Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 10:58 am

L’oror de ła gnoransa nol ga termene

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Sta kive no la me par na bona tratasion sol signorajo e so coelo ke goadagna co l’emision de li skei le Banke Çentrali

Marco De La Luna sol so livro "Eurosciavi" el ga scrito pì de coalke robeta xbajà.
http://www.youtube.com/watch?v=RixHcElZCy0
http://www.youtube.com/watch?v=FBQeBDG5wV8

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"Euroschiavi" I segreti del signoraggio.
http://www.youtube.com/watch?v=a16_MgvB7dQ
Ke ensemense kel conta Miclavez!

http://fraternity.it/sites/default/file ... chiavi.pdf

BCE
http://www.ecb.int/ecb/html/index.it.html
http://tallonedachille.blogspot.it/p/post-spot.html
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Signorajo (signoraggio) e purpietà de le banke

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 10:59 am

Sta kive la me par na bona tratasion sol signorajo e so coelo ke goadagna co l’emision de li skei le Banke Çentrali

http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf

CARO SIGNORAGGISTA, IL VERO TRUFFATORE RESTA LO STATO

http://www.lindipendenza.com/caro-signo ... a-lo-stato

Caro signoraggista, io non ti voglio male.
So che ti sei convinto di essere vittima di una gigantesca truffa.
E in gran parte ti do ragione. Ma ti voglio solo dire una cosa: tu sbagli bersaglio.
Te la prendi con le banche, in particolar modo con le banche centrali.
Ma possibile che non riesci a vedere che il vero truffatore è e resta lo Stato?

Il signoraggio, da definizione enciclopedica, è il reddito che il governo ottiene tramite la creazione di nuova base monetaria in condizione di monopolio. Si chiama così, perché furono i signori feudali nel Medioevo ad arrogarsi il diritto di essere gli unici possibili coniatori di monete. Allora si parlava di monete d’oro e d’argento, la carta non c’era ancora. I signorotti di allora, dunque, si tenevano una parte dell’oro e dell’argento usato per coniare le monete.

Oggi non si usa più né l’oro né l’argento. Ma il reddito da signoraggio si calcola nello stesso modo, con metodi riattualizzati: è la differenza fra i costi della stampa e gli interessi ricavati dai titoli acquistati in contropartita all’emissione di moneta. Chi ci guadagna è la versione moderna del signorotto feudale: il governo.

E qui sarai tentato di rispondermi: è la banca che ci guadagna.
No, caro mio.
La banca centrale è solo uno strumento burocratico dello Stato.
Niente altro.
Non vuol dire niente il fatto che sia organizzata come una società privata.
Anche le Fs sono teoricamente una Spa, ma sono e restano un ente statale. Anche negli Usa, la Federal Reserve è un ente solo teoricamente privato e indipendente. Ma è, a tutti gli effetti, una burocrazia pubblica. In Europa ci siamo fatti l’illusione che esista una banca (centrale europea) indipendente dai governi nazionali. Ma la sostanza non cambia: è un ente politico. Come credi che sia diventato Mario Draghi il suo presidente? Per carriera? Per merito? O per nomina politica? Forse non ti ricordi le battute al vetriolo nella lite a distanza fra il presidente francese (ormai ex) Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi: litigavano sulla nomina del nuovo presidente della Bce, sui suoi vice e sui voti di scambio. Il reddito da signoraggio sul conio delle monete metalliche va ai singoli Stati membri europei. Quello sulle banconote di carta viene ripartito fra le banche centrali proprietarie della Bce. Ciascuna di queste, essendo un ente statale a tutti gli effetti, gira la stragrande maggioranza di questo reddito (nel caso della Banca d’Inghilterra, il 100%) al proprio Stato.

Quindi, caro signoraggista, non capisco proprio quando tu mi parli di “governo delle banche”.
Le banche sono parte integrante del governo.
E sono sempre i governi gli unici che ci guadagnano dalla stampa di nuova moneta.

E ora arriviamo all’aspetto che più di fa infuriare: la truffa.
La truffa consiste nello stampare più moneta, in modo da aumentare i redditi da signoraggio.
Ci perdono i cittadini, che si ritrovano in mano pezzi di carta il cui valore è sempre inferiore (come sai, più moneta circola, meno ha valore).
Ma ci guadagna lo Stato, che incamera maggiori redditi dalla stampa delle banconote.
Questo simpatico trucchetto, fortunatamente, non dura molto tutte le volte che è stato tentato. Perché alla fine, la moneta perde talmente tanto valore da far collassare il sistema.
-Ci provò la Russia nella Prima Guerra Mondiale, per pagare le immense spese militari che doveva sostenere. Il sistema implose e l’esito fu drammatico: la rivoluzione russa.
-Ci provò la Repubblica di Weimar subito dopo la Grande Guerra. E il risultato fu altrettanto drammatico: collasso economico, instabilità politica e, infine, l’ascesa di Hitler.
-Ci provarono, con conseguenze meno drammatiche, tutti i governi italiani degli anni ’70 e ’80. I cui reduci, oggi, pontificano contro le banche e il potere dei banchieri. I governi sono abilissimi a truffare e a dar la colpa a qualcun altro.

Oggi la truffa si può ripetere. Il problema è che non c’è alcun limite all’emissione di moneta, soprattutto da quando è stata sganciata dall’oro.
Gli euroburocrati credono che basti creare una banca indipendente, guidata da tecnici, per contenere l’emissione di moneta.
Ma non esistono tecnici “indipendenti”.
Come ti ho detto prima, Draghi è un politico, a tutti gli effetti.
Ora inizia a pensare, pressato dai governi, che emettere più moneta è un bene.
Dunque può ricominciare la solita vecchia truffa in ogni momento, sempre che non sia già iniziata.

Ma per evitarla, per non farti fare fesso, per favore, non invocare l’intervento dello Stato.
Se gli chiedi di riprendere la “sovranità” sull’emissione di moneta, non fai altro che affidarti alle mani del tuo rapinatore.


1. Frottole sulla definizione di signoraggio

1.1 La definizione errata di signoraggio

I siti internet che si occupano di signoraggio usano una definizione errata che dice che il signoraggio è la differenza tra il valore di una banconota e il costo per produrla.
Secondo la definizione errata una banconota da 50 € è solo un pezzo di carta: costa 30 centesimi, ma è ceduta dala Banca Centrale a 50 €, con conseguente guadagno di 49 euro e 70 centesimi.
Guadagni che finirebbero nelle tasche dei banchieri centrali, invece di pagare i costi dello Stato o sovvenzionare i cittadini (il cosiddetto “reddito di cittadinanza”).

1.2 Perché è una definizione errata

Ogni anno la Banca d'Italia emette banconote per oltre 10 miliardi di euro. Se le vendesse nel conto economico troveremmo la voce “ricavi da vendita di banconote” per un importo pari a oltre 10 miliardi di euro.
Ma non c'è nulla di tutto ciò, perché la Banca d'Italia non vende moneta (e neppure la BCE o la FED).
Inoltre è bene osservare che da un punto di vista contabile la moneta è registrata tra le passività dello stato patrimoniale. Chi conosce la contabilità sa che la contropartita di qualcosa registrato in avere deve stare in dare. Ma in dare non troviamo i ricavi: possiamo escludere che l'emissione di banconote comporti una qualche forma di ricavo.
Se poi, per assurdo, esistessero ricavi per la cessione di banconote, nei bilanci delle banche ordinarie dovremmo trovare i costi per l'acquisto delle stesse. Che ovviamente non esistono.
Inoltre se la Banca vendesse le banconote, non aumenterebbe mai la quantità di moneta che circola nell'economia: la Banca venderebbe una banconota da 50 € incassando 50 €. Si immetterebbe e si ritirerebbe la stessa quantità di moneta, rendendo inutile la Banca Centrale.

1.3 Definizione errata e tesi senza senso

Se non si vendono le banconote, la creazione di moneta non crea ricchezza. Non ha perciò senso chiedersi chi sia il proprietario della moneta al momento dell'emissione. Non ha senso dire che la moneta assume valore in seguito all'accettazione e neppure immaginare un reddito di cittadinanza, come fanno alcuni gruppi politici di estrema destra.
Invece esiste un reddito da signoraggio di cui si sa tutto e di cui parlerò nel prossimo paragrafo.

