Namibia segregata: persiste la vecchia ideologia nazistadi Andre Vltchek – 12 dicembre 2014
http://znetitaly.altervista.org/art/16546Difficilmente si troverà in Africa un luogo in cui le divisioni tra le razze e le classi siano esagerate così grottescamente come in Namibia.
Ville, caffè e centri culturali lussuosi attorniano vecchie chiese tedesche, ma a sole poche miglia di distanza ci sono enormi baraccopoli prive di ogni servizio elementare. La divisione tra bianchi e neri è impressionante, con giusto in mezzo alcuni quartieri che ospitano ‘gente di colore’.
Il centro di Windhoek, la capitale della Namibia trasmette un’inequivocabile sensazione germanica, con la sua esibizione di ‘architettura coloniale’, compresi vasi di fiori, chiese protestanti e targhe commemorative che piangono quei ‘coraggiosi uomini, donne e bambini tedeschi, quei martiri caduti durante le rivolte e le guerre condotte dalla popolazione indigena locale’.
Il più divisivo e assurdo di tale memoriale è il cosiddetto ‘Monumento Equestre’, più comunemente noto come ‘Il Cavallo’ o, secondo i nomi tedeschi, ‘Reiterdenkmal’ e ‘Sudwester Reiter’ (Cavaliere del Sud-ovest). È una statua inaugurata il 27 gennaio 1912, compleanno dell’imperatore tedesco Guglielmo II. Il monumento ‘onora i soldati e i civili che morirono nello schieramento tedesco della guerra Herero e Namaqua del 1904-1907’.
Lotta di liberazione. Foto di Andre Vltchek.
Per essere precisi quella ‘guerra’ non fu realmente una guerra; non fu altro che un genocidio, un olocausto.
Naturalmente ci sono stati molti olocausti commessi dagli europei in Africa, dalle caccie britanniche e francesi agli schiavi, ai circa dieci milioni di morti innocenti assassinati a sangue freddo in quella che oggi la Repubblica Democratica del Congo, durante il regno (in Europa) di un monarca belga molto riverito, Re Leopoldo II.
La Namibia fu un preludio di ciò che i nazisti tedeschi cercarono in seguito di attuare sul suolo europeo. Come i francesi in parte delle loro colonie caraibiche e del Pacifico, la ‘percentuale di successo’ dei colonizzatori tedeschi fu quasi completa, intorno all’ottanta per cento.
Un’esperta europea che lavora per l’ONU, amica mia, parla, come quasi tutti qui, appassionatamente, ma senza osare rivelare il suo nome:
“I primi campi di concentramento sulla terra furono costruiti in questa parte dell’Africa … Furono eretti dall’Impero Britannico in Sudafrica e dai tedeschi qui, in Namibia. Shark Island, sulla costa, fu il primo campo di concentramento in Namibia, usato per assassinare il popolo Nama, ma oggi è soltanto una meta turistica, principalmente per i subacquei; non immagineresti mai là siano state sterminate persone. Qui nel centro di Windhoek c’era un altro campo di sterminio; proprio dove stava in origine ‘Il Cavallo’”.
‘Il Cavallo’ è stato recentemente rimosso dalla sua collocazione originale e posto nel cortile dell’ala vecchia del Museo Nazionale, assieme ad alcune delle più vergognose targhe commemorative, che glorificano le azioni tedesche in questa parte del mondo. Nulla è stato distrutto; soltanto invece trasferito dalla sua collocazione originale.
‘Il Cavallo’ e turisti tedeschi. Foto di Andre Vltchek.
Dove stava ‘Il Cavallo’ oggi c’è una fiera statua anticolonialista, quella di un uomo e una donna con le catene spezzate che dichiara: ‘Il loro sangue nutre la nostra libertà’.
Una visita a questi cimeli genocidi tedeschi è ‘un must assoluto’ per innumerevoli turisti dell’Europa centrale che scendono ogni giorno in questo paese, principalmente nel loro “favoloso tour dell’Africa del sud’ che include Sudafrica, Botswana e Namibia. Ho seguito diversi di questi gruppi, ascoltando le loro conversazioni. Tra i loro membri non pare esistere alcun rimorso e quasi nessun esame di coscienza; solo istantanee, in posa di fronte ai monumenti e alle insegne razziste, barzellette da birra al bar in luoghi in cui intere culture e nazioni sono state sterminate!
I turisti centroeuropei di lingua tedesca a Windhoek sembrano lobotomizzati e totalmente privi di emozioni. E lo stesso vale per molti dei discendenti di quei ‘pionieri genocidi’ tedeschi. Incontrarli è una specie di déjà vu; richiama ricordi degli anni in cui stavo lottando contro la colonia tedesca nazista, ’Colonia Dignidad’, in Cile; o quando stavo indagando le atrocità e i collegamenti della comunità tedesca nazista in Paraguay con diversi regimi fascisti sudamericani che erano stati installati e mantenuti dall’occidente.
E oggi la comunità tedesca in Namibia sta protestando contro la rimozione del ’Cavallo’. E’ indignata. E questa comunità è ancora potente, persino onnipotente, qui in Namibia.
Quasi nessuno chiama gli ‘eventi’ che ebbero luogo qui con il loro giusto nome: olocausto o genocidio. Tutto in Namibia è ‘sensibile’.
Ma persino secondo la BBC: “Nel 1985 un rapporto dell’ONU ha classificato gli eventi come un tentativo di sterminare le popolazioni Herero e Nama dell’Africa sud-occidentale, e perciò il primo genocidio tentato nel ventesimo secolo”.
Gente Nama. Foto da Wikipedia.org.
Il 21 ottobre 2012 il quotidiano canadese The Globe and Mail ha scritto:
“Tra le sterpaglie e le macchie della Namibia centrale, i discendenti degli Herero sopravvissuti vivono in squallide baracche e minuscoli appezzamenti di terra. A fianco a fianco i discendenti dei coloni tedeschi continuano a essere proprietari di vaste proprietà di 20.000 o più ettari. È un contrasto che fa infuriare molti Herero, alimentando qui un nuovo radicalismo.
Ogni anno gli Herero tengono cerimonie solenni per ricordare il primo genocidio del sanguinario secolo storico in cui i soldati tedeschi li cacciarono a morire nel deserto, cancellando mediante la fame, la sete e il lavoro schiavo in campi di concentramento l’ottanta per cento della loro popolazione. I Nama, un gruppo etnico più piccolo, hanno perso metà della loro popolazione a causa della medesima persecuzione.
