughi siriani. Ma i bambini del suo quartiere berlinese a maggioranza musulmana la insultano per strada. Semplicemente perché è bionda: quindi tedesca. «La più grande paura di molti tedeschi oggi», racconta Sascha Rosemann, 39 anni, attore e produttore cinematografico, «è l’aumento degli estremismi sui tutti e due i fronti: antisemitismo, islamofobia, omofobia si mescolano».

Lontano dalle ciminiere fumanti della locomotiva industriale tedesca che per settecento chilometri da Amburgo scende fino Mannheim e Stoccarda, c’è un paese simbolo di queste opposte paure. Lohberg, ex villaggio minerario, oggi quartiere di villini a mezz’ora da Duisburg, ha dato il nome alla brigata di polizia che nello Stato islamico si occupava di interrogatori e torture. La Gestapo di Daesh, l’hanno chiamata: venticinque jihadisti, la più alta concentrazione per numero di abitanti, undici partiti per la Siria, quattro già morti. All’uscita della notizia, per marcare la loro distanza dai musulmani, molti tedeschi di Lohberg hanno piantato in giardino la bandiera oro rossa e nera. E come risposta gli immigrati turchi, operai in pensione mai veramente integrati e i loro figli ancor più nazionalisti, hanno fatto altrettanto con la loro.

Una divisione ridicola, perché perfino la filiale del terrore qui è multiculturale. Philip Bergner, 26 anni, il kamikaze che a Mosul ha ucciso venti persone facendosi esplodere, era tedeschissimo foreing-fighter del paese. Così come lo è suo cugino Nils, 28 anni, diventato collaboratore della polizia dopo l’arresto. Ma ancora oggi camminare sotto i platani silenziosi di Lohberg è un continuo passaggio di confini. Come a Risiko: la Turchia al centro, la Germania tutt’intorno. E quando si cominciano a piantare le bandiere per terra, non si sa mai dove si va a finire.


Ecco perché la Germania non è più la locomotiva d'Europa
di Stefano Vastano
2016/03/31

http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... a-1.256279

Il 10 per cento delle famiglie più ricche dispone oggi in Germania di oltre il 60 per cento della ricchezza netta. Il numero dei miliardari è aumentato negli ultimi anni, ma la metà circa dei tedeschi meno abbienti non possiede né una casa né alcun tipo di patrimonio netto. Ed oltre il 15 per cento della popolazione, più di 12 milioni di tedeschi, vive già a rischio povertà. Un quadro fosco, preoccupante dell'economia e della società tedesca quello che traccia Marcel Fratzscher, direttore del prestigioso istituto economico Diw di Berlino, nonché consigliere di Sigmar Gabriel, il ministro dell'Economia della Merkel. Dai dati raccolti in “Verteilungskampf”, il suo libro ora dedicato alla “Lotta per la distribuzione”, emerge una Germania sempre più ingiusta, per niente socialdemocratica, e dilacerata da una serie di gravi diseguaglianze non solo sul fronte dei redditi e delle risorse, ma soprattutto nell'accesso al sistema scolastico e mobilità sociale. “Tante barriere e pregiudizi”, inizia a spiegare il 45enne Fratzscher a “l'Espresso”, “che pregiudicano nella Germania di oggi lo sviluppo in particolare sia delle donne che dei figli nelle famiglie più povere. Diseguaglianze che alla fine frenano la crescita dell'economia tedesca e la democrazia in Germania”.

Eppure, se consideriamo il parametro del Pil, le esportazioni e una disoccupazione al 6 per cento, l'impressione è che l'economia tedesca sia salda e forte...

“Certo, se confrontiamo l'economia tedesca a quella italiana, la nostra oggi sta meglio ed è solida. In Germania abbiamo la metà della vostra disoccupazione; e quella giovanile è tra le più basse in Europa. Il Pil poi quest'anno crescerà dell'1,6 per cento; i salari sono aumentati l'anno scorso del 2 per cento, insieme alla creazione di 400mila nuovi posti di lavoro e a un reddito pro capite che oggi in Germania si aggira sui 40mila dollari. Ma questo è solo un volto dell'economia tedesca”.

L'altro qual è?

“Il fatto che in Germania la metà dei lavoratori ha subito negli ultimi 15 anni una perdita del potere d'acquisto dei salari. Mentre nello stesso periodo in nessun altro Stato europeo il 10 per cento della popolazione più abbiente ha accumulato patrimoni consistenti come qui in Germania. D'altro lato, e nonostante la crisi, negli ultimi 15 anni, l'economia francese è cresciuta del 3 per cento in più rispetto all'economia tedesca, e quella spagnola persino del 10 per cento. E ciò mentre dal 2000 ad oggi in Germania si allargava a dismisura la forbice tra ricchi e poveri, fra redditi alti e bassi e, tanto a sfavore del ceto medio che per le fasce più deboli, si cementavano opportunità di carriera e mobilità sociale. È questa sistematica distribuzione sempre più diseguale ed iniqua dei patrimoni, redditi ed opportunità sociali 'l'altro volto' che di fatto caratterizza oggi l'economia tedesca”.

Analizziamo i patrimoni: com'è distribuita nel 2016 la ricchezza nel Paese della Merkel?

“In nessun altro Paese europeo, le diseguaglianze nei patrimoni sono oggi più marcate che in Germania. Basti pensare che il 40 per cento delle famiglie tedesche non possiede quasi nessun patrimonio netto o, per esempio, che solo il 40 per cento dei tedeschi possiede un immobile. Dall'altro lato della scala sociale invece, registriamo che il 10 per cento dei più ricchi dispone oggi di oltre il 63 per cento del patrimonio netto in Germania. I 'supericchi' tedeschi vantano quindi la maggiore concentrazione di ricchezza in tutta Europa, tanto che nella lista Forbes i miliardari in Germania sono aumentati negli ultimi 15 anni. Con il triste risultato che i forti dislivelli nella distribuzione dei beni e patrimoni rendono la Germania di oggi molto più simile agli Usa”.

In compenso, dal 1990, non c'è mai stato tanto lavoro in Germania e meno disoccupazione...

“Già, ma non dimentichi che, dal 2005, dalle riforme cioè del welfare e del mercato del lavoro, i posti di lavoro precari e part-time sono aumentati notevolmente anche in Germania. Il lavoro sempre più instabile o il 'salario minimo' da 8,50 euro l'ora riguardano persone prive di qualificazione, che non hanno terminato o avuto accesso agli studi; e mostrano quindi la parte della società tedesca esclusa dalla mobilità. Una vera economia sociale di mercato dovrebbe offrire qualcosa in più della precarietà o un assegno di disoccupazione ai più giovani”.

Le donne hanno le stesse chance degli uomini sul mercato del lavoro tedesco o anche in Germania pagano un 'Gender-Gap'?

“Anche rispetto alle donne il mercato del lavoro in Germania è molto più discriminatorio che, ad esempio, nei paesi scandinavi. A pari qualificazione, oggi le donne guadagnano in media in Germania il 39 per cento in meno degli uomini per lo stesso lavoro. Le donne si scontrano con un enorme Gender Gap sul mercato del lavoro tedesco, sebbene alle università, e da anni, abbiano seminato gli uomini”.

Veniamo alla terza diseguaglianza, la mancanza di pari opportunità culturali. Come e quando si manifestano queste barriere nella società tedesca?

“Si manifestano già con il semplice fatto che il 70 per cento dei figli di coloro che hanno una laurea va all'università in Germania, mentre appena il 20 per cento dei figli dei lavoratori arriva ad immatricolarsi. E questo è solo il risultato di una serie di handicap che partono sin dai primi giorni di vita, dagli asilo nido e dal tipo di scuole a cui i figli dei meno abbienti hanno accesso in Germania. Col risultato che oggi chi ha la sfortuna di nascere povero ha molte probabilità di morire povero in Germania”.

Sta dicendo che nel 21° secolo il destino dei lavoratori tedeschi è segnato dai primi giorni di scuola?

“Sto dicendo che per quanto concerne asili nido e scuole a tempo pieno, l'offerta e qualità in Germania sono al di sotto della media dei Paesi-Oecd e delle potenzialità del nostro Paese. Specie nei primi e decisivi 10 anni di vita, i figli delle famiglie più deboli si ritrovano davanti nel percorso scolastico tedesco delle barriere più alte di quelli nati in famiglie più ricche. Ed è proprio da questa diseguaglianza nel libero sviluppo culturale del singolo che sorgono le ricadute più negative per le prestazioni dell'intera economia tedesca”.

È possibile quantificare quanto queste barriere e freni siano sinora costati all'economia tedesca?

“Secondo uno studio dell'Oecd, la forte diseguaglianza nei redditi, patrimoni e nella mobilità sociale ha significato per l'economia tedesca negli ultimi 20 anni una perdita di almeno 6 punti percentuali del Pil. Purtroppo questa 'forbice' sempre più aperta nella distribuzione di redditi e patrimoni non si è spalancata solo in Germania, ma è un trend negativo che segna l'economia e società di tutti i Paesi dell'eurozona”.

Con la differenza che una Germania con un'economia sempre più 'diseguale' frena l'intera Europa...

“Ripeto, anche se l'economia tedesca continua ad esser stabile, la Germania degli ultimi 20 anni di fatto non è stata la locomotiva d'Europa. Uno dei fattori che ha più rallentato l'economia tedesca è per l'appunto la disparità sociale negli accessi alla cultura e la carenza di investimenti nel sistema scolastico“.

L'ideale del “benessere per tutti” predicato negli anni '50 dal ministro e cancelliere Ludwig Erhard è scomparso per sempre dalla Repubblica Federale della Merkel?

“Nella Germania del 2016 si allarga la sacca dei precari e dei 'dimenticati', dipendenti dalle iniezioni di un welfare a sua volta sempre più burocratico ed inefficiente. Già per questo la nostra economia sociale di mercato è fallita da tempo, anche se noi tedeschi siamo troppo orgogliosi per ammetterlo”.

Le cause di questo fallimento, oltre alla forbice dei redditi e alle barriere negli studi, quali sono? Che ruolo hanno le tante piccole e medie aziende a conduzione familiare, i veri Champions del 'made in Germany'?

“Una delle caratteristiche del sistema industriale tedesco sono le tante aziende, alcune all'avanguardia mondiale nel loro settore di nicchia, tradizionalmente a conduzione familiare. Basti pensare che delle 300 più grandi ditte tedesche, oltre 100 sono imprese familiari. Ma la crisi dell'economia tedesca non si risolve certo subissando di tasse le aziende o i più ricchi, ma sbloccando le diseguaglianze che congelano i redditi e le opportunità di carriera del 40 per cento dei tedeschi privi di risorse”.

Il governo di Berlino ha già introdotto il salario minimo, pensioni a 63 anni e 'quote rosa' nei consigli di sorveglianza delle imprese: la cancelliera Merkel fa abbastanza per smantellare le diseguaglianze che minano la produttività tedesca?

“Il governo di Berlino sbaglia limitandosi a distribuire ai tedeschi quei regali elettorali, come la pensione a 63 anni, a chi ha potuto versare contributi per 45 anni. In Germania occorre prima di tutto investire molto di più in cultura e nei sistemi scolastici. Soprattutto poi nelle infrastrutture di un Paese rimasto per 20 anni fermo e che ora rischia di perdere in competitività. Da questo punto di vista è curioso che il governo di Berlino sproni tanto spesso voi italiani a realizzare quelle riforme strutturali che scorda poi di realizzare qui in Germania!”.

Il pareggio di Bilancio predicato instancabilmente dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble servirà a risolvere le diseguaglianze nella vostra economia e società?