1.4 Che cos'è il signoraggio

Cerchiamo dunque di proporre una definzione corretta di signoraggio.
Il signoraggio, scrive la Banca d’Italia è “l'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di moneta”.
Deriva dal potere esclusivo di emettere moneta e consiste nella “differenza tra gli interessi sulle poste attive, finanziate da chi emette biglietti e il tasso di interesse, di solito zero, sui biglietti”, ovvero, con riferimento all’euro, “il reddito originato dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione”.
Bagliano e Marotta, docenti di economia monetaria, scrivono che “la creazione di base monetaria in condizioni di monopolio dà la possibilità alla banca centrale di ottenere redditi (il cosiddetto signoraggio) pari alla differenza tra i ricavi ottenibili dall'investimento in attività finanziarie e reali e i (trascurabili) costi di produzione”.
La Banca del Canada distingue il signoraggio delle monete metalliche dal signoraggio delle banconote. Per le prime, il signoraggio è la differenza tra il valore facciale della moneta e il costo per produrla (e distribuirla): ad esempio nel caso di una moneta da 1 dollaro, il signoraggio è pari a circa 88 centesimi, incassati dal governo.
Per le banconote, il signoraggio è la differenza tra gli interessi pagati dalle obbligazioni, e i costi per produrre e distribuire le banconote. Se il tasso di interesse è (supponiamo) del 5%, il signoraggio di una banconota da 20 dollari è un dollaro l’anno di interessi meno 4 centesimi di costi, ovvero 96 centesimi, come spiega la Banca del Canada.
Anche il consulente tecnico del giudice di pace di Lecce ha adottato questa definizione, facendo coincidere il signoraggio con gli utili della Banca d'Italia (si veda il punto 8).
C'è poi il signoraggio inteso come tassa da inflazione, “cioè la riduzione di valore reale della moneta legale determinata dall'aumento dei prezzi.

1.5 Il reddito da signoraggio

Le Banche Centrali possiedono un portafoglio titoli, il cui rendimento altro non è che il signoraggio.
Non è difficile trovarne prova nei documenti ufficiali. Nella Relazione annuale della Banca d'Italia, ad esempio, si trova anche l'elenco delle riserve in valuta estera, oro e altro.

La FED “si autofinanzia con gli interessi dei buoni del Tesoro e di altri beni che gestisce” , mentre la Banca d'Italia “detiene anche un portafoglio finanziario”, e “le riserve valutarie sono gestite ... avendo riguardo alla massimizzazione del rendimento atteso nel lungo periodo”.
I bilanci dicono che la Banca d’Italia incassa 4,5 miliardi di euro di interessi attivi,
circa 5 miliardi di euro la Banca di Francia,
1,7 miliardi di dollari la Federal Reserve Bank di Boston, derivanti quasi per intero da bond (titoli di stato americani), con un profitto netto di circa 1550 milioni, 1450 dei quali versati al Tesoro americano come “interest on federal notes”.
Il reddito da interessi della Banca del Canada è di 2,2 miliardi di dollari l’anno14. Circa 130 milioni sono usati per pagare le spese generali. Il resto finisce nelle casse del governo.
Gli interessi sono, per la moneta non metallica, il signoraggio della Banca Centrale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Signorajo (signoraggio)

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 11:00 am

La purpietà de le banke:

http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf

7. Le frottole sulla Banca d’Italia

7.1 La Banca d'Italia non è una società per azioni

Un'ulteriore frottola riguarda la Banca d’Italia: sarebbe una società per azioni (spa) poiché banche italiane e straniere ne possiedono il capitale.
In realtà la Banca è un istituto di diritto pubblico.
Lo stabiliscono la legge bancaria del 1936, la legge 262 del 2005 (legge sul risparmio), articolo 19 comma 2 e lo Statuto (articoli 1, 3, 5, 18, 20, 31 e 42) dove non si parla mai di società per azioni, srl, ecc.
Lo ribadisce anche la Corte di Cassazione : la Banca d'Italia “non è una società per azioni di diritto privato ... bensì un istituto di diritto pubblico”.

E se fosse una società per azioni?
Il proprietario potrebbe cedere liberamente le azioni, cosa vietata ai partecipanti al capitale della Banca, che cedono le quote di partecipazione (art. 3) solo “su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore”.
Si può ipotizzare che la Banca agisce come una spa.
In tal caso varrebbero gli articoli 2325, 2346 del codice civile che parlano di azioni (art.:“Le quote di partecipazione dei soci -di una spa- sono rappresentate da azioni”). Azioni che nel caso della Banca d'Italia non esistono.
L'assemblea dei soci, se fosse una spa, nominerebbe (articolo 2364) gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale.
Non esiste assemblea dei soci e i partecipanti non nominano il governatore Draghi né, in base all'articolo 2383 del codice civile, hanno potuto revocare il mandato al governatore Fazio.

Che la nomina e la revoca del Governatore non risponda alle regole valide per qualsiasi s.p.a. lo testimonia anche la legge 262 del 2005 che richiede (art.19 comma 8) che occorre un decreto del Presidente della Repubblica.
In conclusione, la Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico. Non è una spa, di cui non possiede le caratteristiche e di cui non rispetta le regole.


7.2 La frottola dei soci occulti della Banca d'Italia

Un'altra frottola riguarda i soci della Banca d'Italia, che sarebbero ignoti, mentre Bankitalia sarebbe una società per azioni.
18http://econoliberal.blogspot.com

Nel primo numero del 1994 il settimanale religioso Famiglia Cristiana ha scritto che l'elenco dei partecipanti era riservato.
Concetto ribadito da molti siti internet interessati al signoraggio.
La memoria rimanda alla bufala secondo cui Kennedy è stato ucciso per questioni legate al signoraggio. Se si cerca la fonte nel libro Il paese dell'utopia, si scopre che la fonte è un periodico religioso, che ha collegato la morte di Kennedy al signoraggio.
Insomma, che si tratti dell'uccisione di Kennedy o dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia, la fonte è sempre un periodico religioso. Non un testo di economia o di storia.
Ma cosa si sapeva prima del 2004?
Volendo, si poteva sapere tutto. Basta cercare i bilanci delle banche degli anni 1999-2001 per trovare indicazioni sulle quote del capitale della Banca d'Italia.
Ecco alcuni esempi. Nel bilancio della piccola Cassa di Risparmio di San Miniato del 2001 è iscritto lo 0,2173% del capitale della Banca d’Italia per un valore nominale di 652.000 lire.
Nel bilancio 2000 di Unicredit Group si trovano le quote (oltre il 10% in totale) possedute dalle nove controllate.
Il Banco di Sicilia nel 2000 aveva quote corrispondenti al 6,343% del capitale di Bankitalia.
Il Monte dei Paschi di Siena nel bilancio 2002 risulta avere 7500 quote.
Milano Assicurazioni nel 2001 aveva 2000 quote.


I dati nei bilanci delle singole banche erano quindi disponibili prima dell'elenco presentato da Mediobanca, che ha solo letto i bilanci di banche e assicurazioni prendendo nota delle quote del capitale di Bankitalia possedute da ciascuna.
Chiunque avrebbe potuto fare lo stesso. Bastava disporre dei bilanci delle banche. Ma nessuno l'ha mai fatto fino al 2003. I dati quindi non erano riservati. Semplicemente nessuno è mai andato a cercarli.
O forse nessuno ha mai cercato le fonti. Io ho chiesto aiuto al professor Gianni Toniolo, che mi ha consigliato di cercare i libri di Renato De Mattia. Ho trovato Storia del capitale della Banca d'Italia e degli istituti predecessori, edito dalla Banca d'Italia nel 1977.
Curioso che è stata la Banca a pubblicare su questo tema un libro consultabile in decine di biblioteche pubbliche in tutta Italia.
E colpisce che, come si può leggere a pag. XVIII della prefazione, il primo ad essersi occupato -con l'assenso del governatore Azzolini- del tema del capitale della Banca è stato, nel 1938, Paolo Baffi, che diventerà governatore.
Lo studio di Baffi, interrotto a causa della guerra, è stato poi ripreso, idealmente, da De Mattia a metà degli anni '70 ed sfociato in un voluminoso libro in 2 tomi edito dalla Banca d'Italia.
Ce n'è abbastanza per escludere una volontà di nascondere i dati da parte della Banca d'Italia.

De Mattia ricostruisce la storia della Banca d'Italia, che nasce nel 1893 dall'unione di diverse banche con diritto di emettere moneta presenti nel momento dell'Unità d'Italia. E' una società per azioni e le sue 300.000 azioni finiscono nelle mani di azionisti privati, in maggioranza liguri e piemontesi.
Le azioni sono quotate in molte borse italiane e, negli anni venti, il loro prezzo oscilla troppo. Così dopo la riforma bancaria del 1926, la Banca d'Italia decide un aumento di capitale. Si emettono 200.000 azioni, metà delle quali assegnate alle Casse di Risparmio, che si impegnano a non rivenderle per almeno 10 anni. Lo scopo è stabilizzare il prezzo delle azioni.
Le casse di risparmio si ripartiscono le azioni “in proporzione ai depositi amministrati” a fine 19279 e l'elenco è stato pubblicato nella Relazione all'adunanza generale straordinaria degli azionisti della Banca d'Italia del 18 giugno 1928. Sono 107 le casse che aderiscono all'aumento di capitale e i nomi si trovano nella tabella 20 del tomo II del libro di De Mattia, divise per aree geografiche.
La suddivisione regionale risponde a una esigenza di attenzione ai territori richiesta alla Banca, che nomina il Consiglio Superiore con diverse elezioni presso le sedi regionali.

