La purpietà de le banke:http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf 7. Le frottole sulla Banca d’Italia 7.1 La Banca d'Italia non è una società per azioniUn'ulteriore frottola riguarda la Banca d’Italia: sarebbe una società per azioni (spa) poiché banche italiane e straniere ne possiedono il capitale.
In realtà la Banca è un istituto di diritto pubblico.
Lo stabiliscono la legge bancaria del 1936, la legge 262 del 2005 (legge sul risparmio), articolo 19 comma 2 e lo Statuto (articoli 1, 3, 5, 18, 20, 31 e 42) dove non si parla mai di società per azioni, srl, ecc.
Lo ribadisce anche la Corte di Cassazione : la Banca d'Italia “non è una società per azioni di diritto privato ... bensì un istituto di diritto pubblico”.E se fosse una società per azioni? Il proprietario potrebbe cedere liberamente le azioni, cosa vietata ai partecipanti al capitale della Banca, che cedono le quote di partecipazione (art. 3) solo “su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore”.
Si può ipotizzare che la Banca agisce come una spa. In tal caso varrebbero gli articoli 2325, 2346 del codice civile che parlano di azioni (art.:“Le quote di partecipazione dei soci -di una spa- sono rappresentate da azioni”). Azioni che nel caso della Banca d'Italia non esistono.
L'assemblea dei soci, se fosse una spa, nominerebbe (articolo 2364) gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale. Non esiste assemblea dei soci e i partecipanti non nominano il governatore Draghi né, in base all'articolo 2383 del codice civile, hanno potuto revocare il mandato al governatore Fazio.
Che la nomina e la revoca del Governatore non risponda alle regole valide per qualsiasi s.p.a. lo testimonia anche la legge 262 del 2005 che richiede (art.19 comma 8) che occorre un decreto del Presidente della Repubblica.
In conclusione, la Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico. Non è una spa, di cui non possiede le caratteristiche e di cui non rispetta le regole.
7.2 La frottola dei soci occulti della Banca d'Italia Un'altra frottola riguarda i soci della Banca d'Italia, che sarebbero ignoti, mentre Bankitalia sarebbe una società per azioni.
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Nel primo numero del 1994 il settimanale religioso Famiglia Cristiana ha scritto che l'elenco dei partecipanti era riservato.
Concetto ribadito da molti siti internet interessati al signoraggio.
La memoria rimanda alla bufala secondo cui Kennedy è stato ucciso per questioni legate al signoraggio. Se si cerca la fonte nel libro Il paese dell'utopia, si scopre che la fonte è un periodico religioso, che ha collegato la morte di Kennedy al signoraggio.
Insomma, che si tratti dell'uccisione di Kennedy o dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia, la fonte è sempre un periodico religioso. Non un testo di economia o di storia.
Ma cosa si sapeva prima del 2004?
Volendo, si poteva sapere tutto. Basta cercare i bilanci delle banche degli anni 1999-2001 per trovare indicazioni sulle quote del capitale della Banca d'Italia.
Ecco alcuni esempi. Nel bilancio della piccola Cassa di Risparmio di San Miniato del 2001 è iscritto lo 0,2173% del capitale della Banca d’Italia per un valore nominale di 652.000 lire.
Nel bilancio 2000 di Unicredit Group si trovano le quote (oltre il 10% in totale) possedute dalle nove controllate.
Il Banco di Sicilia nel 2000 aveva quote corrispondenti al 6,343% del capitale di Bankitalia.
Il Monte dei Paschi di Siena nel bilancio 2002 risulta avere 7500 quote.
Milano Assicurazioni nel 2001 aveva 2000 quote.
I dati nei bilanci delle singole banche erano quindi disponibili prima dell'elenco presentato da Mediobanca, che ha solo letto i bilanci di banche e assicurazioni prendendo nota delle quote del capitale di Bankitalia possedute da ciascuna.
Chiunque avrebbe potuto fare lo stesso. Bastava disporre dei bilanci delle banche. Ma nessuno l'ha mai fatto fino al 2003. I dati quindi non erano riservati. Semplicemente nessuno è mai andato a cercarli.
O forse nessuno ha mai cercato le fonti. Io ho chiesto aiuto al professor Gianni Toniolo, che mi ha consigliato di cercare i libri di Renato De Mattia. Ho trovato Storia del capitale della Banca d'Italia e degli istituti predecessori, edito dalla Banca d'Italia nel 1977.