Nuove ricerche suggeriscono che il genocidio razziale tedesco in Namibia dal 1904 al 1908 abbia avuto una significativa influenza sui nazisti nella seconda guerra mondiale. Molti degli elementi chiave dell’ideologia nazista – dalla scienza razziale ed eugenetica alla teoria del Lebensraum (creare uno ‘spazio vitale’ mediante la colonizzazione) – furono promosse da veterani dell’esercito e da scienziati tedeschi che avevano iniziato la loro carriera nell’Africa sud-occidentale, oggi Namibia, durante il genocidio …”
Il governo namibico sta tuttora negoziando il ritorno (dalla Germania) di tutti i teschi della popolazione locale che furono usati in laboratori tedeschi e da scienziati tedeschi per dimostrare la superiorità della razza bianca. Colonialisti tedeschi decapitarono persone Herero e Nama e almeno 300 teste furono trasportate in laboratori tedeschi per ‘ricerca scientifica’. Molte sono state ‘scoperte’ nel Museo Storico della Medicina dell’ospedale Charite di Berlino e presso l’università di Friburgo.
Un eminente medico tedesco, che lavorava alla ‘dottrina della razza pura’ in Namibia (la dottrina successivamente usata dai nazisti) fu Eugen Fischer. Egli ‘educò’ molti medici tedeschi, compreso il dottor Mengele.
Pannello commemorativo dei tedeschi morti per il Reich. Foto di Andre Vltchek.
Sorprende poco, considerato che il primo governatore tedesco della colonia fu il padre del vice di Hitler, Herman Goering.
La Germania non ha mai ufficialmente presentato le sue scuse per i suoi crimini contro l’umanità in quella che soleva chiamare l’Africa sud-occidentale tedesca. Non ha pagato riparazioni.
Né lo ha fatto, naturalmente, la maggior parte delle potenze coloniali europee, dal Portogallo alla Gran Bretagna e alla Francia. Quando uno dei più grandi leader africani, Patrice Lumumba, democraticamente eletto presidente del Congo, dichiarò che l’Africa non ha nulla di cui essere grata alle potenze coloniali europee, fu assassinato a sangue freddo da un’alleanza di nazioni: belga, britannica e statunitense.
In Namibia esiste ovunque la segregazione su scala enorme.
Mentre il vicino Sudafrica si sta rapidamente allontanando dalla segregazione razziale, introducendo innumerevoli politiche sociali, tra cui l’assistenza medica, l’istruzione e gli alloggi popolari gratuiti, la Namibia resta uno dei paesi più segregazionisti della terra, con grandiosi servizi privati per i ricchi e quasi nulla per la maggioranza povera.
“L’apartheid è stato qui anche peggiore che in Sudafrica”, mi dice la mia amica delle Nazioni Unite. “E fino a oggi … se vai a Katutura e vede chi ci vive … è tutta gente locale là, tutti neri. Katutura letteralmente significa ‘non abbiamo nessun posto dove stare’. Il cinquanta per cento della popolazione di questa città defeca all’aperto. I sistemi fognari sono un disastro totale. Poi vai a Swakop City, sulla costa, ed è come vedere la Germania ricostruita in Africa. La vedi anche negozi con souvenir nazisti. Alcuni nazisti, fuggiti dall’Europa, sono venuti a Windhoek, a Swakop e in altre città. A Swakop gli uomini marciano periodicamente in repliche delle uniformi naziste”.
Treno blindato sudafricano dell’era dell’apartheid. Foto di Andre Vltchek.
Katutura è dove la popolazione nera fu trasferita durante l’apartheid.
Il mio amico, un namibico ‘di colore’ che ha lottato per l’indipendenza del suo paese e dell’Angola mi ha portato a quella vergognosa baraccopoli che sembra ospitare una considerevole parte della popolazione della capitale, prevalentemente senza accesso ai servizi sanitari elementari o all’elettricità.
Ha anche scelto di mantenere l’anonimato, come mi ha spiegato, per proteggere la sua bella famiglia. Parlare senza peli sulla lingua, diversamente che in Sudafrica che può essere oggi uno dei luoghi più liberi e franchi della terra, può essere estremamente pericoloso. Ma chiarisce ulteriormente:
“In Namibia è molto raro per la gente abituata a soffrire, parlarne pubblicamente. In Sudafrica tutti parlano. In Angola tutti parlano … Ma non qui”.
Poi continua:
“Quello che possiamo vedere in Namibia è che molti tedeschi hanno ancora il controllo dei grandi affari. Governano il paese. Hanno riserve di caccia e altre grandi proprietà immobiliari e imprese. I tedeschi portano soldi in Namibia, ma restano a loro, e consolidato il loro potere; non arrivano alla maggioranza. Non puoi nemmeno immaginare quanto soffrano i locali che lavorano nelle loro fattoria. E’ tuttora come lo schiavismo. Ma qui tutto è messo a tacere.”
Cuba e Corea del Nord in lotta per la libertà della Namibia. Foto di Andre Vltchek.
Per molti decenni la storia ufficiale, interpretata dai media di massa e dalle accademie occidentali, a proposito dell’ascesa del nazismo in Germania è stata grosso modo questa: “Il Trattato di Versailles firmato nel 1919 fu ‘troppo duro’. La Germania fu umiliata, impoverita e in conseguenza crebbe l’estremismo, compresi il nazionalismo estremo e il nazismo. Conseguentemente Hitler e la sua cricca riuscirono a conquistare il potere”.
Quanti pensatori, storici, filosofi e scrittori, hanno lamentato: “Come ha potuto una nazione moderata ed essenzialmente pacifica di Goethe, Beethoven, Bach, la Germania, produrre un’ideologia così mostruosa? Come ha potuto, senza preavviso, cominciare a sterminare milioni di ebrei, zingari (rom), slavi, disabili e persone di sinistra?”
Ma … la Germania era davvero una ‘nazione moderata’? Pensateci due volte! In Europa negli anni ’30 e ’40 la Germania copiò semplicemente e scrupolosamente i crimini che era solita commettere regolarmente nelle sue colonie, in particolare in quella che allora nota come l’”Africa sud-occidentale”, oggi Namibia.
‘Il loro sangue nutre la nostra libertà’. Foto di Andre Vltchek,
La parte meridionale dell’Africa fu dove i britannici e i tedeschi costruirono i primi campi di concentramento della terra. E’ dove le persone furono trattate da sub-umani, da animali, ed è dove intere nazioni furono sterminate.
Fino ad oggi non ci sono state scuse e a malapena riconoscimenti della storia da parte dell’Europa.
Nella storia recente l’occidente ha appoggiato apertamente l’apartheid in Sudafrica e in Namibia, così come la brutale guerra civile nella vicina Angola.
Gli incubi di Goering e Mengele hanno avuto il loro preludio e le loro ripercussioni in questa parte del mondo.
