Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » sab giu 17, 2017 7:39 am

“Il socialismo è come uno di quegli orribili virus. Non appena trovi un rimedio contro una versione, ecco che s’evolve spontaneamente in un’altra. In passato, c’erano la nazionalizzazione, la spoliazione fiscale e l’economia pianificata. Oggigiorno, il socialismo viene più spesso presentato in veste d’ambientalismo, di femminismo o di preoccupazione internazionale per i diritti umani. Tutto ciò suona bene, in astratto. Ma grattate la superficie e, molto probabilmente, troverete anticapitalismo, quote paternalistiche e distorsive, e intrusioni nella sovranità e nella democrazia delle nazioni. Slogan nuovi: vecchi errori.”
Margaret Thatcher
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Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » sab giu 17, 2017 7:42 am

???

Il mito della globalizzazione Umberto Galimberti

http://notedipastoralegiovanile.it/inde ... i&Itemid=1

La globalizzazione degli scambi pone fine all'universalità dei valori.
È il trionfo del pensiero unico sul pensiero universale. [...]
Alla fine del processo non si ha più differenza tra il globale e l'universale.
Anche l'universale viene globalizzato, la democrazia e i diritti dell'uomo circolano esattamente come qualsiasi prodotto globale, come il petrolio o come i capitali.
J. BAUDRILLARD, Power Inferno (2002), p. 57.