“L'ossessione dello 'schwarze Null', dello Zero nei conti dello Stato è un obiettivo a cui mirare se la congiuntura tira. Lo Stato deve cioè abbattere i debiti quando l'economia fila. Ma non è certo un fine in sé, né un feticcio a cui immolarsi nei tempi di crisi, in cui invece congiuntura ed economia vanno sostenute. Come in questo momento in cui è urgente integrare un milione di profughi nel mercato e società tedesca. Anche per questo sono ora urgentemente necessari più investimenti in cultura ed infrastrutture, se non vogliamo che le paure dei tedeschi aumentino e con loro l'avanzata di populisti e demagoghi”.



Europa, il vero nemico dell'euro è la Germania
Cesare Sacchetti
Zonaeuro | 13 maggio 2016

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/0 ... ia/2723188

Le cronache dell’eurozona di questi giorni hanno individuato il principale responsabile della crisi dell’Unione Monetaria: la Germania. Difatti è da diverso tempo a questa parte che si susseguono editoriali e puntuali analisi sullo stato della crisi dell’euro, e sul perché mai non si riesca a trovare una via d’uscita percorribile congiuntamente dagli stati membri. Non può esserci una soluzione condivisa per il semplice fatto che lo stato dell’arte attuale, permette alla Germania di difendere il primato commerciale ed economico costruito in questi anni. Il surplus delle partite correnti tedesco è stato solamente nel 2015 di ben 275 miliardi euro, l’8,8% del Pil della Germania, mentre nel mese di marzo di quest’anno ha già raggiunto la cifra di 30 miliardi di euro. La Germania continua ad esportare, e a comprimere la propria domanda interna per poter difendere e aumentare ancora di più quell’enorme surplus. Ma le regole dell’identità contabile insegnano che se c’è un surplus da un lato, dall’altro deve necessariamente esserci un deficit. E questa regola trova esattamente conferma nelle dinamiche dell’eurozona.

Il necessario riequilibrio di questi disallineamenti dovrebbe passare per un trasferimento di fondi, pertanto parte di quel surplus dovrebbe essere utilizzato per sostenere le esportazioni degli altri paesi membri, e reinvestito nelle stesse aziende tedesche, possibilmente per aumentare il livello dei salari. Il centro dovrebbe seguire questo schema per sostenere la debole domanda della periferia, ma tutto questo non avviene, perché la Germania non ne vuole sapere di cedere il suo bonus di competitività a vantaggio degli altri paesi europei, e si rimane confinati in questo limbo, dove il nord attribuisce le colpe della debole ripresa al sud e alle sue errate politiche di gestione dei bilanci pubblici. Da questo nasce la richiesta tedesca di proseguire sulla strada delle riforme strutturali ai paesi del sud Europa, ma come brillantemente spiegato dalle stesse fonti della Bce, queste non sortiscono alcun risultato nella ripresa della domanda interna, né aiutano in alcun modo a risollevare la debole inflazione che continua a far registrare un segno negativo.

Come sottolineato da Martin Wolf sul FT, è questa situazione di stallo che mette a rischio l’euro, ed è soprattutto l’ostinato egoismo della Germania a mettere a dura prova la possibilità di passare alla fase successiva dell’unione fiscale e monetaria dell’Ue. L’ordoliberismo è stato il marchio di fabbrica del Trattato di Maastricht, ovvero un vero e proprio vestito su misura dell’economia tedesca che già ai tempi della Cee ricorreva a politiche commerciali aggressive nei confronti dei suoi avversari. La flessibilità del cambio era lo strumento che consentiva ai paesi del sud di difendersi dall’egemonia commerciale tedesca, e allo stesso tempo permetteva ad economie strutturalmente diverse da quelle della Germania, di essere competitivi sui mercati senza ricorrere a pratiche di deflazione salariale di scuola neoliberista.

Ora la posizione della Germania è stata messa nel mirino da più osservatori, un tempo piuttosto distratti sul surplus tedesco, e se ne arriva a chiedere persino il sanzionamento, come del resto previsto da Maastricht, che fissa il limite dell’avanzo commerciale al 6%. Quello che appare chiaro, dalle dichiarazioni dei protagonisti e dei falchi tedeschi, è che la Germania non ha la minima intenzione di cedere di un millimetro su questa linea. Ed è la linea imposta da Weidmann, presidente della Bundesbank, che riversa le responsabilità del fallimento del Qe su Mario Draghi, accusato di azzerare il rendimento dei risparmi tedeschi con le sue politiche di tassi bassi, quando è proprio l’eccessivo livello del risparmio tedesco a impedire sul nascere qualsiasi possibilità di ripresa dell’eurozona.

Se la Germania volesse davvero stimolare la ripresa degli altri paesi, dovrebbe necessariamente aumentare la propria domanda interna, e sostenere così le esportazioni dei suoi concorrenti. Ma è un’ipotesi di pura scuola al momento, perché “non c’è spazio per la solidarietà” come affermato dallo stesso Weidmann che si è affrettato a chiudere la porta anche alla possibilità dei trasferimenti fiscali. A questo punto appare chiaro che non esiste una forza politica ed economica, in Europa, in grado di contrastare lo strapotere tedesco, e non è affatto da escludersi un intervento esterno di Washington per portare il gigante tedesco a più miti consigli. Proprio recentemente il Tesoro americano ha stilato una lista dei paesi che praticano politiche commerciali aggressive, in grado di mettere a rischio la tenuta e la stabilità economica degli altri paesi.

In questa lista c’è la Germania, che è stata messa nel mirino dagli Usa da diverso tempo, perché le sue resistenze a qualsiasi tipo di cambiamento mettono a rischio l’euro e tutta l’Ue. Le conseguenze potrebbero rivelarsi serie per le esportazioni tedesche, con disdette di contratti e sanzioni economiche americane verso la Germania. Alla Casa Bianca, da tempo, non fanno mistero di non gradire il comportamento tedesco, e di certo non sarà tollerata una ribellione che metta a rischio l’integrazione europea. Gli avvertimenti ricevuti fino ad ora, si veda il caso VW, sono stati ignorati dai vertici politici tedeschi, e non è ardito prevedere che a breve ci sarà un nuovo scontro tra Usa e Germania. Il giudice di Berlino potrebbe essere presto giudicato a sua volta dal giudice di Washington.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 7:59 pm

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Messaggioda Berto » lun mag 28, 2018 7:59 pm

El cativo todesco e el bon tałian (latin) ?
viewtopic.php?f=93&t=834


Filippo Focardi
Il cattivo tedesco e il bravo italiano
Editori Laterza
Vincenzo Guanci

Immagine

viewtopic.php?f=93&t=834

http://www.treccani.it/scuola/itinerari ... c_413.html


Nel 1964, nel film, di produzione Italia-URSS, Italiani, brava gente Giuseppe De Santis, regista di provata fede neorealista e comunista, proponeva un ritratto del soldato italiano che, nel corso della tragica esperienza dell’ARMIR in Russia, solidarizza con i contadini locali arrivando a salvare dalla fucilazione una partigiana russa.
Il cinema neorealista, che nell’immediato dopoguerra aveva raccontato la Resistenza, aveva già consolidato nell’immaginario collettivo la figura del tedesco invasore, gelido, con tratti di crudele disumanità. Si pensi al grande Rossellini della raffica di mitra tedesco che falcia Anna Magnani mentre corre dietro al camion che sta portando via il suo uomo in Roma città aperta.

In effetti la contrapposizione tra la naturale bonomia latina e la proverbiale freddezza teutonica è un luogo comune nazionale. (???)
Quasi automatico. Quasi inconsapevole. Focardi racconta (p. 180, nota 1) che gli attori e gli autori del film di Gabriele Salvatores Mediterraneo, vincitore nel 1991 dell’Oscar per il miglior film straniero, hanno dedicato il film a «tutti coloro che sono in fuga” senza minimamente occuparsi del personaggio del soldato italiano «buono”. Tuttavia per contestualizzare nel tempo e nello spazio gli eventi ripropongono la contrapposizione del buon soldato italiano al malvagio tedesco. «Italiani, greci... Una faccia, una razza. Qui prima di voi c'erano tedeschi. Hanno distrutto tutte le case, affondate le barche. Tutti gli uomini via, deportati! Quando abbiamo visto vostra nave, abbiamo pensato che erano tornati. Allora noi nascosti. Ma io conosco bene italiani. Non ci piacciono stranieri nella nostra patria. Ma fra due mali, meglio male minore ».Così il pope dell'isola dove il manipolo di soldati italiani si trova a sbarcare spiega perché gli abitanti si fossero tutti nascosti. Filippo Focardi nel suo libro affronta, spiega e documenta la nascita e lo sviluppo di questi due tòpoi della memoria collettiva nazionale: quello del tedesco cattivo e dell'italiano buono.

Naturalmente i prodromi vanno cercati nelle camicie rosse di Garibaldi contro i cecchini di Cecco Beppe e nei valorosi fanti del Piave contro i crucchi devastatori di Caporetto, ma il mito viene costruito durante la seconda guerra mondiale.
Prima e dopo l' «8 settembre».
Prima, quando l'esercito italiano combatteva a fianco dell' alleato tedesco, e poi, durante l'occupazione tedesca in Italia, quando la guerra partigiana fu anche guerra contro italiani fascisti e tedeschi nazisti. In entrambe le situazioni il ruolo predominante nella formazione dello stereotipo fu giocato dalla propaganda.
Fin dall’inizio della guerra Radio Londra puntò sul distacco dell'Italia dalla Germania, individuando nella prima l'anello debole dell’Asse. Le sue trasmissioni insistevano sul fatto che«era stato Hitler, il capo fanatico del Reich, a travolgere da oltre confine il destino del popolo italiano.

Era dunque la Germania, non l’Inghilterra, la responsabile della strage degli italiani che la guerra avrebbe provocato…» (p. 8).

Le accuse erano sostanzialmente infondate, ma contribuirono a creare il luogo comune, che fu utilizzato, tra l’altro, da Badoglio per giustificare l’armistizio di Cassibile e il rovesciamento delle alleanze da parte del governo succeduto alla caduta di Mussolini ad opera della monarchia.

Interessante, a questo proposito, è la posizione assunta dalle diverse forze politiche nell’immediato dopoguerra; allora tutti esaltarono il ruolo della Resistenza partigiana «intesa come guerra di liberazione e “secondo Risorgimento”, frutto di uno sforzo collettivo che aveva coinvolto civili e militari, uomini e donne di ogni età e di ogni fede politica e religiosa, unendo il paese da Nord a Sud» (p. 74) contro l’innaturale alleanza con il tedesco voluta esclusivamente da Mussolini per le sue folli ambizioni personali.

Questa fu la posizione dei governi espressione del Comitato di Liberazione Nazionale, prima, e della Repubblica, poi. Questa fu la posizione che portò a Parigi Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, nei negoziati per la firma del Trattato di Pace del 1947 e che risparmiò all’Italia, che pure si presentava come paese sconfitto, una punizione eccessivamente severa.

Insomma, il luogo comune del cattivo tedesco e del bravo italiano faceva comodo a tutti: monarchici, governativi, socialisti, comunisti, azionisti, perfino qualunquisti. E ciascuno lo utilizzò come meglio gli convenne in epoca di «guerra fredda» internazionale.

In tale contesto, non solo si nascosero gli «armadi della vergogna», come avremmo scoperto successivamente, ma si minimizzarono in modo grottesco le malefatte delle truppe d’occupazione italiane in Slovenia, Croazia, Montenegro, Grecia, Albania, a partire dalla famigerata circolare 3C del gen. Roatta che dettava repressioni feroci sulla base del motto «non dente per dente, ma testa per dente».

Non ci fu una «Norimberga italiana» e ciò ha contribuito non poco a «salvaguardare lo stereotipo del «bravo italiano” costruito sull’immagine opposta e speculare del «cattivo tedesco», un’immagine quest’ultima che uscì invece confermata e rafforzata dalla «Norimberga» tedesca». (p. 151).

