Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » lun gen 29, 2018 11:14 am

???

È sulle rovine europee del cristianesimo, sui fasti giocosi e idioti della nostra società dell'intrattenimento, che l'Islam radicale sta irrobustendo la sua pianta.
La narcotizzazione occidentale, frutto del lungo processo di decostruzione culturale della sua identità, cominciato negli anni '60, libertini e libertari, ci ha consegnato oggi all'imbecillità quotidiana del politicamente corretto, al suo innaturale lessico ricattatorio.
A forza di demolizioni in nome dell'"emancipazione" e del "progresso", parole affatturanti che possono ricoprire contenuti assai diversi, se non radicalmente opposti, ci siamo predisposti alla capitolazione.
L'importante è fare finta di niente e attendere che sia in vendita l'ultimo modello di Smartphone. Sarà con quello che ci difenderemo dalle più implacabili sure del Corano.

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Michael Begnini
Il capitalismo moderno è nato grazie alla riforma Luterana e calvinista. Il Cattolicesimo ha portato ovunque miseria, quindi che il sito del Vaticano faccia suoi meriti di altri è paradossale. Sembra di vedere i palestinesi pretendono di fare di Gesù il primo martire palestinese. Cerchiamo di essere Seri per favore..
E soprattutto non dimentichiamo l'antisemitismo viscerale dei Papi. 2000 anni di persecuzione contro 60 scarsi di "volemose bene". Devono passare 1000 anni prima di convincermi delle buone intenzioni del papato.


Niram Ferretti
Michael credo che ci sia un po' di confusione sul cattolicesimo, che è la prima forma di cristianesimo europeo essendo la Riforma avvenuta nel 500 quando l'Europa era già cristiana da 500 anni abbondanti. Senza cristianesimo (cattolicesimo) non esisterebbe l'Occidente così come lo abbiamo conosciuto per secoli. La grossolana vulgata pseudoillumista che vede nei secoli prima del 700 l'Europa preda dell'arretratezza culturale e della superstizione è un fumetto per bambini incolti, come l'altra vulgata che vede il Medioevo come un lungo periodo oscuro, fatto di ignoranza e imbecillità, dove monaci trogloditici bruciavano la gente che non la pensava come loro a ogni piè sospinto. Altra idiozia buona per chi non ha mai aperto un libro di storia. La storia del cristianesimo e della Chiesa è fatta, ovviamente anche di tanti orrori, di stupidità e di ignoranza. Ma mi chiedo quale sia l'istituzione umana priva di questi aspetti. L'Illuminismo, nella sua deriva, ha portato alla deificazione della Ragione, ai tribunali del popolo, alla Volontà generale, al Terrore giacobino, anticipatore dei terrori ben più spaventosi dei due grandi totalitarismi novecenteschi, nazismo e comunismo. Andrei cauto nelle condanne perentorie e nelle visioni manichee. Perchè non corrispondono affatto alla realtà della storia, assai complessa, assai sfaccettata.
Ti consiglio la lettura di questa intervista con Rodney Stark, uno dei maggiori sociologi contemporanei, il quale ha dedicato decine di libri al fenomeno cristiano. Vedrai quanti luoghi comuni sfata
http://www.catholicworldreport.com/2016 ... ic-history


La vittoria della ragione
Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza
Rodney Stark
http://www.lindau.it/Libri/La-vittoria-della-ragione

Gino Quarelo
Personalmente non condivido il mito che tutto il bene che c'è oggi si trova in Occidente derivi prima dalla "civiltà greco-romana" e poi dall'apporto religioso-culturale del cristianismo. Io credo invece che queste influenze vi siano state e nel bene e nel male ma che vi siano anche filoni di apporti non greci, non romani e non cristiani che hanno dato il loro contributo prima, parallelamente, sotterraneamente e anche in contrasto con questi filoni che si vogliono fanno prevalere per varie ragioni.
L'umanità occidentale, la sua storia, la sua cultura e la sua spiritualità, la sua scienza e civiltà non si possono ridurre a quelle greche, romane e giudaico-cristiane, vi è anche molto altro.


Bruno Sion
Quando sento persone osteggiare il cristianesimo (un papa antisemita comunista ricordiamoci non è cristianesimo, ma è islam e sinistra) mi si rizzano le antenne, perché l'anticlericalismo è ideologia illuminista, socialista, atea: proprio quella zona oscura da cui arriva l'antisemitismo. E poco importa se a dirlo è un sionista o una persona che vota a destra: rendersi vettore e seminatore di semi di "sinistra" prima o poi fa crescere dannose piante di sinistra, o peggiori. I primi cristiani furono ebrei, forse ebrei reform, o qualcosa di simile, chi lo sa. E il rabbi yoshua ben joseph fu un figlio di Israele, un rabbino ortodosso che disse di volere confermare la Torà ed insegnó ai suoi fratelli e ai goym ad amare d-o e di amare il prossimo come se stesso. Questo è il dogma del cristianesimo. Il resto sono errori umani. Forse gli errori umani di quell'ebreo mafioso e ribelle di Esau, che disprezzó ed odió il suo fratello gemello ebreo osservante Giacobbe. Prendersela a priori con chi è portatore imperfetto di principi della Torà è maldestro e dannoso. L'islam sta prendendo gli spazi lasciati liberi da chi ha abdicato questi valori e da chi ha iniziato a criticarli per via della educazione socialista anticlericale che abbiamo tutti ricevuto. E il dogma dell'islam non è amare d-o e il prossimo come se stesso: il dogma dell'Islam è converti il prossimo. Se non si converte uccidilo. E uccidi l'ebreo. Voti a sinistra? Alimenti hitler e maometto. Voti a destra ma sei anticlericale, o peggio, sei "comunista di destra" (quei 4 cretini che adulano un dittatore socialista) ? aiuti hitler e maometto

Pietro Fanelli
Chi si "scaglia rabbiosamente contro il cristianesimo"? Io considero le attuali posizioni della chiesa cattolica antiebraiche, filo islamiche e socialiste e le considero, pure rispettandole, appartenenti al nemico. Citare, quindi, l'"a priori", lo considero improprio. Ovviamente si può trattare di errori, vuol dire i cattolici sono nemici per sbaglio (e il Papa, io, rispettandolo come intelligente uomo politico, non credo che possa sbagliasi).

Gino Quarelo
Bruno Sion ha scritto
"I primi cristiani furono ebrei, forse ebrei reform, o qualcosa di simile, chi lo sa. E il rabbi yoshua ben joseph fu un figlio di Israele, un rabbino ortodosso che disse di volere confermare la Torà ed insegnó ai suoi fratelli e ai goym ad amare d-o e di amare il prossimo come se stesso. Questo è il dogma del cristianesimo. Il resto sono errori umani. Forse gli errori umani di quell'ebreo mafioso e ribelle di Esau, che disprezzó ed odió il suo fratello gemello ebreo osservante Giacobbe. Prendersela a priori con chi è portatore imperfetto di principi della Torà è maldestro e dannoso."

Gentile Bruno Sion, se questa sua semplificazione e sintesi sull'essenza della religiosità ebraico-cristiana, costituita dall'amore per il prossimo e Dio fosse vera e non vi fosse invece dell'altro (come la divinità di Cristo-Dio), come si spiega il conflitto lungo e sanguinoso tra ebrei ortodossi (fariesei, sadducei, altri) e gli ebrei cristiani, e la fine di Cristo e di Stefano e di tutti i cosidetti primi "martiri", l'assurda idiozia fanatica del martirio per imitare il Cristo, e poi il lunghissimo e sanguinosissimo sterminio degli ebrei da parte dei cristiani non più ebrei? E come si spiegano i circa 1600 anni di crimini compiuti dagli imperi e dalle genti non ebree divenute Cristiane? Come mai questa fede, questo credo nell'ebreo Cristo divinizzato non ha prodotto alcuna redenzione radicale e continuata nei cristiani? Perché l'Italia che è il paese/stato più cristiano-cattolico d'Europa e di tutto l'Occidente è anche il peggiore in fatto di violazione dei comportamenti cristiani e dei X Comandamenti, dove vi sono più ladri, bugiardi, aprofittatori, irresponsabili e corrotti, mafiosi e parassiti, ...?
Gentile Bruno, non mi pare che i cristiani leggano e studino la Torà come fanno gli ebrei e mi pare che siano anche completamente altro dagli ebrei.
Non so quanto i cristiani d'Italia, d'Europa e del Mondo possano uscire dalle loro tante contraddizioni religiose, umane, sociali e politiche attraverso l'essere "veri cristiani o più cristiani" e al contempo arginare, convertire e sconfiggere il nazismo maomettano!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » lun gen 29, 2018 11:18 am

???
Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza
Rodney Stark
http://www.lindau.it/Libri/La-vittoria-della-ragione

Molto è stato scritto sui motivi per i quali, a partire dal Medioevo, l’Occidente ha sopravanzato il resto del mondo. Le spiegazioni più comuni hanno riguardato la felice configurazione geografica, l’espansione dei commerci, il progresso della tecnologia. Ma è stato completamente trascurato un fatto: nessuno sviluppo sarebbe stato possibile senza una profonda fiducia nella ragione, che affonda le proprie radici nella religione cristiana.

In La vittoria della ragione, Rodney Stark propone quest’idea rivoluzionaria: le più significative innovazioni intellettuali, politiche, scientifiche ed economiche introdotte nello scorso millennio sono riconducibili al cristianesimo e alle istituzioni a esso collegate. Secondo Stark, non sono state la contrapposizione tra la società laica e quella religiosa, né la competizione tra scienza e fede a farci progredire.
Al contrario, è alla teologia cristiana che dobbiamo attribuire la vera origine della ragione. Mentre infatti le altre grandi religioni hanno posto l’accento sul mistero, sull’obbedienza e sulla meditazione, il cristianesimo ha abbracciato la logica e il pensiero deduttivo aprendo la strada alla libertà e al progresso.

Nella sua analisi della supremazia occidentale, Stark ridimensiona in modo convincente «verità» ormai accettate da tempo. Dimostra, ad esempio, che il capitalismo prosperò secoli prima che esistesse un’etica protestante del lavoro, ovvero ben prima della Riforma, confutando l’idea che sia stata essa a favorirne la nascita. Nel V secolo, osserva Stark, sant’Agostino lodava sia il progresso teologico sia quello materiale, mentre, parecchio tempo prima di lui, Aristotele aveva condannato l’attività commerciale come «incompatibile con la virtù umana». Ciò rafforza l’idea che il Medioevo non sia stato un periodo di decadenza o di stasi (i famigerati «Secoli Bui»), ma al contrario la culla delle future glorie dell’Occidente.
La vittoria della ragione è un’analisi di ampio respiro che accompagna il lettore dal Vecchio al Nuovo Mondo, dal passato al presente, ribaltando in questo percorso non solo secoli di pregiudizi accademici, ma anche la radicata tendenza antireligiosa della nostra epoca. Quest’opera dimostra che ciò che più ammiriamo della realtà che ci circonda – il progresso scientifico, la democrazia, il libero commercio – è in larga misura dovuto al cristianesimo, e che noi oggi siamo gli eredi di questa grande tradizione.