Andre Vltchek è un romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Si è occupato di guerre e conflitti in dozzine di paesi. La sua discussione con Noam Chomsky ‘On Western Terrorism’ [A proposito del terrorismo occidentale] sta andando ora in stampa. Il suo romanzo politico, acclamato dalla critica, ‘Point of No Return’[Punto di non ritorno] è ora riedito e disponibile. Oceania è il suo libro sull’imperialismo occidentale nel sud del Pacifico. Il suo libro provocatorio sull’Indonesia post-Suharto e sul modello fondamentalista del mercato è intitolato “Indonesia – The Archipelago of Fear” [Indonesia – l’arcipelago della paura]. Ha appena completato il documentario ‘Rwanda Gambit’ [Gambetto ruandese] sulla storia del Ruanda e sul saccheggio della Repubblica Democratica del Congo. Dopo aver vissuto per molti anni in America Latina e in Oceania, Vltchek attuale risiede e lavora in Asia Orientale e in Africa. Può essere raggiunto attraverso il suo sito web o al suo indirizzo Twitter.
Lo spirito della resistenza è vivo
http://www.znetitaly.orgOriginale:
http://www.rt.com/op-edge/213571-africa ... s-classes/traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
I tedeschi della Namibia (in tedesco Deutschnamibier, in afrikaans Duitsers van Namibië, in inglese German Namibians) costituiscono una comunità dello stato africano della Namibia che discende direttamente dai coloni tedeschi dell'Africa Tedesca del Sud-Ovest.https://it.wikipedia.org/wiki/Tedeschi_della_NamibiaNel 1883 un mercante tedesco, Adolf Lüderitz, acquistò da un capo locale la costa meridionale dell'attuale Namibia e fondò la città di Lüderitz. Il governo tedesco, desideroso di impadronirsi di territori oltremare, decise ben presto di annettersi il possedimento, che ricevette il nome di "Africa Tedesca del Sud-Ovest (Deutsch-Südwestafrika in lingua tedesca). Alcuni piccoli gruppi di tedeschi cominciarono a stabilirvisi: si trattava soprattutto di mercanti, cercatori di diamanti, ufficiali coloniali e soldati della Schutztruppe.
Nel 1916, durante la prima guerra mondiale, la Germania perse il controllo della Namibia che divenne così un mandato del Sudafrica. Ai coloni tedeschi fu tuttavia concesso di restare tant'è che fino al 1990, anno di indipendenza della Namibia dal Sudafrica, il tedesco fu lingua ufficiale del paese insieme all'inglese e all'afrikaans.
Attualmente, l'inglese è l'unica lingua ufficiale della Namibia. Tuttavia vi sono circa 25.000 cittadini namibiani di diretta discendenza tedesca (circa l'1% della popolazione totale) e, probabilmente, altri 20.000 namibiani di colore parlanti tedesco come prima lingua: in totale, il tedesco è parlato dal 32% dei namibiani. Gran parte della comunità germanofona risiede nella capitale Windhoek, oltre che nelle piccole città di Swakopmund e Lüderitz, nelle quali sono ancora ben visibili le tracce dell'architettura coloniale tedesca.
Molti tedeschi della Namibia sono attivi nei commerci, oltre che nelle attività agricole e turistiche. Vi sono anche vari uomini di governo di origine tedesca: per esempio, dopo l'indipendenza, divenne sindaco della capitale proprio un tedesco della Namibia. Molto importante ai fini della conservazione della specifica identità culturale della comunità è l'Allgemeine Zeitung, l'unico quotidiano africano stampato in lingua tedesca.
La profonda influenza esercitata dalla colonizzazione tedesca in Namibia è testimoniata anche dal fatto che la principale confessione religiosa del paese è la cristiana luterana.
La "Shoah" dimenticata Jean-Léonard Touadihttp://www.giovaniemissione.it/pub/inde ... iew&id=191fonte
http://www.nigrizia.it Secondo il libro di Serge Bilé, sono tra i 10 e i 30mila i neri morti nei campi di concentramento nazisti. Prima dei lager, la Germania si era resa responsabile del genocidio degli herero in Namibia: «Una gigantesca e infernale preparazione ai campi di sterminio»
Auschwitz è una macchia indelebile nella coscienza collettiva dell’umanità. La sua commemorazione, a sessant’anni dalla fine della guerra, lungi dall’essere un semplice rituale per “fare memoria”, dovrebbe diventare l’occasione per la stesura di un patto morale di sopravvivenza collettiva. Perché l’uomo (non solo il nazista) non possa mai più annientare l’uomo (non solo l’ebreo). Ricordare la Shoah è dire no a tutti i genocidi, a tutte le volte in cui il “sonno della ragione” fa dell’uomo un lupo per il suo simile.
Il dovere di memoria s’impone per tutte le vittime della barbarie nazista. Nel susseguirsi delle cerimonie ufficiali e delle testimonianze dei sopravvissuti, invece, c’è un silenzio incomprensibile sulle vittime nere dell’Olocausto. Africani, tedeschi d’oltre-mare (originari dei territori dell’impero coloniale prussiano) e meticci (nati da matrimoni misti in Germania) hanno conosciuto la discriminazione, la deportazione e la morte nei campi di concentramento. Eppure, quasi nessuno, o pochissimi, hanno ricordato quei neger di Germania, nominati nei famigerati testi di legge di Norimberga, che spianano la strada all’Olocausto. C’era un’unica differenza: gli ebrei erano tenuti a portare la famigerata stella gialla; i neri erano sistematicamente sterilizzati.
Nel museo dedicato alla memoria dell’Olocausto di Washington c’è una sala riservata alla condizione dei neri sotto il terzo Reich. In qualche archivio storico più scrupoloso e in taluna opera dedicata all’Olocausto compaiono, quasi en passant, riferimenti lontani alla presenza dei neri nei “campi di lavoro nazisti”.
Ma, in generale, questo capitolo specifico non è conosciuto dal grande pubblico, compreso lo stesso pubblico africano, che già non riesce a fare seriamente i conti con la memoria della schiavitù orientale (compiuta dagli arabi tra il IX e il XIX secolo) e quella atlantica (praticata dagli europei per tre secoli). Anche alla Conferenza dell’Onu contro il razzismo (Durban, Sudafrica, 2001), pochi delegati africani o della diaspora hanno evocato questa pagina sconosciuta dei crimini nazisti.
Le testimonianze
Noirs dans les camps nazis (ed. Le Serpent à Plumes), del giornalista francese originario della Martinica Serge Bilé, documenta la “Shoah” degli africani attraverso le testimonianze di alcuni sopravvissuti e tramite le ricostruzioni storiche disponibili a partire dagli archivi in Francia, in Germania e in Senegal. Il libro fa luce sulla storia – tuttora ignorata dagli storici ufficiali dello sterminio nazista – di migliaia di neri vittime della follia hitleriana.