Il lavoro di Focardi è prezioso anche per questo, nella sua meticolosa accuratezza e ricchezza di documentazione. A ragione di ciò non si può non condividere il suo appello conclusivo: «A quando una visita ufficiale italiana a Domenikon [villaggio greco distrutto per rappresaglia dalle truppe italiane] o all’isola di Raab in Croazia, sede di un famigerato campo di concentramento per slavi?
Ma insieme ai gesti simbolici e prima ancor di essi, servirebbe una ben maggiore diffusione della conoscenza della nostra storia, a partire dalle scuole.
E’ doveroso che gli studenti conoscano Sant’Anna di Stazzema e Monte Sole, come Auschwitz e le foibe, ma dovrebbero anche sapere che cosa hanno rappresentato Domenikon e Raab, per non dire di Debrà Libanos in Etiopia. Allo stesso modo può avere un valore formativo che venga loro additato l’esempio di Giorgio Perlasca, ma non dovrebbero essere taciute le colpe di un Rodolfo Graziani o di un Mario Roatta. Anche così si costruisce una memoria europea fondata sull’etica della responsabilità e aperta alla dimensione globale e multietnica delle società in cui viviamo, al di là di una memoria nazionale finora centrata su se stessa, vittimistica e autocelebrativa».
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Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:41 pm

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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:45 pm

Idiozie sulla Germania e mitomanie su Roma


Franco Calvi
certo, come no … per esempio: la Germania da molti anni commette (un patente caso di) violazione dei patti economici di Schengen, per eccessivo attivo (surplus) di interscambio; oppure possiamo ricordare l'aver risucchiato dal resto degli Stati UE svariate diecine di MILIARDI/€, riversati nelle banche tedesche a rischio di fallimento per aver concesso mutui eccessivi sul mercato greco (un sub-prime sotto mentite spoglie); tutto ciò mentre, dulcis in fundo, le banche tedesche stanno nascondendo (come la polvere sotto il tappeto) una situazione finanziaria fallimentare, dovuta ad operazioni azzardate su enormi quantità di titoli tossici … sostanzialmente le banche tedesche hanno in pancia un sacco di cartastraccia che comporta enormi perdite già consolidate, per ora occultate: al momento della resa dei conti l'economia tedesca imploderà in un crak apocalittico, trascinando tutta l'eurozona nella crisi …

Gino Quarelo
Probabilmente si tratterà di qualche funzionario infedele e corrotto, non certo della politica della banca.
Sarebbe interessante sapere dove vanno a finire i soldi delle mafie italiche e quelli dei corrotti italioni.
Poi non mi pare che in Germania vi siano state banche che abbiano fregato i loro clienti come in Italia tipo la Banca Etruria, Veneto Banca e Banca Popolare Vicentina, con la complicità della Banca d'Italia che non ha controllato e visto preventivamente nulla.

Franco Calvi
Nooo, ma quale "funzionario infedele" … in Germania ci sono le BanKe vicine a (o sotto controllo del) governo che, a novembre del 2011, hanno svenduto BOT per farne impennare il divario (lo spread) sul rendimento Bund: salvo poi riacquistarli dopo il deprezzamento, realizzando nell'intermezzo un rilevante plusvalore a spalle nostre … in ámbito privato si chiamerebbe OPA ostile … non parliamo poi dei gravissimi danni arrecati a tutta l'Europa in tre guerre: èh già, perchè nessuno ricorda mai che i prussiani aggredirono la Francia nel 1870/'71?

C'era anche Garibaldi, a difendere la Francia repubblicana, dopo la caduta di Napoleone III … anche quella volta avevano devastato Sedan … la faccenda era proseguita nel 1914/18 e nel 1939/40 … la Germania alla fine era stata smembrata, dopo 75 anni di avventure belliche giustamente perse … e così divisa andava lasciata … unni & barbari con l'elmetto chiodato, adesso continuano …
negli anni '30 si erano riarmati con lo scherzetto delle cambiali MEFO: la copertura aurea se l'erano poi procurata rubando le riserve auree pubbliche dei paesi occupati dal 1939 al 1945, nonchè quelle private (soprattutto di ebrei) in mezza Europa


Gino Quarelo
Napoleone e i Savoia hano fatto più danni.


Franco Calvi
Ti ricordo che, solo per parlare dell'ex funzionariotta komunista DDR, i tedeschi sono tutti perfettini, specialmente al momento di votare e rieleggere 4 volte chi fa il loro porco interesse con atteggiamenti internazionali scorrettissimi pro domo sua.
La politica tedesca della Merkel è la principale responsabile della Brexit ma teme l'Italexit.
Quanto a Napoleone & Savoia è vero, ci sono costati immensi danni: taglia da pagare per sbattere i krukki fuori dal Paese, giuochino ch'e durato dal 1848 al 1918, "solo" 70 anni: si chiama Risorgimento …
Aveva ragione Andreotti: amare talmente la Germania da volerne due … Arminio andava strozzato nella culla …

Gino Quarelo
Io sono veneto e ho origini anche germaniche, tra i miei avi vi sono anche i sassoni arrivati con i longobardi 1400 anni fa; i germani si sono presi in carico distrutta dai romani e l'hanno fatta risorgere. A me i tedeschi e gli austrici non hanno mai fatto del male tanto quanto il corso Napoleone e gli italo francesi Savoia.

Franco Calvi
Gino Quarelo va' in Germania, ma prima chiedi ai (tri)veneti che cosa hanno patito dopo la Strafexpedition (1916), Caporetto (1917) e durante l'occupazione diretta successiva all'8/9/1943 (Adriätisches Kunstenland & Alpen Vorland).

Questo è il capolavoro di perfidia Krukka, mentre dal 1908 il Capo di Stato Maghiore imperiale, gen. Konrad, suggeriva al kaiser di aggredire l'Italia (a tradimento, come i tedeschi in Belgio, 1914 e 1940), approfittando della prostrazione causata dal terremoto di Messina:

Consiglio dei Ministri 12 Novembre 1866 presieduto dall'Imperatore Francesco Giuseppe, verbale: " Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l'influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze con energia e senza riguardo alcuno" . Il Veneto era perso, ovvia l'avversione e la diffidenza verso gli italiani che ancora vivevano nei territori della Corona, si ricorreva al genocidio culturale se non fisico che perdurò dal 1866 sino al 1918, non senza , comunque, spargimento di sangue e si ponevano le premesse per quel genocidio fisico noto come "genocidio delle Foibe". Quella che per gli slavi era vissuta come una indebita invasione italiana dal '18 in poi era in realtà in gran parte un ritorno a casa dei legittimi proprietari da loro espropriati. Gli effetti di quel consiglio dei ministri si possono sintetizzare in espulsioni di massa, dalla sola Venezia Giulia, nei primissimi anni del '900, vennero espulsi oltre 35.000 Italiani, deportazioni in campi di concentramento che raggiunsero l'apice con la prima guerra mondiale con oltre 200.000 deportati in campi come Katzenau, Wagna, Tapiosuli, Gollesdorf e molti altri, impiego di squadre di nazionalisti slavi nell'esercizio massiccio della violenza contro gli italiani con tacita copertura delle autorità, innumerevoli le violenze, le aggressioni, attentati ed omicidi, repressione poliziesca, immigrazioni di slavi e tedeschi a seconda della zona per sostituire la popolazione italiana autoctona, germanizzazzione e slavizzazione forzata scolastica e culturale, con la cancellazione della toponomastica italiana, proibizione della cultura italiana in ogni sua forma, privazione e limitazione dei diritti politici e dei diritti civili. Se si dimenticano questi dati di fatto è impossibile capire la vera natura di quanto accadde poi durante la seconda guerra mondiale ed è impossibile capire il perchè dichiarazioni come quelle del Furlanic, ex Presidente della scacciata Giunta Comunale di Trieste, siano inaccettabili e rievochino una persecuzione iniziata nel 1866 e culminata a Trieste con i 40 maledetti giorni dell'occupazione titina e ci si dimentica che in quel maledetto 1° Maggio le orde titine piombarono su una città già in gran parte liberata il 30 Aprile dal CLN al comando del Colonello Antonio Fonda Savio ed al quale non parteciparono né i comunisti italiani, che operarono solo nelle zone periferiche e men che meno quelli sotto il controllo slavo che operavano sul Carso. Il resto è Storia che si tenta di tener sepolta ancora oggi a...Basovizza e in moltissimi altri altrove dove finirono anche combattenti del CLN scomodi ai titini, nelle cave di bauxite e, soprattutto nell'Adriatico.

Franco Calvi
Quanto al diritto romano, Ti ricordo che a partire proprio dai Longobardi, per proseguire con i Franchi (Carlo Magno), continuando proprio con Venezia, la Serenissima Dominante, e per finire con un noto storico Tedesco del XIX secolo (Mommsen), TUTTI hanno dovuto riconoscere (e studiare a fondo) per due millennî la forza della Legge scritta romana … non per caso Carlo Magno s'era considerato il rifondatore del Sacro Romano Impero, non per caso Kaiser viene, come (K')Zar, da Cæsar, Cesare …

Tu regere imperio populos, Romane, memento: hæ tibi erunt artes, pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos.

RicordaTi, o romano, di dirigere i popoli al Tuo comando: queste saranno le Tue arti, imporre un costume di pace, accondiscendere chi vi si adegua e stroncare chi vi si oppone.

Virgilio, Eneide, Cap. VI, vv. ~ 853 e segg.

Questa si chiama civiltà del diritto, esisteva @ Roma da qualche secolo prima che sassoni, angli, juti, teutoni, & co., invadessero le pianure europee dal Fulda-gap, e non solo … le aquile di Hitler e la porta di Brandeburgo sono pallide e tardive emulazioni della Via Sacra e degli archi trionfali (quelli "veri") del Foro Romano …

Franco Calvi
E finora non ho tirato in ballo la Shoah, ma proprio a Te non mi sembrava necessario (io, un modestissimo "gentile") ricordare che uso avevano fatto, i krukki, della Risiera di san Sabba, @ Trieste … nella Tua bacheca inneggi all'indipendenza Veneta: atteggiamento che, da Bergamasco, uno dell'ultima propaggine dei domini di terra di S. Marco, posso ben capire … ma molto meno comprensibile mi risulta la Tua ostentata partigianeria filo-germanica, pensando a quanto Venezia si fosse dovuta difendere per tutta la sua esistenza, dalla pressione, imperialistica più che imperiale, del Nord germanico … benchè sovente inetto (assedio di Vienna, 1683, risolto dall'intervento deciso e decisivo del Re della Federazione Polacco-Ucraina, Jan Sobieski III)

Gino Quarelo
Non ho tempo di risponderti, di argomenti ne ho a montagne, stai tranquillo, quando rientro ti illumino.

Franco Calvi Gino
Quarelo spegni pure la Tua candelina, qui ci abbiamo la luce led …

Gino Quarelo
Franco Calvi incominciamo:

1) La Germania non ha violato il patto sul "surplus interno" poiché il surplus economico-commerciale della Germania è esterno e non riguarda il rapporto con gli altri paesi europei ma concerne esclusivamente i paesi extra europei che non sono compresi nel patto europeo sul surplus che è interno.


Il surplus commerciale della Germania e quello su cui Renzi sorvola a proposito dell’Italia
Le critiche del presidente del Consiglio all’Unione europea e alla Germania dopo Bratislava hanno un fondamento. Ma in materia di bilancio e di squilibri macroeconomici non dice tutto. Un fact checking.
20 Settembre 2016
https://www.ilfoglio.it/economia/2016/0 ... lia-104278


Perché l’Ue non sanziona la Germania per surplus commerciale
26 novembre 2018, di Alessandra Caparello
http://www.wallstreetitalia.com/perche- ... ommerciale


Franco Calvi incominciamo:
1) La Germania non ha violato il patto sul "surplus interno" poiché il surplus economico-commerciale della Germania è esterno e non riguarda il rapporto con gli altri paesi europei ma concerne esclusivamente i paesi extra europei che non sono compresi nel patto europeo sul surplus che tratta di quello interno.