Alberto Pento

Secondo questo autore, la ragione umana (con la sua etica sociale e politica orientata al bene e alla giustizia) sviluppata dagli europei negli ultimi 2mila anni, che li caratterizza e li dovrebbe distinguere dai non europei e dai non cristiani, sarebbe una conseguenza della teologia e della religione cristiana da essi adottata.
Be', se la ragione umana fosse un portato della teologia e della religione cristiana dovrebbe trovarvisi in tutti i cristiani del mondo e non mi pare che ciò sia così evidente e confermato dai comportamenti umani, sociali e politici, sia individuali che collettivi dei vari cristiani. O forse riguarderebbe solo la teologia cattolica?
Be', allora i popoli d'Europa che non erano cristiani, gli ebrei che non sono cristiani e tutti gli altri uomini del mondo che non sono cristiani, sarebbero stati e sarebbero forse senza ragione, senza la buona ragione?
Quanto stupida, demenziale e assurda questa affermazione presuntuosa e arrogante che però è in linea (pur contraddendole) con altre affermazioni suprematiste o tesi analoghe (sia pur di stampo culturale, religioso, civile e non biologico), tipo: i greci avrebbero dato all'uomo il pensiero o meglio il corretto ed elevato pensare e i romani invece avrebbero dato all'uomo il buon diritto romano e la sua eccellente politica civile.
A questo punto viene naturale chiedersi come potevano i greci ei romani sviluppare il corretto pensare e il buon diritto se mancava a loro la capacità di ragionare essendo questa capacità arrivata dopo con il cristianismo?
E i poveri ebrei che non hanno ricevuto la luce e la grazia del cristianismo erano rimasti e sono forse senza ragione o fortunatamente sono poi stati in parte ibridati dagli europei acquisendo così la buona ragione di origine cristiana pur non essndo cristiani? E questo forse è successo anche alle popolazioni asiatiche del Giappone, della Cina, dell'India, della Corea. ...?
La verità o il buon senso è che la ragione, il pensiero e il diritto, come il linguaggio, i sentimenti, le emozioni sono dotazioni strutturali e naturali di tutti gli uomini come lo è anche lo spirito, quando non sono costretti e condizionati da ideologie e fedi politico religiose totalitarie, fideiste, dogmatiche, con le loro pratiche violente dell'orrore e del terrore che li traviano, li pervertiscono, li disumanizzano.
Vi sono anche creduli idolatri cristiani ed ebrei che credono che Dio il creatore dell'Universo, di tutte le cose e di tutte le creature sia rimasto sempre nascosto all'umanità sino a che non ha incominciato ad apparire agli ebrei per poi incarnarsi e farsi uomo nell'ebreo Gesù Cristo apparendo definitivamente all'umanità ma però solo agli ebrei cristiani e poi a tutta l'umanità che si è fatta cristiana. Mentre gli ebrei e i non cristiani resterebbero nelle tenebre e preda del male.

Questo è proprio il tipico atteggiamento e la tipica credenza di presunzione culturale e antropologica che sta alla radice dei razzismi e di tutte le discriminazioni razziali, etniche, sociali, religiose e culturali.



L'Occidente ha creato la civiltà moderna
13 luglio 2018 Guglielmo Piombini Il Foglio, 24 gen 2006

LA VITTORIA DELLA RAGIONE / Lindau, Torino 2006 - Recensione di Guglielmo Piombini
- Perché il cristianesimo ha generato la libertà, il capitalismo e la scienza occidentale -

http://www.reteliberale.it/dettagli.asp?id=140&var=2

Quando gli europei all’inizio dell’età moderna si lanciarono nell’esplorazione del globo, la loro sorpresa maggiore non fu la scoperta dell’emisfero occidentale, ma la loro enorme superiorità tecnologica sul resto del mondo. Non solo gli orgogliosi imperi maya, aztechi e inca erano impotenti davanti ai nuovi arrivati, ma anche le favolose civiltà orientali come la Cina, l’India e l’Islam (???) erano rimaste considerevolmente arretrate rispetto all’Europa. Cos’era successo? Come riuscirono le nazioni sorte dalle rovine di Roma a surclassare in ogni campo il resto del mondo?

Le spiegazioni più alla moda assegnano alla geografia e al clima un’importanza fondamentale nelle vicende umane. Ad esempio, nel best-seller “Armi, acciaio e malattie” (tradotto in Italia da Einaudi) Jared Diamond attribuisce gran parte dei successi europei alle favorevoli condizioni ambientali presenti nel vecchio continente. Questa spiegazione determinista viene però decisamente respinta in un libro straordinario, La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, appena tradotto dalla casa editrice Lindau. L’autore è Rodney Stark, uno dei più noti sociologi delle religioni, docente di scienze sociali alla Baylor University (in Italia ha pubblicato nel 2003 Dio è tornato, scritto con Massimo Introvigne ed edito da Piemme).

Stark smentisce dunque Diamond, ricordando come nella storia tutte le civiltà hanno prosperato e sono decadute sotto qualsivoglia clima o latitudine. Un crescente numero di studiosi ha individuato invece le ragioni del “miracolo europeo” nella nascita del capitalismo. Secondo la ricostruzione dei massimi indagatori della storia economica europea (Jean Baechler, Harold Berman, Eric Jones, David Landes, Joel Mokyr, Douglas North, Luciano Pellicani, Nathan Rosemberg e Luther Birzdell), mentre gli ultracentralizzati e dispotici imperi orientali del passato soffocarono la libertà individuale e l’innovazione, il potere politico decentralizzato e limitato dell’Europa medievale non fu in grado di mettere in pericolo la sicurezza della proprietà privata e di ostacolare la libertà dei commerci. La conseguenza fu la fioritura del capitalismo, al quale anche i suoi maggiori critici (a partire da Marx ed Engels) attribuiscono il merito di aver generato un aumento di ricchezza e uno sviluppo tecnologico senza precedenti.

La tesi è corretta, ma non spiega perché l’Europa, a differenza di tutte le altre stagnanti società asiatiche, ha sviluppato un ambiente politico favorevole all’economia di mercato. Per risolvere l’enigma è necessario abbandonare il relativismo imperante nelle scienze sociali, scrive Stark, e analizzare criticamente i presupposti metafisici e religiosi che stanno alla base delle diverse culture. La cultura europea è stata infatti plasmata profondamente dalla concezione giudaico-cristiana del mondo creato e ordinato razionalmente da Dio. Mentre tutte le altre religioni del mondo enfatizzavano il mistero e l’intuizione, solo il cristianesimo considerò la ragione e la logica come delle guide per scoprire le verità religiose. Già i primi padri della chiesa, come Tertulliano e Sant’Agostino, insegnavano che grazie al dono divino della ragione gli uomini potevano raggiungere progressivamente una migliore comprensione delle Scritture e della rivelazione. Questa fiducia nella ragione venne incoraggiata dalla scolastica medievale di Alberto Magno e San Tommaso, e diffusa in quelle gloriose invenzioni della cattolicità che furono le università medievali. Sotto questo aspetto la filosofia greca influenzò la religione cristiana molto più della stessa religione greca, rimasta legata ai culti misterici.

La fede cristiana nella ragione promosse la libertà politica, grazie alla teorizzazione da parte dei canonisti medievali dei diritti naturali dell’individuo, ben prima di John Locke o degli illuministi. L’applicazione sistematica della razionalità alle attività economiche favorì inoltre lo sviluppo del capitalismo nei monasteri e nei comuni medievali, secoli prima della riforma protestante (a dispetto delle tesi di Max Weber). La fiducia della cristianità europea nella ragione permise infine la nascita della scienza.

Quest’ultima tesi può apparire revisionista, se non provocatoria, solo a coloro che sono rimasti fermi alla propaganda illuminista, senza sapere che negli ultimi decenni quasi tutti gli storici della scienza, compresi A.C. Crombie, David Lindberg, Edward Grant, Stanley Jaki, Thomas Goldstein e J.L. Heilbron, sono arrivati alla conclusione che senza l’apporto spirituale e materiale del cattolicesimo l’Occidente non avrebbe conosciuto alcuna rivoluzione scientifica. L’idea cristiana di un universo creato da Dio e ordinato secondo leggi razionali si è infatti rivelata fondamentale per lo sviluppo della scienza, perché sarebbe assurdo ricercare delle regolarità in un universo caotico che si comporta casualmente e imprevedibilmente. Nelle società fondate su tradizioni religiose animiste o panteiste, dove la divinità si confonde con la natura, l’idea che il mondo fisico sia assoggettato a leggi fisse e prevedibili è inconcepibile, e per questo motivo il metodo scientifico ha incontrato grosse difficoltà ad affermarsi. Lo stesso problema si è verificato nel mondo islamico, dove la teologia condanna i tentativi di scoprire le leggi naturali perché limiterebbero la volontà libera e arbitraria di Allah.

Il successo dell’Occidente, afferma Rodney Stark al termine della sua analisi, si deve quindi interamente sulle sue fondamenta religiose. L’idea che dalla caduta dell’impero romano al Rinascimento l’Europa sia rimasta sotto una cappa di ignoranza, oscurantismo e superstizione è interamente falsa. Gli abitanti dell’Europa, partendo praticamente da zero dopo le devastazioni causate dalle invasioni barbariche, in soli cinque secoli si erano già dimostrati, da un punto di vista economico e tecnologico, ben più ingegnosi e avanzati delle popolazioni vissute nelle precedenti millenarie società antiche. E dopo altri cinque secoli, all’alba delle grandi scoperte geografiche, avevano già raggiunto la supremazia mondiale. Oggi, all’opposto, l’Europa non si espande più, la sua economia ristagna, la sua influenza culturale nel mondo si restringe, la sua popolazione invecchia e decresce vistosamente. La lezione di Stark ci suggerisce che questa decadenza potrebbe avere qualcosa a che fare con l’abbandono delle proprie radici religiose e culturali. Mentre, altrove nel mondo, “per molti non europei, diventare cristiani significa diventare moderni”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mar gen 30, 2018 12:01 pm

???
Ecco una sintesi del mito secondo cui il cristianismo specialmente cattolico romano starebbe alle radici della civiltà europea e occidentale: della scienza, del lavoro e dell'etica del lavoro e del capitalismo, della tecnologia, della laicità, della democrazia comunale e moderna, dei diritti umani universali, ... di tutto il meglio che può vantare l'occidente americano ed europeo.


L'Occidente prodigo tornerà da suo Padre
dicembre 27, 2015 Giovanna Jacob
Il totalitarismo occidentale e la teocrazia orientale hanno un nemico comune: il cristianesimo

http://www.tempi.it/occidente-prodigo-t ... fOLCYhx2jJ

Caro direttore, in precedenza ho spiegato che la maggior parte degli intellettuali e dei giornalisti occidentali si rifiutano di ammettere che lo “scontro di civiltà” non è più da tempo una semplice ipotesi accademica. È un fatto gigantesco confermato da una mole gigantesca di fatti. Essi non accettano questo fatto, e fanno di tutto per nasconderlo agli altri e a sé stessi, in primo luogo perché è oggettivamente spaventoso e in secondo luogo perché dimostra in maniera definitiva l’infondatezza dell’ideologia marxista, i cui avanzi irranciditi sono ancora incrostati nella loro mente. Se infatti lo “scontro di civiltà” esiste, allora la “lotta di classe” fra il nord e il sud del mondo, che essi hanno sempre predicato, semplicemente non esiste. Questi stessi intellettuali e giornalisti si rifiutano pure di ammettere che la civiltà occidentale è la civiltà più grande del mondo. Se infatti lo ammettessero, sarebbero costretti a rinnegare il dogma multiculturale, secondo cui tutte le culture e tutti i valori avrebbero lo stesso valore, uguale a zero.

Accanto a questa maggioranza di intellettuali e giornalisti che negano l’evidenza dello “scontro di civiltà” in nome del marxismo e del multiculturalismo, esiste anche una consistente minoranza di intellettuali e giornalisti che non la negano: negano soltanto che la civiltà occidentale abbia ancora qualcosa di cristiano. Secondo loro, la civiltà occidentale avrebbe cominciato a camminare solo a partire dal cosiddetto Rinascimento, quando l’élite culturale cominciò ad allontanarsi dalla fede cristiana, e avrebbe cominciato a correre speditamente sulla strada del progresso solo nel secolo dei Lumi, quando l’élite approdò finalmente all’ateismo.