Serge Bilé racconta che, sin dal 1930, i neri sono banditi dalla vita pubblica tedesca, i loro documenti sono ritirati e agli studenti è vietata la frequenza a scuole pubbliche e università. Considerati alla stregua di “sub-uomini”, bestie strane a metà strada tra gli ebrei e le scimmie, i neger saranno le prime vittime del Führer. Umiliata dalla sconfitta della prima guerra mondiale e dal trattato di Versailles, la Germania se la prenderà con i «bastardi della Renania», ossia i figli avuti con donne tedesche dai soldati neri che affiancavano le truppe francesi e belghe.
Serge Bilé scrive: «Non si saprà mai il numero esatto dei deportati neri, poiché la conta era effettuata in base alla nazionalità d’origine, che, per la maggior parte dei neri, era quella dei loro colonizzatori. Penso, tuttavia, che siano tra 10 e 30mila i neri morti nei campi di concentramento. A oggi, conosco un solo sopravvissuto, un certo John William, d’origine ivoriana. Ora che l’argomento è mediatizzato, spero che le lingue si scioglieranno e molti testimoni si faranno avanti».
Le vittime
Tante le storie raccolte da Serge Billé. Come quella di Erika N’Gando, camerunese di 35 anni, raccontata da Renée Hautecoeur, francese sopravvissuta al campo di prigionia di Ravensbruck. Renée ricorda quella giovane donna, soprannominata dalle compagne di sventura «Blanchette»: «Gridava dalla mattina alla sera: “Ho freddo, ho freddo!”». Come tutte le detenute, Erika era soggetta a numerose umiliazioni e sottoposta a lavori forzati. A turno, lei e le altre dovevano soddisfare sessualmente le guardie naziste. Erika non è mai più tornata in Camerun.
Né è mai tornato a casa Carlos Grevkey, originario dell’isola di Fernando Po (oggi isola di Bioko, Guinea Equatoriale). Durante la guerra di Spagna, la sua famiglia lasciò la penisola iberica e si rifugiò in Francia. Nessuno sa come Carlos arrivò in Germania. Fu deportato a Mauthausen, dove trovò la morte nelle camere a gas.
Alcune storie sono narrate dalla viva voce del cantante John William, figlio di una ivoriana e di un francese. Accusato di sabotaggio nella fabbrica di Montluçon, dove lavorava come operaio, fu arrestato e deportato nel campo di Neuengamme all’età di 22 anni. Nonostante le dure condizioni di cattività, John visse giorni di solidarietà con gli altri neri del campo. «Riuscii a sopravvivere, grazie all’intensa solidarietà degli amici e alla fede cristiana», ha dichiarato John nell’intervista concessa a Serge Bilé.
Ma per un John che racconta la fortuna di essersi salvato, tanti altri sono spariti per sempre, senza nemmeno la dignità di un ricordo. L’eclisse degli africani e degli zingari, nei ricordi annidati dentro l’inconscio collettivo dell’umanità, è un vulnus morale che merita di essere colmato, per completare il ponderoso e doveroso percorso d’interiorizzazione della Shoah che l’umanità sta compiendo.
Il caso degli herero
Ma se il mondo dimentica gli africani morti nei campi nazisti, la Germania si sforza di non cancellare dalla memoria nazionale il genocidio degli herero, compiuto dalle truppe tedesche in Namibia nel 1904. «Noi tedeschi assumiamo la nostra responsabilità morale e storica. Vi chiedo perdono». Con queste parole, Heidemarie Wieczoreck-Zeul, ministro tedesco della Cooperazione allo sviluppo, si è rivolto ai discendenti degli herero, che chiedono da tempo alla Germania un’assunzione di responsabilità storica e un risarcimento materiale.
Nel 2001, l’associazione per i risarcimenti al popolo herero ha iniziato una causa davanti ai tribunali americani, chiedendo al governo tedesco 4 miliardi di dollari e altrettanti a imprese tedesche allora presenti in Namibia (Deutsche Bank AG, Woerman line – oggi SAFmarine – e Terex Corporation).
I fatti risalgono ai primi decenni dell’occupazione tedesca della Namibia (1880-1915). Insieme al Tanganika, a una parte del Camerun e al Togo, la Namibia era la perla delle colonie tedesche in Africa. Il regime coloniale nell’Africa del sud-est era durissimo: continue umiliazioni delle persone e delle loro tradizioni; lavori forzati, accompagnati da percosse fisiche; violenze sulle donne; confisca delle terre e del bestiame.
Il 12 gennaio 1904 scoppia la rivolta degli herero. Il capo, Samuel Maherero, guida la sommossa. Duecento coloni tedeschi sono uccisi, mentre i missionari sono risparmiati. Dopo una prima reazione, giudicata «troppo debole» dalle autorità di Berlino, la rappresaglia tedesca è affidata al nuovo governatore, il generale Lothar Von Trotta. Questi dichiara: «Il popolo herero deve lasciare il paese. In caso contrario, sarò costretto a sloggiarlo coi cannoni».
Davanti al rifiuto degli herero, Von Trotta accerchia le loro terre (lasciando libera soltanto una via di fuga verso il deserto del Kalahari), uccide chiunque capiti a tiro e ordina di avvelenare le sorgenti d’acqua. Ai più turbolenti riserva impiccagioni di massa. Il primo genocidio del XX secolo si protrae dal 1904 al 1907. Quando il governatore Von Lindequist ordina la fine delle operazioni belliche, il bilancio è terrificante: dei circa 90.000 herero originari ne sono rimasti solo 15.000, confinati in “riserve tribali” e utilizzati dai coloni come mano d’opera schiava.
L’ambasciatore tedesco in Namibia ha affermato, di recente, di voler restituire la dignità ai discendenti delle vittime, rifiutando però ogni forma di risarcimento in denaro. La Namibia già riceve consistenti aiuti tedeschi, di gran lunga più generosi di quelli dati ad altri stati africani. Un rapporto privilegiato, dunque, caratterizzato dalla presenza di circa 25.000 tedeschi (1,2% della popolazione), in gran parte proprietari terrieri.
Ma agli herero gli aiuti finanziari non bastano. Vogliono essere riconosciuti vittime di un genocidio, perpetrato, tra gli altri, da un certo Heinrich Goering, governatore della Namibia e padre del futuro braccio destro di Hitler. Vogliono che sia riconosciuto l’immane affronto subito per essere stati usati come animali da cavia negli esperimenti compiuti da un certo dottor Hoegen Fisher, insegnante universitario di Joseph Mengele, il boia di Auschwitz.