1. Ricchezza economica e potenza tecnica a fondamento dei valori dell'Occidente

Dopo il crollo delle due Torri di Manhattan l'Occidente ha improvvisamente riscoperto i suoi valori. Li ha riconosciuti nella libertà e nella democrazia, che ha faticosamente guadagnato nel corso della sua storia e, compatto, si sta disponendo a combattere il terrorismo islamico, il fondamentalismo e il fanatismo, individuati come minaccia per il futuro della propria civiltà. Così ridisegnato il quadro, si sa chi è il nemico e presumibilmente quali sono le cose da fare, che sono poi quelle che si sono sempre fatte, quando il nemico è stato individuato.
Questa logica è vecchia quanto il mondo, ma forse oggi non è più utilizzabile, se vale l'ipotesi che forse il "nemico" non è l'espressione di una cultura altra che si contrappone all'Occidente, ma può essere generato dalla cultura e dalla pratica stessa dell'Occidente, i cui valori sono sì la libertà e la democrazia, ma solo come "derivati" di altri valori ben più fondanti che sono la ricchezza economica e la potenza tecnica. Se questi crollano anche libertà e democrazia vanno alla deriva, come noi europei abbiamo visto negli anni tenebrosi dell'esperienza nazista.
Colpendo i simboli della ricchezza economica e dell'apparato tecnico-militare, i terroristi hanno messo in evidenza quali sono i veri fondamenti dei nostri valori, incrinati i quali, inevitabilmente si ridurranno anche per noi gli spazi di libertà, i margini di sicurezza e speriamo non anche gli spazi di democrazia.
A questo punto dobbiamo cominciare a pensare non tanto a come individuare il nemico che, fuori dall'Occidente, ci minaccia, quanto a quel nesso che rende la nostra libertà e la nostra democrazia dipendenti dal benessere economico, la cui crescita, che sembra debba essere senza limiti, non importa a spese di chi, genera inevitabilmente il nemico.
E come si fa a combattere un nemico generato dalle stesse pratiche economiche che sono a fondamento della nostra libertà e della nostra democrazia, ossia dei valori in cui l'Occidente si riconosce? Qui il circolo vizioso si fa stringente, ma anche tragico, perché là dove il nemico è generato da noi la contrapposizione amico/nemico, su cui finora ha marciato la storia, è azzerata. E riprendere questo schema nella lotta al terrorismo vuol dire non aver capito che le pratiche economiche, che consentono a noi libertà e democrazia, sono le stesse che altrove generano, quando non la fame, la malattia e la morte, senz'altro schiavitù e ribellione.
Qui l'Occidente deve cominciare a pensare se davvero può reggere un sistema dove, come abbiamo già segnalato, 800 milioni di occidentali dispongono dell'83 per cento del reddito mondiale, mentre 1'82 per cento della popolazione mondiale, più o meno cinque miliardi di persone, si spartisce il restante 17 per cento. Occorre pensare se davvero non crea alcun problema il fatto che l'Occidente consuma il 70 per cento di energia, il 75 per cento di metallo, 1'85 per cento di legno, e considerare se non è un po' sproporzionato che le dieci persone più facoltose del mondo possiedono patrimoni che equivalgono a una volta e mezzo il reddito dei 48 paesi meno fortunati del mondo.
Di fronte a questi dati, forniti nel 1997 dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, si obietterà che non c'è alcuna relazione causale tra la povertà nel mondo e il gesto terroristico, perché chi non ha neppure i soldi per mangiare non ha la possibilità di compiere atti che richiedano molto denaro, assiduo addestramento e una notevole competenza tecnica. Certo non c'è nessun rapporto causale. Ma solo perché la storia, a differenza dei congegni meccanici, non ha mai proceduto per cause ed effetti, ma per speranze di vita e margini di futuro.
All'epoca in cui Usa e Urss si spartivano l'influenza sui popoli della terra, per questi popoli c'era un margine di speranza da giocare sfruttando la conflittualità tra americani e sovietici. Ora che l'Unione Sovietica non c'è più, a tutti i popoli che non appartengono al Primo mondo non resta altro futuro se non quello di subire le condizioni poste dal Primo mondo, che è "primo" solo perché e finché persegue la sua crescita economica senza porsi alcun limite.
Qui i margini di futuro si fanno esigui e togliere il futuro a una quantità immane di umanità che abita l'America Latina, l'Africa e l'Asia, senza prevedere una risposta disperata e tragica per tutti, come può essere quella dei popoli senza speranza, è davvero da ingenui o da supponenti.
I popoli senza futuro, se non quello previsto per loro dalla logica economica del Primo mondo, non hanno la possibilità di scatenare una guerra al Primo mondo. E allora, se non scelgono la via della rassegnazione, frange e movimenti possono purtroppo pensare all'arma esecrabile del terrorismo, che non è "nobile" come una guerra dove due eserciti si fronteggiano, ma è l'unica praticabile per chi non può mettere in campo una forza militare e al tempo stesso trova insignificante e indegna una vita che altri decidono per lui, in condizioni di povertà, malattia e morte, come le storie quotidiane del Terzo e del Quarto mondo sono lì ogni giorno a documentare.
Proviamo a indagare il progetto omicida dei kamikaze. Sanno che devono morire, sanno che non vedranno il futuro che con il loro gesto sperano di inaugurare, e allora se vanno volontariamente contro la morte è perché considerano che la loro vita è una non-vita, è già una morte. E qui non si segua lo schema semplicistico secondo cui i kamikaze sono fanatici cui si è fatto credere un paradiso che non c'è, perché, se questo discorso può essere in parte valido per il giovane palestinese che si fa saltare in aria in territorio israeliano, è molto improbabile per piloti addestrati, con un'alta competenza tecnica come la si trova solo da noi in Occidente.
No. Non è fanatismo. È disperazione. È la logica violenta dell'impotenza che risponde alla logica violenta della potenza. Perché se è solo l'interesse economico a decidere quali azioni sono giuste o ingiuste, quali popoli, e dico "popoli" e non "nazioni", sono da punire e quali da proteggere, crediamo davvero di disporre di un criterio giusto e soprattutto tale da non scatenare la reazione terroristica di chi non rientra in questo criterio e insieme non ha i mezzi per mettere in campo un esercito e affrontare il "nemico" a viso aperto?
La violenza può essere elegante come quella occidentale che si esprime con la sua ferrea logica economica e, quando è il caso, con le bombe intelligenti che sbagliano di frequente i loro bersagli, o può essere rozza e proditoria come quella terroristica che fa vittime innocenti, ma non meno innocenti dei bambini che per dieci anni sono morti in massa in Iraq per via dell'embargo occidentale.
Ma la differenza tra eleganza e rozzezza è una vera differenza? O non è più giusto considerare che quando si regolano i rapporti con il resto del mondo meno fortunato di noi, e in parte per causa nostra, in termini di violenza (sia pure elegante come può essere un rigido condizionamento economico o una guerra a viso aperto, e per una causa che, a partire dagli interessi che la promuovono, viene percepita dagli occidentali come "giusta"), possiamo davvero pensare che la risposta non sia altrettanto violenta con i mezzi che i poveri hanno a disposizione?
La globalizzazione attuata solo a partire dagli interessi economici dell'Occidente rischia di generare il terrorismo. E il nostro secolo sarà il secolo del terrorismo se non introdurremo nel processo di globalizzazione, oltre a quello economico, altri criteri quali l'emancipazione dei popoli, il loro acculturamento, l'acqua, il cibo e le medicine per la loro sete, la loro fame, le loro malattie e, insomma, un po' di futuro per chi non ne vede alle condizioni poste da noi occidentali.
Perché chi è senza futuro è capace di suicidarsi non per depressione come noi occidentali, ma per un progetto, per quanto esecrabile e omicida, che neppure vedrà realizzato. Questa differenza antropologica così radicale va tenuta in massimo conto, perché ci dice che gli uomini e le culture non sono tutti uguali, e l'uniformità antropologica cui tende il processo di globalizzazione, se mai dovesse essere un valore funzionale alla tecnica e all'economia dell'Occidente, non è cosa che si realizza dall'oggi al domani. Anzi io spero che non si realizzi mai.
Dopo la tragedia di Manhattan il Senato americano ha intonato il canto "Dio salvi l'America". Ma il Dio che gli americani invocavano a loro protezione è lo stesso Dio che i musulmani invocano. E allora, se sono tutti figli dello stesso Dio, non sono certo la religione, o il fanatismo che la religione può innescare, a contrapporre così tragicamente l'uno all'altro. Ci deve essere qualche altra ragione, non religiosa, non fanatica, non folle, quindi razionale, alla base di questa contrapposizione.
E allora tocca a noi occidentali, che abbiamo fatto della conquista della razionalità la nostra prerogativa, andare a cercare la ragione, e magari prendere in considerazione l'ipotesi se non sia proprio la nostra pratica economica, che a noi garantisce i valori di libertà e democrazia, a generare i nostri "nemici", innescando così quel circolo vizioso che annulla, per la prima volta nella storia, l'antica logica amico/nemico, perché, per la prima volta nella storia, il nemico non è fuori di noi, di fronte a noi, altro da noi, ma nasce come effetto delle condizioni di vita che siamo stati in grado di garantire solo per noi.

2. L'esportazione dei valori occidentali e il mercato dell'odio

Durante una visita in Italia, il presidente egiziano Mubarak ha dichiarato che:

Non si può imporre agli arabi la democrazia a tutti i costi, perché questo può spalancare le porte dell'inferno e farci piombare in un vortice di violenza e di anarchia che non risucchierà soltanto noi, ma anche chi ci è vicino. E allora addio a ogni barlume di democrazia nel mondo arabo. E questo perché da un lato il Medio Oriente allargato è un mosaico di popoli, di tradizioni, di modi di vita, di economie, dove non si può imporre un'unica soluzione preconfezionata in un'area sconfinata che va dalla Mesopotamia al Pakistan, e dall'altro lato perché l'introduzione della democrazia non si fa con la bacchetta magica. Servono tempo e il rispetto delle tradizioni e della cultura che si modificano gradualmente. Altrimenti si finisce per rafforzare gli elementi più radicali, come è successo in Algeria e come può succedere ovunque se al Parlamento vincesse una maggioranza estremista.1