Curioso che è stata la Banca a pubblicare su questo tema un libro consultabile in decine di biblioteche pubbliche in tutta Italia.
E colpisce che, come si può leggere a pag. XVIII della prefazione, il primo ad essersi occupato -con l'assenso del governatore Azzolini- del tema del capitale della Banca è stato, nel 1938, Paolo Baffi, che diventerà governatore.
Lo studio di Baffi, interrotto a causa della guerra, è stato poi ripreso, idealmente, da De Mattia a metà degli anni '70 ed sfociato in un voluminoso libro in 2 tomi edito dalla Banca d'Italia.
Ce n'è abbastanza per escludere una volontà di nascondere i dati da parte della Banca d'Italia.
De Mattia ricostruisce la storia della Banca d'Italia, che nasce nel 1893 dall'unione di diverse banche con diritto di emettere moneta presenti nel momento dell'Unità d'Italia. E' una società per azioni e le sue 300.000 azioni finiscono nelle mani di azionisti privati, in maggioranza liguri e piemontesi.
Le azioni sono quotate in molte borse italiane e, negli anni venti, il loro prezzo oscilla troppo. Così dopo la riforma bancaria del 1926, la Banca d'Italia decide un aumento di capitale. Si emettono 200.000 azioni, metà delle quali assegnate alle Casse di Risparmio, che si impegnano a non rivenderle per almeno 10 anni. Lo scopo è stabilizzare il prezzo delle azioni.
Le casse di risparmio si ripartiscono le azioni “in proporzione ai depositi amministrati” a fine 19279 e l'elenco è stato pubblicato nella Relazione all'adunanza generale straordinaria degli azionisti della Banca d'Italia del 18 giugno 1928. Sono 107 le casse che aderiscono all'aumento di capitale e i nomi si trovano nella tabella 20 del tomo II del libro di De Mattia, divise per aree geografiche.
La suddivisione regionale risponde a una esigenza di attenzione ai territori richiesta alla Banca, che nomina il Consiglio Superiore con diverse elezioni presso le sedi regionali.
Nel 1936 cambia tutto. La Banca d'Italia non è più una spa. Diventa un istituto di diritto pubblico.
Si procede al rimborso degli azionisti privati, che ricevono 1.300 lire per ogni azione posseduta e all'assegnazione, da parte di un Consorzio, delle quote del capitale da parte dei "partecipanti" che possono essere solo banche, assicurazioni e istituti di previdenza.
Il Consorzio decide che le casse di risparmio, che nel frattempo hanno comprato altre azioni (circa 42.000) nella speranza di contare di più nel rapporto con la Banca d'Italia10, investano nel capitale della Banca la somma derivante dalla rimborso delle azioni.
1300 lire per oltre 140.000 azioni (100.000 sottoscritte nel 1926 più quelle acquistate in seguito) danno luogo a un rimborso di oltre 185 milioni di lire, reinvestiti, da 88 casse in 185.056 quote (su 300.000 totali).
La maggioranza del capitale è in mano alle casse di risparmio, che tuttavia decidono poco o, meglio, nulla, come ha raccontato lo storico Luigi De Rosa.Le restanti 114.944 quote sono ”ripartite pro rata fra gli alti enti e istituti nominati dalla legge partecipanti al consorzio”, vale a dire tra 11 banche, assicurazioni e l'INPS che ottiene 15.000 quote.
Tutto ciòè raccontato da De Mattia nel libro del 1977, ma era noto già nel 1937.
Basta procurarsi l'Adunanza generale ordinaria dei partecipanti di Banca d'Italia relativo al 1936, l'equivalente dell'epoca della Relazione annuale del governatore per leggere a pagina 71 che:
"Al 31 dicembre 1936, gli enti e istituti possessori delle 300 mila quote di partecipazione al
capitale della Banca erano suddivisi nelle seguenti categorie:
Casse di risparmio, n.88 per quote 185.056
Istituti di credito e banche di diritto pubblico, n.11 per quote 68.444
Istituti di previdenza, n.1 per quote 15.000
Istituti di assicurazione n. 9 per quote 31.500"
De Mattia offre dati più particolareggiati, perché -si può supporre- ha avuto a disposizione documenti presenti solo nell'archivio romano della Banca.