Per loro tutte le religioni sarebbero false, tutte ostacolerebbero il progresso dell’umanità, tutte sarebbero causa di divisioni e guerre e da tutte quindi l’umanità dovrebbe cercare di liberarsi. Essi descrivono l’attuale “scontro di civiltà” come lo scontro fra una civiltà ancora religiosa (islam) e una civiltà ormai completamente irreligiosa e quindi progredita (occidente). Dal momento che secondo loro nessuna religione può avere qualcosa di buono e quindi nessuna può essere migliore delle altre, questi individui sono costantemente tesi nello sforzo di dimostrare che fra cristianesimo e islam non ci sono grosse differenze. Il fatto che attualmente in Medio Oriente i sudditi del califfato ammazzino i cristiani ma i cristiani non ammazzino i sudditi del califfato, li mette un po’ in difficoltà. Ma loro non si perdono d’animo: “Esistono anche terroristi e criminali cristiani: i mafiosi siciliani, i terroristi dell’Ira, i terroristi della destra bianca cristiana, il norvegese Anders Breivik …”. Ansiosi come sono di dimostrare che dalle viscere del cristianesimo potrebbe uscire in ogni istante un terrorismo non meno temibile di quello islamico, nelle ore immediatamente successive alla strage di San Bernardino si dicevano tutti sicuri che gli autori della strage appartenessero alla “estrema destra cristiana”. Ma più che sui terroristi presunti cristiani di oggi, puntano i riflettori della propaganda sui cristiani presunti criminali di ieri: crociati, inquisitori, conquistadores e quant’altri. “Se i terroristi dell’Isis oggi massacrano i cristiani”, dicono, “sappiate che in passato i cristiani hanno massacrato milioni di musulmani, milioni di ebrei, milioni di Indios, milioni di eretici, milioni di presunte streghe e milioni di scienziati…”.

Il problema è che, nonostante la macchina della propaganda anti-cristiana abbia funzionato a pieno regime dal secolo del Lumi ad oggi, i cristiani di oggi non sembrano davvero il branco di fanatici assetati di sangue dipinti da questa propaganda. La gente vede un Papa che invita i fedeli a dialogare con tutti e a soccorrere i bisognosi provenienti da ogni parte del mondo. E vede anche un gran numero di fedeli che lo fanno veramente. Gli intellettuali e i giornalisti di cui sopra spiegano che la maggioranza dei cristiani avrebbero smesso di essere delle persone orribili e avrebbero cominciato ad essere le persone tutto sommato perbene che vediamo oggi solo ne secolo dei Lumi. Fu allora, infatti, che il cristianesimo avrebbe assorbito i valori dell’illuminismo: libertà, uguaglianza, fraternità, diritti universali dell’uomo, parità fra uomo e donna, separazione fra trono e altare, democrazia e qualcos’altro. Essi concludono con una nota di speranza: “Se ce l’ha fatta il cristianesimo ad adattarsi alla modernità, tanto più ce la potrà fare l’islam”.

Riepilogando, secondo la consistente minoranza di intellettuali e giornalisti atei militanti il fondamentalismo islamico vorrebbe fare sparire dalla faccia della terra l’ateismo, non la fede cristiana o qualunque altra fede concorrente. In quest’ottica, se la civiltà occidentale fosse ancora cristiana al cento per cento, i fondamentalisti non ci penserebbero nemmeno di organizzare attentati in Occidente. In realtà, basta aprire il libro di storia medievale del liceo per capire che questi intellettuali e questi giornalisti sono completamente fuori strada. I fondamentalisti islamici esistono dal VII secolo dopo Cristo e si scontrano con la civiltà occidentale dal VII secolo dopo Cristo, quando la civiltà occidentale era tutto fuorché atea e illuminista. Dal VII all’XI secolo, i pirati musulmani devastarono sistematicamente tutte le coste dell’Europa cristiana, dove si procuravano degli articoli molto richiesti sul mercato di Alessandria: schiavi e specialmente schiave cristiane. Inoltre, gli eserciti di varie potenze musulmane tentarono ripetutamente di penetrare in Europa dal VII al XVII secolo, ma non ci riuscirono mai. Carlo Martello fermò gli arabo-berberi a Poitiers nell’ottobre del 732, Giovanni III Sobieski fermò i turchi a Vienna l’11 settembre 1683. L’11 settembre 2001 un certo Osama Bin Laden riprese il discorso da dove lo avevano lasciato i turchi più di tre secoli prima.

Dunque, non sembra davvero che i terroristi musulmani guardino con più favore al cristianesimo che all’ateismo. E non sembra nemmeno che guardino alla civiltà occidentale contemporanea come ad una civiltà ateo-illuminista. Tutte le volte che ne parlano, i terroristi si riferiscono agli occidentali non come agli “illuministi” ma come ai “crociati”. Ad esempio, Abdelhamid Abaaoud (uno di terroristi uccisi dalla polizia nel blitz a Saint Denis), dichiarò alla rivista di propaganda dell’Isis (Dabiq) che il suo scopo principale nella vita era di massacrare i “crociati cristiani”. Inoltre, si riferiva al Belgio come al “membro di quella coalizione di crociati che hanno attaccato i musulmani”. I fondamentalisti ignorano forse che i cristiani sono ormai in minoranza in tutti i paesi occidentali tranne che negli Usa? Ignorano forse che in paesi come il Belgio si fanno film come Dio esiste e vive a Bruxelles? Certo che no. Probabilmente, nella loro follia fondamentalista hanno capito quello che gli intellettuali occidentali fingono di non capire: che la civiltà occidentale moderna è ancora una civiltà cristiana. Anche il giorno in cui tutti gli occidentali dovessero passare all’ateismo, la civiltà occidentale non smetterebbe di essere figlia del cristianesimo. Un figlio non smette mai di essere figlio di suo padre, neanche se lo ripudia e se ne allontana.

Per quanto possa sembrare paradossale, anche le espressioni più anti-cristiane della cultura occidentale sono state rese possibili dal cristianesimo. Per andare subito al sodo, l’ateismo è una conseguenza del cristianesimo. L’ateismo infatti non è una affermazione ma una negazione: negazione dell’esistenza di Dio. Se nessuno avesse mai affermato che Dio esiste, nessuno avrebbe mai potuto neppure negarlo. Se la fede in Dio non esistesse, non potrebbe neppure esistere l’assenza di fede. A questo punto, si potrebbe pensare che ogni religione al mondo debba per forza rendere possibile l’ateismo, così come qualunque corpo esposto al sole proietta un’ombra sul terreno. In realtà, per quanto si cerchi, al di fuori dell’Occidente si trovano al massimo alcune complesse filosofie immanentiste (che divinizzano l‘universo materiale), mai e poi mai filosofie compiutamente atee e maerialiste. Perché dunque solo l’Occidente cristiano ha prodotto un ateismo vero e proprio? La ragione principale è che solo il cristianesimo permette anzi esige la libertà di coscienza. Se il Dio unico vuole che gli uomini si sottomettano a Lui (islam significa sottomissione), il Dio uno trino desidera, come un amante, che gli uomini credano liberamente in Lui e liberamente Lo amino. Più nel dettaglio, la fede cristiana non è un comportamento sociale ma una posizione della ragione suscitata dalla grazia e confermata dalla volontà. Si può costringere una persona a comportarsi come un credente e a dire cose da credente, ma non si può per definizione costringerla a credere intimamente in qualche cosa in cui non crede. Se vuoi che creda, puoi solo provare a convincerla con argomenti razionali, ad esempio con le “prove filosofiche dell’esistenza di Dio”. Il fatto che nel Medioevo molti santi abbiano sentito il bisogno di elaborare “prove filosofiche dell’esistenza di Dio”, indica che anche allora i cristiani non bruciavano gli increduli ma provavano a convincerli.

La libertà di coscienza può portare alla fede ma può portare anche all’ateismo e all’anti-teismo. La differenza fra l’ateo e l’anti-teista è che il primo non crede che Dio esista, il secondo non vuole che Dio esista; l’ateo rispetta la fede altrui, l’anti-teista la vuole distruggere. Quindi, il cristianesimo permette la libertà di coscienza e la libertà di coscienza permette anche le ideologie anti-cristiane.

Nata dal cristianesimo, la civiltà occidentale due secoli fa si è allontanata da suo padre, si è fatta sedurre dall’anti-teismo e ha partorito tre mostri: lo scientismo, l’utopia totalitaria (nazismo e comunismo) e l’edonismo sposato al relativismo morale. Il nazismo è ufficialmente morto nel 1945, il comunismo sta morendo lentamente ma inesorabilmente mentre lo scientismo e l’edonismo sono ancora nel pieno del loro vigore. In sintesi, l’anti-teista mette il suo io al posto di Dio: tenta di esercitare un dominio assoluto sulla realtà tramite la scienza (scientismo), cerca di realizzare il progetto “scientifico” della società perfetta (utopia totalitaria), vive solo per soddisfare i suoi desideri egoisti (edonismo totalitario), ai quali adatta i valori (relativismo significa che non deve essere il desiderio ad adattarsi ai valori immutabili ma devono essere i valori ad adattarsi, mutando, ai desideri individuali, che mutano al mutare delle circostanze). Quello che più colpisce è che l’utopia totalitaria occidentale presenta delle sorprendenti somiglianze con la teocrazia fondamentalista, che oggi si realizza in Siria e in Arabia Saudita. In teoria, la società “scientificamente” organizzata dovrebbe essere il paradiso in terra e in essa l’individuo dovrebbe essere infinitamente libero, come Dio; in realtà tale società un carcere in cui l’individuo è schiavo e lo stato è Dio. Dunque il totalitarismo politico occidentale diventa precisamente una sorta di teocrazia atea: lo stato uccide Dio (ateismo di Stato) per diventare Dio ed esercitare il potere assoluto sui cittadini. Analogamente, la teocrazia del califfato non è altro che un totalitarismo politico religioso: lo Stato si pretende rappresentante di Dio per esercitare il potere assoluto sui sudditi.

C’è qualcosa di simbolico nel fatto che i terroristi abbiano colpito Parigi: la città dei giacobini, pionieri del totalitarismo politico. Dove c’era la ghigliottina, altare della Dea Ragione, arrivano adesso taglia-teste religiosi. Robespierre ha preparato la strada al califfo. E non è casuale che sia il totalitarismo occidentale sia la teocrazia orientale vogliano annientare il cristianesimo. Se i sovietici mandavano i cristiani nei gulag e i nazisti progettavano la distruzione della Chiesa (è noto il piano nazista, fortunatamente irrealizzato, dal nome “Rabat Fohn”), oggi i terroristi massacrano i cristiani in Medio Oriente. Dunque, il totalitarismo occidentale e la teocrazia orientale hanno un nemico comune: il cristianesimo. Evidentemente, solo il cristianesimo può sconfiggere entrambi.

E il cristianesimo, come un padre, aiuterà l’Occidente, il suo figliol prodigo, a liberarsi dai mostri che ha partorito e dal mostro che lo assale da Oriente. Come si è liberata del nazismo e come si sta liberando del comunismo, la civiltà occidentale prima o poi si libererà anche degli ultimi avanzi dello scientismo positivista e pure dell’edonismo totalitario sposato al relativismo morale. Come il figliol prodigo tornava dal padre, così l’Occidente tornerà al cristianesimo. Infatti, l’Occidente ha bisogno del cristianesimo così come il cristianesimo ha bisogno dell’Occidente (ce lo ha detto Benedetto XVI in Fede, verità e tolleranza).