La tesi di Mubarak, secondo cui esportare democrazia, magari in compagnia del libero mercato, non può che generare spaventosi disordini e conflitti, è condivisa anche dalla cinese Amy Chua, professoressa alla Law School della Yale University, la quale si chiede: "Esportare democrazia e libero mercato genera conflitti etnici?". La risposta è sì, perché:

Il mercato concentra la ricchezza, — una ricchezza spesso stratosferica — nelle mani di una minoranza economicamente dominante, mentre la democrazia accresce il potere politico della maggioranza impoverita. In queste circostanze l'introduzione della democrazia liberista innesca un etno-nazionalismo dalle potenzialità catastrofiche scagliando la maggioranza "autoctona", facilmente istigata da politici opportunisti in cerca di voti, contro una minoranza etnica facoltosa e detestata. Scontri di questo genere si stanno verificando in tutta una serie di paesi, dall'Indonesia alla Sierra Leone, dallo Zimbabwe al Venezuela, dalla Russia al Medio Oriente. [...] Negli ultimi vent'anni, gli americani hanno promosso con energia nel mondo intero sia l'apertura al mercato che la democratizzazione. Così facendo, ci siamo attirati addosso l'ira dei dannati.2

Ma perché democrazia e libero mercato, che sono l'ossatura della cultura europea e americana, creano negli altri paesi una miscela esplosiva? La ragione, secondo Amy Chua,3 va cercata nel fatto che, tra una maggioranza democratica povera e una minoranza economicamente dominante, non sempre la prima ha la meglio. Al contrario, in alcune circostanze, anziché una reazione contro il mercato si verifica una reazione contro la democrazia. Di frequente, infatti, le ripercussioni antidemocratiche si manifestano nella forma di un "capitalismo clientelare", che è poi un'alleanza corrotta e simbiotica fra i leader locali e la minoranza economicamente dominante.
Per il mercato globale questa soluzione risulta molto comoda perché il regime locale protegge il patrimonio e le aziende della minoranza dominante, e in cambio la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale forniscono prestiti al paese. Nel breve periodo il risultato di tale fenomeno consiste in un aumento vertiginoso degli investimenti esterni, nello sviluppo economico e nell'arricchimento dei governanti e dei loro accoliti. Al contempo, tuttavia, la collera intestina del paese comincia a ribollire e prima o poi - in genere prima - la situazione si fa esplosiva.
La democrazia, purtroppo, non lenisce il risentimento, anzi: accentuando la voce politica e il potere della maggioranza autoctona, la democrazia favorisce l'ascesa di demagoghi che, per motivi opportunistici, fomentano l'odio delle masse contro la minoranza disprezzata, rivendicando la restituzione del patrimonio nazionale ai "veri proprietari del paese". La conseguenza è che, fuori dell'Occidente, l'aspirazione alla democrazia liberista, nella sua forma più cruda d'esportazione, non genera pace e prosperità diffuse, ma confische a sfondo etnico, ripercussioni di stampo autoritario ed eccidi.
Queste cose noi europei dovremmo saperle, dal momento che per secoli abbiamo pensato che il conflitto di classe rende il suffragio universale, e quindi la democrazia, inconciliabili con un'economia di mercato. Già nel Settecento, nell'Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, che possiamo considerare il testo fondativo dell'economia politica, Adam Smith teorizzava che il mercato avrebbe determinato una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, mentre la democrazia, conferendo potere anche alla maggioranza povera, avrebbe inevitabilmente generato sollevazioni, ribellioni, espropriazioni e confische. E proprio a partire da queste premesse, Adam Smith scriveva:

Per un solo uomo ricchissimo ci devono essere perlomeno cinquecento poveri, anche se poi l'abbondanza del ricco suscita l'indignazione dei poveri, che sono spinti dal bisogno e sollecitati dall'invidia a invadere le sue proprietà.4

In termini analoghi si esprimeva James Madison, che avvertiva il pericolo rappresentato da "un'uguaglianza e universalità del suffragio, che pone il pieno potere sulla proprietà in mani che non vi partecipano".5 David Ricardo, dal canto suo, sosteneva "l'accesso al suffragio solo per quella parte della popolazione che non si possa reputare interessata a sovvertire i diritti di proprietà".6 Mentre lo statista britannico Thomas Babington Macaulay si è spinto anche oltre, presentando il suffragio universale come "incompatibile con la proprietà e pertanto incompatibile con la civiltà stessa".7
In Italia il suffragio universale, limitato ai possessori di beni, fu elevato da tre milioni a otto milioni all'inizio del secolo scorso da Giolitti, e solo nel 1945 fu esteso a tutta la popolazione, donne comprese. Come è stato possibile in Occidente rendere compatibile il potere elettorale dei numeri, quindi la democrazia, con il potere di proprietà, fondamento del capitalismo? In un solo modo: attraverso consistenti piani di tassazione, che consentissero una redistribuzione della ricchezza in quelle forme che siamo soliti riconoscere nell'istruzione gratuita, nell'assistenza sanitaria, nel sistema pensionistico, nei sussidi alla disoccupazione e in generale in tutte quelle forme che si lasciano riassumere nell'espressione welfare o stato sociale.
A partire dai primi decenni del Novecento, l'espansione capitalistica si è associata, in Occidente, alla nascita di istituzioni deputate alla redistribuzione che potevano vantare un raggio d'azione senza precedenti e stemperare gli effetti più disumani del capitalismo. Il risultato benefico è stato che nell'Occidente industrializzato le istituzioni preposte alla redistribuzione hanno contribuito ad attenuare il conflitto tra le disparità di reddito generate dal mercato e la politica democratica. Per contro, osserva Amy Chua:

La versione del capitalismo promossa nell'odierno mondo non-occidentale presenta una natura sostanzialmente liberista e solo di rado contempla l'esistenza di meccanismi di redistribuzione. In altri termini, gli Stati Uniti stanno esportando con ostinazione un modello di capitalismo che gli stessi paesi occidentali abbandonarono un secolo fa. Più in generale, è fondamentale riconoscere che la formula di democrazia liberista imposta al momento all'esterno dell'Occidente - l'aspirazione simultanea al capitalismo liberista e al suffragio universale - non è mai stata adottata nel corso della storia da alcun paese occidentale. Si tratta di un atteggiamento sensato? Quasi per definizione, nei paesi in via di sviluppo, i poveri sono molto più numerosi, la povertà è molto più estrema e l'ineguaglianza molto più evidente che nelle società occidentali, oggi come in qualsiasi altra epoca storica. Il boom demografico che si sta registrando attualmente al di fuori dell'Occidente non fa che peggiorare le cose.8

Se le recenti previsioni della Banca mondiale corrispondono a realtà, la popolazione dei paesi al momento considerati in via di sviluppo aumenterà dai quasi quattro miliardi di persone attuali a circa otto miliardi nel 2050. Al contempo, nei paesi poveri di tutto il mondo manca la tradizione dello stato di diritto invalsa da lungo tempo in Occidente. Di conseguenza, la transizione politica dei paesi in via di sviluppo si contraddistingue non tanto per la continuità e il compromesso, quanto per improvvisi sollevamenti, interventi militari, violenze e carneficine. Ciononostante, scrive Amy Chua:

La ricetta universale oggi impiegata per curare il "sottosviluppo", elaborata e promulgata in misura considerevole dagli Stati Uniti, consiste fondamentalmente nelle seguenti indicazioni: si prenda la forma più cruda di capitalismo, la si mescoli a casaccio con la forma più grezza di democrazia e si esporti la miscela precotta nei paesi più poveri, frustrati, instabili e disperati del mondo. Si aggiunga al quadro qualche minoranza economicamente dominante, e l'instabilità insita in questa versione primitiva della democrazia sarà aggravata all'ennesima potenza dalle forze manipolabili dell'odio etnico.9

Che fare? Se libero mercato e democrazia, senza redistribuzione della ricchezza o, come noi siamo soliti dire, senza "stato sociale", sono incompatibili perché, come diceva Adam Smith, il potere dei numeri (la democrazia) mal si concilia con il potere della proprietà (il capitalismo), sarà necessario esportare, insieme alla democrazia e al capitalismo, anche la redistribuzione della ricchezza e lo stato sociale. Ma sembra che la tendenza del nostro tempo cammini in senso inverso, e preveda non solo la non esportazione dello stato sociale nel mondo non occidentale, ma addirittura la sua erosione, quando non il suo smantellamento, anche qui da noi, in Occidente. Attendiamone gli effetti.

3. La globalizzazione dei valori occidentali e la risposta terroristica

Che rapporto c'è tra globalizzazione e terrorismo? La risposta più facile è quella che vede nel terrorismo una forma di contestazione politica dell'ordine mondiale promossa dall'unica superpotenza rimasta sul pianeta. Ancora più facile è la risposta che vede nei terroristi dei folli suicidi, dei fanatici di una causa perversa, manipolati da chi sfrutta il risentimento e l'odio dei popoli oppressi.
Queste ipotesi non convincono Jean Baudrillard e quanti, come me, rifiutano di leggere la storia come una successione di cause ed effetti, secondo quella logica causale a cui si attiene la ragione quando vuole interpretare qualcosa in modo convincente. In realtà prima della logica causale e sotto la logica causale lavora in modo ben più efficace e più profondo la logica simbolica, per cui nessuna epoca storica sarebbe in grado di giustificare i suoi eventi prescindendo dalla simbolica che governa l'epoca stessa, quale potrebbe essere, a titolo di esempio, l'idea di destino per l'antica Grecia, l'idea di Dio per il Medioevo, l'idea di uomo per l'Umanesimo, l'idea di ragione per l'Illuminismo e, proviamo a dire, l'idea di globalizzazione per l'età contemporanea.
Ma che cos'è veramente la globalizzazione? La globalizzazione è il degrado, quando non l'estinzione, di quello che gli illuministi chiamavano universalizzazione dei diritti umani, della libertà, della cultura, della democrazia. La globalizzazione, infatti, riguarda solo l'economia, la tecnica, il mercato, il turismo, l'informazione. La sua espansione sembra irreversibile, mentre i valori universali sembrano in via di estinzione. Per cui, scrive Baudrillard: "La globalizzazione degli scambi pone fine all'universalità dei valori".10
Per effetto di questo decorso, il pensiero unico finisce con il trionfare sul pensiero universale, con la conseguenza che non si riescono più a integrare le singolarità e le particolarità in una cultura universale della differenza, perché, prosegue Baudrillard:

La globalizzazione trionfante fa tabula rasa di tutte le differenze e di tutti i valori, inaugurando una cultura (o un'incultura) perfettamente indifferente [...]. Non avendo più nemici, la globalizzazione li genera dall'interno e secerne metastasi disumane di ogni genere.11

Sopprimendo ogni forma di singolarità, particolarità, individualità, identità e differenza, la globalizzazione genera il rigetto non solo della tecnocrazia occidentale che abolisce tutte le differenze, ma anche della persuasione mentale, tipica della tecnica perché a essa funzionale, secondo la quale tutte le culture sono equivalenti. A questo punto, si domanda Baudrillard:

Chi può dare scacco al sistema globale? Certo non il movimento no global che ha come unico obiettivo quello di frenare la deregulation. L'impatto politico può essere considerevole, ma l'impatto simbolico nullo. Quel tipo di violenza è una sorta di peripezia interna che il sistema può superare restando padrone del gioco.12