Nel 1936 cambia tutto. La Banca d'Italia non è più una spa.
Diventa un istituto di diritto pubblico.
Si procede al rimborso degli azionisti privati, che ricevono 1.300 lire per ogni azione posseduta e all'assegnazione, da parte di un Consorzio, delle quote del capitale da parte dei "partecipanti" che possono essere solo banche, assicurazioni e istituti di previdenza.
Il Consorzio decide che le casse di risparmio, che nel frattempo hanno comprato altre azioni (circa 42.000) nella speranza di contare di più nel rapporto con la Banca d'Italia10, investano nel capitale della Banca la somma derivante dalla rimborso delle azioni.
1300 lire per oltre 140.000 azioni (100.000 sottoscritte nel 1926 più quelle acquistate in seguito) danno luogo a un rimborso di oltre 185 milioni di lire, reinvestiti, da 88 casse in 185.056 quote (su 300.000 totali).

La maggioranza del capitale è in mano alle casse di risparmio, che tuttavia decidono poco o, meglio, nulla, come ha raccontato lo storico Luigi De Rosa.

Le restanti 114.944 quote sono ”ripartite pro rata fra gli alti enti e istituti nominati dalla legge partecipanti al consorzio”, vale a dire tra 11 banche, assicurazioni e l'INPS che ottiene 15.000 quote.
Tutto ciòè raccontato da De Mattia nel libro del 1977, ma era noto già nel 1937.

Basta procurarsi l'Adunanza generale ordinaria dei partecipanti di Banca d'Italia relativo al 1936, l'equivalente dell'epoca della Relazione annuale del governatore per leggere a pagina 71 che:
"Al 31 dicembre 1936, gli enti e istituti possessori delle 300 mila quote di partecipazione al
capitale della Banca erano suddivisi nelle seguenti categorie:
Casse di risparmio, n.88 per quote 185.056
Istituti di credito e banche di diritto pubblico, n.11 per quote 68.444
Istituti di previdenza, n.1 per quote 15.000
Istituti di assicurazione n. 9 per quote 31.500"

De Mattia offre dati più particolareggiati, perché -si può supporre- ha avuto a disposizione documenti presenti solo nell'archivio romano della Banca.
E' così possibile conoscere la distribuzione delle quote per per categorie di soggetti proprietari e in base alla distribuzione territoriale (tabella 21, tomo II), distribuzione utile a capire quali banche possedessero quote.
Ad 20http://econoliberal.blogspot.com esempio esiste un solo istituto di diritto pubblico toscano: può solo essere il Monte dei Paschi di Siena; un solo istituto in Piemonte, che possiede 2500 quote: è l'Istituto Bancario San Paolo.
Infine De Mattia racconta i pochi passaggi di proprietà delle quote dal 1937 in poi. In pratica il capitale della Banca è rimasto sempre nelle stesse mani. Fino al 1992, aggiungo io, quando arriva la legge Amato-Ciampi che dà il via al valzer delle fusioni e acquisizioni bancarie e, con esse, all'aggregazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, possedute oggi per oltre il 42% dal gruppo Intesa-San Paolo direttamente e indirettamente attraverso le banche controllate, come la Cassa di Risparmio di Bologna.
Il fatto che solo nel 2003 siano saltate fuori notizie sui partecipanti al capitale si spiega con i pochi passaggi di quote da una banca all'altra. Un tema interessa se cambia qualcosa. La distribuzione del capitale della Banca d'Italia è rimasto praticamente invariato per decenni e a pochi è venuta la voglia di occuparsi dell'argomento.


7.3 Banca Centrale, potere effettivo, conflitto di interessi e proprietà delle banche

I partecipanti al capitale della Banca d'Italia non sono azionisti qualsiasi. La legge bancaria del 1936 art. 2012 riserva le quote a banche, assicurazioni e istituti di previdenza rimasti fino al 1992 di proprietà pubblica.
Oggi tra i principali azionisti delle banche, trasformate in spa o banche di credito cooperativo dalla legge Amato-Ciampi (o Amato-Carli del 1990 ?) del 1992 (o del 1998 ?), ci sono le fondazioni bancarie, i cui consigli di amministrazione sono nominati dagli enti locali e dalle organizzazioni professionali.
Anche se trasformata in spa, la proprietà di molte banche resta sotto il controllo pubblico sotto forma di fondazione bancaria.

Perciò se dovessimo applicare la logica di chi dice che la Banca d'Italia è privata perché sono privati i suoi azionisti, dovremmo concludere che la Banca non è affatto privata e, paradossalmente, non sarebbe privata neppure se fosse organizzata come una società per azioni.
Infatti le banche -seguendo tale logica- sono da considerarsi pubbliche, visto che le fondazioni che le controllano non appartengono ad azionisti privati né seguono interessi privati.
Ma se le banche che possiedono quote del capitale della Banca d'Italia non sono private, neanche la Banca lo è e non lo sarebbe neanche se fosse organizzata sotto forma di spa.

Il potere effettivo degli azionisti è di fatto nullo.
Lo disse nel 1926 J.M.Keynes che riferendosi alla Banca d'Inghilterra ha scritto: è un “caso di istituzione che teoricamente è di proprietà assoluta di alcune persone private” ma che “non vi è classe di persone nel Regno quanto i suoi azionisti cui il governatore della Banca d'Inghilterra pensi di meno quando decide circa la sua politica”.

Senza potere, scompare il conflitto di interessi, in nome del quale, peraltro, già nel 1936 lo Statuto della Banca esclude dal Consiglio superiore della Banca gli amministratori delle banche. Ce lo ricorda lo storico De Rosa14 che racconta di come il presidente dell'Associazione delle casse di risparmio italiane, De Cataldo, dopo aver chiesto alle banche associate di convertire le 140.000 azioni possedute e di incrementare il numero delle quote di Bankitalia, puntasse a far valere il peso degli associati nella nuova Banca d'Italia.
Attesa delusa. Il governatore Azzolini spiegò che era stato Mussolini a volere l'esclusione degli amministratori delle banche dal Consiglio superiore “sulla base del principio che gli Istituti vigilati non potevano diventare nello stesso tempo organi vigilanti”.


7.4 All'estero: le banche che la FED non controlla

Paul Krugman offre un dato ulteriore: negli USA ci sono banche non controllate dalla Banca Centrale, la FED. Sono dette banche di fatto, banche-ombra o sistema bancario parallelo. I loro asset, ha spiegato il segretario al Tesoro americano Geithner sono “collocati al di fuori del sistema bancario tradizionale”. Le Banche Centrali sono così potenti, che molte banche sfuggono al loro controllo!
Si deve notare che la Deutsche Bundesbank è una persona giuridica federale di diritto pubblico il cui capitale è posseduto dalla Repubblica. In Francia è una istituzione il cui capitale è posseduto dallo Stato. Nel Regno Unito la legge 14 febbraio 1946 trasferisce l'intero capitale al Tesoro indennizzando i possessori di capitale. Da allora la Banca non versa più dividendi ma versa al Tesoro, due volte l'anno, una certa quota degli utili

7.5 Perché lo stato italiano non compra la Banca d'Italia?

Chi crede che il signoraggio sia un problema pensa che la soluzione sia la nazionalizzazione della Banca d'Italia che, divenuta pubblica, sarebbe costretta a fare ciò che vuole il governo ovvero il popolo che lo elegge.
Lo stato potrebbe certo acquistare la Banca d'Italia, forte della mancanza di poteri da parte dei partecipanti al capitale. Ma non succede. Perché?
Lo si può capire leggendo il bilancio di Banca Carige dove17 si legge: “Tra i titoli di capitale figura la partecipazione nella Banca d'Italia contabilizzata per 791,6 milioni; tale valore deriva dalla valutazione al fair value - utilizzando il patrimonio netto quale proxy attendibile di tale valore - effettuata sulla base dei dati di bilancio della Banca d'Italia al 31/12/2008, coerentemente con il criterio contabile adottato per la redazione del bilancio consolidato del Gruppo e di quello d’esercizio della Banca al 31 dicembre 2008”.
In soldoni la partecipazione di Banca Carige, che è del 4% delle quote della Banca, varrebbe quasi 800 milioni di euro. Ciò significa che la Banca d'Italia vale circa 20 miliardi di euro, quasi l'1,5% del PIL.
Può lo stato italiano permettersi di spendere tale somma per acquisire i titoli di una Banca e sottrarre poteri a chi ne ha pochissimi?
Che lo stato spenda 20 miliardi in cambio di poteri modesti è improponibile, e quindi le quote del capitale restano in mano a chi le possiede da circa 75 anni.