2) L'impero romano è crollato perché era un'entità mostruosa non più in grado di cambiare e di adeguarsi ai tempi nuovi, alle mutazioni socio-economico-politiche interne ed esterne al mondo europeo-asiatico e africano.

3) I germani, alla fine dell'Impero romano hanno rappresentato l'innovazione in tutti i sensi; essi non essendo stati colonizzati dai romani avevano potuto conservare intatta la loro specificità-originalita politico-culturale e quindi al crollo dell'Impero romano hanno potuto farsi carico dell'Europa, come ceto dirigente al posto di quello romano che hanno in gran parte sostituito, pur conservando taluni istituti e parte del gergo politico istituzionale come il termine Kaiser (da Caesar, Cesare la cui origine è da mettere in relazione all'etrusca "aisar" (deus) e all'accadico "gašru" (molto forte).

3) Il diritto in generale non è un'invenzione dei romani e gran parte del diritto detto romano è in realtà diritto etrusco e diritto italico comune alle popolazioni di gran parte dell'area italica ;
alla fine dell'Impero romano parte di questo diritto è stato cambiato e integrato da quello germanico.

4) Nella Prima guerra mondiale è stata l'Italia ad aggredire l'Austria e a provocare la distruzione delle terre venete; durante la Seconda guerra mondiale è stata l'Italia a tradire l'alleato tedesco.

5) Tutti gli imperi prima o dopo sono destinati a finire, l'unico che ancora resiste è quello cinese ma limitatamente alla Cina che in migliaia di anni si è ammalgamata e l'unico grande problema etnico-politico i cinesi ce l'hanno con la parte islamizzata dei "variegati popoli cinesi".
6) Anche l'Impero di Venezia è finito, come per colpa di Venezia non si è costruito uno stato veneto di tutti i veneti e così siamo finiti sotto Napoleone, l'Austria e l'Italia.
L'Istria e la Dalmazia erano domini veneziani e non terre preistoriche e storiche venete, anche Bergamo e Brescia erano domini veneziani ma non erano e non sono terre venete.
È più che naturale che l'Austria in Istria abbia cercato di modificare l'etnia delle popolazioni; non ha fatto altro che fare quello che hanno sempre fatto tutti compreso i romani, colonizzando i territori con coloni di diversa etnia; non vi è nulla di cui meravigliarsi e indignarsi.


Roma - el mito tra el vero e el falbo
viewtopic.php?f=111&t=2355

Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche
viewtopic.php?f=22&t=2775


Gino Quarelo
Passerò a raccontare dei crimini dell'Italia fascista nelle terre greco-balcaniche e slave.
Il Sudtirolo è terra tirolese.

Franco Calvi
Gino Quarelo la pulizia etnica antiitaliana disposta ed attuata da Cecco Beppe precede il fascismo solo di 50 anni, quindi il resto, successivo, non la compensa nè la redime.
https://www-repubblica-it.cdn.ampprojec ... 20%251%24s

http://www.wallstreetitalia.com/germani ... MuTJdybYMQ

https://www.repubblica.it/economia/2013 ... dSwwrbs4sQ





Franco Calvi
Quindi non solo fai una lettura distorta e partigiana delle vicende storiche tedesche calate nel consesso europeo, ma sostieni tesi smentite dai fatti accertati … il recente surplus d'esportazione annuo tedesco è salito fino a 100 MILIARDI di € , dei quali oltre 65 (i ⅔), sono maturati nell'ámbito UE, come certificato dagli organi statistici EU e tedeschi.

Prendo atto che è inutile discutere con chi smentisce la storia del diritto romano (che arriva alla summa delle Pandette di Giustiniano, VI secolo d. C.), asseverata dagli studi del più eminente storico tedesco (dùbito fortemente che l'avessi mai sentito nominare prima d'ora).

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Theodor_Mommsen

La "tenzone" termina qui, rammentandoTi che il verbale di Cecco Beppe è conservato a Vienna in un fondo del Ministero degli Esteri austriaco … buon tutto, so long, goodbye …


Nicoletta Levis
Shar Kisshati infatti, non cambiano mai

Gino Quarelo
Chissà perché l'Olanda, l'Austria, la Svizzera, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, il Lussemburgo, ... non si lamentano della Germania, tutti paesi senza debito o con un debito che è al massimo la metà di quello italiano.
Noi in Veneto abbiamo avuto il più grande romanista di tutti i tempi: il pavano Tito Livio.
Ma Roma è acqua passata e quel che resta è una città che è la più corrotta, irresponsabile, indebitata e sporca dell'occidente.
Con l'Austria noi veneti stavamo meno male che con l'Italia; di sicuro l'Austria a noi veneti a fatto molto meno male che l'Italia.

Franco Calvi
Vacci e piantala: austriacante, come Ti avrebbero detto i nostri nonni, figli di quelli che a Milano avevano cacciato Radetzky a calci in "(0|0)"

Shar Kisshati
Meglio poveri e liberi che ricchi e schiavi.

Nicoletta Levis
Shar Kisshati veramente siamo schiavi e pure poveri...

Shar Kisshati
Io è perché non ho figli, ma cose simili con me sarebbero inconcepibili.

Franco Calvi
650.000 morti, monumenti commemorativi in ogni paese, contrada, città, quartiere, caserma e cimitero … 30.000 solo a Redipuglia … per non essere più schiavi dei krukki: da lì in avanti si ragiona di come quelli ci stanno riprovando, aggredendo ed ora strumentalizzando l'Europa ed ora l'UE, per la 4ª volta … (1870/71, 1914/18, 1939/45, 2008/18)

Gino Quarelo
Il bene genera il bene e favorisce la vita, il male genera il male e la morte, con il male non si fa il bene ma si riproduce solo il male. Ecco cosa ha prodotto il Risorgimento con i suoi falsi miti e i suoi falsi ideali:

I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587

Il surplus maggiore della Germania è extra EU e non intra EU.
se la Germania vende all'estero extra UE è un bene e non un male, un bene sia per la Germania sia per l'Europa;
lavorare bene e vendere nel mondo è una virtù e non un difetto, un vizio; è solo un buon esempio anche per gli altri paesi europei.

Questo articolo critico verso la Germania riguarda in maniera indistinta il surplus della Germania non distinguendo quello intra-UE e quello extra-UE. L'infrazione prevista dal patto UE riguarderebbe solo la quota del surplus commerciale intra-UE.


ROMA - Le industrie tedesche continuano a vendere, senza freni, i loro prodotti all'estero. Al punto che la bilancia commerciale segna un surplus record da 20,3 miliardi a maggio. Il risultato di maggio è superiore a quello di aprile (pari a 19,4 miliardi) e va al di là delle attese, che si fermavano a 20 miliardi.

https://www-repubblica-it.cdn.ampprojec ... 20%251%24s

Gino Quarelo
Il triangolo industriale che si è sviluppato dopo l'unificazione statuale della penisola italica, con i suoi poli milanese, torinese e genovese, anche a danno dello sviluppo dell'area veneta poiché i capitali finanziari e umani veneti erano indirizzati verso quest'area, è stato uno dei principali fattori che ha promosso la Prima guerra mondiale che ha distrutto le terre venete.
Specialmente quello dell'idustria pesante: treni, automobili, camion militari, cannoni, carri armati, armi varie.
A Milano, a Torino e a Genova non è stato sparato un colpo di cannone se non per provare i cannoni che vi venivano prodotti; invece le terre venete sono state rase al suolo dai cannoni italiani ed austriaci che hanno risposto all'aggressione italiana.
Dobbiamo forse ringraziare per il trattamento di favore ricevuto?


Franco Calvi
Gino Quarelo sei orbo o dislessico?

Quell'articolo (che avevo già linkato, ma sei talmente infervorato che non lo hai letto), dice alla lettera che:

"La Ue ha assorbito a maggio 65,7 miliardi di merci "made in germany" con un incremento del 2,4% rispetto all'anno precedente. Nei primi cinque mesi dell'anno il surplus della bilancia commerciale tedesca è quasi a 100 miliardi (99,9) contro i 99,2 miliardi nello stesso periodo del 2017."

65,7 MLD € ASSORBITI DA EU!

Evadesso T'invito formalmente ad andare a spasso: in Austria …


Gino Quarelo
Infatti l'articolo (che ho rilincato apposta) parla del surplus della bilancia commerciale con i paesi extra-UE e intra-UE senza distinguerli tra loro; distinzione necessaria perché il patto UE riguarderebbe il surplus della bilancia commerciale intra-UE e non extra-UE.

Tutti questi articoli menzogneri antitedeschi, giocano sull'ignoranza/stupidità dei lettori che non riescono a capire/distinguere la differenza tra extra e intra.



Franco Calvi
L'articolo parla di entrambi i surplus, intra ed extra UE: più T'incaponisci a sostenere il contrario e più confermi la Tua partigianeria preconcetta; più insisti a demonizzare chi ne dissente, più ne rinforzi la posizione … Ti sei ridotto a vox clamans in deserto, contento Tu, io non Ti do' più ascolto, tempo perso …

Gino Quarelo
Chiedo scusa ma ho fatto confusione tra vari articoli sul surplus della Germania che trattavano quello intra-UE e quello extra-UE.
Bisogna distinguere il surplus tedesco intra-UE ed extra-UE e non trattarli insieme, poiché il patto UE riguarda solo la bilancia commerciale interna alla UE che deve essere equilibrata nell'import e nell'esport tra i vari paesi UE, ma non riguarda il surplus con i paese extra-UE.
Prossimamente svilupperò meglio il mio pensiero a riguardo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:49 pm

Gino Quarelo
Chiedo scusa ma ho fatto confusione tra vari articoli sul surplus della Germania che trattavano quello intra-UE e quello extra-UE.
Bisogna distinguere il surplus tedesco intra-UE ed extra-UE e non trattarli insieme, poiché il patto UE riguarda solo la bilancia commerciale interna alla UE che deve essere equilibrata nell'import e nell'esport tra i vari paesi UE, ma non riguarda il surplus con i paese extra-UE.
Prossimamente svilupperò meglio il mio pensiero a riguardo.

In proposito ecco un articolo del febbraio 2017:

Germania, surplus commerciale al 9%. Limite Ue al 6%
Martedì, 31 gennaio 2017

http://www.affaritaliani.it/affari-euro ... 61331.html

Con malcelato orgoglio questa mattina i giornali tedeschi titolavano: "Campioni dell'export". Giá, perché nel 2016 la Repubblica federale tedesca ha raggiunto un surplus commerciale pari a 297 miliardi di dollari, quasi il 9% del Prodotto interno lordo. Un anno da record per Berlino che con queste performance straccia anche la Cina, considerata fino ad oggi la vera fabbrica del mondo.

Surplus commerciale, Germania prima al mondo

"La bilancia delle partite correnti segna un'eccedenza di 297 miliardi di dollari", ha dichiarato l'esperto dell'Ifo Christian Grimme alla Reuters, "la Repubblica popolare occupa il secondo posto con 245 miliardi di dollari". Ancora nel 2015 le parti erano invertite, con la Cina al primo posto seguita dalla Germania, mentre il terzo posto é occupato dal Giappone.

Da Bruxelles un alert: limite del surplus al 6%

Bravi i tedeschi, dunque, che dimostrano come puntando su ricerca e lavorazioni ad alto valore aggiunto si possa avere una economia florida. Ma le straordinarie performance teutoniche hanno sollevato non pochi malumori tra le capitali europee, soprattutto quelle mediterranee. Giá, perché se il Trattato di Maastricht impone ai Paesi della zona euro di non superare il deficit del 3% e un debito pubblico del 60%, impongono anche di non aver un surplus commerciale piú elevato del 6% per tre anni di seguito.