Sappiamo bene che a dare scacco a un pensiero unico dominante non può essere un contro-pensiero unico (come quello dei no global) perché, per la logica simbolica, quando ci si mantiene sul medesimo terreno di opposizione, ogni conflitto, così come si genera, si riassorbe. A dare scacco a un pensiero unico possono essere solo le singole particolarità, di cui il terrorismo è una forma, la più violenta, che vendica tutte le culture particolari che hanno pagato, con la loro scomparsa, l'instaurazione di una potenza mondiale unica. Se ciò è vero, scrive Baudrillard:

Non si tratta quindi di un conflitto di civiltà, ma di uno scontro quasi antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di alterità irriducibile. Per la potenza globale, non meno integralista dell'ortodossia religiosa, tutte le forme differenti e particolari sono eresie. In questo senso sono votate a rientrare per amore o per forza nell'ordine globale, o scomparire. La missione dell'Occidente (o piuttosto dell'ex Occidente, perché da gran tempo non ha più valori propri) consiste nel sottomettere con tutti i mezzi le culture multiple alla legge feroce dell'equivalenza. Una cultura che ha perduto i suoi valor i non può che vendicarsi su quelli degli altri.13

Anche le guerre, quella del Kosovo, quella dell'Afghanistan, quella dell'Iraq, hanno come obiettivo primario, aldilà delle strategie politiche o economiche, quello di ridurre ogni zona refrattaria, di colonizzare e addomesticare tutti quelli che per la globalizzazione sono territori selvaggi, in quello spazio che, più che geografico, è spazio mentale. Perché, continua Baudrillard:

È inaccettabile, per l'Occidente, che la modernità possa essere rinnegata nella sua pretesa universale. Che non appaia come l'evidenza del Bene e come l'ideale naturale della specie, che sia messa in dubbio l'universalità dei nostri costumi e dei nostri valori - sia pure da certi personaggi immediatamente bollati come fanatici -, tutto questo è un crimine contro il pensiero unico e contro l'orizzonte consensuale dell'Occidente.14

Ma all'interno di questa consensualità c'è anche, sotto traccia, la sofferenza dei privilegiati nella globalizzazione, costretti a sottomettersi alle regole ferree della tecnologia, alla tirannia della realtà virtuale, al dominio delle reti e dei programmi che, a parere di Baudrillard, "delinea forse il profilo involutivo dell'intera specie, della specie umana divenuta globale".15
A questo punto il terrorismo, "oltre che sulla disperazione visibile degli umili e degli offesi, poggia anche sulla disperazione invisibile dei privilegiati nella globalizzazione",16 i quali, anche se inconsapevolmente e involontariamente, vengono in qualche modo incontro alla destabilizzazione violenta dell'atto terroristico. E in effetti, senza questa complicità interna, che non ha nulla a che fare con una complicità oggettiva, "senza l'ipotesi di questa coalizione segreta, di questa predisposizione complice, non si capisce nulla del terrorismo e dell'impossibilità di venirne a capo".17
Se il progetto terroristico "è quello di destabilizzare l'ordine mondiale con le sue sole forze, in uno scontro frontale, l'obiettivo del terrorismo è assurdo", 18 perché il rapporto di forze è troppo diseguale. Ma proprio questo "assurdo", questo "non-senso" fa da specchio al non-senso che si annida all'interno del sistema, e che più o meno inconsciamente tutti noi avvertiamo quando ci percepiamo sempre meno come persone e sempre più come funzionari di un apparato tecnico-economico che nulla ha in vista se non il proprio autopotenziamento.
Più che delle armi tecnologiche dell'Occidente, la cosa essenziale di cui i terroristi si appropriano, facendone un'arma decisiva, è esattamente questo "non-senso" che ciascuno di noi percepisce come negazione della propria individualità e specificità nella globalizzazione tecnico-economica del mondo.
Altro che il Bene contro il Male, altro che Occidente contro Islam. È nello stesso Occidente che si è creata una sorta di insicurezza mentale circa il senso della propria esistenza, in un mondo economicamente e tecnicamente globalizzato che non ammette singolarità, individualità, particolarità, differenze. Questa nostra insicurezza mentale, da cui nulla ci può difendere, è la migliore arma di cui dispone il terrorismo che, con i suoi attentati, "precipita l'Occidente nell'ossessione della sicurezza, che è una forma velata di terrore perpetuo" 19 che si inscrive nei corpi, nei costumi, nelle abitudini, nelle pratiche di vita.
Baudrillard ci invita a non metterci fuori strada dicendo: "Noi siamo il Bene, può essere solo il Male ad averci colpito".20 La logica dell'opposizione, con cui di solito lavora la ragione (bene/male, vero/falso, giusto/ingiusto), non capisce niente delle sfide simboliche, che possono anche nascere all'esterno del sistema, ma sono efficaci solo se si alleano con la negatività che il sistema produce al suo interno.
Il terrorismo è una sfida simbolica. Non ci fronteggia come un nemico che ci sta di fronte sul campo, come noi ingenuamente pensiamo quando facciamo le guerre, ma, a parere di Baudrillard:

È l'emergenza di un antagonismo radicale nel cuore stesso del processo di globalizzazione, di una forza irriducibile a questa realizzazione integrale, tecnica e mentale, del mondo, a questa evoluzione inesorabile verso un ordine mondiale compiuto.21

Se il progetto della modernità era nell'universalizzazione dei suoi valori, la riduzione di questo progetto alla semplice globalizzazione della tecnica e del mercato avvia inesorabilmente la modernità verso la sua fine. E in questa lettura simbolica, meno ingenua di quella razionale che legge tutto in termini di opposizioni e antagonismi, il terrorismo, proprio nella sua assurdità e insensatezza, è, come scrive Baudrillard: "Il verdetto e la condanna che la nostra società pronuncia su se stessa".22