8. Le frottole sulla sentenza del giudice di pace di Lecce

Nel 2005 un cittadino ha chiesto al giudice di pace di Lecce di dichiarare “che la proprietà della moneta è della collettività e inoltre che il debito pubblico non esiste, poiché va considerato credito pubblico”.
E' una richiesta infondata: se il debito pubblico fosse un credito, chi possiede BOT e CCT sarebbe un debitore. Dovrebbe pagare il debito invece di incassare il capitale prestato al vero debitore, lo Stato.
Un giudice di pace di Lecce, a differenza di molti colleghi, non ha respinto la domanda, e ha condannato la Banca d'Italia a pagare 87 euro, il presunto signoraggio spettante a ogni italiano. Poi la palla (è il caso di dirlo) è passata alla Corte di Cassazione, dove il cittadino non s'è presentato e la sentenza di Lecce è stata cancellata.
Dopo la prima sentenza, uno studio legale ha commentato la decisione del giudice di pace, smascherando alcune frottole sull'argomento.
Le motivazioni, si spiega, “appaiono estremamente labili e... destinate a soccombere in Cassazione”. “Il ricorso al giudice di pace appare una specie di scorciatoia per... ottenere sentenze-pilota a supporto delle proprie altisonanti teorie”.
Ma soprattutto si chiarisce che: “La domanda di accertare a chi appartiene la moneta appare un quesito filosofico”.
La vicenda appare ridicola e chi scrive si sente “in dovere di precisare che quanto sopra risulta interamente da una sentenza della Repubblica, e stiamo commentando una causa vera, e non una poesia di Trilussa.“
E' interessante notare che il consulente tecnico “il perito d’ufficio ha determinato l’importo di 87 euro” estrapolando “dai bilanci della Banca d’Italia dal 1996 al 2003 (chissà poi perché solo quelli) l’utile d’esercizio”.
La perizia riconduce il signoraggio all'utile di esercizio indicato nei bilanci ufficiali della Banca, mentre non abbraccia alcuna teoria dei finti esperti di signoraggio.
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 12:03 pm

Fondasion bancara
http://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione_bancaria
Una fondazione bancaria è una persona giuridica mista pubblico-privata senza fini di lucro.
Le fondazioni bancarie sono state introdotte per la prima volta nell'ordinamento italiano con la legge n. 218 del 1990, la cosiddetta "legge-delega Amato-Carli", con lo scopo di perseguire valori collettivi e finalità di utilità generale.


Boldrin vs. politici italiani e fondazioni bancarie (Agorà, 25/1/2013)
http://www.youtube.com/watch?v=9dlowhlr9vg
Boldrin e le Fondazioni Bancarie
http://www.youtube.com/watch?v=h43tV-h8miI
http://tallonedachille.blogspot.it/p/post-spot.html
I partiti in lotta per le fondazioni bancarie -L'odore dei soldi orienta la lotta politica

http://www.leftcom.org/it/articles/2005 ... i-bancarie (2005)

Nel patto segreto firmato a suo tempo fra Berlusconi e Bossi, assieme alle altre clausole che "verranno rese note al momento opportuno" (così diceva il Senatur), si trova anche la riforma delle Fondazioni bancarie, con l'intenzione di rivedere le regole del gioco, fissate ai tempi della DC nel settore economico e finanziario del paese.
Le Fondazioni sono proprietarie di importanti quote di capitale di banche di rilevanti dimensioni.
Dichiarate oggetto di diritto privato, il tentativo di ripubblicizzarle per dare alle attuali consorterie governative il controllo della nomina degli organi collegiali, dei settori di intervento, ecc., è stato ed è uno degli obiettivi politico-economici più interessanti per alcune fazioni borghesi, presenti nel governo di centro-destra.

Le attuali 89 Fondazioni del settore bancario sono nate dalla trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di diritto pubblico in società per azioni controllate da banche.

Dovrebbero, tendenzialmente, contribuire al cosiddetto "progresso sociale ed economico", liberandosi da ogni condizionamento politico. I forzieri custodiscono un patrimonio di circa 36 miliardi di euro, sul quale, indubbiamente, la "tradizione popolare e religiosa degli italiani" ha fino a ieri - attraverso la mano indisturbata dei suoi rappresentanti politici democristiani e socialisti, nonché nazional-comunisti - proficuamente operato.

Su questi forzieri vorrebbero mettere le mani quelle Regioni nelle quali ciascuna Fondazione ha sede e limitando così le aree geografiche del suo intervento.
Si parla inoltre di almeno 19 miliardi di euro immobilizzati in partecipazioni bancarie (Unicredito, San Paolo IMI, Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena, Intesa BCI).

Il grosso del malloppo - che la Lega in particolare guarda con interesse - è detenuto dalle Fondazioni del Nord.
Per tutte non vi è alcun obbligo di trasparenza e di rendimento, né sugli utili complessivi annuali di 2/3 miliardi né sui “contributi” erogati per centinaia e centinaia di miliardi di euro ad una clientela ufficialmente operante nel campo artistico e culturale, volontariato, istruzione, assistenza sociale, sanità e, naturalmente, partiti. ???

Dopo le sue trascorse esperienze quale Studio Tremonti e Associati (poi Vitali Romagnoli Piccardi e associati) in qualità di commercialista fiscalista, l'ex ministro Tremonti aveva tentato di consegnare al Tesoro le suddette Fondazioni col proposito di trasformarle in una cassaforte degli enti locali, nettamente separata dalle banche e trasferendo così l'accaparramento di soldi e poteri non più formalmente alla "società civile" dei privati borghesi ma a Regioni, Province e Comuni.

Alle fazioni borghesi oggi al potere converrebbe infatti imporre alle Fondazioni (fino a ieri soggetti di diritto privato) una maggioranza di nomine politiche, stabilendo fra l'altro che nella raccolta di soldi per i vari progetti governativi un minimo di fondi venga reinvestito per la realizzazione di infrastrutture regionali.
Limitando la loro autonomia e accresciuti i poteri del ministro del Tesoro e della Economia, le Fondazioni sarebbero messe in buona parte al servizio degli interventi pubblici in perenne crisi di fondi, con indicazioni e paletti posti ai loro fin qui "privati" interventi.

Oltre 1500 le poltrone in gioco (consigli amministrativi e società operative): il 66% dei Consiglieri d'Amministrazione verrebbe nominato dagli Enti Locali mentre alla "società civile" rimane una presenza molto più limitata che nel passato. Tremonti avrebbe voluto far propria anche la scelta delle Società di Gestione del Risparmio incaricate di gestire i pacchetti azionari delle Fondazioni e diventando quindi le loro nuove casseforti. Di "gare europee", secondo le richieste di Bruxelles, non se ne è mai parlato.
Prima ancora delle sue dimissioni forzate, Tremonti si vedeva negato il suo tanto desiderato potere discrezionale che, sia pure indirettamente, mirava a disturbare i maggiori gruppi creditizi del paese.
La Corte Costituzionale sgambettava Tremonti sancendo la parziale incostituzionalità della sua riforma.
In cambio concedeva l'ingresso delle Fondazioni nella nuova Cassa Depositi e Prestiti per finanziare le infrastrutture.
Rimane aperto il contenzioso di fondo: le Fondazioni hanno carattere di organo di diritto pubblico (che oggi fa comodo al centro-destra) oppure mantengono la natura e autonomia privatistica?
In tutti i casi continua la lotta "democratica" - tutta interna ai gruppi di interessi privati e pubblici, di destra e di sinistra - per accaparrarsi quote di potere ed occupare poltrone ai vertici delle Fondazioni.
In nome dell'interesse nazionale, sia chiaro.
Nel frattempo, il proletariato continua a frugare nelle proprie tasche trovandole sempre più vuote.



Fondazioni bancarie: la casta inamovibile dei politici trombati e ottuagenari
http://www.lindipendenza.com/fondazioni ... ttuagenari

Sono considerate indispensabili per la stabilità delle banche. Ma anche un freno per il rinnovamento, soprattutto in termini generazionali. Le Fondazioni restano al centro del sistema finanziario e continuano a dividere esperti e politici, quando e’ in corso una stagione di rinnovi all’insegna della continuità nei ruoli di vertice.

Il primo marzo Antonio Finotti (foto in alto), 84 anni, ha ricevuto un’investitura fino al 2018 alla presidenza di Cariparo, ente di Padova e Rovigo.
...
Pochi mesi prima, a Treviso, Dino De Poli, sempre (foto in mezzo) 84 anni, è stato confermato alla guida di Cassamarca fino al 2018.
...
E tra poco Giuseppe Guzzetti (foto sotto), 78 anni, presidente dell’Acri e di Cariplo, incasserà un nuovo mandato scadenza 2019.
...
Facile per molti parlare di casta, quando in Parlamento è sbarcata una nutrita pattuglia di Grillini e anche i vertici delle banche, una volta impermeabili, si sono aperti alla logica di un avvicendamento fisiologico, legato ai risultati e al gradimento degli azionisti.
Ebbene, le Fondazioni sembrano da questo punto di vista inespugnabili.
Quando invece, come sostiene Andrea Resti, professore di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari alla Bocconi, servirebbe linfa nuova. Più che di ricambio ai vertici, spiega “preferirei parlare di un ricambio culturale: mercati finanziari sempre più instabili e strumenti finanziari sempre piu’ complessi e opachi, proposti da banche d’investimento non proprio disinteressate, rendono necessarie competenze che vent’anni fa non erano così cruciali”.

Forse, ragiona l’economista, “sono finiti i tempi in cui anche un politico trombato poteva fare un buon lavoro, purché avesse intuito e conoscenza del territorio”. Le parole di Resti si inseriscono in un’analisi piu’ ampia.

In materia di fondazioni bancarie, dice, “ci sono certamente passi avanti da fare. Una maggiore trasparenza dei bilanci per esempio non guasterebbe: viene da chiedersi per quale motivo le banche siano assoggettate a complessi e approfonditi schemi di bilancio obbligatori (con allegati e prospetti di dettaglio predefiniti) e il soggetto che sta al piano di sopra (e che pure è un investitore professionale che può acquistare derivati e in qualche caso addirittura investire a leva) abbia vincoli informativi cosi’ poco stringenti”.