Lo ha dimostrato chiaramente anche Hannah Arendt, grande pensatrice e docente di filosofia politica, nel suo Le origini del totalitarismo (1951): la distruzione dei popoli coloniali, una preparazione all’Olocausto; i campi di raccolta e le impiccagioni di massa degli herero, un gigantesco e infernale addestramento ai campi di concentramento nazisti; stessi i cognomi dei protagonisti, identici i metodi; gli africani – prima e durante la Shoah – vittime tra le vittime.
L’OLOCAUSTO HERERO E NAMA NELL’AFRICA TEDESCAdi Renzo Paternoster -
http://www.storiain.net/storia/lolocaus ... ca-tedescaLa storia dell’Africa tedesca del Sud-Ovest è scritta col sangue, intessuta di razzismo e di sete di potere. Tra il 1884 e il 1908 la colonia tedesca fu il laboratorio per la creazione di campi di concentramento e la sperimentazione delle prime forme di eliminazionismo di massa.
Il colonialismo non è stato solo espansione e dominazione economica e militare, ma anche biopotere, razzismo violento ed etnocentrismo culturale, che ha prodotto massacri in grande stile.
La dichiarata superiorità degli europei sui popoli americani, africani e asiatici è la justa causa delle potenze coloniali per sottomettere militarmente e senza scrupoli intere comunità locali, appropriandosi delle loro terre, giudicate res nullius, per qualificarle geograficamente e giuridicamente.
Tutti gli Stati europei parteciparono all’occupazione e allo sfruttamento territoriale realizzati con la forza a danno di popoli ritenuti arretrati o selvaggi. La Germania si aggiunse per ultima alle altre potenze colonialiste europee, lanciandosi in un’intensa campagna coloniale nel cuore dell’Africa.
L’impero tedesco si inserisce nel colonialismo del continente nero soprattutto per motivi politici piuttosto che squisitamente economici: il cancelliere Bismarck voleva contrastare l’espansionismo francese e inglese, oltre a voler scaricare le tensioni politiche interne su territori periferici. La decisione di “allargare” l’impero tedesco fu presa anche su pressioni della Lega pangermanista, che si fece attiva propagandista della superiorità razziale dei tedeschi e del loro diritto di dominio sui popoli “inferiori”. Solo in un secondo momento l’espansione coloniale tedesca fu legata all’ambizione di grandezza e a ragioni economiche.
Il ritardo con cui la Germania intraprese la sua politica coloniale non lasciò molte possibilità: il Secondo Impero dovette accontentarsi di stabilire il dominio su quelle poche terre ancora non “occupate” dai cosiddetti popoli civili.
La spartizione dell’Africa dopo la conferenza di Berlino
Alla Conferenza di Berlino (15 novembre 1884-23 febbraio 1885) si decise il futuro del continente africano. Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Germania e Stati Uniti, con la presenza come osservatori di Austria-Ungheria, Svezia, Danimarca, Italia, Impero Ottomano e Russia, si spartirono le terre africane.
La Germania dovette accontentarsi del Camerun, del Togo, dell’Africa Orientale Tedesca (corrispondente agli Stati di Burundi, Ruanda e Tanzania, escluso l’arcipelago di Zanzibar già possedimento britannico) e dell’Africa Tedesca del Sud-Ovest (un’area corrispondente a gran parte della Namibia moderna, eccetto l’enclave britannica di Walvis Bay e le isole dei Pinguini).
La distribuzione dei territori africani fu fatta sulla base di una spietata violenza ideologica e geografica, che non tenne minimamente conto delle caratteristiche storiche, antropologiche e culturali dei popoli che vi abitavano. Così l’espansione coloniale europea produsse sulle popolazioni locali effetti devastanti, visibili ancora oggi: smembramento di intere comunità etniche, espropriazione di terre e di bestiame d’allevamento, schiavitù, povertà.
Ai nuovi “padroni”, comunque, non interessava annichilire le popolazioni locali, che dovevano servire come manovalanza per sfruttare le risorse locali. Le uccisioni avevano lo solo scopo di punire e scoraggiare ribellioni. Tuttavia, di fronte alla resistenza irriducibile di alcuni gruppi etnici, il ricorso allo sterminio di massa divenne l’unica “medicina” per salvaguardare gli interessi dei colonizzatori. Fu questo il caso degli Herero e dei Nama nell’Africa tedesca del Sud-Ovest.
Hendrik Witbooi
Il gruppo etnico dei Nama o Namaqua (che vuol dire “popolo Nama”) costituisce un sottoinsieme del più ampio gruppo etnolinguistica sudafricano dei Khoikhoi (conosciuto anche con il nome di Ottentotti, termine che deriva dall’olandese “balbuziente”, per il caratteristica suono della loro lingua). Originariamente i Nama, uno dei più antichi gruppi indigeni della Namibia, vivevano intorno al fiume Orange, con uno stile di vita principalmente pastorale e seminomade, praticando una politica della proprietà della terra in comune.
Uno dei più celebrati eroi di questo gruppo etnico è stato Hendrik Witbooi (ca. 1830-1905), capo Nama nella lotta di liberazione dalla colonizzazione tedesca. Conosciuto come “Nanseb Gaib | Gâbemab”, ossia “il capitano che scompare nell’erba”, in riferimento alla sua tattica militare per combattere gli occupanti tedeschi, fu ucciso in battaglia il 29 ottobre 1905 nei pressi di Vaalgras, vicino Koichas.
Il monumento Heroes’ Acre ai martiri della Namibia
Samuel Daniel Shafiishuna Nujoma, primo presidente della Namibia indipendente (1990-2005) lo ha ricordato il 26 agosto 2002 durante la cerimonia di inaugurazione del maestoso monumento “Heroes’ Acre”, situato a dieci chilometri dalla capitale Windhoek, dedicato agli eroi martiri della Namibia: «Il capitano Hendrik Witbooi è stato il primo leader africano che ha preso le armi contro gli imperialisti tedeschi e gli occupanti stranieri in difesa della nostra terra e integrità territoriale. Noi, la nuova generazione di Land of the Brave [“patria dei coraggiosi"; Namibia, Land of the Brave è l’inno nazionale namibiano, n.d.a], siamo ispirati dall’azione rivoluzionaria del capitano Hendrik Witbooi, morto in combattimento contro gli imperialisti tedeschi che hanno colonizzato e oppresso il nostro popolo. Per il suo spirito rivoluzionario e la sua memoria visionaria umilmente offriamo il nostro onore e rispetto».