Surplus troppo elevati sono causa di instabilitá

La motivazione é semplice. Quando si esporta si crea un disequilibrio nella bilancia commerciale di un altro Paese. Se la Germania vende i suoi prodotti all'estero ci saranno Paesi che importeranno piú di quanto esportano e alla lunga questa situazione é dannosa per tutti. Ecco dunque la ragione del limite al 6%.

In molti chiedono un intervento Ue sulla Germania

Sono molti i leader europei che ora si aspettano che la Commissione europea intervenga, formalmente, per chiedere alla Germania misure che riducano lo squilibrio. Come fare? Ad esempio incentivando i consumi. Bruxelles su questo nicchia. Primo, perché sanzionare un Paese perché fa troppo bene sembra a molti un controsenso, anche se sancito dai trattati. Secondo, perché per Berlino 'lampeggia' un solo indicatore, l'export appunto, mentre per Paesi come l'Italia sono molti di piú: deficit, debito, produttivitá, ecccc.

Bruxelles verso un passo formale

Eppure i bene informati affermano che una letterina da Bruxelles potrebbe anche arrivare. Una pura formalità, giusto per ricordare a Berlino di non essere intoccabile e accontentare in questo modo i Paesi mediterranei che soffrono del complesso degli eterni Calimero.

Berlino si giustifica: export fuori dall'EU

Ma la Merkel ha giá la risposta pronta ad una eventuale lettera di Bruxelles. Se infatti il limite del 6% é stato introdotto per tutelare gli Stati Ue, Berlino puó dirsi al sicuro. Infatti il suo export va principalmente al di fuori dell'eurozona: in Gran Bretagna, negli Usa e in Cina.


Benedetto il surplus della Germania
di Luciano Capone
2016/09/27

https://www.ilfoglio.it/economia/2016/0 ... nia-104576

Roma. Ieri era l’austerità di matrice protestante, ora sono il surplus commerciale e l’eccessivo risparmio tedeschi, in ogni caso sul banco degli imputati o all’origine delle recriminazioni c’è sempre la Germania e con la sua visione dell’economia “imposta” all’Eurozona. Negli ultimi tempi, e in maniera evidente con lo strappo dopo il vertice europeo di Bratislava, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha più volte sottolineato quanto sia dannoso per l’economia europea l’eccessivo avanzo delle partite correnti tedesco, che da tempo supera la soglia del 6 per cento del pil segnalata dall’Unione europea come indicatore di squilibrio: “Se dovesse rispettare alla lettera le regole europee – ha detto Renzi – la Germania dovrebbe reinvestire questo surplus dando ordini e lavoro alle aziende europee e italiane”.

L’idea del premier, condivisa in larga parte anche dalle forze di opposizione e da altri stati europei, è che la Germania dovrebbe abbattere il suo surplus, spendendo di più, per trainare la domanda europea e aiutare le economie del continente a uscire dalla stagnazione. Insomma, Berlino dovrebbe fare la locomotiva economica dell’Europa e invece con le sue politiche di eccessivo risparmio, sia pubblico sia privato, da un lato deprime le prospettive di crescita dell’Eurozona e dall’altro fa concorrenza sleale ai paesi periferici, rubando quote di mercato e di export. Ma siamo sicuri che i tedeschi abbiano un eccessivo surplus perché spendono poco e che sia proprio questo a impedire la crescita dei paesi cosiddetti periferici come l’Italia?

L’idea che basti abbattere l’avanzo commerciale tedesco per risolvere i problemi dell’Eurozona è popolare, ma basta dare un’occhiata ai numeri per accorgersi che le cose non stanno proprio così. Nel 2015 il surplus della Germania è stato quasi il 7 per cento del pil, circa 250 miliardi di euro. Per rientrare nei parametri Ue, si chiede a Berlino di fare maggiore consumi o investimenti per circa 35-40 miliardi di euro. Ma l’Italia, che pure è uno dei maggiori partner commerciali della Germania, conta solo per il 5 per cento dell’import tedesco. Quindi, anche ipotizzando che tutta la maggiore spesa di Berlino si riversi all’estero, l’export italiano aumenterebbe di 2 miliardi.

Nell’ipotesi più inverosimile, dato che solo una frazione minoritaria della maggiore spesa tedesca andrà in import, si tratta di briciole che non rivoluzionerebbero le prospettive di crescita del nostro paese. Inoltre il surplus commerciale non è qualcosa nel pieno controllo dello stato, ma dipende dalle scelte economiche di famiglie e imprese che potrebbero reagire a maggiore deficit e spesa pubblica aumentando il risparmio per pagare le tasse future, secondo quella che gli economisti chiamano equivalenza ricardiana, annullando così l’effetto della manovra.

C’è da dire che il surplus tedesco è stato costantemente sopra il 6 per cento del pil, ma non è stata sempre identica la sua composizione. Rispetto agli anni pre crisi si è praticamente annullato il surplus con i paesi dell’Eurozona, mentre è cresciuto notevolmente con i paesi fuori dalla moneta unica. Questa aumentata capacità di esportare fuori dall’unione monetaria, oltre naturalmente alla maggiore competitività delle industrie tedesche in settori come l’automotive, la meccanica e la chimica, è stata spinta dalla discesa del costo del petrolio e dall’abbassamento dei tassi d’interesse favorito dalla Banca centrale europea. Questi fattori che gonfiano l’export tedesco di certo sono vantaggiosi anche per i nostri conti pubblici (leggi interessi sul debito) e per l’export italiano (proprio ieri l’Istat ha segnalato un netto aumento delle esportazioni italiane extra Ue). Un aumento dei tassi d’interesse e del costo del petrolio probabilmente ridurrebbero l’avanzo tedesco, ma difficilmente produrrebbero qualche beneficio per noi.

Di come trattare il surplus dell’area euro e della Germania ha parlato anche Mario Draghi, ricordando a maggio che se in passato i capitali fluivano dai paesi in surplus verso quelli che offrivano interessi più alti, ora con rendimenti così bassi il meccanismo si è inceppato: “La risposta di lungo termine per aumentare i tassi di rendimento reali deve essere un riequilibrio strutturale del risparmio e degli investimenti globali – ha detto il presidente della Bce – Questo è il motivo per cui le riforme strutturali sono così importanti. Sono la chiave per aumentare la crescita della produttività e rendere quindi gli investimenti più attraenti”. Le recriminazioni verso il surplus tedesco rischiano solo di distrarci dalle cose veramente importanti.


L'Eurozona è il mercato meno appetibile per la Germania, ecco perché
Giuseppe Timpone, pubblicato il 09 Febbraio 2017

https://www.investireoggi.it/economia/e ... dellattivo

I dati presentati dall’Ufficio Federale Statistico della Germania sono destinati a surriscaldare il dibattito sugli squilibri globali e le tensioni tra l’amministrazione Trump e Berlino sulla presunta manipolazione del cambio da parte di quest’ultima, ai danni della bilancia commerciale USA. Nel 2016, il surplus commerciale tedesco ha segnato il terzo record annuale di fila, arrivando a 252,9 miliardi di euro. Le imprese tedesche hanno esportato nel resto del mondo beni e servizi per complessivi 1.207,5 miliardi, mentre le importazioni sono state pari a 954,6 miliardi. Rispetto all’anno precedente, le prime sono salite dell’1,2%, le seconde della metà, +0,6%. In tutto, il surplus delle partite correnti, comprensivo dei movimenti finanziari, è stato di 266 miliardi, segnalando come la Germania attiri anche capitali, al netto dei deflussi. Anche in questo caso si è trattato di un record, essendo il dato più alto dall’inizio delle rilevazioni nel 1991.

Se queste sono le cifre generali, andiamo nei dettagli, che si presentano ancora più interessanti. Il surplus della bilancia commerciale tedesca è stato verso il resto della UE di 75,4 miliardi, frutto di esportazioni per 707,9 miliardi e importazioni per 632,5 miliardi. (Leggi anche: Export Germania da record, ma all’Europa non serve mettere in croce la Merkel)
Eurozona vale solo il 5% del surplus tedesco

Verso le economie appartenenti all’Eurozona, l’avanzo è stato assai inferiore, ovvero pari a 12,9 miliardi, conseguenza di 441,8 miliardi di esportazioni e 428,9 miliardi di importazioni. Ne deriva che verso gli stati UE non aderenti all’Eurozona, il surplus è stato di 62,5 miliardi. Verso le economie non europee, invece, è stato di 177,5 miliardi, frutto di esportazioni per 499,6 miliardi e importazioni per 322,1 miliardi.

Giocando con le cifre, arriviamo a ottenere che appena il 30% dell’avanzo commerciale è stato maturato dalla Germania in Europa, mentre l’Eurozona rappresenta solamente poco più del 5% dell’intero surplus. Il 70% di questo viene maturato al di fuori del Vecchio Continente, a conferma di quanto l’economia tedesca sia fortemente internazionalizzata e di quanto sia, quindi, minacciosa la politica trumpiana di lotta agli squilibri globali, che danneggerebbero l’economia americana. (Leggi anche: Export Germania al 96% dell’intera Eurozona)
I mercati più redditizi per la Germania sono fuori dall’Europa

I flussi commerciali intra-europei, ovvero la somma dell’import e dell’export della Germania con il resto della UE, rappresentano il 62% del totale per Berlino, ma solo il 30% del suo attivo. Ciò denota quanto integrata, in realtà, sia l’economia tedesca con il resto del Continente, anche se con i partner europei riuscirebbe a maturare uno scarso avanzo. Al contrario, al di fuori dell’Europa, i tedeschi intrattengono il 38% degli scambi, ma che frutta il 70% del loro surplus. Infine, l’import-export con l’Eurozona vale il 40% del totale, mentre quello con i paesi UE non euro il 22%.

Tirando le somme, troviamo che: il 70% del surplus commerciale tedesco si ha al di fuori della UE, a fronte di scambi per il 38% del totale; il 5% è maturato verso il resto dell’Eurozona, che vale il 40% delle relazioni commerciali complessive; il 22% verso le economie europee non aderenti all’euro, che rappresentano quasi un quarto del suo avanzo.

In definitiva, ad essere più appetibili per i tedeschi sarebbero i mercati extra-UE, dove il rapporto tra flussi e avanzo è pari a 4,6, nel senso che per ogni 4,6 euro di interscambio commerciale la Germania ottiene un euro di surplus. I mercati europei sono relativamente meno allettanti, perché qui servono interscambi per quasi 18 euro per ottenere un euro di avanzo. Ancora peggio va con il resto dell’Eurozona, dove la Germania riesce a maturare un euro di avanzo per ogni 67 euro di interscambi. Va meglio verso i membri UE non aderenti all’Eurozona, dove bastano flussi per 7,6 euro per generare un avanzo di un euro. (Leggi anche: Trump contro euro debole della Germania)



Perché il surplus tedesco è un falso bersaglio
Francesco Morosini è professore a contratto di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia
18 ottobre 2016

http://www.rassegna.it/articoli/perche- ... -bersaglio

Flessibilità di bilancio, invoca il governo; e, d’altronde, è tempo di Def (Documento di economia e finanza) e di relative trattative con Bruxelles; cioè in primis con Berlino. Richieste ragionevoli, vista la nostra bassa crescita; ma ricordando che la severità teutonica tutela anche il contribuente italiano, che del deficit/debito è il garante d’ultima istanza. Nel farlo, l’esecutivo se la prende col surplus commerciale tedesco, considerato un freno per le altre economie dell’Eurozona in quanto ne sostituirebbe le produzioni. Tesi questa diffusa sia in ambienti euro sì (ultimo Fubini sul Corriere) che, soprattutto, euro no; ma è sempre e comunque vera?