Il pericolo “più grave”, secondo Resti, è tuttavia quello di “un passo indietro”. È vero, argomenta, che con la crisi finanziaria “alcune fondazioni hanno conosciuto risultati deludenti, ma si tratta proprio di quelle fondazioni che sono state maggiormente restie a seguire il percorso di sviluppo tracciato dalle leggi Amato e Ciampi (che chiedevano di ridurre l’influenza sulla banca conferitaria e di diversificare il portafoglio anziché restare appesi al settore finanziario come babbuini a un banano)”.

Il caso Mps e le responsabilità emerse per la gestione della fondazione senese, del resto, rendono il dibattito particolarmente attuale. A caldo, nei giorni successivi all’emergere dello scandalo senese, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, rendeva bene l’idea di un’esigenza di rinnovamento che secondo molti osservatori riguarda tutto il sistema delle Fondazioni. Primo, diceva Fassina, “nel riformare la legge Ciampi si potrebbe qualificare la composizione delle nomine di provenienza politica”. In sostanza, “per evitare ossificazioni si potrebbero imporre regole sul ricambio ai vertici delle Fondazioni, garanzie sulle competenze dei nominati”. Perche’ “regole diverse e nuove, senza spirito punitivo, sarebbero nell’interesse di tutti”.
Resta comunque nutrita la schiera dei ‘difensori d’ufficio’ delle Fondazioni. “Sono totalmente scettico rispetto all’idea di un rinnovo generazionale a prescindere. Deve continuare a prevalere l’idea di una societa’ meritocratica. E vale in Parlamento come nelle fondazioni bancarie”, premette Giorgio La Malfa. L’ex ministro, esperto di temi finanziari, interpellato dall’Adnkronos, riconosce agli Enti il merito di aver “assicurato stabilita’” al sistema in un momento particolarmente difficile. Le Fondazioni, tiene a sottolineare, “sono invece tutte gestite abbastanza bene. Non si puo’ dire che ci sia stata una cattiva gestione e non ci sono effetti negativi sulla governance delle banche”.

Fonte originale: Adn Kronos
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 8:53 pm

Ecco di chi sono le banche centrali - Storia di un decreto nato con le migliori intenzioni e finito in gazzarra

http://www.ilvelino.it/it/article/2014/ ... dfdea3b51d

Immagine

Come ha scritto Mario Sechi, la proprietà della Banca d'Italia è formalmente privata, suddivisa pro quota tra quasi tutte le banche, le maggiori assicurazioni, e altre istituzioni italiane, a loro volta private o pubbliche.
I primi azionisti sono, nell'ordine: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Generali, Cassa di Risparmio di Bologna.
A questi quattro soci fa capo il 65 per cento delle quote di capitale. S
eguono l'Inps con il 5 per cento, e altri 55 (tra i quali l'Inail) con percentuali minori.
Privata nella compagine azionaria, eccezion fatta per Inps e Inail, Via Nazionale è però riconosciuta come "istituzione dello Stato italiano" in base ad una legge del 1936 confermata da una sentenza della Cassazione del 2006.
La natura mista discende dal fatto che le banche private che oggi si suddividono il capitale erano in gran parte pubbliche o pubblicizzate svariati decenni fa: questo, detto in sintesi.
Nella sostanza il capitale privato e la natura pubblica hanno lo scopo di garantire la Banca d'Italia su due fronti: l'impossibilità di fallire, in quanto parte dello Stato; e l'autonomia decisionale dal governo e dalla politica.

Sotto questo profilo la Banca d'Italia è abbastanza simile alla Federal Reserve americana (capitale fornito da privati, che sono poi le banche controllate; carattere pubblico dell'istituzione, i cui vertici sono di nomina della Casa Bianca, e con filiali nei maggiori stati degli Usa) ma non alle altre banche centrali dei singoli paesi europei. Bundesbank, Banque de France, Bank of England sono infatti pubbliche sia nei loro statuti sia nel capitale, in mano allo stato.
E, per molte di loro, non esiste neppure quell'autonomia dalla politica e dai governi garantita a Bankitalia.
Neppure per la Bundesbank, le cui porte girevoli con la Cancelleria di Berlino sono note, e che oltretutto pratica il "parcheggio" dei titoli di Stato tedeschi che il Tesoro di Berlino non riesce a vendere in asta, garantendo così notevoli risparmi sugli interessi. Un po' come faceva la Banca d'Italia fino al 1981, prima del "divorzio" voluto da Beniamino Andreatta (ministro del Tesoro) e Carlo Azeglio Ciampi (governatore) per impedire che il governo si facesse di fatto finanziare da Via Nazionale.

Anche la Bce, la Banca centrale europea, è a tutti gli effetti un'istituzione pubblica, regolata dai trattati dell'Unione europea, ed infatti il presidente ed i membri del board sono nominati dai governi, in particolare da quelli della zona euro.
Quanto al capitale sociale, è ripartito tra le banche centrali dell'eurozona - ai primi tre posti Bundesbank, Banque de France e Banca d'Italia - con diritto di voto, ma anche tra quelle dei paesi della Ue che non adottano l'euro, prive di diritto di voto.
In questo caso la quota maggiore è ovviamente della Bank of England. Fin qui sembra tutto sufficientemente chiaro, anche se purtroppo girano molte bufale, per malafede o ignoranza.
C'è chi sostiene o ha sostenuto (perfino in programmi Rai di grande ascolto) che la Bce sia una società privata, e quindi l'euro sia manovrato da una sorta di massoneria internazionale; e chi, in queste ore, grida allo scandalo per la ricapitalizzazione di Bankitalia decisa dal governo, e che ha dato luogo alla gazzarra scatenata alla Camera dai grillini.
Ma neppure il governo è esente da colpe, e vi spieghiamo il perché.

Come ha spiegato Sechi, la ricapitalizzazione era necessaria per aggiornare il capitale sociale, fermo a 300 milioni di lire del 1936, e garantire le riserve di Via Nazionale, che ammontano a 23 miliardi di euro.
Gli altri governi europei ricapitalizzano direttamente le loro banche centrali, ovviamente per via diretta e non attraverso gli azionisti privati.
Non c'è stato dunque alcun regalo alle banche, che anzi, con l'adeguamento delle loro partecipazioni in Bankitalia si vedono attribuite plusvalenze sulle quali versano allo Stato imposte per 1,5 miliardi.
Con le quali - ecco la prima sciatteria governativa - si è coperta gran parte dei mancati introiti dell'Imu 2013, quelli sulla prima casa, che sono stati egualmente girati ai comuni.

È una partita di giro? Sì e no, perché appunto Bankitalia andava ricapitalizzata.
L'errore, clamoroso da un punto di vista della comunicazione e dell'immagine, è essersi ridotti all'ultimo giorno utile ed aver chiamato il decreto "Imu-Bankitalia". Che cosa ne avranno capito i comuni cittadini, i contribuenti?
Quanto tutto questo si è prestato alle proteste, alla strumentalizzazione, addirittura alle violenze? Anche perché la materia è talmente specialistica ostica che perfino molti addetti ai lavori non riescono a maneggiarla; e dunque fioriscono le leggende. Ma il comportamento e le modalità scelte dal governo di Roma hanno provocato sconcerto tra chi sa tutto di queste faccende, a cominciare dal presidente della Bce, l'italiano Mario Draghi. L'operazione - per la parte ricapitalizzazione - andava infatti sottoposta al parere preventivo della Banca centrale europea, in base alla cessione di sovranità delle banche centrali nazionali.

Come sempre con l'acqua alla gola, e nell'urgenza di riscuotere le tasse sulle rivalutazioni, il governo ha emanato il decreto il 22 novembre 2013, decreto immediatamente operativo. Cinque giorni dopo ha spedito la documentazione a Francoforte, che ha sollevato irritate obiezioni sui metodi (i tempi stretti) e sul merito.
La Bce ha rimandato a Roma la risposta dopo un mese, il 27 dicembre. Domanda: palazzo Chigi e ministero dell'Economia, dove siede Fabrizio Saccomanni, un ex Bankitalia che non è mistero sia stato sponsorizzato proprio da Draghi, non potevano pensarci prima?
Agire con una maggiore razionalità? Tenere separate le due questioni - Banca d'Italia e Imu - per non esporre i contribuenti al rischio di dover pagare (dopo la mini-Imu) anche la seconda rata di un'imposta cancellata; per non esporre se stessi all'accusa di oscuri complotti a favore delle banche; infine per non arrivare sempre all'ultimo minuto dell'ultima ora dell'ultimo giorno? Questa è la vera storia di un decreto raffazzonato.
Come già il Milleproroghe, il Roma Capitale, e così via. Con queste premesse, non osiamo pensare a che cosa accadrà sulla legge elettorale, o, giusto per restare nei territori dell'Economia, sul rientro dei capitali dall'estero.
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 8:56 pm

Di chi sono le banche?

http://www.agoravox.it/Di-chi-sono-le-banche.html

Dopo lo scoppio dello scandalo Monte dei Paschi di Siena mi è venuta la curiosità di sapere chi sono i maggiori azionisti delle banche in cui versiamo ogni mese il nostro stipendio.