Se è vero che nel secolo del Lumi la civiltà occidentale ha partorito dei mostri, tuttavia non è vero che quella che si dice “modernità” sia un mostro nel suo complesso. Gli odiatori atei delle radici cristiane e gli odiatori cattolici della modernità se ne facciano una ragione: la civiltà moderna ha radici cristiane. In essa c’è il totalitarismo politico ma ci sono anche i diritti universali dell’uomo, la parità fra i sessi, la laicità e la democrazia; c’è lo scientismo ma c’è anche la scienza autentica, al servizio della verità; c’è l’edonismo totalitario ma c’è anche l’amore per la vita e la bellezza. Non sono stati gli illuministi a inventare di sana pianta e a insegnare ai cristiani i diritti universali dell’uomo, la laicità, la democrazia e la parità fra i sessi. Li ha insegnati Cristo ai cristiani e li hanno insegnati i cristiani agli illuministi.

L’origine del concetto di diritti universali dell’uomo deve essere cercato nella Genesi mentre la prima formulazione del concetto di laicità deve essere cercata nel Vangelo. In nessun testo sacro di nessuna religione tranne che nella Bibbia è affermato che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, e nessuno aveva mai detto, prima che lo dicesse Cristo, che non bisogna mescolare le cose di Cesare con le cose di Dio, che significa che Cesare non è Dio ma deve obbedire a Dio. Se ogni uomo è a immagine a somiglianza di Dio, ogni uomo ha un valore infinito e quindi gode di diritti inalienabili. Se Cesare deve obbedire a Dio, non potrà mai esercitare un potere totalitario. Fin quando re e imperatori dovevano obbedienza al papa, che poteva addirittura deporli se si dimostravano malvagi, nessuno di loro poteva diventare un Hitler o uno Stalin (il rapporto fra governo e papato lo ha spiegato in maniera definitiva Jacques Maritain in Primato dello spirituale, 1927). Se inoltre l’ultimo suddito di Cesare non vale meno di Cesare, perché entrambi hanno un valore infinito ed entrambi devono obbedienza a Dio, prima o poi anche l’ultimo dei sudditi pretende di avere voce in capitolo nella gestione della cosa pubblica. Non a caso, il primo germe della democrazia moderna non deve essere cercato in Grecia ma nei comuni medievali (lo argomenta diffusamente Rodney Stark in La vittoria della ragione, Lindau, 2006). Se infine anche la donna è fatta ad immagine e somiglianza di Dio, allora uomini e donne hanno pari dignità. Nel Medioevo cristiano non c’era un movimento femminista perché non ce n’era bisogno: le donne potevano studiare, svolgere ogni genere di professione e occupare perfino posti di potere (ce lo hanno spiegato diffusamente prima Régine Pernoud in La donna al tempo delle cattedrali e poi la studiosa Sue Niebrzydowski, docente di storia alla Bangor University del Galles in un convegno del 2007).

La scienza non è nata contro la fede: è nata dalla fede. Per fare scienza bisogna credere che il cosmo abbia una struttura razionale e che l’uomo sia una creatura razionale; per credere che il cosmo abbia una struttura razionale e che l’uomo sia una creatura razionale bisogna avere fede in un Dio razionale (“Logos”) che costruisce l’universo in maniera razionale e che dona all’uomo una ragione fatta ad immagine e somiglianza della sua infinita Ragione. In una parola, per inventare la scienza bisogna essere cristiani. Né l’islam né il paganesimo antico né qualunque altra religione avrebbero mai potuto creare la scienza, perché nessuna religione, a parte quella cristiana, crede nella razionalità del cosmo. Infatti, il primo germe della scienza sperimentale non deve essere cercato né nella Grecia antica né nell’Arabia medievale. Bisogna cercarlo nei conventi e nelle abbazie del XIII secolo. Si può pensare che la scienza, pure essendo nata dalla fede, alla fine abbia finito per distruggerla, portando argomenti a favore dell’ateismo. In realtà, posto che la scienza non può dimostrare direttamente né l’esistenza né l’inesistenza di Dio, comunque porta più indizi a favore della fede che argomenti a favore dell’ateismo. La scoperta di leggi di estrema complessità scritte nella materia fa pensare all’esistenza di un Legislatore.

Ma a scuola non ci hanno forse insegnato che nei secoli passati la Chiesa avrebbe bruciato innumerevoli scienziati, a partire da Galileo Galilei? In realtà, la Chiesa ha allevato, come una madre, innumerevoli scienziati, fra cui il Galilei, che cercava “il pensiero di Dio impresso nella materia”. Per andare subito al sodo, la teoria eliocentrica era accettata negli ambienti ecclesiastici come “ipotesi probabile” (probabile e non certa, in quanto non ancora suffragata da prove) già dalla prima metà del XVI secolo, quando Copernico presentò la sua teoria a Roma. La santa inquisizione non chiedeva dunque a Galileo di rinnegare l’ipotesi eliocentrica, ma in primo luogo di ammettere che le prove da lui addotte (le maree e qualcos’altro) non erano sufficienti a renderla certa, in secondo luogo a rinnegare le false conseguenze teologiche che lui stesso traeva dalla sua incerta ipotesi. E per punizione, Galileo fu costretto a recitare i salmi ogni sera in una splendida villa sull’Aventino, dove era agli arresti domiciliari.

E sempre a scuola non ci hanno insegnato che nei secoli passati i tribunali della santa inquisizione avrebbero bruciato milioni di eretici? Proprio no. Dagli atti del simposio sull’inquisizione che si è svolto in Vaticano nel 2000, cui hanno partecipato tutti i maggiori studiosi sull’argomento, emerge ad esempio che dei 44.000 processi che si svolsero nei tribunali della famigerata Inquisizione spagnola tra il 1540 e il 1700, solo l’1,8% si concluse con un rogo (i coevi tribunali civili mandavano sul patibolo una percentuale dieci volte superiore di imputati). Secondo Henry Kamen, il più grande studioso della Spagna imperiale, l’inquisizione spagnola avrebbe addirittura introdotto per primo nella storia delle procedure di garanzia dell’imputato. I tribunali ecclesiastici degli altri paesi europei erano addirittura più miti. La stragrande maggioranza degli imputati giudicati colpevoli finiva agli arresti domiciliari e poteva perfino contare su sconti di pena e permessi per malattia.

Ma gli inquisitori non hanno bruciato milioni di streghe? Assolutamente no. La superstizione stregonica nacque nel secolo XVI nella Germania luterana, si estese ai paesi circostanti e penetrò in alcune zone dei paesi cattolici, dove però si estinse entro la fine del secolo. Se nella Germania luterana la caccia alla streghe fece 25.000 vittime, nella cattolicissima Spagna invece ne fece 49 e nella cattolicissima Italia 36. Perché mai questa superstizione ebbe poca fortuna nei paesi cattolici? Semplice: perché la maggior parte degli inquisitori di Santa Romana Chiesa non ci credevano e di conseguenza cercavano di scagionare da ogni fantasiosa accusa le sventurate che le folle inferocite trascinavano davanti a loro.

Ma i cattolici non hanno discriminato, perseguitato, esiliato e ucciso milioni di ebrei? Gli ebrei Jonathan Elukin (autore di Living Together, Living Apart: Rethinking Jewish-Christian Relations in the Middle Ages) e David G. Dalin (autore di La leggenda nera del papa di Hitler, Piemme) sostengono che i paesi in cui gli ebrei si sono sempre trovati meglio, fra tutti i paesi del mondo, sono i paesi cattolici (Roma la chiamano addirittura “il paradiso degli ebrei”). Se è vero che in tutti i paesi cristiani proliferavano leggende nere anti-ebraiche, che offrivano ai facinorosi il preteso per fare violenza agli ebrei, è altrettanto vero che tutti i papi le hanno combattute con risolutezza. La tremenda “accusa del sangue” fu condannata per la prima volta Innocenzo IV (bolla Lachrymabilem Judaeorum, 1247) e poi fu nuovamente e ripetutamente condannata da molti altri papi (Gregorio X, Martino V, Nicola V e Paolo III e Clemente XIV). La leggenda del grande complotto degli ebrei, che avrebbe avuto enorme fortuna nel XIX, era già stata condannata solennemente da Ulberto da Romans, priore generale dei domenicani, al concilio di Lione del 1274.

Ma l’antisemitismo nazista non discende dall’antigiudaismo cattolico? Pio XII non fu forse connivente con Hitler? In realtà l’antigiudaismo e l’antisemitismo sono quasi l’uno il contrario dell’altro: il primo è l’odio verso la cultura ebraica ortodossa (che è piena di disprezzo verso il cristianesimo) mentre il secondo è l’odio verso gli ebrei come persone fisiche. Tagliando corto, l’antisemitismo è un vero e proprio razzismo biologico che discende direttamente dalla pseudo-scienza eugenetica, che a sua volta discende direttamente dalla teoria di Darwin. I cattolici non sono mai stati anti-semiti, tanto è vero che durante la Seconda guerra mondiale molti cattolici, per ordine del Papa, si prodigarono enormemente per strappare il maggior numero possibile di ebrei dalle grinfie dei nazisti (lo hanno riconosciuto pubblicamente molte importanti personalità ebraiche, fra cui Golda Meir). Infine, chi volesse sapere come e perché i “marranos” furono espulsi dalla Spagna nel 1492, può leggere La regina diffamata di Jean Dumont.

Ma i conquistadores spagnoli non hanno mica massacrato milioni di indios? Se i conquistadores lo avessero veramente fatto, oggi in America latina non potrebbero esserci così tanti discendenti degli indios. Nel vasto studio Empire (2003), Henry Kamen spiega che molti nativi combatterono con entusiasmo al fianco dei conquistadores contro quel che restava degli imperi locali (azteco e Inca), che sfruttavano il popolo e offrivano in sacrificio alle loro sanguinarie divinità i figli del popolo. Non furono gli spagnoli, ma i virus portati dagli spagnoli a uccidere decine di migliaia di nativi, che non avevano ancora sviluppato gli anticorpi per un banale raffreddore. Infine, se è vero che molti avventurieri senza scrupoli catturavano gli indios e li vendevano come schiavi ai coloni spagnoli, è altrettanto vero che papa Paolo III aveva prontamente condannato questo turpe commercio nella bolla Veritas Ipsa (1537). In A Gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù (Lindau 2011). Rodney Stark dimostra che la Chiesa ha sempre combattuto apertamente e risolutamente contro ogni forma di schiavitù e di razzismo. Non a caso, la schiavitù antica non poté sopravvivere nella cristianissima Europa medievale.

E infine, i giornalisti e gli intellettuali di sinistra non ci ripetono in continuazione, quasi a scusare i terroristi, che i crociati hanno massacrato milioni di musulmani nel Medioevo? In realtà, erano stati i musulmani a massacrare intere popolazioni cristiane, dalla Persia al Marocco, prima che i crociati giungessero in Terra Santa. Le spedizioni militari denominate Crociate avevano due scopi strettamente connessi: il primo era permettere ai pellegrini provenienti dall’Europa di visitare in sicurezza i luoghi santi, il secondo, più determinante, era fermare dall’altra parte del Mediterraneo la lenta marcia verso l’Europa delle potenze islamiche, che saccheggiavano le coste europee e avevano già tentato più volte di assaltare l’Europa via terra e via mare. Come tutti i crimini che alcuni soldati americani possono avere commesso in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale non fanno passare gli Usa dalla parte del torto e Hitler dalla parte del giusto, così tutti i crimini commessi dai crociati contro i musulmani (in ogni caso molti meno di quanti ne commisero i musulmani contro i crociati) non fanno passare i crociati stessi dalla parte del torto. Che fossero dalla parte del giusto lo pensano un numero crescente di storici: Robert Spencer, Thomas Madden, Jonathan Riley-Smith, Paul Crawford, Rodney Stark e tanti altri.