Un altro grande gruppo etnico della regione è quello degli Herero. Gli Herero costituiscono il ramo occidentale della più ampia famiglia etno-linguistica Bantu. Giungono in Namibia intorno alla metà del XVI secolo, provenendo dall’Africa centrale. Un tempo tribù potente e bellicosa, gli Herero avevano un’economia basata quasi esclusivamente sull’allevamento bovino. La necessità di assicurarsi le terre da pascolo portò questo gruppo etnico a conflitti tribali prima con gli Ovambo (a ovest) che li scacciarono e poi con i Nama che li decimarono.
All’arrivo dei coloni tedeschi, Herero e Nama misero da parte le antiche rivalità e si associarono nella lotta contro l’invasore bianco.
Ancor prima della Conferenza di Berlino, il 24 aprile 1884, il cancelliere tedesco Bismarck dichiarò colonia tedesca un’area corrispondente a gran parte della Namibia moderna, eccetto la strategica zona di Walvis Bay, sotto influenza britannica, e le isole del Guano (o isole dei Pinguini). Il 7 agosto 1884 fu issata la bandiera tedesca sul nuovo possedimento, che fu chiamato Deutsch-Südwestafrika (Africa tedesca del Sud-Ovest).
Nell’aprile dell’anno dopo fu fondata la Deutsche Kolonialgesellschaft für Südwest-Afrika. Nel maggio dello stesso anno Ernst Heinrich Göring (padre del futuro delfino di Hitler, Hermann) fu nominato Commissario e stabilì il suo governo a Otjimbingwe (dalla lingua herero Otjiherero, ossia “luogo rinfrescante”, riferendosi alla sorgente naturale presente).
La Deutsch-Südwestafrika fu l’unica colonia dove i tedeschi si stabilirono in gran numero, di conseguenza gli espropri di terre e animali alla popolazione locale fu totale.
Partendo dalla considerazione che i popoli indigeni africani erano considerati come sotto-uomini, per cui tutto si poteva nei loro confronti, il regime coloniale nell’Africa tedesca del Sud-Ovest fu vorace e violentemente razzista: oltre alle già riferite confische di terra e bestiame, furono praticate continue umiliazioni agli indigeni e alle loro tradizioni, lavori forzati, violenze sulle donne.
Prigionieri Herero in un campo di concetramento
Prigionieri Herero in un campo di concetramento
Così descriveva nel 1831, durante le sue lezioni universitarie di filosofia della storia, la natura dei “negri africani” Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il filosofo dell’idealismo tedesco: «Nell’Africa vera e propria (l’Africa subsahariana) è la sensibilità il punto a cui l’uomo resta fermo: l’assoluta incapacità di evolversi. Egli manifesta fisicamente una grande forza muscolare, che lo rende atto a sostenere il lavoro, e bonarietà d’animo, ma accanto ad essa anche una ferocissima insensibilità. [...] L’Africa, per tutto il tempo a cui possiamo storicamente risalire, è rimasta chiusa al resto del mondo. È il paese dell’oro, che resta concentrato in sé: il paese infantile, avviluppato nel nero colore della notte al di là del giorno della storia consapevole di sé. [...] Gli Europei non hanno quindi acquistato che poca conoscenza dell’interno dell’Africa; per contro, qualche volta ne sono usciti fuori popoli che si sono dimostrati così barbari e selvaggi, da escludere ogni possibilità di annodar relazioni con essi. [...] In questa parte principale dell’Africa non può aver luogo storia vera e propria. Sono accidentalità, sorprese, che si susseguono. Non vi è un fine, uno stato, a cui si possa mirare: non vi è una soggettività, ma solo una serie di soggetti che si distruggono. [...] Caratteristico dei negri è infatti proprio che la loro coscienza non è giunta alla contemplazione di una qualsiasi salda oggettività − come ad esempio Dio, legge − a cui possa aderire la volontà dell’uomo e in cui egli possa giungere all’intuizione della propria essenza. [...] Il negro rappresenta l’uomo nella sua totale barbarie e sfrenatezza: per comprenderlo, dobbiamo abbandonare tutte le nostre intuizioni europee. Nel suo carattere non si può trovar nulla che abbia il tono dell’umano. Appunto per ciò non ci possiamo immedesimare davvero, col sentimento, nella sua natura, come non possiamo immedesimarci in quella di un cane. [...] Simile assoluta svalutazione dell’uomo spiega come la schiavitù costituisca in Africa il rapporto basilare del diritto. L’unico rapporto essenziale che i negri hanno avuto, ed hanno, con gli Europei è quello della schiavitù. I negri non vedono in essa nulla che sia sconveniente. In questo senso la schiavitù ha contribuito a risvegliare un maggior senso di umanità presso i negri. [...] La schiavitù è ingiustizia in sé e per sé, perché l’essenza dell’uomo è la libertà: ma per giungere a questa egli deve prima acquistare la maturità necessaria. [...] Da tutti questi tratti risulta che ciò che caratterizza l’indole dei negri è la sfrenatezza. Questa loro condizione non è suscettibile di alcun sviluppo o educazione» [G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 236-244].
Il razzismo tedesco si manifestò dunque in tutta la sua drammatica violenza fisica e morale, distruggendo le basi economiche, culturali, spirituali e politiche dei popoli indigeni. Ai Nama e agli Herero rimaneva l’alternativa di soccombere lentamente o ribellarsi. Alcuni passarono al servizio dei nuovi proprietari delle loro terre e del loro bestiame, altri scelsero la seconda opzione.
La prima rivolta contro i coloni tedeschi ebbe luogo fra il 1893 e il 1894: a insorgere furono i Nama, guidati dal capo Hendrik Witbooi. I guerrieri ottentotti si dimostrarono molto resistenti, soprattutto perché adottarono la tattica della guerriglia su un territorio che conoscevano bene.
Mentre i soldati tedeschi cercavano di domare la rivolta, nel 1903 il governatore Leutwein decise la creazione di riserve per gli Herero, con l’intenzione di tenere sotto controllo la tribù, ormai priva di terre e, quindi, pronta a ribellarsi.
Per domare l’insurrezione della tribù dei Bondei, nel frattempo scoppiata in prossimità del fiume Orange, e per tenere sotto controllo gli ultimi rivoltosi Nama, il governatore Theodor Leutwein dovette concentrare le scarse forze militari della colonia nel centro-sud del possedimento. Gli Herero ne approfittarono e il 14 gennaio 1904, guidati dal capo Samuel Maherero, iniziarono un’insurrezione armata trucidando il piccolo presidio di Waterberg. Guidati dal loro capo Samuel Maherero, gli Herero sterminarono centoventitrè tra soldati e coloni, risparmiando donne, bambini, missionari e coloni britannici.