Una società quotata in borsa deve rendere noti gli azionisti che superano una quota percentuale del capitale sociale che, se non sbaglio, è il 2%. Dato che il capitale delle società quotate è molto spesso frazionato in tanti piccoli e piccolissimi azionisti, possedere una quota al di sopra di quella soglia significa avere un certo peso nelle assemblee dei soci.

Dalla mia ricerca, limitata alle banche italiane, ho riscontrato che ci sono diverse tipologie di soci:

- le fondazioni bancarie;
- le società di investimento private;
- le altre banche, comprese quelle centrali;
- le grandi aziende del settore industriale/commerciale.

Le fondazioni bancarie sono enti sotto l’influenza politica perché i rappresentanti, che decidono la gestione del loro patrimonio, vengono normalmente nominati da: regioni, comuni, province, università, camere di commercio e altri enti pubblici.

A loro volta poi, coloro che vengono scelti per amministrare le fondazioni nominano il gruppo direttivo delle banche di cui sono proprietarie. In Italia le fondazioni bancarie posseggono importanti pacchetti azionari di:

- Monte dei Paschi di Siena (Fondazione MPS 34,94%);
- Intesa San Paolo (Compagnia di San Paolo 9,72%, Fondazione Cariplo 4,95%, Fondazione C.R. Padova e Rovigo 4,68%, Fondazione Ca.Ris.Bo. 2,02%);
- Banca Carige (Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia 47,16%);

Invece, le società finanziarie, solitamente estere, detengono il controllo di Unicredit, in cui le fondazioni bancarie hanno solo un ruolo marginale (Fondazione Cariverona 3,53% e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino 2,51%).

Tra questi fondi d’investimento troviamo:

- Aabar Luxembourg s.a.r.l. (6,50%): è una controllata del fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti. Gli amministratori di questa società siedono anche nei direttivi di altre imprese del settore chimico e petrolifero;
- BlackRock Inc. (5,04%): Wikipedia la indica come la più grande società d’investimento al mondo. Il Presidente e fondatore è Laurence Douglas "Larry" Fink che a quanto pare è un sostenitore del partito Democratico (americano). Questa società possiede anche il 5,01% di UbiBanca e il 3,26% della Banca Popolare di Milano;
- PGFF Luxembourg s.a.r.l. (5,01%): controllata dall’operatore di private equity britannico Pamplona Global Financial Istitutions con sede a Londra, New York e Malta.

Con percentuali inferiori ci sono anche: la Bank of Libya, la Carimonte Holding s.p.a., il gruppo Allianz e la Delfin s.a.r.l. che risulta essere una finanziaria del gruppo Luxottica di Leonardo Del Vecchio.

Oltre alla Bank of Libya, un’altra banca centrale, la Norges Bank, ha acquistato diversi pacchetti azionari di istituti di credito italiani: il 2,81% del Banco Popolare (ex Banca Popolare di Lodi), il 2,20% della Banca Popolare di Milano, il 2,18% di UbiBanca, e il 2% di Unipol Gruppo Finanziario s.p.a. (la controllante al 67,74% di Unipol Banca).

Ci sono poi le banche possedute da altri istituti di credito:

- Cariparma è per il 75% della francese Credit Agricole S.A.;
- BNL è al 100% una controllata di BNP Paribas;
- Le banche on line CheBanca (gruppo Mediobanca), Fineco Bank (gruppo Unicredit) e IW Bank (80,47% UbiBanca) e il Conto Arancio di ING Group (ABN Amro Holding N.V. 5,12%, Fortis 5% e Aegon 5%).

Mediobanca è controllata da banche quali: Unicredit (8,71%) e Mediolanum (3,42%) proprietà a sua volta della famiglia Doris e del gruppo Fininvest, e dalla assicurazione Groupama (4,93%), ma anche da:

- gruppo Bolloré (6%) che è il leader mondiale dei trasporti e della logistica;
- gruppo Premafin (3,87%) riconducibile a Salvatore Ligresti;
- gruppo Italmobiliare (2,62%);
- gruppo Benetton (2,16%);
- gruppo Fininvest di Berlusconi (2,06%).

La compagine azionaria del Credito Emiliano è così composta:

- Cofimar s.r.l. (19,97%);
- Max Mara Fashion Group s.r.l. (8,10%);
- Max Mara Finance s.r.l. (8,02%);
- Pictet & Cie s.a. (4,99%);
- Fincorrad (3,28%);
- Eredi Savioli s.r.l. (3,13%);
- Padana Tubi e Profilati Acciaio s.p.a. (2,14%).

Ci sono infine molte banche popolari, che hanno scelto la forma di società cooperativa, in cui il capitale è così frazionato che nessun socio possiede più del 2% del capitale.
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » gio feb 27, 2014 9:04 am

Cosa xeło el signorajo?

No me par mal, gnanca sta tratasion kì so wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Signoraggio

l signoraggio è l'insieme dei redditi del governo derivanti dall'emissione di moneta.

Il premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia internazionale scritto con Maurice Obstfeld, lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi».
Il termine è un prestito linguistico dal provenzale senhoratge, che è un derivato di seigneur (corrispondente all'italiano signore). Nel Medioevo, infatti, i signori feudali di tutta Europa cercarono di rendersi indipendenti dai sovrani attribuendosi il diritto di battere moneta e la titolarità dei relativi redditi.

In macroeconomia per signoraggio si intendono i redditi che un governo ottiene grazie alla possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio.


Negli stati moderni, solitamente, la banca centrale stampa le banconote mentre il governo (ad esempio tramite una zecca) conia le monete metalliche, ed entrambi hanno un reddito da signoraggio.

In economia il signoraggio è innanzitutto una delle fonti con cui un governo finanzia il proprio disavanzo di bilancio (cioè la quantità di spesa pubblica non coperta dalla raccolta di tributi). Lo stesso termine signoraggio nella letteratura economica è quasi sempre riferito ai vantaggi del governo.

Nei paesi a bassa inflazione conta per circa lo 0,5% del prodotto nazionale lordo mentre nei paesi ad alta inflazione tale valore è molto maggiore.

Nei casi estremi di iperinflazione il signoraggio è virtualmente l'unica fonte di finanziamento del governo. Il ricorso al signoraggio da parte del governo è generalmente associato ad un'elevata instabilità politica, dovuta sovente ad un sistema politico altamente polarizzato. Spesso avviene in concomitanza con la necessità di finanziare i costi di guerre, oppure in casi di shock esogeni che siano causa di un crollo dei prezzi di esportazione o anche solo nei casi in cui il governo non riesca a fronteggiare adeguatamente l'evasione fiscale. In tutti questi casi, i risparmiatori tenderanno a diffidare delle capacità del governo di onorare i propri debiti e si rifiuteranno di sottoscriverne le obbligazioni.

Nel caso in cui il potere di stampare moneta sia assegnato dal governo e questo lo usi per finanziare la spesa, il signoraggio corrisponde al rapporto tra il valore nominale della nuova base monetaria emessa in un certo intervallo temporale e l'indice generale dei prezzi (al netto dei trascurabili costi di produzione). I tentativi da parte del governo di finanziare il deficit pubblico aumentando le entrate da signoraggio possono essere causa di iperinflazione e gran parte dei casi storici di elevata inflazione e di iperinflazione sono effettivamente dovuti alla necessità da parte del governo di finanziarsi attraverso il signoraggio.

Il caso storico più eclatante e più studiato dalla teoria economica in cui l'abuso nel ricorso al signoraggio da parte del governo ha causato una drammatica spirale iperinflattiva è la Repubblica di Weimar nella Germania del 1922-1923: il conseguente collasso economico fu il preludio dell'ascesa al potere del Nazismo e di Adolf Hitler.

Nella prefazione al classico testo di Costantino Bresciani-Turroni sulle vicende del marco tedesco, Lionel Robbins osserva che «il deprezzamento del marco avvenuto tra il 1914 e il 1923 […] ha distrutto la ricchezza degli elementi più solidi della società tedesca: e si è lasciato dietro uno squilibrio morale ed economico, atto a preparare il terreno per i disastri che sono seguiti. Hitler è il figlioccio dell'inflazione».

Krugman osserva che l'elevato ricorso al signoraggio è una caratteristica particolarmente frequente nei paesi in via di sviluppo. Nonostante i tentativi da parte di questi paesi di riformare le proprie istituzioni nella direzione dei paesi maggiormente industrializzati, tale processo rimane spesso incompiuto: alla maggiore statalizzazione di queste economie non corrisponde un'adeguata capacità di riscuotere le imposte per finanziare la spesa. Anche in questi casi il ricorso al signoraggio è associato ad elevata inflazione o iperinflazione.

Secondo Rudi Dornbusch (1987), le iperinflazioni sono gli esperimenti di laboratorio dell'economia monetaria: in presenza di questi tassi di inflazione, il collegamento tra moneta e prezzi è assolutamente fuori discussione e al di là di qualsiasi controversia. In virtù della stretta associazione tra signoraggio ed inflazione - per cui a maggior signoraggio corrisponde, più che proporzionalmente, maggiore inflazione - il signoraggio è detto anche "tassa da inflazione" (in inglese "inflation tax"): è infatti a tutti gli effetti una tassa che gli operatori economici pagano al governo nella forma di un forzato minor potere d'acquisto della moneta detenuta nei propri portafogli.