4. L'implosione dei valori occidentali nella passività e nell'inerzia di massa

Non ci sono più idee. Non ci sono più valori. Non se ne producono più. La passività e l'inerzia sembrano caratterizzare l'atmosfera del nostro tempo, dove l'impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere né passata né futura, ma solo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circola alcun senso, ma tutto si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare.
Viene allora da chiedersi come mai dopo tante rivoluzioni e un secolo o due di apprendistato politico, nonostante i giornali, i sindacati, i partiti, gli intellettuali e tutte le energie preposte a sensibilizzare gli uomini alla loro storia, si trovano solo mille persone che reagiscono, e milioni di persone che rimangono passive e preferiscono, in perfetta buona fede, con gioia e senza neppure chiedersi il motivo, un incontro di calcio a un dramma umano o sociale.
La risposta va forse cercata nel fatto che, bombardati come siamo da stimoli, messaggi, test e sondaggi, le nostre teste sono diventate il luogo dove circolano idee e valori che noi non abbiamo prodotto, ma semplicemente assorbito. Teste e cuori, quindi, che non si esprimono, ma si sondano, non per conoscere le loro idee o i loro valori, ma per verificare il grado di efficacia dei media nell'inculcare in loro un'idea o un presunto valore, e poi appurarne l'indice di gradimento.
Ridotte in questo modo a schermi di lettura, le nostre teste non sono più un luogo di ideazione e di invenzione, ma un luogo di assorbimento e di implosione, dove ogni senso propulsivo si inabissa e ogni significato acquisito si allinea a quell'ideale di uniformità che è l'inerzia del conformismo.
Come smuovere questa inerzia, questa passività? Temo che per le idee e per i valori stia avvenendo quel che è già avvenuto per le merci. Per molto tempo bastava produrre le merci e il consumo andava da sé. Oggi bisogna produrre i consumatori, bisogna produrre la stessa domanda, e questa produzione è infinitamente più complicata di quella delle merci.23
Allo stesso modo, osserva Baudrillard, fino a trent'anni fa "bastava produrre senso (politico, ideologico, culturale, sessuale) e la domanda seguiva naturalmente, assorbiva l'offerta e la superava".24 Oggi è la domanda di idee e di valori a essere venuta meno, e la produzione di questa domanda mi pare il problema cruciale che la civiltà occidentale, se ancora riesce e vuole restare all'altezza della sua storia, deve saper affrontare.
Senza questa domanda, senza una curiosità ideativa, senza una partecipazione anche minima al mondo delle idee e dei valori, la società diventa massa che, come un buco nero, "risucchia energia sociale e non la rifrange più". La massa, infatti, assorbe tutte le idee e non ne elabora alcuna, accoglie tutti i valori e semplicemente li digerisce, "dà a tutti gli interrogativi che le sono posti una risposta tautologica",25 che è poi quella appresa dallo schermo televisivo. Non essendo sua, questa risposta non coinvolge la sua partecipazione, ma in un certo senso, scrive Baudrillard, "fa massa",26 e dove si fa massa tutta l'energia sociale implode.
A questo punto gli aspetti banali della vita, le abitudini della quotidianità, tutto ciò che un tempo era stigmatizzato come piccoloborghese, come abietto e apolitico, compreso il sesso, diventano temi forti, mentre la storia e la politica svolgono in televisione la loro rappresentazione "per un popolo che nel frattempo è diventato pubblico" ,27 il quale vi assiste come si assiste a una partita di calcio, a un film, a un varietà.
Ma se la mancanza di idee e di valori è il primo fattore che traduce una società in una massa "implosiva e satura, che procede per inerzia, mossa da una negatività che non produce una reazione vivace e gioiosa, ma silenziosa e involutiva, e per giunta contraria non solo a ogni presa di coscienza per mancanza di idee e di valori, ma anche a ogni presa di parola",28 per un'estrema peripezia del sociale e della sua implosione, che cosa c'è di più affine alle masse implosive del terrorismo esplosivo? Si dirà, scrive Baudrillard, che:

Non c'è niente di più avulso dalle masse del terrorismo. E il potere ha buon gioco nell'aizzarli l'uno contro l'altro. Ma è altrettanto vero che non c'è niente di più strano e di più familiare della loro convergenza nella negazione del sociale e nel rifiuto del senso.29

Il terrorismo, infatti, "non mira a far parlare, a suscitare o a mobilitare idee o valori; non ha continuità rivoluzionaria".30 Il terrorismo dice di mirare al capitalismo e all'imperialismo, mentre il suo vero obiettivo è il silenzio del sociale magnetizzato dall'informazione. Per questo il terrorismo agisce con atti votati immediatamente alle onde concentriche dei media, dove ciò che si produce non è una riflessione, una ricerca logica delle cause e degli effetti, ma solo fascinazione e panico, in una reazione a catena per contagio. E tutto ciò è funzionale al terrorismo perché, scrive Baudrillard:

Il terrorismo è vuoto di senso e indeterminato come il sistema che combatte, o in cui si installa come un punto di implosione massimale e infinitesimale - terrorismo non esplosivo, non storico, non politico: implosivo, cristallizzante, agghiacciante - e proprio per questo omologo in profondità al silenzio e all'inerzia delle masse.31

Per questo il terrorismo colpisce "chiunque", ossia la condizione a cui ciascuno di noi si riduce quando, rinunciando all'animazione del sociale attraverso la produzione di idee e di valori, diventa inevitabilmente "massa". Per sottrarci a questa condizione dobbiamo tutti, ma proprio tutti, ricominciare a pensare e ravvivare idee e valori, invece di lasciarli languire come se altro non fossero che un obsoleto reperto della nostra storia trascorsa.