Ad accendere il fuoco della rivolta Herero fu la conquista tedesca di Okahandja, luogo di sepoltura del “vecchio Herero”, con l’abbattimento degli “alberi sacri” e la trasformazione del cimitero in fattoria per coloni.
Dopo aver assaltato e sterminato il presidio militare di Waterberg, i rivoltosi sabotarono la linea ferroviaria d’interesse strategico che le autorità coloniali avevano fatto costruire tra Windhoek e il porto di Swakopmund. Poiché le comunicazioni fra la colonia e la madre patria furono provvisoriamente interrotte, per alcuni mesi Samuel Maharero assunse il controllo de facto di vaste regioni centrosettentrionali.
Esecuzione di ribelli Herero
Esecuzione di ribelli Herero
Nella lotta contro l’invasore tedesco, perfino la tradizionale ostilità fra gli Herero e i Nama venne meno e i due popoli si coalizzarono contro l’intollerabile dominazione bianca. Tuttavia l’intervento dei Nama arrivò in ritardo, quando ormai dalla Germania erano arrivati i rinforzi.
Infatti tra l’11 giugno e il 20 luglio arrivarono nella colonia ventimila soldati, armati di artiglieria da campagna. Al comando delle Schutztruppe fu posto il generale di fanteria Lothar von Trotha. Famoso per il suo “pugno di ferro” nelle attività repressive, con von Trotha la politica militare tedesca nell’Africa tedesca del Sud-Ovest cambiò corso, diventando una Vernichtungspolitik, una politica di annientamento.
Appena giunto nella colonia, von Trotha scrisse ai superiori esternando le sue intenzioni: «Ritengo preferibile che la nazione herero perisca piuttosto che infetti i nostri soldati e inquini la nostra acqua e il nostro cibo». [Cit. in M. Cattaruzza, Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, Vol. 1, Utet, Torino 2005, p. 144]. E così fu.
In un proclama pubblico del 2 ottobre 1904, von Trotha fece conoscere agli indigeni i suoi propositi: «Io, generale delle truppe tedesche, indirizzo questa lettera al popolo herero. D’ora in poi gli herero non sono più sudditi tedeschi. Hanno ucciso, rubato […] Tutti gli herero devono lasciare il Paese. Qualsiasi herero scoperto all’interno del territorio tedesco, armato oppure no, con oppure senza bestiame, sarà ucciso. Non sarà tollerata neppure la presenza di donne o bambini che dovranno raggiungere gli altri membri della loro tribù [ossia morire di sete nel deserto] altrimenti saranno fucilati». [Cit. da Zimmerer J., Colonialism and Nazy Genocide: towards an Archeology of Genocide, in A.D. Moses, a cura di, Genocide and Settler Society, Berghahn Books, New York 2004, p. 65].
Il piano di von Trotha fu quello di fare terra bruciata, con la demolizione sistematica dei villaggi, l’avvelenamento dei pozzi, la distruzione dei raccolti e di ogni altra fonte di sostentamento, per accerchiare definitivamente i rivoltosi e sterminarli. Ai prigionieri fu riservata l’impiccagione di massa.
La grande battaglia ebbe luogo l’11 agosto 1904, a Waterberge, e fu lo scontro decisivo nella campagna di repressione degli Herero. Decisivo non dal punto di vista militare, perché i rivoltosi riuscirono a far fallire il piano tedesco. Infatti, pur subendo perdite pesantissime, gli Herero riuscirono ad aprirsi un varco verso il deserto dell’Omaheke. Nonostante la fuga, i tedeschi si lanciarono all’inseguimento sparando alle spalle. Molti perirono nel deserto, pochi raggiunsero il Bechuanaland britannico (l’odierno Botswana), tra cui Samuel Maharero. La campagna militare tedesca contro gli Herero provocò la morte dell’ottanta per cento del totale della tribù.
Gli Herero che erano riusciti a nascondersi, si unirono nella lotta nel frattempo iniziata dai Nama.
Il campo di Lüderitzbucht
Il campo di Lüderitzbucht
Nel 1905, dopo che le terribili notizie sul trattamento riservato ai rivoltosi giunsero in patria, provocando il disappunto dell’opinione pubblica, e dopo accesi dibattiti nel Parlamento tedesco, l’ordine di annientamento fu revocato.
Alla fine della guerra il bilancio fu drammatico. Contro gli Herero furono combattute 88 battaglie, contro le 2.348 di quelle contro i Nama. Von Trotha dichiarò che 65.000 Herero erano uccisi. 2.348 i soldati della colonia tedesca morti in queste battaglie.
Allo sterminio sistematico seguì la prigionia: gli Herero e i Nama non dovevano essere più sterminati ma imprigionati e obbligati ai lavori forzati. Imitando gli spagnoli e i britannici – che per primi ne avevano fatto uso rispettivamente nelle guerre a Cuba e contro i boeri – furono realizzati campi di concentramento in cui ammassare gli ultimi Herero e Nama per obbligarli al lavoro forzato.
Ovviamente il razzismo e lo spirito di vendetta si manifestarono in un trattamento inumano dei prigionieri (malnutrizione, freddo, lavoro pesante, stupri e violenze fisiche), determinando un altissimo tasso di mortalità.
Ancor più inquietante fu l’utilizzo dei prigionieri come cavie per fini di sedicente ricerca medica. Due studiosi di genetica dell’epoca, Theodor Mollison ed Eugen Fischer, condussero nei campi degli esperimenti sui meticci e sui gemelli per corroborare le loro tesi sulla superiorità della razza tedesca (ritornato in patria, Fischer insegnò nelle università tedesche, diventando rettore di quella di Berlino durante il nazismo. Tra i suoi allievi avrà Mengele, che ad Auschwitz proseguirà i suoi esperimenti di eugenetica sui gemelli internati). Molti teschi furono spediti in Germania per continuare gli studi di eugenetica.
Il più famigerato campo di concentramento delle colonie tedesche fu il Konzentrationslager auf der Haifischinsel vor Lüderitzbucht nell’isola di Shark, dove si registrò un tasso di mortalità del settanta per cento. Per il clima inospitale (freddo), la malnutrizione, il lavoro durissimo, le violenze fisiche e gli stupri, il campo fu rinominato dai coloni tedeschi Todesinsel, “isola della morte”.
Il colonnello Ludwig Von Estorff, dopo aver visitato il campo di Lüderitzbucht e altri campi, in un telegramma inviato al suo Comando il 10 aprile 1907 ne sollecitò la chiusura. Così giustificò la sua richiesta: «Non posso incaricare i miei ufficiali di questi servizi da carnefice, né posso assumermene la responsabilità» [Cit. da I. Hull, Cultura militare e «soluzioni finali» nelle colonie: l’esempio della Germania guglielmina, in R. Gellately, B. Kierman, a cura di, Lo spettro del genocidio, Milano, Longanesi & C., 2006, p. 147].