I crociati non potevano trovare nel Vangelo nessuna giustificazione per i loro crimini. Anche se tutti cristiani diventassero criminali, il cristianesimo non potrebbe mai essere considerata una religione criminale. D’altra parte, oggi i terroristi sedicenti cattolici dell’Ira e i mafiosi di Cosa Nostra (che tanto ci tengono a presenziare alle processioni dei santi) si sono posti al di fuori dalla Chiesa con le loro azioni criminali. Inoltre, i valori della Bibbia e del Vangelo non si possono minimamente accordare con l’idea della supremazia di una razza sulle altre: per questo a destra bianca cristiana degli Usa, che mescola Vangelo e razzismo, non potrebbe neppure chiamarsi cristiana. Infine, il norvegese Anders Breivik, che tutti i media hanno definito “terrorista cristiano”, non ha proprio nulla di cristiano: è stato membro della massoneria (da sempre avversata dalla Chiesa cattolica e dalla maggior parte delle altre chiese) ed è fortemente ostile al Papa, che gli appare troppo ben disposto verso i musulmani (per avere una idea della sua strana ideologia eclettica, che lui stesso ha descritto in un corposo manifesto, leggere qui).

Insomma, gli intellettuali e i giornalisti atei militanti se ne facciano una ragione: “terrorismo cristiano” è una contraddizione in termini mentre “terrorismo islamico” potrebbe non esserlo. Soprattutto, dovrebbero dare un’occhiata a quello che i credenti nelle ideologie anti-teiste hanno fatto nella storia recente invece di continuare a raccontare leggende anti-storiche contro la Chiesa. In estrema sintesi, se nell’arco di un secolo e mezzo (1540-1700) l’inquisizione spagnola ha mandato sul patibolo circa 800 persone, invece nell’arco di due anni (1792-1793) il governo giacobino ha ghigliottinato 20.000 persone e altre 20.000 le ha fatte morire di stenti nelle sue prigioni (dati riferiti dallo storico Donald Greer) e sempre nell’arco di due anni (1937-1938) il governo sovietico ha fatto sparire sotto terra con e senza processi sommari 5 milioni di persone (cifra tratta da Stalin di Gino Rocca). Per tutta la sua durata, il sistema sovietico nel suo complesso ha fatto morire tramite esecuzioni sommarie, lavori forzati nei gulag e carestie all’incirca 60 milioni di persone (così sostiene Solgenicyn). Nei campi di sterminio nazista morirono almeno 6 milioni di ebrei (cui bisogna aggiungere un numero imprecisato ma altissimo di ebrei che furono uccisi fuori dai campi e durante le marce della morte) mentre nelle cliniche della morte naziste furono uccise circa 70.000 persone affette da gravi disabilità. Infine, non bisogna dimenticare che durante la guerra civile spagnola i combattenti del Fronte popolare di ispirazione marxista trucidarono almeno 6.500 religiosi.

Un nemico spietato ci ha dichiarato guerra. La prima cosa che dobbiamo fare, è capire chi sono i nemici e soprattutto capire chi siamo noi, che cosa è la nostra civiltà. I cristiani devono liberarsi dalla tentazione di abbandonare la civiltà occidentale in pasto ai nemici per “punirla” del suo ateismo e della sua immoralità. Cristo non vuole distruggere ma salvare quanti sono lontani da Lui. Dal canto loro, gli atei devono capire che la civiltà occidentale moderna è figlia del cristianesimo o, come si dice comunemente, ha “radici cristiane” e quindi, se vogliono salvarla, devono difendere le sue radici, che non sono orpelli archeologici. Sono fonti di vita.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mer gen 31, 2018 11:18 am

???

La crociata contro le bugie
Italia Israele Today
30 gennaio 2018
Rémi Brague
di Giulio Meotti

http://www.italiaisraeletoday.it/la-cro ... o-le-bugie

Rémi Brague è fastidioso. Molto fastidioso. Perché non si lascia ingannare dalle “tre religioni del libro”. Lavora per smantellare molti pregiudizi e malintesi sul rapporto tra ragione e fede, chiesa e stato, violenza e testi sacri. È prezioso, quindi. Molto prezioso. Il celebre medievista della Sorbona di Parigi se ne esce con un nuovo libro, “Sur la religion”, per le edizioni Flammarion.

È prezioso, Brague, quando ci dice che “l’islam, che non riconosce la Bibbia come autentica, non ha lo stesso Dio dell’ebraismo e del cristianesimo, perché non racconta le stesse storie su di Lui”.

È prezioso quando distingue tra ebraismo, dove “la chiesa ha assorbito il popolo”, e cristianesimo, che è iniziato con tre secoli di conflitto con le autorità dell’impero romano.

È prezioso quando dice che “le istituzioni libere non si sono sviluppate in aree che non sono state influenzate da idee ebraiche o cristiane”. È prezioso quando indica la verità intollerabile per le nostre società: “Si dice che le religioni siano violente per non distinguere l’islam”. Oggi si dice: tutto deve essere regolato da un rigoroso e radicale secolarismo. E si aggiunge: dobbiamo liberarci di tutte le religioni.

Ma Brague è prezioso soprattutto quando manda al macero la balla del Dio unico su sui sono stati costruiti cinquant’anni di vicolo cieco dell’ecumenismo irenista. E Brague lo fa rinnovando l’importanza del discorso ratzingeriano a Ratisbona che tanto scandalo generò nel mondo islamico e nell’occidente post-cristiano.

“Nonostante i molti equivoci, voluti o no, che la citazione del principe bizantino ha suscitato, la spiegazione sull’islam rimane piena di senso e valore. L’islam è davvero una reazione al cristianesimo, che crede di superare e desidera sostituire”. Brague rivendica le “radici bibliche dell’idea occidentale di libertà”.

E racconta la diversa origine della violenza nei monoteismi. Nei Salmi ebraici come nel Vangelo di Matteo, la violenza è oggetto di “allegorizzazione”, cioè di sublimazione. Il peggiore dei mali oggi è “il rifiuto di chiamare con il loro nome le cose, la negazione della realtà… La bugia è ovunque nel nostro tempo”.

E la cosa migliore è che “ci siano ancora persone che hanno il coraggio di dire la verità, nel senso della virtù greca della ‘parresia’, affermare senza tremare ciò che si ha sul proprio cuore”. In occidente c’è il rischio di una totale esautorazione della dimensione religiosa: “Può darsi che un processo di secolarizzazione sia iniziato e progredisca a passi da gigante, almeno in Europa”.

Lo stesso laicismo è oggi connotato da una dimensione religiosa. “L’ateismo può creare qualcosa di simile a un misticismo. Questo è il caso delle ideologie dei regimi totalitari di stampo nazional-socialista o leninista del Ventesimo secolo. È una questione di smascheramento, sotto l’ateismo razionalista che queste ideologie hanno strombazzato c’è l’emergere di credenze irrazionali”. Una è l’ideologia verde. “Questi estremisti dell’ecologia per i quali la cosa migliore che l’uomo potrebbe fare è sacrificarsi in modo che la terra possa sbocciare” dice Brague. “Questa è una tesi abbastanza diffusa. Ho persino trovato un testo in cui il giovane Flaubert sogna una natura liberata dall’uomo”.

È religioso il cuore dello stesso umanitarismo, “il cui sentimentalismo oggi ha una tendenza a sostituire il dogmatismo delle religioni tradizionali dell’occidente, ebreo e cristiano”. Il transumanesimo pure va forte: “Il sogno di Auguste Comte della religione dell’umanità è ancora vivo un secolo e mezzo dopo. L’auto-idolatria ha davanti a sé un futuro brillante. Soprattutto ora che possiamo passare a una realizzazione pratica con il sogno di un uomo migliorato, anche immortale, che farebbe della riproduzione sessuale una cosa non necessaria. Freud disse che il cretino che avrebbe preteso di abolire la differenza tra i sessi avrebbe vinto il jackpot: aveva ragione!”
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mer gen 31, 2018 3:04 pm

La ragione, il ragionare e la ragionevolezza, come il pensare, il parlare e la spiritualità sono dotazioni naturali e universali e non vengono all'uomo e all'umanità da religioni rivelate o meno o dalla grazia dell'idolo o del dio di qualche fede religiosa.

La spiritualità non viene all'uomo dalla religione, da alcuna religione ma è una dotazione naturale di tutti gli uomini, come il ragionare e il pensare, il parlare e la lingua, il sentire e l'emozione, la fraternità e il diritto.
La religiosità invece è la spiritualità naturale condizionata dalla religione che è una ideologia variabile storicamente, geograficamente, etnicamente che gli uomini hanno elaborato nelle loro comunità e con cui hanno rivestito, formato/deformato, interpretato la spiritualità naturale.
La spiritualità ci viene da Dio, la religione ci viene dagli uomini, nessuna religione viene all'uomo da Dio, tutte ci vengono da uomini che si sono fatti profeti e intermediari o arbitrari rivelatori o incarnatori di Dio.




E non lo penso solo io, ma lo ha detto anche il Papa romano Giovanni Paolo II

LETTERA ENCICLICA - FIDES ET RATIO
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I RAPPORTI TRA FEDE E RAGIONE

http://w2.vatican.va/content/john-paul- ... ratio.html

La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2).
...
Di fatto, la filosofia è nata e si è sviluppata nel momento in cui l'uomo ha iniziato a interrogarsi sul perché delle cose e sul loro fine. In modi e forme differenti, essa mostra che il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell'uomo. E una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul perché delle cose, anche se le risposte via via date si inseriscono in un orizzonte che rende evidente la complementarità delle differenti culture in cui l'uomo vive.
...
Ogni popolo, infatti, possiede una sua indigena e originaria saggezza che, quale autentica ricchezza delle culture, tende a esprimersi e a maturare anche in forme prettamente filosofiche. Quanto questo sia vero lo dimostra il fatto che una forma basilare di sapere filosofico, presente fino ai nostri giorni, è verificabile perfino nei postulati a cui le diverse legislazioni nazionali e internazionali si ispirano nel regolare la vita sociale.
...
La capacità speculativa, che è propria dell'intelletto umano, porta ad elaborare, mediante l'attività filosofica, una forma di pensiero rigoroso e a costruire così, con la coerenza logica delle affermazioni e l'organicità dei contenuti, un sapere sistematico. Grazie a questo processo, in differenti contesti culturali e in diverse epoche, si sono raggiunti risultati che hanno portato all'elaborazione di veri sistemi di pensiero. Storicamente ciò ha spesso esposto alla tentazione di identificare una sola corrente con l'intero pensiero filosofico. E però evidente che, in questi casi, entra in gioco una certa « superbia filosofica » che pretende di erigere la propria visione prospettica e imperfetta a lettura universale. In realtà, ogni sistema filosofico, pur rispettato sempre nella sua interezza senza strumentalizzazioni di sorta, deve riconoscere la priorità del pensare filosofico, da cui trae origine e a cui deve servire in forma coerente.
...
In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell'umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio.
...
Poi vi è tutto il capitolo sulla fede cristiana e cattolica e la sua telogia che integra e si integra con la ragione e la filosofia ???
...

Il dramma della separazione tra fede e ragione

45. Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant'Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. A seguito di un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale.

Insomma, ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare alle forme più alte della speculazione, venne di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa.

46. Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia dell'Occidente. Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite. Nel secolo scorso, questo movimento ha toccato il suo apogeo. Alcuni rappresentanti dell'idealismo hanno cercato in diversi modi di trasformare la fede e i suoi contenuti, perfino il mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo, in strutture dialettiche razionalmente concepibili. A questo pensiero si sono opposte diverse forme di umanesimo ateo, elaborate filosoficamente, che hanno prospettato la fede come dannosa e alienante per lo sviluppo della piena razionalità. Non hanno avuto timore di presentarsi come nuove religioni formando la base di progetti che, sul piano politico e sociale, sono sfociati in sistemi totalitari traumatici per l'umanità.

Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano.

Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa, senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell'interpretazione nichilista, l'esistenza è solo un'opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato. Il nichilismo è all'origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio.