NOTE

1 H.M. MUBARAIC, Dichiarazione rilasciata in occasione della sua visita in Italia nel marzo 2004.
2 A. CHUA, World on Fire (2002); tr. it. L'età dell'odio. Esportare democrazia e mercato genera conflitti etnici?, Carocci, Roma 2004, pp. 18-19.
3 Ivi, pp. 19-29.
4 A. SMITH, An Inquiry finto the Nature and Causes of the Wealth of Nations (1776); tr. it. La ricchezza delle nazioni, Utet, Torino 1975, pp. 874-875.
5 J. MADISON, Note to his Speech on the Right of Suffrage (1821), in M. FARRAND (a cura di), The Records of the Federal Convention of 1787, Yale University Press, New Haven 1966, vol. III, p. 450.
6 D. RICARDO, Principles of Political Economy and Taxation (1817); tr. Principi di economia politica e dell'imposta, Mondadori, Milano 2009, p. 397.
7 T. BABINGTON MACAULAY, The People's Charter (1842), in Miscellanies, Houghton, Mifflin & Company, Boston-New York 1900, vol. I, p. 263.
8 A. CHUA, L'età dell'odio, cit., p. 215.
9 pp. 215-216.
10 J. BAUDRILLARD, Power Inferno (2002); tr. it. Power Inferno, Raffaello Cori ma, Milano 2003, p. 57.
Ivi, pp. 58-60.
12 Ivi, p. 62.
13 Ivi, pp. 63-64.
14 Ivi, p. 66.
15 pp. 69-70.
16 Ivi, p. 69.
17 Ivi, p. 28.
15 Ivi, pp. 28-29.
19 p. 51
20 Ivi, p. 33.
21 Ivi, p. 31.
22 Ivi, p. 70.
23 Si veda a questo proposito U. GALIMBERTI, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003, capitolo 8: "Consumismo", pp. 67-74.
24 J. BAUDRILLARD, À l'ombre des majorités silencieuses ou la fin du social (1978); tr. it. All'ombra delle maggioranze silenziose, ovvero la morte del sociale, Cappelli, Bologna 1978, p. 32.
25 Ivi, pp. 33-34.
26 Ivi, p. 34.
27 Ivi, p. 44.
28 Ivi, p. 56.
29 Ivi, pp. 56-57.
30 Ivi, p. 58.
31 Ivi, pp. 57-58.

(I miti del nostro tempo, Feltrinelli 2009, pp. 298-313)
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Messaggioda Berto » lun giu 19, 2017 2:18 pm

Il politicamente corretto è il vero razzismo
il Fatto quotidiano, 16 giugno 2017

http://www.eddyburg.it/2017/06/il-polit ... -vero.html

La paradossale riflessione del filosofo sloveno su un comportamento dell sinistra nei confronti delle migrazioni. «Dovremmo chiederci se essere politicamente corretti sia davvero qualcosa che appartiene alla sinistra: non si tratta invece di una strategia di difesa contro le istanze della sinistra radicale?».

Se qui in Occidente volessimo davvero sconfiggere il razzismo, il primo passo sarebbe farla finire con questo processo politicamente corretto di auto-colpevolizzazione. Anche se le critiche di Pascal Bruckner (uno scrittore francese, tra i nouveaux philosophes

, ndr) agli approcci della sinistra di oggi spesso sfiorano il ridicolo, questo non gli impedisce di fare qualche analisi utile: non si può che essere d’accordo con lui quando identifica nella auto-flagellazione politicamente corretta dell’Europa il rovescio di una rivendicazione di superiorità.

Ogni volta che l’Occidente viene attaccato, la sua prima reazione non è una difesa aggressiva ma colpevolizzarsi: cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo? In ultima analisi, la colpa di ogni male è soltanto nostra, per le catastrofi del Terzo mondo e la violenza dei terroristi è soltanto una reazione ai nostri crimini… la forma positiva del “fardello dell’uomo bianco” (la responsabilità di colonizzare i barbari) viene rimpiazzata dalla sua versione negativa (la colpa dell’uomo bianco): se non possiamo più essere i dominatori benevoli del Terzo mondo, possiamo almeno essere la fonte privilegiata dei suoi mali, privandoli con paternalismo di ogni responsabilità riguardo al loro destino (se un Paese del Terzo mondo si macchia di terribili crimini, non è mai pienamente sua responsabilità: sta soltanto imitando quello che faceva il padrone coloniale ecc.).

La logica del politicamente corretto attiva quei meccanismi che possiamo chiamare di “sensibilità delegata”, spesso secondo questa linea di argomentazione: “Io sono un duro, non mi urtano i discorsi sessisti o razzisti o di odio, o chi si prende gioco delle minoranze, ma io parlo a nome di quelli che potrebbero essere offesi da quelle parole”. Il punto di vista è quindi quello di questi “altri” che, viene dato per scontato, sono così ingenui e indifesi da aver bisogno di protezione perché non capiscono l’ironia o non sono in condizione di rispondere agli attacchi. Deleghiamo l’esperienza passiva di una sensibilità da pastore su un “altro” ingenuo, producendo così una sua infantilizzazione. Per questo dovremmo chiederci se essere politicamente corretti sia davvero qualcosa che appartiene alla sinistra: non si tratta invece di una strategia di difesa contro le istanze della sinistra radicale? Di un modo per neutralizzare l’antagonismo invece che affrontarlo in modo esplicito? Molti degli oppressi percepiscono chiaramente come la strategia del politicamente corretto aggiunga insulti alle ingiurie: mentre l’oppressione rimane, loro – gli oppressi – devono anche ringraziare per come i liberal li proteggono…