E' così possibile conoscere la distribuzione delle quote per per categorie di soggetti proprietari e in base alla distribuzione territoriale (tabella 21, tomo II), distribuzione utile a capire quali banche possedessero quote.
Ad 20http://econoliberal.blogspot.com esempio esiste un solo istituto di diritto pubblico toscano: può solo essere il Monte dei Paschi di Siena; un solo istituto in Piemonte, che possiede 2500 quote: è l'Istituto Bancario San Paolo.
Infine De Mattia racconta i pochi passaggi di proprietà delle quote dal 1937 in poi. In pratica il capitale della Banca è rimasto sempre nelle stesse mani. Fino al 1992, aggiungo io, quando arriva la legge Amato-Ciampi che dà il via al valzer delle fusioni e acquisizioni bancarie e, con esse, all'aggregazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, possedute oggi per oltre il 42% dal gruppo Intesa-San Paolo direttamente e indirettamente attraverso le banche controllate, come la Cassa di Risparmio di Bologna.
Il fatto che solo nel 2003 siano saltate fuori notizie sui partecipanti al capitale si spiega con i pochi passaggi di quote da una banca all'altra. Un tema interessa se cambia qualcosa. La distribuzione del capitale della Banca d'Italia è rimasto praticamente invariato per decenni e a pochi è venuta la voglia di occuparsi dell'argomento.
7.3 Banca Centrale, potere effettivo, conflitto di interessi e proprietà delle bancheI partecipanti al capitale della Banca d'Italia non sono azionisti qualsiasi. La legge bancaria del 1936 art. 2012 riserva le quote a banche, assicurazioni e istituti di previdenza rimasti fino al 1992 di proprietà pubblica.
Oggi tra i principali azionisti delle banche, trasformate in spa o banche di credito cooperativo dalla legge Amato-Ciampi (o Amato-Carli del 1990 ?) del 1992 (o del 1998 ?), ci sono le fondazioni bancarie, i cui consigli di amministrazione sono nominati dagli enti locali e dalle organizzazioni professionali.
Anche se trasformata in spa, la proprietà di molte banche resta sotto il controllo pubblico sotto forma di fondazione bancaria.
Perciò se dovessimo applicare la logica di chi dice che la Banca d'Italia è privata perché sono privati i suoi azionisti, dovremmo concludere che la Banca non è affatto privata e, paradossalmente, non sarebbe privata neppure se fosse organizzata come una società per azioni.
Infatti le banche -seguendo tale logica- sono da considerarsi pubbliche, visto che le fondazioni che le controllano non appartengono ad azionisti privati né seguono interessi privati.
Ma se le banche che possiedono quote del capitale della Banca d'Italia non sono private, neanche la Banca lo è e non lo sarebbe neanche se fosse organizzata sotto forma di spa.
Il potere effettivo degli azionisti è di fatto nullo.
Lo disse nel 1926 J.M.Keynes che riferendosi alla Banca d'Inghilterra ha scritto: è un “caso di istituzione che teoricamente è di proprietà assoluta di alcune persone private” ma che “non vi è classe di persone nel Regno quanto i suoi azionisti cui il governatore della Banca d'Inghilterra pensi di meno quando decide circa la sua politica”.
Senza potere, scompare il conflitto di interessi, in nome del quale, peraltro, già nel 1936 lo Statuto della Banca esclude dal Consiglio superiore della Banca gli amministratori delle banche. Ce lo ricorda lo storico De Rosa14 che racconta di come il presidente dell'Associazione delle casse di risparmio italiane, De Cataldo, dopo aver chiesto alle banche associate di convertire le 140.000 azioni possedute e di incrementare il numero delle quote di Bankitalia, puntasse a far valere il peso degli associati nella nuova Banca d'Italia.
Attesa delusa. Il governatore Azzolini spiegò che era stato Mussolini a volere l'esclusione degli amministratori delle banche dal Consiglio superiore “sulla base del principio che gli Istituti vigilati non potevano diventare nello stesso tempo organi vigilanti”.
7.4 All'estero: le banche che la FED non controlla Paul Krugman offre un dato ulteriore: negli USA ci sono banche non controllate dalla Banca Centrale, la FED. Sono dette banche di fatto, banche-ombra o sistema bancario parallelo. I loro asset, ha spiegato il segretario al Tesoro americano Geithner sono “collocati al di fuori del sistema bancario tradizionale”. Le Banche Centrali sono così potenti, che molte banche sfuggono al loro controllo!