47. Non è da dimenticare, d'altra parte, che nella cultura moderna è venuto a cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale, essa si è ridotta progressivamente a una delle tante province del sapere umano; per alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un ruolo del tutto marginale. Altre forme di razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo, ponendo in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate — o almeno orientabili — come « ragione strumentale » al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere.

Quanto sia pericoloso assolutizzare questa strada l'ho fatto osservare fin dalla mia prima Lettera enciclica quando scrivevo: « L'uomo di oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di 'alienazione', nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua più larga e universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso ».(53)

Sulla scia di queste trasformazioni culturali, alcuni filosofi, abbandonando la ricerca della verità per se stessa, hanno assunto come loro unico scopo il raggiungimento della certezza soggettiva o dell'utilità pratica. Conseguenza di ciò è stato l'offuscamento della vera dignità della ragione, non più messa nella condizione di conoscere il vero e di ricercare l'assoluto.

48. Ciò che emerge da questo ultimo scorcio di storia della filosofia è, dunque, la constatazione di una progressiva separazione tra la fede e la ragione filosofica. E ben vero che, ad una attenta osservazione, anche nella riflessione filosofica di coloro che contribuirono ad allargare la distanza tra fede e ragione si manifestano talvolta germi preziosi di pensiero, che, se approfonditi e sviluppati con rettitudine di mente e di cuore, possono far scoprire il cammino della verità. Questi germi di pensiero si trovano, ad esempio, nelle approfondite analisi sulla percezione e l'esperienza, sull'immaginario e l'inconscio, sulla personalità e l'intersoggettività, sulla libertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche il tema della morte può diventare severo richiamo, per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il senso autentico della propria esistenza. Questo tuttavia non toglie che l'attuale rapporto tra fede e ragione richieda un attento sforzo di discernimento, perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l'una di fronte all'altra. La ragione, privata dell'apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. E illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere.

Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia recuperino l'unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione.




Fede e ragione: la sconfitta di Heidegger
Camillo Ruini
domenica 29 maggio 2011

https://www.avvenire.it/agora/pagine/fe ... 2231230000

Premetto la mia inadeguatezza a questo tema e specialmente a trattarlo con voi: non ho infatti alcuna vera formazione scientifica, mentre per la filosofia e la teologia sto cercando di ricuperare una pausa di 25 anni. Ho però sempre avuto un grande interesse alle scienze, come terreno fondamentale del confronto tra fede e ragione oggi; inoltre i miei studi si concentrano attualmente sulla questione di Dio, che per sua natura ha a che fare con tutto l’umano, inclusa la comprensione delle scienze. Vi esporrò dunque, con poca organicità, alcune idee e convinzioni che mi sembrano significative. La prima di esse riguarda l’importanza delle scienze, che emerge di continuo nella nostra vita. Sappiamo tutti, inoltre, che le scienze, e gli uomini di scienza, hanno oggi un grande peso presso l’opinione pubblica, tanto che si parla di una loro leadership culturale.
Ma io mi riferisco a qualcosa di diverso e, per così dire, di più intrinseco: i procedimenti euristici che caratterizzano le scienze moderne ci consentono una nuova e più precisa conoscenza dell’indole e dei modi di procedere della nostra intelligenza. Sono quindi assai rilevanti per la gnoseologia e in genere per la filosofia. Se è vero che la riflessione sulle scienze moderne consente alla ragione una nuova e più approfondita comprensione di se stessa, ne risulta confermata l’indole storica della nostra ragione, nel senso del suo progressivo rivelarsi a se stessa.Una seconda considerazione, in certo senso complementare alla prima, è che il rapporto della fede, e della teologia, con le scienze ha bisogno di essere mediato dalla filosofia: in concreto da un esercizio della ragione filosofica che, da una parte, è «interno» alla teologia, poiché la teologia è fides quaerens intellectum; dall’altra parte deve essere autonomo rispetto alla fede e alla teologia, perché la filosofia è autonoma o non è filosofia.
Qui ci imbattiamo però nella celebre obiezione di Heidegger (nella sua Introduzione alla metafisica), secondo la quale l’«interrogarsi» proprio della filosofia e il «credere» proprio della teologia sono due atteggiamenti che si escludono reciprocamente, perché il credente non può porsi la domanda fondamentale della filosofia («Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?») senza rinunciare al suo atteggiamento di credente. Egli può solamente comportarsi «come se» si interrogasse, dato che ha già nella fede la risposta a quella domanda, che per lui è dunque superflua. In realtà questa tesi di Heidegger dimentica ciò che distingue la fede autentica dal fanatismo e dal convenzionalismo, ossia l’amore per la verità e la ricerca sincera di essa, la sincerità con noi stessi.
Il credente può conservarsi cioè coerente con la propria fede soltanto se si chiede senza finzioni che cosa crede e perché crede. La fede, dunque, non solo rimane aperta alla domanda radicale della filosofia ma, pur dandole una precisa risposta, al tempo stesso la ripropone continuamente al proprio interno. Già san Tommaso, del resto, afferma che il credere è atto dell’intelletto, avendo per oggetto il vero, la verità divina, ma precisa contestualmente che tale atto si compie per il comando della volontà mossa dalla grazia di Dio e attratta dal bene della vita eterna promessa al credente. Perciò è caratteristico della fede che in essa l’assenso e l’indagine procedano «quasi ex aequo»: l’assenso fermissimo dell’intelligenza alla verità, provenendo non dall’evidenza intrinseca di ciò che si crede ma dalla decisione della volontà, lascia infatti spazio all’ulteriore indagine e all’inquietudine intellettuale. In certo senso, san Tommaso ha dunque prevenuto il problema sollevato da Heidegger. (...) Torniamo ora a riflettere sui rapporti tra la fede e la ragione, accolta e valorizzata in questa sua ampiezza. Al riguardo mi ritrovo pienamente nella posizione di Joseph Ratzinger, secondo il quale il razionalismo ha fallito nel suo tentativo di dimostrare le premesse della fede – i praeambula fidei – mediante una ragione rigorosamente indipendente dalla fede, e sono ugualmente destinati a fallire altri eventuali tentativi analoghi. A sua volta, però, è fallito il tentativo opposto di Karl Barth di concepire la fede come un puro paradosso, che può sussistere solo in una totale indipendenza dalla ragione. In realtà «la ragione non si risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana». Dobbiamo dunque sforzarci di costruire un nuovo rapporto tra fede e ragione, fede e filosofia, perché esse hanno bisogno l’una dell’altra. Ciò non comporta alcuna confusione tra fede e ragione, teologia e filosofia, e tanto meno un circolo vizioso che volesse dimostrare la ragione con la fede e la fede con la ragione. Si tratta piuttosto di tener presente, anche qui, l’unità del soggetto umano, razionale, libero e credente. Di fronte a quella dicotomia che nell’epoca moderna tende spesso a instaurarsi tra l’«oggettività» della ragione e la «soggettività» della fede, va ricordato, come sottolineava già Hegel (sia in Credere e sapere sia nell’Introduzione alla storia della filosofia), che la frattura, o l’antagonismo, tra soggettività e oggettività costituisce forse il più grave problema della stessa epoca moderna: un problema che oggi abbiamo più che mai bisogno di lasciare alle nostre spalle, superandolo a partire dalla struttura stessa del soggetto umano, con la sua apertura all’essere e al dono della fede. (...) La nascita e lo sviluppo delle scienze moderne ha portato inoltre con sé un radicale cambiamento dell’immagine sia dell’universo sia anche dell’uomo, cambiamento con il quale la riflessione filosofica non può non confrontarsi. In concreto, la filosofia è divenuta esistenziale e storica, considera l’uomo non solo secondo le sue strutture essenziali bensì nella concretezza del suo vivere e morire: pur essendosi assai allontanata e spesso contrapposta alla teologia, almeno da questo punto di vista essa è diventata in certo senso più affine alla teologia stessa. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Dives in misericordia (n. 1), ci ha offerto un criterio di grande validità ed efficacia per il nostro rapportarci al pensiero moderno. Scrive infatti: «Mentre le varie correnti del pensiero umano sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda». E aggiunge: «Questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante del magistero dell’ultimo Concilio». Così è superata in radice la visione catastrofale della modernità antropocentrica – alla quale la nostra filosofia e teologia hanno dato nel passato uno spazio troppo grande –, a condizione però di cambiare segno all’antropocentrismo, rendendolo non alternativo ma tendenzialmente coincidente con il teocentrismo. (...)Charles Taylor, nel suo libro L’età secolare, sostiene con buoni argomenti che, sebbene non esista alcun rapporto automatico tra modernità e perdita o diminuzione della fede in Dio, si è verificato tuttavia nella società occidentale un cambiamento decisivo, che ha raggiunto dimensioni di massa verso la metà dell’Ottocento, e che consiste nel passaggio da una società nella quale era «virtualmente impossibile non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto credere in Dio è solo una possibilità umana – un’opzione – tra le altre». La ragione fondamentale di questo passaggio per Taylor non è principalmente di ordine teoretico, ma è consistita nell’affermarsi, nella vita concreta personale e sociale, di un «umanesimo esclusivo», per il quale la piena realizzazione di noi stessi, il «fiorire dell’uomo» non ha più bisogno di Dio o riferimento a Dio. A una sfida di questo genere non si può rispondere limitandosi a criticare la sensibilità attuale, mettendone in evidenza gli indubbi limiti e contraddizioni. Bisogno soprattutto attingere alla ricchezza della proposta cristiana su Dio e sull’uomo per offrire a questa sensibilità una possibilità di realizzazione ben più piena e più grande. In concreto, la cosiddetta «riduzione dei desideri» sembra essere la via imboccata dalla nostra civiltà, in maniera sempre più chiara e consapevole negli ultimi decenni. Rinunciamo, cioè, a soddisfare quell’«anelito di pienezza» che portiamo dentro di noi, per prendere invece atto della nostra precarietà e finitezza, adeguando ad esse i nostri obiettivi e le nostre attese. In questo modo però il «fiorire dell’uomo» non può essere che un fiorire molto modesto, difficilmente attraente e tanto meno appagante, specialmente in un tempo come il nostro nel quale le esigenze del soggetto sono esaltate al di là di ogni limite ragionevole. Vi è in tutto ciò una logica profonda: se Dio non esiste e l’uomo è solo nell’universo, viene semplicemente dalla natura e alla natura ritorna – una natura che non sa niente di lui e non si cura di lui –, è difficile pensare che sia possibile soddisfare in qualche modo il nostro «anelito di pienezza».Non per caso, dunque, la post-modernità ha sviluppato una critica spesso spietata (valida da un lato, troppo radicale e «nichilista» dall’altro) nei confronti della modernità, anzitutto riguardo alla sua pretesa di autosufficienza del soggetto umano. I credenti hanno nel Dio che è intelligenza e amore, e che ha pronunciato in Gesù Cristo un sì definitivo nei confronti dell’umanità (cfr. 2Cor 1, 17-22), la base per aprire la loro vita a desideri più grandi, per coltivare, insieme all’umiltà, la virtù della magnanimità, che non teme di puntare ad obiettivi anche molto alti. E ciò riguarda ciascuno di noi, dentro le coordinate concrete della sua esistenza. Riguarda le scelte di vita ma anche, e non meno, le idee e i convincimenti (da questo punto di vista l’analisi di Taylor è un po’ unilaterale e può essere ben integrata, ad esempio, con le riflessioni di Rémi Brague, La Saggezza del mondo. Storia dell’esperienza umana dell’Universo, come riconosce lo stesso Taylor). Riguarda in maniera peculiare chi, come voi, oggi intende dedicarsi alla ricerca scientifica nell’ampio orizzonte aperto dalla fede nel Dio di Gesù Cristo e da una razionalità non ristretta. L’augurio, e la preghiera, con cui vorrei terminare è che ciascuno di noi non abbia paura e non esiti a motivare e «saldare» il suo lavoro quotidiano con quella fiducia in Dio che rende possibile essere generosi con noi stessi e con gli altri.