In ragione di ciò interessa la posizione di Palazzo Chigi, sebbene essa vada intesa, più che come un contributo d’analisi, come un atto politico per segnare un vantaggio – con base legale nel cosiddetto Six pack europeo, che vieta surplus commerciali superiori al 6 per cento per più di tre anni consecutivi – nella trattativa sulla flessibilità con Bruxelles/Berlino. Nel senso che, al di là delle contingenze di opportunità politica, merita comprendere se, come diffusamente pensa il nostro ceto politico, per la ripresa della Penisola (che cresce con mini cifre da margini da errore statistico) e dell’insieme dell’Unione europea basterebbe una Germania che, potendolo fare grazie al suo “motore export”, aumentasse la domanda interna, cioè il suo import.

In definitiva, sul banco degli imputati c’è il cosiddetto “mercantilismo” tedesco, dottrina per la quale il vigore di un’economia nazionale sta nella sua forza nei mercati esteri, magari sacrificando un po’, appunto, il mercato interno: infatti, è questo surplus commerciale che, per i critici, fa crescere Berlino a spese dei condomini europei, soffocando il lato Mediterraneo, Italia compresa, dell’Unione monetaria europea (Ume). E tuttavia, la tesi presuppone che il surplus commerciale tedesco avvenga a spese del proprio import, cioè tagliando la domanda internazionale. L’ipotesi è lecita in via di principio; ma negli ultimi anni il saldo commerciale di Berlino col resto dell’Ume è minimo; poi, le importazioni tedesche sono sempre cresciute.

Certo, il surplus commerciale tedesco è gigantesco; ed è altrettanto vero che sia il Fondo monetario internazionale (Fmi), sia il presidente della Bce Draghi hanno sostenuto che proprio questo surplus consentirebbe a Berlino medesima una politica di investimenti pubblici e privati più espansiva; nonché necessaria per l’ammodernamento infrastrutturale della Germania.

Nondimeno, l’export tedesco – dati Eurostat (l’Istat europeo) – si concentra in gran parte nel mondo del capitalismo emergente extra Ue; mentre, per quanto attiene all’eurozona, addirittura la Germania tende a importare più di quanto esporti. In sostanza, nella Repubblica federale, via spesa pubblica e aumenti salariali, l’austerity (anche se meno di quanto forse vorrebbero Fmi e Bce) è stata almeno parzialmente archiviata. In altri termini, pare difficile vedere nel surplus commerciale tedesco, come fa pure Palazzo Chigi per meglio trattare a Bruxelles, la causa dell’anemica crescita del Belpaese.

Oltretutto, con l’export tedesco viaggiano componenti di qualità di aziende d’eccellenza tricolori (nel dopo Fiat l’industria della componentistica auto italiana è divenuta fornitrice di livello dell’industria teutonica); e quindi un crollo di questo export invece di avvantaggiarci ci rallenterebbe ulteriormente. Pertanto, il nostro problema di crescita è in gran parte interno.

Il nostro capitalismo tuttora è capace di creare dei gioielli d’industria; ma è anche vero che vi sono molti fattori – fiscali, di costo dei sevizi di rete (energia, traporti) a carico delle imprese, vincoli burocratici, poca ricerca e sviluppo – che bruciano la nostra competitività; infine, manca l’illusione di “mettere le nostre debolezze sotto il tappeto”, svalutando (qui la lezione di un grande economista come Augusto Graziani sulle svalutazioni degli anni settanta del Novecento è sempre attuale), così favorendo i settori più arretrati sui più avanzati del nostro capitalismo. Ovvio poi che, restando questi nodi, l’euro (nato pieno di difetti) sia percepito come una trave; ma così si guarda al dito invece che alla luna che esso indica.



L'avanzo commerciale della Germania non è verso l'Eurozona
Matteo Laffi

https://www.lavoce.info/archives/45152/45152

La bilancia commerciale tedesca ha segnato un nuovo record positivo nel 2016 toccando quota 253 miliardi di euro e posizionando il paese in cima alla classifica degli esportatori netti.
L’avanzo della Germania viene usato da alcuni governi ed esponenti politici dell’Eurozona come argomento per ribattere ai presunti diktat tedeschi riguardanti le finanze pubbliche. C’è chi ha squilibri di finanza pubblica e chi ha squilibri nei conti con l’estero, si dice.
A ben vedere, però, l’Eurozona rappresenta solamente il 5 per cento dell’intero surplus tedesco: 13 miliardi, un’inezia sia in valore assoluto sia rispetto ai 63 miliardi di euro di avanzo verso i paesi europei fuori dalla moneta unica e ai 178 miliardi di avanzo nei confronti del resto del mondo.
Come si può osservare nel grafico sottostante, il surplus tedesco non ha smesso di crescere dall’indomani dello scoppio della crisi. Tuttavia, la quasi totalità della crescita è imputabile a paesi terzi, mentre Eurozona e Ue hanno assorbito in parte la loro posizione negativa tra il 2008 e il 2014.

Fonte: Eurostat, [ext_st_28msbec]


Franco Calvi
Sei proprio duro di comprendonio (avrai davvero avi tedeschi): ma proprio i tedeschi odierni dicono che il surplus è eccessivo, anche verso l'UE:

http://vocidallestero.it/2018/07/06/per ... AMJcMWsUmM


Gino Quarelo
Quello che scrivono questi dell'Ifo sono solo idiozie antitedesche, Bagnai ne è l'alfiere.
Il debito pubblico, la corruzione, il parassitismo, l'irresponsabilità, l'inefficenza, la truffaldinità, la ladreria, le mafiosità italiane sono tossiche per i veneti, per gli italiani più civili e responsabili che producono e per gli europei in generale.




Germania: perché ha l'industria dell'auto più forte d'Europa
30 maggio 2018
Daniele Pizzo

https://www.automoto.it/news/germania-p ... uropa.html

Con 5.645.581 nel 2017, la Germania rappresenta ad oggi il terzo Paese al mondo per produzione domestica di automobili. La superano solamente la Cina, la cui produzione interna sfiora i 25 milioni, e il Giappone con quasi 8,5 milioni. Per fare un confronto, l'Italia nel 2017 ne ha prodotte circa 750.000. Dai suoi 41 stabilimenti, pur con un calo della produzione nazionale in calo dell'1,7%, esce ancora un terzo delle auto vendute in Europa ed un quinto di quelle vendute in tutto il mondo.

La Germania dell'auto può contare sul suo mercato interno, che è il più forte d'Europa con 3,4 milioni di auto immatricolate nel 2017, e su una posizione geografica strategica che le permette di spedire componenti e vetture complete fino ai confini dell'Unione nel giro di 24 ore.

Ma è l'aver conquistato i mercati esteri che rappresenta uno dei suoi punti di forza maggiori: tre su quattro delle auto “Made in Germany” (il 77,5%) sono infatti destinate al resto del mondo. Nel 2017 ne sono state esportate 4,4 milioni su 5,6. A sostenerne la domanda sono soprattutto i vicini europei con 2,4 milioni (l'Italia è il maggiore mercato con 312.341 unità nel 2017, +2,1%), ma anche il Regno Unito e gli USA. In questi Paesi, però, l'export tedesco inizia a soffrire: in Gran Bretagna le esportazioni sono calate del 3,8% dopo la Brexit (768.000 nel 2017), mentre negli USA si è fatta sentire la politica protezionistica di Trump con un calo di ben il 10%, dalle 548.000 del 2016 alle 493.000 dello scorso anno.

Tuttavia, l'auto tedesca cresce. La vera forza della sua industria automotive infatti non si spiega solamente con l'export, perché è soprattutto l'aver investito nella produzione in altri Paesi che ne ha fatto il colosso che oggi è in grado di superare le barriere nazionali.

Se si tiene in conto anche la produzione delle fabbriche all'estero dei costruttori germanici, il totale della manifattura tedesca delle quattro ruote sale a ben 15 milioni di auto prodotte nel 2017. Sono infatti più di dieci milioni, oltre il 62% del totale dunque, le vetture prodotte nel 2017 al di fuori dei confini nazionali e secondo le proiezioni alla fine del 2018 saranno 11,2 milioni. Ciò significa che la Germania produce all'estero due auto su tre.

Principalmente in Cina, dove insieme alle joint venture locali si realizzano oltre 4 milioni di vetture dei brand tedeschi (Volkswagen, Audi, BMW, Daimler e Opel, da poco passata in mani francesi), a cui seguono gli USA con oltre 800.000.

Tutte queste cifre non significano che i grandi Gruppi riposino sugli allori: le auto tedesche hanno successo soprattutto grazie al loro valore innovativo. Secondo la VDA, l'associazione nazionale della filiera, la spesa in ricerca e sviluppo nel 2017 è cresciuta del 2% a 21,9 miliardi di euro, pari al 35% di quanto si è speso annualmente in R&D, un settore che impiega 820.500 persone di cui 114.000 nel solo settore automotive. Mobilità elettrica, connettività e guida autonoma sono soprattutto i campi in cui si stanno indirizzando i maggiori investimenti.

«L'elettrificazione cambierà il corso delle cose. Solo pochi anni fa le auto elettriche erano un prodotto di nicchia, ma stimiamo che nel 2025 dal 15% al 25% della flotta globale sarà rappresentata da vetture elettriche. Insieme ai propulsori alternativi, però, stiamo continuando a migliorare i propulsori a combustione interna e a ricercare nel campo dei carburanti non derivati dal petrolio. I moderni Diesel sono parte della soluzione, non parte del problema, perché hanno consumi inferiori del 25% ed emissioni di CO2 del 15% inferiori a quelli dei motori a benzina comparabili», afferma l'oggi presidente della VDA Bernhard Mattes, una lunga carriera ai vertici di Ford GmbH.

Tutto oro quello che luccica? Non proprio, perché con i ricavi in aumento e la crescente delocalizzazione, negli ultimi mesi sono salite le tensioni tra i lavoratori tedeschi del settore e le aziende sulla questione salari. Una cultura aziendale orientata alla concertazione più che allo scontro ha però dato i suoi frutti.

Il sindacato dei metalmeccanici IG Metall, che per legge siede nei cda dei costruttori, ha però ottenuto all'inizio dell'anno dopo diversi scioperi l'aumento del 4,3% (la richiesta era del 6%), diversi bonus una tantum e la possibilità di ridurre l'orario di lavoro su base volontaria da 35 a 28 ore settimanali fino a 2 anni per la cura di familiari anziani o bambini. A questi si aggiungono i maxipremi di risultato come quello di Porsche, che ai suoi dipendenti quest'anno ha elargito fino a 9.600 euro.

Intanto l'auto, a 132 anni da quando Karl Benz deposita il brevetto di quella che è considerata la prima automobile della storia continua ad arricchire la Germania: nel 2017 il settore automobilistico ha registrato un fatturato di 423 miliardi di euro, circa il 20% del totale delle entrate dell'industria tedesca, dando occupazione a oltre 820.000 persone (+1,4% rispetto al 2017) in un mercato del lavoro in cui la disoccupazione ha toccato livelli minimi dalla riunificazione con un tasso del 5,4%.

Gino Quarelo
Io, dopo 20 anni di non voto, quest'anno ho votato Salvini come il male minore, principalmente per la questione dei clandestini e dei nazi maomettani, ma sul resto, come sull'euro, sull'economia, sul debito pubblico non condivido quasi nulla di quanto sostengono Borghi e Bagnai.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:51 pm

416. la povera Italia e il guru delirante Bagnai.
bortocal gabusilv Krammer
2012/08/23

https://bortocal.wordpress.com/2012/08/ ... nte-bagnai

La crisi economica dell’Occidente e la contemporanea implosione italiana del berlusconismo con la conseguente eclisse di Tremonti hanno dato luogo ad un fenomeno locale di diffusione metastastica di altre tipologie di guru e ciarlatani economici, che si comprende solo col basso livello culturale medio della popolazione e con vent’anni di spettacolarizzazione deteriore, cioè gladiatoria, del dibattito politico italiano.