La creazione di una banca centrale indipendente dal governo - cioè tale per cui il governo non abbia il potere di imporre alcuna misura di politica monetaria - è stata spesso una decisione fondamentale per stabilizzare un'economia colpita da iperinflazione.
Nel caso in cui il potere di stampare moneta sia assegnato alla banca centrale, il signoraggio riscosso da questa si definisce come il prodotto tra tasso d'interesse nominale e valore nominale della base monetaria in circolazione, diviso per l'indice generale dei prezzi (al netto dei trascurabili costi di produzione).
Tale somma viene normalmente percepita dal governo sotto forma di imposte.


Nell'antichità, quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, chiunque disponesse di metallo prezioso poteva portarlo presso la zecca di Stato, dove veniva trasformato in monete con l'effigie del sovrano.
I diritti spettanti alla zecca e al sovrano erano esatti trattenendo una parte del metallo prezioso. Il signoraggio in tale contesto è dunque l'imposta sulla coniazione, noto anche come diritto di zecca. Il valore nominale della moneta e il valore intrinseco delle monete non coincidevano, a causa del signoraggio e dei costi di produzione delle monete. L'imposta sulla coniazione serviva poi a finanziare la spesa pubblica. Nel caso in cui lo Stato possedesse miniere di metallo prezioso, il signoraggio coinciderebbe con la differenza tra il valore nominale delle monete coniate e i costi per estrarre il metallo prezioso e coniare le monete. Già con i romani, da Settimio Severo si può parlare di signoraggio: questo imperatore dimezzò la quantità di metallo prezioso contenuto nelle monete, mentre lasciò invariato il valore nominale.
Tra l'800 e il 1200, il sistema monetario europeo era semplice, basato quasi esclusivamente sul denarius introdotto da Carlo Magno. Con la caduta di Costantinopoli, le signorie europee, a partire da Genova e Firenze, tornarono a battere moneta (1252). Essendo in circolazione tanti diversi tipi di moneta, con diverse denominazioni, coniate in differenti metalli (oro, argento, rame) e con diversi standard di purezza, si pose il problema giuridico se il monarca potesse imporre una tassa di signoraggio sulla produzione delle monete. La scuola giuridica dei canonisti elaborò un orientamento favorevole; quella dei romanisti sostenne che il signoraggio avrebbe dovuto essere nullo.
Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods si assistette al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli preziosi e sulla convertibilità delle monete in metalli preziosi. La crescita degli scambi economici provocata dalla rivoluzione industriale rese necessario l'uso di monete la cui offerta non fosse vincolata dalla limitata disponibilità di metalli preziosi. Inoltre l'affermarsi di talune monete, sempre più diffuse e accettate negli scambi internazionali, rese obsoleto il ricorso ai metalli preziosi per regolare tali scambi. Infine l'affermazione del biglietto di banca e di altre forme di pagamento svincolate dall'uso di metalli preziosi si spiega con la praticità dei sistemi di pagamento che non obbligano a trasferire ingenti quantità di pesante metallo prezioso.


Nei paesi dell'area euro, il reddito da signoraggio viene incassato dai governi dei paesi membri per il conio delle monete metalliche, e dalla Banca centrale europea (BCE) per la stampa delle banconote, che emette in condizioni di monopolio.
Tali redditi sono poi ridistribuiti dalla BCE alle varie banche centrali nazionali in ragione della rispettiva quota partecipazione (per la Banca d'Italia ad esempio il 12,5%).
I singoli governi nazionali provvedono in seguito a prelevare gran parte di tali redditi dalle banche centrali tramite il prelievo fiscale.
In taluni casi, come per la Bank of England, essendo la banca centrale completamente di proprietà statale, il reddito derivato dall'emissione delle banconote viene indirettamente incamerato interamente dal governo. Tuttavia, anche nei casi di banche centrali non completamente di proprietà statale (come la Banca d'Italia), la gran parte degli utili prodotti viene versata allo Stato.
I singoli governi incassano direttamente il reddito derivante dal diritto di emettere monete metalliche, dal quale devono sottrarre i costi per produrle. Si tratta di un reddito quasi sempre modesto, eccezion fatta nel caso di stati di piccole dimensioni come la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano le cui monete diventano oggetto di collezione.
Negli anni ottanta-novanta, l'eccessiva dipendenza dal signoraggio di alcuni governi europei - tra cui il Portogallo, l'Irlanda, l'Italia, la Grecia e la Spagna (i PIIGS) - rappresentò una delle maggiori difficoltà per la realizzazione dell'Unione economica e monetaria dell'Unione europea.
Mentre la creazione e l'emissione monetaria è gestita dalla banca centrale e avviene in contropartita ad obbligazioni statali reperite con operazioni sul mercato aperto, la semplice creazione della moneta scritturale è facoltà di tutto il sistema economico, nazionale e internazionale.

La differenza è tratteggiata dalla Banca centrale del Canada nel proprio sito.
Mentre nel caso delle monete metalliche il reddito consiste nella differenza tra il valore nominale delle monete metalliche emesse e il costo per produrle, nel caso dell'emissione di monete non metalliche il reddito consiste negli interessi maturati sui titoli acquistati a fronte dell'emissione di moneta. Tali redditi, incamerati dalla banca centrale, servono a pagarne i costi e le imposte sull'emissione di moneta. Il reddito da signoraggio viene in gran parte incamerato dal governo che ha concesso alla banca centrale il diritto di emettere base monetaria in condizioni di monopolio.

Ricorso al signoraggio in una selezione di paesi, nel periodo 1975-1985 - Fonte: Fondo Monetario Internazionale, International Financial Statistics, 1975-1985
Paese: Percentuale di signoraggio rispetto a fonti alternative di finanziamento - Percentuale di signoraggio rispetto al Prodotto interno lordo
Stati Uniti....... 6,02%......1,17%
Canada...........6,61%......1,26%
Regno Unito.... 5,31%......1,91%
Italia 28,00%.....6,60%
Francia...........7,19%......2,73%
Germania........3,85%......1,08%
Bolivia.........139,50%......5,00%
Brasile...........18,36%.....4,13%
Cile................7,48%.....2,39%
India .............14,30%.....1,81%
Corea del Sud...10,70%.....1,84%
Messico..........18,70%.....2,71%
Filippine..........7,79%.....0,99%
Thailandia .......7,06%......0,94%
Turchia..........24,40%......5,09%
Venezuela.......10,76%......3,05%
Perù.............29,71%......4,92%
Israele..........24,55%.......2,99%



Teorie del complotto sul signoraggio
http://it.wikipedia.org/wiki/Teorie_del ... ignoraggio
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » gio feb 27, 2014 9:31 am

Signorajo tałian

http://it.wikipedia.org/wiki/Signoraggio_in_Italia

La storia d'Italia, sin dalla sua unificazione politica, è stata caratterizzata da uno straordinario livello di dominanza fiscale, cioè dall'asservimento delle autorità monetarie al governo: tanto dal punto di vista quantitativo quanto dal punto di vista dell'indagine storica, gran parte della politica monetaria è stata modellata sulle decisioni di politica fiscale del governo.
Ciò è avvenuto sin dai tempi della Banca Nazionale degli Stati Sardi (1850), della Banca Nazionale del Regno d'Italia (1867) e di Banca d'Italia (1893): ciascuna banca cercava di ottenere il monopolio dell'emissione della moneta, e le buone relazioni con la politica venivano percepite come un elemento essenziale della loro strategia.
Il ricorso al signoraggio da parte del governo aumentò in maniera sorprendente dopo che la Banca d'Italia ottenne il monopolio nell'emissione della moneta (1926).
Per capire fino a che punto il signoraggio e la tassa da inflazione si radicarono nell'economia italiana si noti che prima del 1926 il signoraggio rappresentava l'1,7% del reddito e la tassa da inflazione rappresentava lo 0,4% del reddito; dopo il 1926 il signoraggio salì al 5,5% del reddito e la tassa da inflazione salì al 5,3% del reddito.
Queste statistiche confermano ulteriormente che se vi è una caratteristica distintiva dell'economia italiana, questa riguarda l'atteggiamento eccessivamente accomodante delle autorità monetarie.
L'apice di tale dominanza fiscale avvenne sotto il governatorato di Guido Carli (1960-1975), periodo in cui, oltre a monetizzare larga parte del deficit pubblico, Banca d'Italia si mostrò accomodante nei confronti del governo anche attraverso una serie di misure regolamentari-amministrative. L'obiettivo fu quello di canalizzare il risparmio nazionale dal settore privato a quello pubblico, mantenendo i tassi d'interesse artificialmente bassi. Il mantenimento dei tassi d'interesse a un livello molto basso rese semplice, per il governo, posticipare le necessarie politiche di aggiustamento ma causò un ulteriore incremento del deficit. Furono altresì introdotte misure amministrative restrittive sul mercato dei cambi allo scopo di limitare l'accesso degli operatori - famiglie, imprese e banche - alle condizioni più favorevoli presenti sui mercati esteri. Ciò causò pertanto l'isolamento internazionale finanziario dell'Italia in quegli anni.
A questa mancata indipendenza dell'autorità monetaria rispetto all'autorità fiscale viene imputata in parte l'impennata della spesa pubblica e del debito pubblico italiani, nonché gli alti livelli d'inflazione del periodo. Se infatti l'obbligo di Banca d'Italia verso il governo aveva contribuito a de-responsabilizzare il governo stesso e a far andare la spesa pubblica fuori controllo, questo, dopo il divorzio, non fu capace di abbattere il debito con i soli strumenti di politica fiscale.
Solo l'ingresso dell'Italia nel Sistema Monetario Europeo, e il conseguente divorzio di Banca d'Italia dal Tesoro (1981), restituì credibilità alla Banca centrale. Sotto la spinta dell'Unione Monetaria Europea e del Trattato di Maastricht, Banca d'Italia intraprese infine ulteriori passi per migliorare la propria indipendenza dal governo.
Nel 2002 l'allora ministro dell'economia Giulio Tremonti propose di stampare banconote da 1 e 2 euro. Il 12 settembre l'allora presidente della BCE Wim Duisenberg in una conferenza stampa, in risposta a Tremonti, disse:
« Non abbiamo progetti di introdurre banconote da 1 o 2 euro, ma ne abbiamo sentito parlare. Naturalmente, ne abbiamo discusso. Stiamo valutando le implicazioni di introdurre tali banconote. In linea di principio non abbiamo niente contro questo progetto, ma stiamo valutando le implicazioni e spero che il signor Tremonti si renda conto che se tale banconota dovesse essere introdotta, egli perderebbe il diritto di signoraggio che si accompagna ad essa. Dunque se egli, come Ministro dell'economia, ne sarebbe contento non lo so. »