Alberto Pento
Siccome le fedi religiose sono tante e varie, l'unico elemento comune a tutti gli uomini non può essere che la ragione, che proprio per tale natura non può essere un portato delle fedi e delle ideologie religiose ma una dote naturale e universale e quindi il solo elemento attribuibile a Dio;
mentre la fede o ideologia religiosa, al contrario, è un portato arbitrario dell'uomo e della sua interpretazione del divino, si tratta di una verità così elementare che pare un paradosso.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mer gen 31, 2018 7:29 pm

Considerazioni e osservazioni su spirito-fede e ragione

Paolo Giovanni. II ha scritto nella sua enciclica - FIDES ET RATIO:

" La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso ....
...
3. ... Di fatto, la filosofia è nata e si è sviluppata nel momento in cui l'uomo ha iniziato a interrogarsi sul perché delle cose e sul loro fine. In modi e forme differenti, essa mostra che il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell'uomo. E una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul perché delle cose, anche se le risposte via via date si inseriscono in un orizzonte che rende evidente la complementarità delle differenti culture in cui l'uomo vive.
...
Ogni popolo, infatti, possiede una sua indigena e originaria saggezza che, quale autentica ricchezza delle culture, tende a esprimersi e a maturare anche in forme prettamente filosofiche. Quanto questo sia vero lo dimostra il fatto che una forma basilare di sapere filosofico, presente fino ai nostri giorni, è verificabile perfino nei postulati a cui le diverse legislazioni nazionali e internazionali si ispirano nel regolare la vita sociale.
...
4. ... La capacità speculativa, che è propria dell'intelletto umano, porta ad elaborare, mediante l'attività filosofica, una forma di pensiero rigoroso e a costruire così, con la coerenza logica delle affermazioni e l'organicità dei contenuti, un sapere sistematico. Grazie a questo processo, in differenti contesti culturali e in diverse epoche, si sono raggiunti risultati che hanno portato all'elaborazione di veri sistemi di pensiero.
...
In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell'umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio."
...
Il dramma della separazione tra fede e ragione
45. Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant'Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. A seguito di un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale.

46. Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia dell'Occidente. Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite. ...
Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano.





Gino Quarelo

Io condivido alcune cose con Niram Ferretti, mentre altre no.
Io ho un mio pensiero e nel rispetto del pensiero di tutti e della libertà di pensiero lo manifesto liberamente come lo manifestano gli altri che sono religiosi, senza per questo sentirmi inopportuno, presuntuoso, arrogante, irrispettoso del pensiero delle maggioranze religiose e delle loro autorità. Desidero esprimere un ringraziamento agli studiosi Mircea Eliade e James G. Frezer per l'aiuto che mi hanno dato nella comprensione delle religioni, nella liberazione da certa influenza delle religioni e nel parlare liberamente e criticamente delle religioni.
Io non sono più cristiano da tempo e sono divenuto non ateo ma aidolo e perciò considero tutte le religioni come racconti/favole idolatre e la fede religiosa (nelle religioni) un'atteggiamento umano sì diffuso ma irragionevole (nel senso di immaturo e infantile), mentre accetto volentieri la fede naturale non religiosa, non ideologica che è innata in tutte le creature come fede nella vita e atteggiamento positivo.

Ho citato l'enciclica Fede e Ragione di Papa Paolo G. II, perché mi preme far osservare e condividere:

1) primamente, è che il Papa rileva e afferma come ogni popolo della terra e quindi in genere ogni uomo, sia da sempre dotato per natura umana: di ragione, intelletto, saggezza, cultura e filosofia (e quindi non solo i popoli greco-romani e giudaico cristiani e coloro che hanno adottato le loro culture e religioni);
ma anche che è dotazione umana universale una sorta di fede naturale, come II ala dello spirito umano (posta sinteticamente e allegoricamente nel cuore come sentimento, ma anche nell'intelletto speculativo che indaga la Creazione o Universo nella sua multiforme realtà);
già l'uso del termine spirito umano, posto come base ed essenza naturale, implica la presenza di Dio che è lo spirito universale, della "divinità creativa e vitale" nell'uomo, e lo è da sempre e ancora prima delle varie rivelazioni religiose;

2) secondamente approfondendo la lettura (dell'enciclica papale anche nelle parti non sopracitate) si deve aggiungere a questo nocciolo di fede naturale e universale (preesistente ad ogni religione rivelata), una sua evoluzione (?) un suo approfondimento/adattamento o più correttamente una sua interpretazione propria delle fedi religiose dette religioni (totemiche, animiste, politeiste, monoteiste, miste, ecc.) elaborate dall'umanità e dai suoi vari popoli nel corso della presistoria/storia e che si possono definire prevalentemente rivelate, non naturali e perciò artificiali, ideologiche e non universali, proprie di ogni popolo o di gruppi di popoli e delle loro sovrastrutture culturali;

3) in altre parole, Dio (o spirito universale e santo non definibile in alcun modo) e la fede naturale in Dio è comune a tutti gli uomini a prescindere dalle religioni a cui preesiste e si può considerare come biologica; invece la fede religiosa, rivelata, ideologica è indotta, innaturale e artificiale, e aggiunge la sua peculiare e dogmatica interpretazione di Dio che è diversa per ogni religione, al punto che gli uomini dimenticando la fede naturale e universale comune si confliggono fino alla guerra e allo sterminio per professare e seguire la seconda quella artificiale (si prenda il caso delle tre religioni abramitiche (abramitiche si fa per dire) la cui interpretazione di Dio, delle sue leggi e le implicazioni sociali, giuridiche e politiche per l'uomo è completamente differente e violentemente contrastante.
Se la ragione e la fede naturale universale sono in perfetta armonia, con l'aggiunta della fede artificiale o rivelata o ideologica o dogmatica si può verificare una disarmonia conflittuale spaventosa, orribile e terribile che porta alla morte, anziché favorire la vita.

4) io sono convinto che la scienza umana e la sua tecnologia siano facoltà e prodotto della natura umana universale e delle contingenze ambientali e storiche in cui si è sviluppata e si sviluppa, più che delle ideologie e culture politiche e religiose, anche se queste possono condizionare, stimolare, limitare, impedire fortemente l'esercizio della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche.
Lo stesso Papa nella sua enciclica lamenta: ... Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. ...
Io non sono d'accordo con le parole del Papa in quanto per me la visione metafisica e morale che conta è già contenuta aprioristicamente nella natura umana di base dello spirito umano con le sue due ali di fede e ragione, non come un dato fissato fin dall'inizio della Creazione ma come un dato in continuo adattamento similmente all'adattamento/evoluzione del DNA; ciò che caso mai viene a mancare è la parte metafisica e morale sovrastrutturale portata/indotta/interpretata dalla religione che non sempre è in accordo con quella naturalmente sedimentatasi.

Poi non sono d'accordo con parte dell'analisi di Niram sulla decostruzione dell'Europa, in quanto secondo il mio modestissimo parere, non è mai esistita una identità europea comune, perfettamente definita, secolarmente stabile, senza profonde incoerenze e conflitti culturali, religiosi, politici interni. Secondo me le interpretazioni e le analisi storiche vanno fatte considerando la realtà storica nella sua complessa dinamicità tenendo conto che molto sfugge e non si conosce e che potrebbe in futuro divendo conosciuto modificarle.
Anche il cristianismo e il cattolicesimo hanno le loro responsabilità nell'aver influenzato il corso della storia, il presente e la "cultura" europee e nel bene e nel male.


Spero di essere riuscito a spiegarmi e mi scuso se non ci fossi riuscito.



Ecco un esempio di fede rivelata, quella cristiano-cattolico-romana

LETTERA ENCICLICA LUMEN FIDEI SULLA FEDE DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO
AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE E A TUTTI I FEDELI LAICI
http://w2.vatican.va/content/francesco/ ... fidei.html
1. La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: « E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulge nei nostri cuori » (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. « Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire ».[1] Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, « i cui raggi donano la vita ».[2] A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: « Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? » (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

...





Religione rivelata
https://it.wikipedia.org/wiki/Religione_rivelata
Una religione si definisce rivelata, quando essa afferma di fondarsi, in tutto o in parte, sulla comunicazione di conoscenze dalla propria divinità agli uomini. Tali conoscenze vanno col nome di verità rivelate.
Tra le religioni rivelate vi sono l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam; le verità rivelate di cui esse sono depositarie costituiscono i loro testi sacri: rispettivamente la Bibbia ebraica, la Bibbia cristiana ed il Corano.

Rivelazione
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivelazione
Rivelazione è il nome del processo comunicativo, nelle religioni che si considerano di origine divina, secondo il quale Dio si farebbe conoscere o manifesterebbe la sua volontà agli uomini. In senso traslato con "rivelazione" s'intende anche il contenuto di questa comunicazione. Profeta, o meno di frequente "messaggero", è il termine usato per indicare colui che riceve la rivelazione ed è solitamente incaricato di comunicarla al popolo dei fedeli. Viene spesso usato anche il termine "veggente", in particolare per le apparizioni contemporanee, che rientrano nella categoria delle rivelazioni private, ma coloro che negano l'autenticità dei fenomeni preferiscono "visionario".
Sono dette "religioni rivelate" quelle che affermano di avere acquisito il proprio contenuto dottrinale direttamente da Dio per mezzo di una rivelazione. Questa rivelazione viene poi generalmente messa per iscritto in un libro sacro: ad esempio la Bibbia per ebrei e cristiani, il Corano per i musulmani.
Questa definizione restringerebbe le "religioni rivelate" all'esiguo novero di sole alcune grandi religioni, ma non tiene conto del fatto che, se si prescinde dall'aspetto della scrittura, non esistono manifestazioni religiose che prescindano da forme di rivelazione della sfera divina e che, pertanto, non esiste praticamente religione per la quale non si applichi il concetto di rivelazione.

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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » ven feb 02, 2018 11:46 am

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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » ven feb 02, 2018 11:46 am

Scienza e fede - il caso del monaco cristiano Mendel
che mosse la ricerca di Mendel non fu la fede cristiana, ma la curiosità umana, il bisogno naturale di conoscere e di sperimentare le cose che è innato, esso fa parte della natura umana universale e non ci viene dalle fedi religiose.




Cercate un miracolo? Non dovete andare troppo lontano…
Lo studio del DNA umano potrebbe farvi credere subito nei miracoli
2017/05/03

https://it.aleteia.org/2017/05/03/dna-m ... del-monaco

Alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, un umile monaco iniziò a compiere esperimenti con le piante di piselli. Nato come Johann Mendel, prese il nome Gregor dopo essere entrato nella vita monastica. Aveva fallito due volte l’esame orale per diventare docente di scuola superiore, ma dopo ulteriori studi alla fine fu nominato abate dell’Abbazia di San Tommaso di Brno, all’epoca in Germania e oggi nella Repubblica Ceca.

Mendel iniziò i suoi esperimenti con le piante di piselli cercando di capire come si trasmettessero i vari tratti negli organismi. Per un lungo periodo era stato ampiamente accettato che le caratteristiche venissero trasmesse attraverso quella che veniva chiamata blending inheritance, ma all’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento Mendel iniziò a notare qualcosa di diverso nelle oltre 28.000 piante che aveva coltivato.

Assumendo una posizione contrastante rispetto alle teorie precedenti, capì che c’erano dei tratti che venivano spesso ereditati ed espressi mediante modelli dominanti e recessivi.