Come in nessun paese civile si vedono la maleducazione, l’aggressività, l’improvvisazione dei politici italiani, arroganti, furbastri e farabutti fin dalle loro comparsate televisive, così dilagano anche in rete i personaggi più improbabili, i Barnard o i Giannino, di cui mi sono già occupato: 48. la crisi, Paolo Barnard: “tre criminali e un cretino” (e lui)., 393. se Oscar Giannino è Dulcamara, Barnard chi è? Cagliostro….

Oggi completo il trittico con un terzo improbabile guru, Bagnai, decisamente delirante perfino rispetto agli altri due, tanto da chiedersi con sgomento come può essere che venga ospitato da mezzi di informazione che si vorrebbero rispettabili o minimamente attendibili, oppure venga considerato un luminare da persone dotate di cultura e di cervello?

Bagnai rappresenta nelle tecniche comunicative un Barnard al cubo: se Barnard buca lo schermo diffondendo insulti nei riguardi di tutti coloro che non condividono il suo fragile dogma che basta ad uno stato avere una moneta sovrana (cioè uscire dall’euro) per non fallire, la tecnica degli insulti di chiunque altro non la pensa come lui è diventata in Bagnai un’arte di fronte alla quale un La Russa, un Bossi o una Santanché sono dei dilettanti allo sbaraglio.

Sentite degli esempi presi dall’ultimo articolo appena ripubblicato di blog in blog, come un pezzo di valore, anche su questa piattaforma:

caro, lo so che i capelli non li ho persi per colpa dell’euro, grazie, il problema è un altro, e te lo spiegherei se tu non pensassi di saperne più di un premio Nobel, o anche di uno studente del primo anno. Sai, fai un po’ tenerezza anche tu… (…)

nel disegnare un’ampia sintesi dell’accaduto, i funamboli dell’austerità espansiva, presi da un irreprimibile accesso di sincerità, cosa ci dicono?

Mi si potrà obiettare che pure io non ci sto andando leggero con questi guru auto-promossi, ma il problema è proprio questo dell’imbarbarimento generale del dibattito in Italia, per cui, certo, sarebbe corretto obiettare a insulti e offese con ragionamenti, ma purtroppo dialetticamente non funziona.

Le offese e l’aggressività pura non sono intaccabili dagli argomenti; è questo il segreto che spiega il loro dilagare ovunque: nascondono perfettamente la mancanza di argomenti.

In tv la tecnica ha il suo mentore complessivo in Santoro e le sue vette nei personaggi che ho citato prima; nella rete la sua fortuna è più impersonale ed è rappresentata dalla figura del troll, perlopiù anonimo.

Salvo nel caso di Bagnai che è un troll professionale e identificabile per nome e cognome e ha costruito la sua fortuna proprio su questo.

Comunque, anche se ritengo per una persona di buon senso già squalificante questo modo di discutere, mi sforzerò di dare con calma un esempio dalla inconsistenza al limite della disonestà intellettuale di Bagnai, prendendo l’ultimo post, di ieri, del suo blog: I salari reali alamanni sono scesi del 6%.

La forma più diffusa del termine alemanno in senso proprio indica oggi un gruppo etnico e linguistico tedesco identificato con lo Schwaebisch e il suo terribile dialetto, che ben conosco per esserci vissuto in mezzo sette anni, ma prescindiamo dai dettagli e andiamo al sodo

il tema del post è quello posto dal titolo:

i redditi da lavoro dipendente medi unitari della Germania sono diminuiti del 5.7% dal 2003 al 2009.

* * *

Bagnai ha fatto i suoi calcoli “dei redditi da lavoro dipendente per addetto, espressi in termini reali”; descrive la procedura che ha seguito, “a beneficio dei troll” (troll sono definiti dal maestro dei troll tutti coloro che non lo venerano).

Ha preso una tabella nella quale si vede che il numero globale degli occupati in Germania è cresciuto dal 1999 al 2010 da 34 milioni e 567.000 a 36 milioni e 65.000, e che la massa complessiva dei salari di queste persone è passata nello stesso periodo da 1.060 miliardi a 1.260 miliardi di euro; Bagnai trascura di riflettere sull’imponenza del dato occupazionale tedesco; si accontenta di osservare che i salari nel periodo considerato sono passati da 30.690 euro annuali a 34.975, con un incremento nominale del 14%; poi ci applica non il tasso di inflazione, ma l’indice medio dei prezzi al consumo, arrivando al risultato detto sopra.

In tutto questo procedimento, per dimostrare la tesi che “buona parte” (e cioè quale parte?) “del recupero di competitività della Germania derivava da un più banale taglio dei salari reali”, ha fatto un errore da quinta elementare, anzi due, anzi tre:

1) ha trascurato di inserire nella valutazione le variazioni del tempo medio di lavoro;

2) ha trascurato di considerare che il taglio dei salari reali individuali pare ampiamente compensato dall’incremento del numero degli occupati;

3) ma soprattutto non ha creato alcuna relazione fra la massa complessiva del prodotto realizzato e la massa complessiva dei salari.

In altri termini la riduzione di valore reale dei salari individuali (ammesso che ci sia stata, perché dei calcoli di Bagnai dubito molto, visti gli errori di metodo evidenziati) potrebbe essere il frutto di una strategia volta ad incrementare l’occupazione, e da questo punto di vista diventa decisivo sapere se nel periodo indicato ci sono state variazioni nei tempi di lavoro individuali.

In ogni caso parlare del rapporto fra variazione della produttività senza introdurre la misura della variazione della produzione e facendo riferimento ai salari individuali in un periodo di occupazione fortemente crescente sono due bestialità talmente clamorose che si stenta a crederle.

Ma Bagnai maschera l’assoluta inconsistenza logica delle sue procedure con amenità razziste ed omofobiche di questo tipo:

Molti commentatori più o meno professionisti in giro per il web provano una forte attrazione per il tipo dolicocefalo biondo. Io, che sono di aperte vedute, non li giudico per questo, anzi!

Auguro loro che vada al governo la sinistra, così i loro salari saranno tagliati di un bel 10%, ma loro si potranno sposare (in chiesa) con il biondo del loro cuore (purché quest’ultimo sia d’accordo), e potranno adottare tanti frugoletti, anch’essi biondi.

fa cioè appello alle viscere razziste dei suoi lettori “di sinistra”, che vengono chiamati a raccolta contro “l’insulsa e infondata teoria secondo la quale la competitività tedesca si basa sull’essere i tedeschi belli biondi e produttivi”.

“Detto questo,” Bagnai nega che il suo sia “il delirio allucinato di una persona accecata dall’odio antigermanico”.

Non sarà un delirio, ma “l’idea che la competitività tedesca dipenda da tagli ai salari reali” non è dimostrata e il modo in cui Bagnai parla dei tedeschi (“il tipo dolicocefalo biondo”) è chiaramente razzista.

Ed indica, quanto meno, che non è mai stato in Germania e ignora completamente che la Germania è una realtà fortemente interculturale, per cui di dolicocefali biondi se ne trova solo “una parte” e neppure prevalente.

Insomma questo modo di Bagnai di parlare della Germania in termini razziali è non solo assolutamente disgustoso, ma anche grossolanamente sbagliato.

Ma di disgustoso non ci sono solo questi passaggi, che sono rose e fiori; il modo tipico di parlare di Bagnai (che spero per lui si dedichi almeno ad abbondanti libagioni prima di scrivere un post) è il seguente:

Se poi qualcuno non riesce a rifare i conti, bene: imparerà a considerare con più rispetto la mia professione, e gli auguro di fare altrettanto bene la sua. Se è quella del rompicoglioni non deve migliorare nulla, va già benissimo così. (…)

Ah sì, trolluccio mio, Barondelluccio dei miei coglioni, ConteZeroneuroni, Grazianoridisustafava? Siete proprio sicuri, voi oscuri personaggi in cerca di un autore al quale fate schifo, che le cose stiano così?

Se non credete ai vostri occhi, ecco finalmente ecco le conclusioni, in puro stile fascista, perché questo stile espressivo è fascista e fasciste sono le idee espresse:

E allora, caro, se tu ami l’Italia (ma tu non la ami, perché tu non ami il tuo paese, si vede, tu pensi di essere migliore, di essere alamanno)…

diciamo: se tu amassi l’Italia, ecco, avresti due possibilità: o andartene in Germania a farti pagare un po’ di meno (non sentiremmo la tua mancanza)

Qui Bagnai delira semplicemente: perché perfino se avesse ragione nei suoi calcoli sbagliati almeno nel metodo che descrive e i salari tedeschi fossero diminuiti del 6% nel loro valore reale globale tra il 1999 e il 2010, essi restano incomparabilmente più alti di quelli italiani che sono i più bassi d’Europa, vedi qui: 5. i salami italiani, i più bassi d’Europa. (il titolo non è un errore di battitura).

E dunque, ve lo dico per esperienza diretta, in barba ad ogni guru delirante della rete, andare a lavorare nella Germania plurietnica, multiculturale e non omofobica, conviene, così come conviene viverci.

A questo punto Bagnai ha nervosamente compulsato il traduttore automatico e ha prodotto una frase in un tedesco incomprensibile:

Sai che c’è caro? Te lo dico in alamanno: Du gleichst dem Geist den Du begreifst, nicht mir.

potrebbe voler dire, più o meno: “tu (ma la maiuscola del secondo Du è sbagliata e manca la virgola, assolutamente obbligatoria, all’inizio della relativa) assomigliare allo spirito che capischi, non a me”.

Ben lieto di non assomigliare a Bagnai, dedico questo post alla cricca dei razzisti anti-tedeschi di sinistra di questa piattaforma che lo ammirano tanto e faccio conto, se qualcuno passasse di qua che gli venga un travaso di bile, fanatici di Bagnai come sono… ;).

Ah, secondo Bagnai la frase vuol dire:

Inutile che insisti: fra te e l’economia si stenderà sempre l’opaco, impenetrabile diaframma della tua pelle d’asino.

Torna pure di fronte al televisore, magari, se sei fortunato, trovi Giannino…

e pensare che è proprio dal 1999 che non accendo un televisore…

per andare in rete, sperando che fosse migliore.

e trovarci peggio che Giannino, Bagnai.


Ma Bagnai ci lascia un’alternativa: per tutti noi che non condividiamo l’adorazione per lui e che anzi pensiamo che scriva in modo piuttosto svitato e rancoroso, è una specie di editto che ci commina l’esilio:

… o, in alternativa, farti pagare un po’ di meno qui (cosa che noi preferiremmo evitare: non che tu fossi pagato di meno, lo sei già troppo: che tu restassi qui).

Certo, commentare a tempo pieno è un lavoro pesante.

Ma se sei un vero alamanno, accetterai di farlo per molti meno soldi.

pensa, Bagnai, hai trovato un crucco che vive in Italia che lo fa assolutamente gratis.

invece.

ma a te chi ti paga e perché, per scrivere tutte queste stronzate?

dai, ammettilo, lo fai gratis e per pura passione anche tu…

(se non fosse che Bagnai è pure un docente dell’Università di Pescara e quindi un lauto stipendio glielo paghiamo noi.

E poi non venite a chiederci come mai le università italiane sono fra le ultime al mondo nelle statistiche internazionali…)




Homepage (GERMANIA) - infoMercatiEsteri - http://www.infomercatiesteri.it
Flavio Pigozzo
3-4 minuti

http://www.infomercatiesteri.it/paese.p ... 9#slider-1

Italia e Germania, Paesi fondatori dell’Unione Europea, condividono forti ideali europeisti. Il legame transatlantico della NATO ha storicamente fornito ulteriori importanti motivi di cooperazione. Gli incontri e la collaborazione fra i Governi dei due Paesi e fra le loro istituzioni sono molto intensi e registrano ampie convergenze di vedute su numerose tematiche.