Si deve notare che la Deutsche Bundesbank è una persona giuridica federale di diritto pubblico il cui capitale è posseduto dalla Repubblica. In Francia è una istituzione il cui capitale è posseduto dallo Stato. Nel Regno Unito la legge 14 febbraio 1946 trasferisce l'intero capitale al Tesoro indennizzando i possessori di capitale. Da allora la Banca non versa più dividendi ma versa al Tesoro, due volte l'anno, una certa quota degli utili
7.5 Perché lo stato italiano non compra la Banca d'Italia?Chi crede che il signoraggio sia un problema pensa che la soluzione sia la nazionalizzazione della Banca d'Italia che, divenuta pubblica, sarebbe costretta a fare ciò che vuole il governo ovvero il popolo che lo elegge.
Lo stato potrebbe certo acquistare la Banca d'Italia, forte della mancanza di poteri da parte dei partecipanti al capitale. Ma non succede. Perché?
Lo si può capire leggendo il bilancio di Banca Carige dove17 si legge: “Tra i titoli di capitale figura la partecipazione nella Banca d'Italia contabilizzata per 791,6 milioni; tale valore deriva dalla valutazione al fair value - utilizzando il patrimonio netto quale proxy attendibile di tale valore - effettuata sulla base dei dati di bilancio della Banca d'Italia al 31/12/2008, coerentemente con il criterio contabile adottato per la redazione del bilancio consolidato del Gruppo e di quello d’esercizio della Banca al 31 dicembre 2008”.
In soldoni la partecipazione di Banca Carige, che è del 4% delle quote della Banca, varrebbe quasi 800 milioni di euro. Ciò significa che la Banca d'Italia vale circa 20 miliardi di euro, quasi l'1,5% del PIL.
Può lo stato italiano permettersi di spendere tale somma per acquisire i titoli di una Banca e sottrarre poteri a chi ne ha pochissimi?
Che lo stato spenda 20 miliardi in cambio di poteri modesti è improponibile, e quindi le quote del capitale restano in mano a chi le possiede da circa 75 anni.
8. Le frottole sulla sentenza del giudice di pace di LecceNel 2005 un cittadino ha chiesto al giudice di pace di Lecce di dichiarare “che la proprietà della moneta è della collettività e inoltre che il debito pubblico non esiste, poiché va considerato credito pubblico”.
E' una richiesta infondata: se il debito pubblico fosse un credito, chi possiede BOT e CCT sarebbe un debitore. Dovrebbe pagare il debito invece di incassare il capitale prestato al vero debitore, lo Stato.
Un giudice di pace di Lecce, a differenza di molti colleghi, non ha respinto la domanda, e ha condannato la Banca d'Italia a pagare 87 euro, il presunto signoraggio spettante a ogni italiano. Poi la palla (è il caso di dirlo) è passata alla Corte di Cassazione, dove il cittadino non s'è presentato e la sentenza di Lecce è stata cancellata.
Dopo la prima sentenza, uno studio legale ha commentato la decisione del giudice di pace, smascherando alcune frottole sull'argomento.
Le motivazioni, si spiega, “appaiono estremamente labili e... destinate a soccombere in Cassazione”. “Il ricorso al giudice di pace appare una specie di scorciatoia per... ottenere sentenze-pilota a supporto delle proprie altisonanti teorie”.
Ma soprattutto si chiarisce che: “La domanda di accertare a chi appartiene la moneta appare un quesito filosofico”.
La vicenda appare ridicola e chi scrive si sente “in dovere di precisare che quanto sopra risulta interamente da una sentenza della Repubblica, e stiamo commentando una causa vera, e non una poesia di Trilussa.“
E' interessante notare che il consulente tecnico “il perito d’ufficio ha determinato l’importo di 87 euro” estrapolando “dai bilanci della Banca d’Italia dal 1996 al 2003 (chissà poi perché solo quelli) l’utile d’esercizio”.
La perizia riconduce il signoraggio all'utile di esercizio indicato nei bilanci ufficiali della Banca, mentre non abbraccia alcuna teoria dei finti esperti di signoraggio.