Nel 1866 pubblicò un documento che passò ampiamente inosservato fino ai primi anni del Novecento. Quando però gli scienziati del XX secolo hanno iniziato ad analizzare in modo più approfondito quello che ci costituisce, è emersa l’importanza delle scoperte di Mendel, che sono state riconosciute come la pietra angolare di quello che sappiamo oggi. Dopo la sua morte Mendel è diventato noto come il padre della genetica moderna, e oggi le sue scoperte costituiscono le “Leggi dell’eredità di Mendel”.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab feb 03, 2018 10:36 pm

Un'altra falsità è quella che sostiene che il cristianismo specialmente quello cattolico romano avrebbe valorizzato il lavoro manuale, riferendosi come esempio all'opera di San Benedetto, dei Benedettini e dei Cistercensi.
Ma se così fosse perché in Italia il lavoro manuale, specialmente quello duro, faticoso, sporco è il meno pagato, il più disprezzato e considerato come degradante e quasi come una colpa da scontare se segno che lo svolge è persona da poco, inferiore, vile, villana, boara, bifolca, ... mentre al contrario nei paesi ove vi è stata la riforma protestante e a matrice germanica, il lavoro più pesante, rischioso, faticoso e sporco è maggiormente è pagato e apprezzato?




San Benedetto da Norcia (Norcia, 480 circa – Montecassino, 21 marzo 547)
https://it.wikipedia.org/wiki/Benedetto_da_Norcia
è stato un monaco cristiano italiano, fondatore dell'ordine dei Benedettini. Viene venerato da tutte le Chiese cristiane che riconoscono il culto dei santi.

La locuzione latina ora et labora, tradotta letteralmente, significa "prega e lavora".
https://it.wikipedia.org/wiki/Ora_et_labora
L'espressione riassume i due momenti che, in un rapporto equilibrato tra preghiera e lavoro, scandivano le giornate nelle comunità religiose dal medioevo in poi. Nel silenzio dei chiostri, migliaia di monaci hanno contribuito a costruire, con il loro paziente lavoro, l'Europa salvando opere d'arte, opere letterarie, dissodando regioni intere e contribuendo in modo determinante ad amalgamare la cultura greco-romana e quella dei nuovi popoli conquistatori. Alcuni ordini, come i Cistercensi, intesero il labora come curare direttamente i lavori agricoli e divennero, perciò, protagonisti delle bonifiche e della circolazione di una cultura agricola delle diverse parti dell'occidente europeo (ad esempio il diffondersi delle marcite); altri, come gli Umiliati, ad attività come la produzione dei panni di lana utilizzando anche, come fonte di energia, le ruote idrauliche con avvio di attività che possono essere considerate una anticipazione di quelle protoindustriali.


L'Ordine cistercense (in latino Ordo cisterciensis, sigla O.Cist.) è un ordine monastico di diritto pontificio.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_cistercense
Ebbe origine dall'abbazia di Cîteaux (in latino Cistercium), in Borgogna, fondata da Roberto di Molesmes nel 1098. Sorse all'interno della congregazione cluniacense, dal desiderio di maggiore austerità di alcuni monaci e da quello di ritornare alla stretta osservanza della regola di san Benedetto e al lavoro manuale.[1] L'ordine è organizzato in monasteri autonomi riuniti in congregazioni monastiche, ciascuna delle quali dotata di costituzioni proprie:[2] è retto da un abate generale residente a Roma.[3]
In contrapposizione al tradizionale modello organizzativo benedettino, che prevedeva la totale autonomia di ogni monastero rispetto agli altri e la dipendenza dall'autorità vescovile, e a quello rigidamente centralizzato di Cluny, governato dall'abate di Cluny rappresentato in ogni monastero da un priore da egli confermato, i cistercensi crearono un sistema di abbazie autonome, legate tra loro da legami di fratellanza, sotto il controllo del capitolo generale al quale partecipavano tutti gli abati.[12]
Fatta salva la piena autonomia di ogni monastero, per garantire che in ogni casa dell'ordine venissero rispettate la legislazione e le consuetudini cistercensi, ogni abbazia doveva essere visitata annualmente dall'abate dell'abbazia-madre (quella da cui erano provenuti i monaci che l'avevano fondata);[13] ogni monastero poteva assurgere al rango di abbazia madre fondando filiali, nei confronti delle quali veniva a possedere i diritti di sorveglianza.[14] L'abbazia madre di Cîteaux veniva visitata congiuntamente dai quattro "protoabati" (gli abati delle prime quattro fondazioni di Cîteaux: La Ferté, Pontigny, Clairvaux e Morimond).[13]
Al vertice della struttura organizzativa dell'ordine cistercense era posto il capitolo generale, l'assemblea generale di tutti gli abati che si riuniva ogni anno a Cîteaux sotto la presidenza del suo abate: le decisioni del capitolo avevano carattere vincolante anche per l'abate di Cîteaux e i protoabati.[14]

Tale sistema entrò in crisi proprio a causa del grande sviluppo dell'ordine: la diffusione dei cistercensi in tutta Europa, il grande numero delle abbazie e le distanze, per l'epoca, enormi tra le abbazie-madri e le abbazie-figlie resero sempre più difficili la partecipazione di tutti gli abati al capitolo generale annuale e la visita canonica. Nel 1422 il capitolo generale istituì i vicari generali con il compito di visitare i monasteri di una certa provincia, ma non si trattò di una soluzione efficace.
Pur emettendo voto di povertà, i cistercensi non misero mai in discussione il possesso di terre o denaro (in capo all'abbazia quale soggetto di diritto pontificio e non alla disponibilità dei singoli): anzi, nel capitolo generale del 1134 si permise espressamente la possibilità di acquistare terre, vigne, pascoli, boschi e corsi d'acqua. Solo grazie a questi beni i monaci sarebbero stati in grado di provvedere a sé stessi con il loro lavoro, come prescritto dalla regola di san Benedetto, e si sarebbero garantiti la libertà necessaria per realizzare la forma di vita monastica.[21]

Poiché l'adempimento degli uffici corali, l'opus Dei e la lectio divina impegnavano notevolmente i monaci e non consentivano ai monaci di dedicarsi ai lavori agricoli, presto (almeno dal 1119) i cistercensi accolsero l'istituto dei conversi:[21] i conversi erano religiosi laici provenienti generalmente dagli strati più bassi della popolazione, partecipavano dei beni spirituali e temporali dell'ordine, si legavano al monastero mediante voti ed erano destinati unicamente al lavoro manuale; essi però non potevano ascendere allo status di monaci (come avveniva, invece, presso i cluniacensi) ed era loro rigorosamente interdetta qualsiasi attività monastica, come lo studio e la lettura dei libri. Ai conversi erano destinati spazi separati sia all'interno del monastero che nella chiesa abbaziale.[22]
L'impiego di questa forza lavoro non retribuita consentì all'ordine di organizzare un proprio sistema economico basato sulle grange, delle aziende agricole dipendenti dai monasteri che avevano il compito di sfruttare, valorizzandoli, i terreni loro affidati: questo sistema si rivelò estremamente efficiente e fece dei cistercensi dei pionieri nelle tecniche di bonifica, coltivazione e allevamento (specialmente degli ovini).[22]
La produzione delle grange eccedeva abbondantemente il fabbisogno dei monasteri: i prodotti in eccesso venivano messi sul mercato e, poiché lo stile delle loro abbazie era ispirata a principi di grande sobrietà, la ricchezza prodotta veniva reinvestita nelle attività agricole.[22] Questa continua espansione economica condusse a rendere insufficiente la forza dei conversi e costrinse i cistercensi ad assumere anche lavoratori salariati.[20]




???
Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza
Rodney Stark
http://www.lindau.it/Libri/La-vittoria-della-ragione
...



Il Protestantesimo e l’etica del lavoro
http://lcalighieri.racine.ra.it/rivolco ... esimol.htm

(Ritorna a Copernico)

Gli scritti lasciati di Lutero non trattano solo argomenti strettamente religiosi, riguardano anche molti aspetti della vita quotidiana, tra l'altro quello del lavoro. Si può giudicare Lutero come si vuole, non è questo il luogo per riprendere la infelice disputa sulla correttezza o meno delle sue idee e del suo agire. Fatto sta che Lutero è un personaggio storico che ha avuto un impatto importantissimo sulla storia dell'Europa, ma anche sulla vita quotidiana, sugli abitudini, sulla mentalità di chi lo seguiva.

Ecco alcune citazioni dall'opera di Lutero che riguardano il ruolo e l'importanza attribuiti al lavoro.

Nessuno muore di lavoro; e invece l'ozio e la mancanza di occupazione rovinano il corpo e la vita; l'uomo infatti è nato per lavorare, come l'uccello per volare.

Chi parla di agricoltura dice: sono le orme del padrone che ingrassano il campo; e non c'è concime migliore per il campo di quello che cade dalle scarpe del padrone; cioè se il padrone va spesso sui suoi campi.

Possedere esteriormente denaro, beni, terra e servi infatti non è un peccato come tale, bensì dono e disposizione divini.

L'uomo deve e può lavorare e fare qualcosa [...], perché se non lavora Dio non gli dà nulla.

La vita non è riposo, ma trasformazione del buono in meglio.

Dobbiamo attenerci con lieta coscienza al nostro mestiere, e sapere che con la nostra opera facciamo più di chi avesse fondato tutti i conventi e retto tutti gli ordini; anche se è il più piccolo dei lavori domestici.

Ciascuno deve produrre quel tanto da potersi mantenere e non essere di peso agli altri, bensì di aiuto.

Il lavoro in sé è gioia.

Sarebbe proprio necessario che nella cristianità venisse abolita ogni forma di mendicità [...], ogni città si curi dei suoi poveri e non lasci entrare mendicanti di fuori.

Cristo non vuole che non si possieda e non si accetti denaro né beni, o che se li si ha li si getti via, come hanno insegnato e fatto numerosi pazzi tra filosofi e dei santi pazzi tra i cristiani. Egli permette infatti che tu sia ricco, però non vuole che l'amore sia legato a ciò.

Quelli che non difendono e non mantengono nessuno, ma consumano, oziano e impoltroniscono soltanto, il principe non dovrebbe tollerarli nel suo paese, ma cacciarli o costringerli a lavorare: come fanno le api, che cacciano via i fuchi che non lavorano e mangiano il miele delle altre api.

Lutero non vedeva il lavoro come castigo di Dio inflitto all'uomo. L'autore del libro "Genesi" della Bibbia fa dire a Dio quando cacciò Adamo dal paradiso: "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita ... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane..." E poi continua: "Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto." In quest'ottica il lavoro è quindi la punizione per i peccati dell'uomo. Il contrasto con ciò che predicava Lutero è evidente.

Il calvinismo

Il riformatore svizzero Giovanni Calvino (1509 – 1564) rafforzò ulteriormente questa etica del lavoro che Lutero voleva vedere realizzata. Il lavoro aveva per Calvino un valore religioso, nell'esaltazione del lavoro la nascente borghesia vedeva ben interpretata la sua crescente aspirazione all'affermazione politica e sociale. E allora forse non è un caso che il giudizio comune (o pregiudizio?) vede gli svizzeri ancora più rigorosi e laboriosi dei tedeschi...

Max Weber: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo"

L'economista e sociologo tedesco Max Weber è considerato uno dei fondatori del pensiero sociologico moderno. Con "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo" (del 1905), il suo lavoro più celebre, analizzò l'influenza dei valori religiosi sull'economia di una società, e in particolare sullo sviluppo della mentalità capitalista. Il suo libro, criticato e apprezzato, ma sempre rimesso in discussione, è sempre uno dei migliori testi per approfondire l'argomento.


https://it.wikipedia.org/wiki/L%27etica ... apitalismo
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo è un saggio dell'economista, sociologo, filosofo e storico tedesco Max Weber (1864 - 1920) in cui si identifica nel lavoro come valore in sé l'essenza del capitalismo e riconduce all'etica della religione protestante, in particolare calvinista, lo spirito del capitalismo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab feb 03, 2018 10:42 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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