Da un punto di vista economico, la Germania è il primo partner commerciale per il nostro Paese, sia come mercato di sbocco dell'export italiano, sia come Paese di provenienza dell'import italiano. Il volume dell’interscambio bilaterale, che nel 2016 ha quasi raggiunto i 112,5 miliardi di euro, corrisponde tradizionalmente quasi alla somma degli scambi che intratteniamo con Francia e Regno Unito insieme. Nel 2016 il commercio bilaterale ha registrato una buona performance, anche se le importazioni di prodotti tedeschi in Italia sono state superiori alle esportazioni italiane in Germania (+4,7% a fronte di +3,4%). Di conseguenza, rispetto al 2015 il disavanzo commerciale è leggermente aumentato da 5,8 a 6,7 miliardi di euro nel 2016.

L’Italia occupa il quinto posto tra i Paesi fornitori della Germania e si colloca al settimo posto sul versante dei Paesi acquirenti di prodotti tedeschi. Nel 2016 si è rilevato in particolare un aumento significativo dell’export italiano dei prodotti della metallurgia (+12%) e di autoveicoli (+8,3%), voci che trovano riscontro nelle prime quattro posizioni riferite all’import totale della Germania dal mondo. I rapporti di subfornitura esistenti tra i due Paesi sono talmente consolidati da poter essere qualificati quali relazioni di mutua dipendenza.

I flussi di investimento sono significativi in entrambe le direzioni: si stima infatti che le imprese tedesche partecipate o controllate da capitale italiano siano oltre 2100, occupando più di 81000 dipendenti. Sul fronte inverso, gli investimenti tedeschi in Italia sono ripartiti su oltre 1800 imprese, creando circa 125000 posti di lavoro. La Germania, inoltre, è il primo Paese di provenienza dei turisti stranieri che giungono in Italia. Secondo gli ultimi dati a disposizione, il numero dei turisti tedeschi in Italia ha raggiunto la cifra record di 10,5 milioni.

Anche dal punto di vista dei rapporti fra le due società civili, le relazioni bilaterali sono molto intense e si nutrono di una consistente e ben integrata comunità italiana in Germania e di numerosi contatti e rapporti fra i due Paesi a livello culturale ed accademico.

Le aziende italiane interessate a sviluppare con la Germania rapporti di affari solidi e duraturi dispongono dunque di un contesto e di condizioni di partenza fortemente favorevoli, tanto per le imprese già consolidate quanto per le start up italiane, sempre più presenti sul mercato tedesco.



Germania e Italia: due economie interconnesse
Giuseppe Tamola
10 novembre 2015

https://www.informazionesenzafiltro.it/ ... erconnesse

Da italiano residente a Berlino, è interessante osservare com’è raccontata e analizzata l’economia tedesca negli ultimi mesi, soprattutto in relazione all’export e alle differenti politiche commerciali con l’estero. Dall’aumento delle partecipazioni in aziende greche prima, alle più recenti notizie di un rinnovato interesse delle imprese tedesche per M&A sul suolo italico, viene da leggere nella sfera macro un riflesso di quello che è lo stereotipo spesso associato all’imprenditore tedesco. Stereotipo che ruota essenzialmente intorno a due parole chiave: distacco e aggressività.

Quando ci si cala nella realtà, le cose non sono così lineari. Al contempo non possiamo fare a meno di indagare il tema: l’Italia è per la Germania il settimo partner commerciale, davanti a nomi quali Svizzera, Russia o Giappone, e per converso la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia. Le due economie sono interconnesse, per molti versi complementari: la ricerca di migliori pratiche per agevolare i rapporti commerciali è un elemento da cui ambo le parti hanno da trarre grandi vantaggi.

La Germania è storicamente riconosciuta, piuttosto che per i propri imprenditori, per i grossi gruppi industriali da sempre votati all’export. Anche l’Italia ha una sua radicata cultura dell’esportazione, tuttavia maggiormente confinata all’imprenditorialità di nicchia, mentre la Germania tende a operare in ambiti meno ristretti e con supply chain necessariamente distribuite lungo diversi mercati nazionali (l’industria chimica, ad esempio). A questo si sommano la situazione della moneta unica, così come una politica fiscale interna che ha portato a un alleggerimento del carico fiscale sulle imprese e all’aumento dell’IVA passata al 19% nel 2008 (dal 16% precedente). Non si può tracciare un quadro completo in poche righe, ma è evidente che le ragioni dell’export e l’aggressività percepita poggiano su motivazioni storiche così come contingenti, che non possono certo essere ignorate.

Analogamente, quando si va a osservare il comportamento delle persone è importante tenere presente le risorse di cui dispongono e l’ambiente in cui operano. Ad esempio, a fronte di aziende italiane spesso a bassa capitalizzazione, le aziende tedesche tendono ad avere disponibilità più alte. È naturale dunque per l’imprenditore tedesco poter immaginare investimenti più sostanziosi e a lungo periodo, avendo anche la possibilità di assorbire meglio eventuali perdite rispetto all’imprenditore italiano.

Gli stereotipi tuttavia vanno oltre – penso ad esempio all’immagine del tedesco formale e strutturato, rispetto all’italiano passionale e meno conforme. Le nuance esistono ma ci sono casi in cui trovare elementi di verità. La ritualità, ad esempio. Tra partner commerciali italiani, è normale dedicare ampio tempo ai preamboli, magari indulgere in un caffè e proseguire l’incontro a tavola. In tutto questo, i confini tra i tempi di svago e di contrattazione sono sfumati o non esistono del tutto. Con un partner commerciale tedesco, esistono limiti meglio definiti: si discutono gli affari e, a trattativa terminata, si può parlare d’altro e abbandonare le formalità. Naturalmente il confine è molto più sfumato, ma volendo tratteggiare dei ruoli questa può essere una buona descrizione.

Ho poi l’impressione che nelle realtà italiane sia rimasta una propensione per la gerarchia più radicata rispetto a quanto in Germania. Interfacciandosi con un partner italiano è evidente a chi spetta la decisione finale, mentre è più comune trovarsi in una negoziazione con un partner tedesco e osservare la controparte dibattere liberamente certi aspetti. Questo tipo di contrasto è ancora più marcato quando a incontrarsi sono due mondi diversi – nel nostro caso spesso questi mondi sono il fashion e il digital.

Difficile tuttavia identificare univocamente uno dei due modelli come superiore. Ad esempio, aziende con maggiore accentramento decisionale nella figura dell’AD o altri, hanno spesso una brand identity molto forte e ben definita. Inoltre, agli occhi dell’azienda tedesca il fatto di poter contare su una voce unica con cui interfacciarsi può risultare garanzia di certezza e chiarezza nelle decisioni, a fronte di quello che potrebbe essere percepito come rischio e nebulosità decisionale.

Vale anche la pena notare come l’imprenditore italiano susciti ancora un certo fascino, soprattutto se consideriamo certi esempi presi dalla moda. In Germania vi è una cultura manageriale radicata e funzionante che consente processi decisionali maggiormente distribuiti, ma l’Italia può vantare una cultura imprenditoriale che all’estero continua a piacere: l’imprenditore indipendente e appassionato per il prodotto, per un progetto che sente come proprio, affascina.

Anni di fruttuosi rapporti commerciali hanno insegnato a imprenditori italiani e tedeschi a conoscersi reciprocamente, ma oggi vediamo i due mercati estendere ulteriormente il raggio delle proprie interazioni. Con il calo dei consumi interni, le aziende italiane guardano all’estero con rinnovato interesse – si vede nei numeri, ma anche nei prodotti. L’auspicio è che tale sviluppo sia accompagnato da una nuova cultura delle relazioni, dove le differenze non siano viste come ostacoli e diventino basi su cui costruire trattative più fruttuose per ambo le parti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenzialità italiane e venete antigermaniche e antitedesche

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 8:58 pm

Così la Germania sfrutta i migranti: alloggi indegni e salari da fame
Giuseppe De Lorenzo - Mer, 05/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cos ... AlXBcbas0U


Il rapporto dell'Istituto tedesco per i diritti umani: i migranti e i lavoratori stranieri in Germania sono sottopagati, senza contratto di lavoro e costretti a straordinari non retribuiti

Angela Merkel nel lontano 2016, quando Berlino era alle prese con il milione di migranti arrivati nell'anno precedente, incitava le aziende tedesche ad assumere i rifugiati, paventando anche la possibilità di incentivi governativi.

Era la politica delle braccia aperte della Frau di ferro, sostenuta anche dai datori di lavoro. Di acqua sotto i ponti da quel dì, però, ne è passata tanta: la Cancelliera è stata costretta a fare un passo indietro sull'accoglienza indiscriminata, la Germania ha conosciuto le tensioni provocate dall'immigrazione e la leader della Csu ha annunciato il suo addio alla politica. È il crollo di un intero mondo politico, cui segue il cedimento del "mito" del sistema tedesco per l'integrazione (e l'occupazione) dei migranti.

A mettere l'accusa nero su bianco è l'Istituto tedesco per i diritti umani, secondo cui a Berlino e dintorni gli stranieri sono vittime di un "grave sfruttamento" nei luoghi di lavoro. Una sorta di caporalato con wurstel e crauti. Il problema non riguarda solo i profughi iracheni e siriani arrivati nel 2015: a soffrire stipendi da fame e altre vessazioni sono anche romeni, bulgari e latinoamericani. I datori di lavoro, dice la ricerca, non esiterebbero a pagare salari inferiori al minimo stabilito dalla legge, che ad oggi non è proprio altissimo: 8,84 euro lordi all'ora. Lo chiamano mini-job.

Chissà cosa ne pensa Udo Gumpel, che un paio di settimane fa definì "vergognoso" lo sgombero dei migranti dal campo Baobab di Roma. "In Germania, in un paese civile, una cosa del genere non esisterebbe", disse il il giornalista tedesco attaccando Maurizio Belpietro a Cartabianca. Solo gli italiani son brutti e cattivi? Non sembra. Perché secondo il rapporto dell'Istituto germanico alcuni lavoratori stranieri sarebbero costretti dalle aziende tedesche a fare straordinari non retribuiti o ad alloggiare in luoghi "indegni". Non è pure questo "vergognoso"?

Ad ottobre Cdu e Spd sono arrivati ad un accordo per facilitare l'ingresso nel mercato del lavoro agli extracomunitari. Il motivo? Gli imprenditori stimano che per tenere il passo della crescita economica della locomotiva d'Europa servano qualcosa 1,2/1,6 milioni di nuovi lavoratori qualificati. Quale miglior modo se non importali dall'estero? Così il governo della Merkel ha deciso di garantire un permesso di soggiorno temporaneo per chi arriva in Germania in ricerca di un lavoro: se entro sei mesi ottiene un contratto, potrà rimanere e il documento verrà esteso.

In fondo nei Land è in corso una vera e propria caccia alla manodopera straniera. Secondo la Franckfurter Allgemeine nel 2018 dei 700mila nuovi posti di lavoro creati, solo 330mila sono andati a lavoratori tedeschi. Il resto sono stati occupati da immigrati. Ma a quali condizioni? A quanto pare, non delle migliori. I settori con le maggiori criticità, secondo quanto emerso dalle interviste condotte dall'Istituto, sono quelli dell'edilizia, della lavorazione della carne, quello sanitario, delle pulizie e della ristorazione. Spesso i lavoratori sono assunti senza un regolare contratto di lavoro e di buste paga o contributi neppure a parlarne. Per questo gli immigrati non riescono neppure ad adire le vie legali per farsi riconoscere i propri diritti. "Nei fatti, queste persone non hanno praticamente alcuna possibilità di discutere le loro rivendicazioni salariali in tribunale", ha denunciato il direttore dell'Istituto, Beate Rudolf, durante la presentazione del rapporto. Alla faccia della "vergogna" tutta italiana.


Gino Quarelo
Non credo sia vero e anche se lo fosse in parte, non sarebbe mai come in Italia.
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