Ufficialmente, i lavori forzati terminarono il 1° aprile 1908 quando agli Herero e ai Nama fu revocato lo status di prigionieri di guerra, ma in realtà il loro impiego forzato nei progetti coloniali continuò anche oltre tale data.
Nel 2004, in occasione del centenario della guerra, il governo tedesco ammise le colpe della Germania per i crimini contro l’umanità commessi nella Deutsch-Südwestafrika. Ma ai discendenti degli Herero non è bastato. Per questo hanno chiesto a Berlino quattro miliardi di dollari di risarcimento per il lavoro compiuto dai loro discendenti. A parte la richiesta economica, è stata reclamata anche la restituzione di quarantasette teschi di Herero, ancora conservati nelle università e centri medici tedeschi.
Già nel 2001 l’allora capo Herero Kuaima Riruako presentò a una corte americana la richiesta di due miliardi di dollari contro il governo federale tedesco e la Deutsche Bank, che finanziò l’impresa coloniale.
Il 26 Ottobre 2007 il Parlamento namibiano ha approvato all’unanimità una mozione presentata da Kuaima Riruako che impegna il governo di Nahas Angula a chiedere alla Germania un risarcimento per lo sterminio di centinaia di migliaia di Herero.
Pur riconoscendo la responsabilità morale della Germania per il massacro dell’etnia Herero e Nama, le autorità berlinesi non intendono però farsi trascinare in un’ennesima diatriba sui risarcimenti. Sulla restituzione dei teschi, invece, niente è stato detto. Tuttavia, il governo tedesco ha esternato la sua disponibilità ad aumentare il volume degli aiuti allo sviluppo alla Namibia. Anche se poco, è già qualcosa.
Per saperne di più
G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, Duncker und Humblot – Berlino, 1837; trad. it., Lezioni sulla filosofia della storia – La Nuova Italia, Firenze, 1963.
H. Jaffe, Three Hundred Years, a History of South Africa – New Era Fellowship, Cape Town 1952; trad. it., Sudafrica. Storia politica – Jaca book, Milano 1980.
F. Lamendola, Il genocidio dimenticato: la soluzione finale del problema Herero nel sud-ovest africano – Stavolta, Pordenone 1988.
J.B. Gewald, Herero Heroes. A Socio-political History of the Herero of Namibia, 1890-1923 - James Currey, Oxford 1999.
Isabell Hull, Cultura militare e «soluzioni finali» nelle colonie: l’esempio della Germania guglielmina, in R. Gellately, B. Kierman (a cura di), Lo spettro del genocidio – Longanesi, Milano 2006.
A.D. Moses, a cura di, Genocide and Settler Society – Berghahn Books, New York 2004.
M. Cattaruzza, Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, Vol. 1 – Utet, Torino 2005.
J. Sarkin-Hughes, Germany’s Genocide of the Herero: Kaiser Wilhelm II, His General, His Settlers, His Soldiers - UCT Press, Cape Town (South Africa) 2010.
L. Costalunga, Aspetti del colonialismo tedesco in Africa orientale, 1884-1914 - Effepi, Genova 2011.
Gli Herero o Ovaherero sono un popolo africano appartenente al gruppo etnico dei bantu. Sono circa 120.000, la maggior parte dei quali in Namibia, con gruppi minori in Botswana e Angola.
https://it.wikipedia.org/wiki/Herero Gli Herero giunsero in Namibia dall'est fra il XVII e il XVIII secolo, insediandosi nella zona come allevatori, stabilendosi nell'odierno Kaokoland; nel XVIII secolo diversi gruppi herero migrarono verso sud, andando a occupare la valle del fiume Swakop e l'altopiano centrale della Namibia. All'inizio del XIX secolo, gli Herero furono coinvolti in una serie di sanguinosi conflitti con i Nama, ricordati come guerra Nama-Herero. I Nama (che disponevano di armi da fuoco vendute loro dagli europei) ebbero generalmente la meglio; circa il 75% della popolazione herero fu sterminata e la fuga dal conflitto contribuì a diffondere in modo ancora più capillare l'etnia herero nel territorio namibiano. Molti Herero fuggirono anche nel Botswana.
Alla fine del XIX secolo iniziarono a giungere dall'Europa numerosi coloni, soprattutto tedeschi, che negoziarono con gli Herero e i Nama allo scopo di ottenere terra su cui edificare le proprie fattorie. In particolare, i territori ottenuti nel 1883 dal mercante tedesco Franz Adolf Eduard Lüderitz formarono il primo nucleo di quella che sarebbe diventata la colonia dell'Africa Tedesca del Sud-Ovest.
Nel periodo coloniale, i pastori Herero entrarono ripetutamente in conflitto con i coloni tedeschi; il regime di discriminazione razziale instaurato dai coloni contribuì a inasprire i rapporti fra i due gruppi. Nel 1904, questa tensione sfociò nelle cosiddette Guerre Herero, che in effetti coinvolsero anche i Nama (alcune delle lettere che i capi Herero e i capi Nama si scambiarono mentre stavano pianificando la rivolta contro i coloni sono state conservate fino a oggi). Gli Herero e i Nama erano ben armati, ed ebbero inizialmente successo, ma non poterono resistere al corpo di spedizione di 15.000 uomini inviato poco tempo dopo dal Kaiser. Lothar von Trotha, a capo delle forze tedesche, ebbe l'ordine di sopprimere la rivolta nel modo più deciso ed esemplare possibile; ne risultò un vero e proprio genocidio, in cui gli Herero furono quasi sterminati.
Le guerre herero, spesso ricordate anche come genocidio degli Herero e dei Nama, ebbero luogo nell'Africa Tedesca del Sud-Ovest (oggi Namibia) fra il 1904 e il 1907, nel periodo della spartizione dell'Africa.https://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_herero Il conflitto ebbe inizio dalla ribellione del popolo Herero (a cui si aggiunse in un secondo momento il popolo Nama) contro l'autorità coloniale tedesca. Il generale Lothar von Trotha, incaricato di sopprimere la ribellione, utilizzò pratiche di guerra non convenzionale che includevano l'avvelenamento dei pozzi e altre misure che portarono alla morte per fame e per sete di una rilevante percentuale della popolazione Herero e Nama.
Nel 1985 le Nazioni Unite (con il Rapporto Whitaker) identificarono nella guerra contro gli Herero uno dei primi tentativi di genocidio (inteso come sterminio di una intera popolazione) del XX secolo. In merito a questo episodio, il governo tedesco ha dichiarato nel 2004: "noi tedeschi accettiamo la nostra responsabilità storica e morale".