La Banca d'Italia definisce il proprio signoraggio in questo modo:
« Per signoraggio viene comunemente inteso l'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di moneta. Con riferimento all'euro il reddito da signoraggio generato dall'emissione della moneta è definito come reddito originato dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione e viene ricompreso nel calcolo del reddito monetario che, secondo l'articolo 32.1 dello Statuto del SEBC, è “Il reddito ottenuto dalle Banche Centrali Nazionali nell'esercizio delle funzioni di politica monetaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali. »
Il signoraggio derivante dall'emissione diretta di moneta da parte del governo viene incassato da questo, mentre quello derivante dall'emissione di moneta da parte della banca centrale viene in parte prelevato dal governo, sotto forma d'imposta, e il rimanente resta alla banca centrale, dove viene utilizzato per coprire i costi di funzionamento e, per l'eventuale parte eccedente, costituisce utile netto.

Le banche centrali possono essere enti pubblici (come la Banca di Francia) o società di capitali il cui capitale è interamente (come la Banca del Canada) o in maggioranza (come la Banca Nazionale Svizzera) di proprietà statale, in questi casi tale utile finisce per essere incassato, in tutto o in parte, dal governo.
La Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico ma le sue quote di partecipazione al capitale sono in grande maggioranza private: per il 94,33% di proprietà di banche e assicurazioni e solo per il 5,67% di enti pubblici (INPS e INAIL).

Lo statuto della Banca d'Italia, una volta pagate le imposte, concede di distribuire ai partecipanti solo una minima parte degli utili netti annuali, da spartirsi tra tuti in base alle quote possedute. Dal 20 al 40% degli utili netti viene aggiunto alle riserve valutarie ordinarie e/o straordinarie dell'istituto e la parte restante (dal 60% all'80%) viene trasferita al pubblico erario.
Ad esempio, come si evince dal Bilancio della Banca d'Italia per il 2009, a pagina 345 della Relazione Annuale, in quell'anno l'utile netto è stato di euro 1 668 576 514, ripartiti come segue:
allo Stato sono stati versati euro 1 001 130 308, corrispondenti al 60,00% dell'utile netto;
alle riserve ordinaria e straordinaria sono stati destinati euro 608 015 606 (calcolati come 333 715 303 + 333 715 303 − 59 415 000), corrispondenti al 36,44% dell'utile netto;
ai partecipanti sono stati versati euro 59 430 600 (calcolati come 9 360 + 6 240 + 59 415 000), corrispondenti al 3,56% dell'utile netto.

Larga parte degli utili distribuiti ai partecipanti viene calcolata come percentuale - non superiore al 4% - delle riserve detenute nell'anno precedente, come previsto dal comma terzo dell'art. 40 dello Statuto[18] che recita «Dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve, può essere, su proposta del Consiglio superiore e con l’approvazione dell’assemblea ordinaria, prelevata e distribuita ai partecipanti, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 39, una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve medesime, quali risultano dal bilancio dell’esercizio precedente». Nel 2009 si è trattato di un importo pari allo 0,5% dell’ammontare complessivo delle riserve al 31 dicembre 2008, cioè euro 59 415 000.
La parte rimanente, di importo generalmente trascurabile, non può, ex art. 39, commi 1 e 2, eccedere il 10% del capitale, corrispondente nel 2009 a euro 15 600.
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » lun mar 03, 2014 1:50 pm

Daniel Coaja de LIFE Trevixo:

E a£ora te mando sto link, se trata de’l steso video
http://www.youtube.com/watch?v=ic7CnpbTtZc#t=16

???

Sti ki li fa on mucio de dixinfornasion.

Li confonde el statal col piovego:

se sovien ke par piovego se entende el servisio o la funsion ma ki ke da el servisio o ke fa la funsion el pol esar anca el lebaro marcà e no el monopolio statal.

Ghemo espariensa de come ke tuti li servisi pioveghi ke li xe jestesti dal monopolio stadal e da li statali el costa de pì e el funsiona pexo, e tuto a scapito o a dan de li çitadini ke li staria mejo se a servirli a fuse el lebaro marcà, on servisio piovego fato dal lebaro marcà.

Se el stato el ghese en man la Banca Central a starisimo freski: el stanparia skei sensa endebitarse come sel fuse Dio sensa responsabeletà e a pagar a sarisimo naltri co l'enflasion, el ne ciavaria i skei xbasandoghe el so valor.

El fato ke la Banca Central no la sipia dal tuto en man al stado (al texoro e a la poledega) ma en çerta parte al marcà (a le banke, a le asicurasion, a istitudi pioveghi, evc.) co controlo piovego e ente na çertea mixura anca dei sparagnadori, lè na garansia en pì anca se en realtà na bona parte de le banke le xe "pioveghe come le Case de Risparmio e altre ke le xe de le fondasion a parteçepasion de enti pioveghi come le asoçasion de categoria, le CCIAA, le provinçe, i comouni, ... "

...

El debito piovego statal (e de tuti li so enti come le Rejon, i Comouni, li ospedali, evc. ) no lè na envension de le banke ma lè na realtà par tuti e ki ke lo ga fato xe sta la poledega par robarghe sora e par pagarghe i privileji a li parasidi, de li statali asenteisti, dei dipendenti pioveghi soranomerari, de le caste e de i clienti ke li sostegneva e ghe dava el voto.

El problema lè ke el stado el pol far debeto e ke naltri a no se mo boni de enpederghelo; ke ghè on sistema bancario en conbuta co li stati so cu no ghemo gnaon controlo;

se ghe fuse el lebaro marcà anca par i skei o moneda e fora dal controlo de li stadi e de le banke çentral a starisimo mile olte mejo a podarisimo torse i skei ke ne par pì boni par naltri e molarisimo coeli manco boni e tuto a ndaria mejo, anvençe semo drento l'enferno de on sistema statal-bancaro çentralexà ke ne mantien s'ciavi.

No xe le banke privade el nostro nemigo xe la banda basoti e mafioxa del stado çentral spoxà col sistema de le banke çentralexà ke ne mantien s'ciavi e ne rovina ... xe el monopolio ente tute le so forme direte o sconte ke ne fa morir e no el lebaro marcà vero ke par so nadura el saria soto el controlo de tuti i çitadini produtori e consumadori/cronpadori.

Se li skei li fuse en man al "texoro del stado talian" a starisimo ancora pexo, dal dito al fato a se catarisimo ente on stado totaledaro come la Corea del Nord.

El stado e le banke li ga fato el pato del diavolo a spexe de li pori sparagnadori cei, de le enprexe cee, de i soçi cei e de tuti i pori corentisti cei ke li x ela majoransa de li çitadini.
Ladro el stado e ladre le banke.

======================================================================================================================================

Daniel no sta mandarme ste robe ke el web el xe pien; pitosto vien ki a descorare co la to crapa, col to raxonar, ke a se confrontemo ... o anca ti, no te si pì bon de raxonar co la to testa?


Anca en LIFE xe rivà el virus:
http://archive.today/6B6VM
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Re: Signorajo (signoraggio) e ła purpietà de łe banke

Messaggioda Berto » gio mar 06, 2014 8:56 am

El monopołio monedaro o skearo de ła BCE e come ke ła BCE ła finansia łi gowerni

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... JpMk0/edit

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