Uno dei sottoprodotti più sgradevoli della ondata di rifugiati che è arrivata in Europa nell’inverno 2015-2016 è stata l’esplosione dell’indignazione moralista tra molti progressisti di sinistra: “L’Europa sta tradendo la sua tradizione di libertà e solidarietà! Ha perso la sua bussola morale! Tratta i rifugiati come invasori, bloccando il loro ingresso con filo spinato, chiudendoli in campi di concentramento!”. Questa empatia astratta, combinata con la richiesta di aprire le frontiere senza condizioni, merita la grande lezione hegeliana dell’Anima bella: quando qualcuno dipinge il quadro della definitiva degenerazione dell’Europa, bisognerebbe chiedersi che grado di complicità ha questa posizione con ciò che critica, in che modo coloro che si sentono superiori al mondo corrotto in realtà, segretamente, vi partecipano. Nessuna sorpresa che, con l’eccezione degli appelli umanitari alla compassione e alla solidarietà, gli effetti di questa auto-flagellazione siano completamente nulli… E se gli autori di questi appelli sapessero perfettamente che non contribuiscono in alcun modo ad alleviare la piaga dei rifugiati ma che l’effetto finale dei loro interventi è soltanto quello di nutrire il sentimento anti-immigrati? E se segretamente fossero ben consapevoli del fatto che quanto chiedono non succederà mai perché scatenerebbe all’istante una rivolta populista in Europa? Perché, quindi, si comportano così?

C’è soltanto una risposta coerente: il vero scopo di questa loro attività, dei paladini del politicamente corretto, non è quello di aiutare davvero i rifugiati, ma attraverso le proprie accuse raggiungere il Lustgewinn.

Il processo dell’ “ottenimento del piacere / Lustgewinn” opera attraverso la ripetizione: chi manca l’obiettivo ripete il movimento, provando ancora e ancora, così che alla fine il vero scopo non è più l’obiettivo desiderato ma il movimento ripetitivo del tentativo di raggiungerlo in se stesso. Mentre il contenuto desiderato (oggetto) promette di offrire piacere, un piacere ancora maggiore può essere ottenuto dalla forma stessa (procedura) di inseguimento dell’obiettivo. L’esempio classico: mentre l’obiettivo di succhiare un seno è di essere nutriti dal latte, l’aumento di libido è prodotto dal movimento ripetitivo di succhiare che quindi diventa un fine in se stesso.

Dopo la chiusura serale, nei supermarket della catena Walmart si trovano molti carrelli pieni di prodotti ma abbandonati tra gli scaffali: sono stati lasciati lì dagli appartenenti alla classe media impoverita che non sono più in grado di fare davvero acquisti. Così visitano il supermercato, attraversano il rituale dello shopping (mettendo le cose di cui hanno bisogno o che desiderano nel carrello) e poi abbandonano tutto nel negozio. In questa triste accezione, ottengono il surplus di piacere dovuto allo shopping in questa forma puramente isolata, senza comprare nulla. Non ci impegniamo spesso in attività simili la cui “irrazionalità” non è però altrettanto visibile? Facciamo qualcosa – come lo shopping stesso – senza uno scopo preciso, ma in realtà siamo indifferenti a quale dovrebbe essere questo scopo perché la vera soddisfazione deriva dalla attività stessa? Con il Lustgewinn, lo scopo del processo non è il suo obiettivo ufficiale (la soddisfazione di un bisogno), ma la riproduzione stessa del processo.

Il Lustgewinn prodotto delle accuse sui rifugiati è il sentimento di superiorità morale rispetto agli altri che prova chi le lancia. Più rifugiati vengono respinti e più crescono i populismi anti-immigrati, più queste “anime belle” si sentiranno giustificate: “Vedete, gli orrori continuano, avevamo ragione noi!”.


https://www.youtube.com/watch?v=IISMr5OMceg
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Messaggioda Berto » mer giu 21, 2017 7:59 am

L'imbecille globale è al potere
Marcello Veneziani
MV, Il Tempo 19 giugno 2017

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... -al-potere

Ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: “Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo”.

Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 72 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte.

Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.

C’è l’Imbecille Cantante che dal palco, ispirato direttamente dal dio degli artisti, dichiara che lui canta contro tutti i muri e tutti i razzismi. Che eroe, sei tutti noi.

Poi vedi l’Imbecille Attore o Regista che dal podio lancia il suo messaggio originale e assai accorato, perfettamente uguale a quello del precedente cantautore, ma lui lo recita come se l’umanità l’ascoltasse per la prima volta dalla sua viva voce. “Io non amo i muri, non mi piace chi vuole alzare muri” Che bravo, che anticonformista.

Segue a ruota l’Imbecille Intellettuale, profeta e opinionista che per distinguersi dal volgo rozzo e ignorante, dichiara anche lui la Medesima Cosa, sui muri ci piscio, morte al razzismo, morte a Hitler (defunto sempre da 72 anni), viva l’accoglienza, i neri, i gay e i trans.

L’Idiota Collettivo, versione ebete dell’Intellettuale Collettivo post-gramsciano, non pensa in proprio ma scarica l’app ideologica che genera risposte in automatico. Poi c’è l’imbecille a mezzo stampa o a mezzobusto che riscrive o recita ispirato l’identica pisciatina contro i Muri.

E poi c’è il Presidente o la Presidente, che in veste d’Imbecille Istituzionale, esprime lo stesso, identico Concetto, col piglio intrepido di chi sfida i Poteri Forti (ai cui piedi è accucciato o funge da zerbino).

Non c’è film, telefilm, concerto, spettacolo teatrale o sportivo, gag e omelia tv in cui non si ribadisca la lotta tra il Bene e il Male: Aperti e Filantropi contro Chiusi & Ottusi, Accoglienti contro Razzisti, Omofili contro Omofobi, Xenofili contro Xenofobi e Negrofobi.

Voi quelli del Muro, noi quelli del Telepass.

Le bestie da scacciare sono quasi sempre vaghe, anonime, mitologiche; e già, il male è sempre oscuro, cospira nel buio, non ha volto, solo maschere storiche o ridicole. Ora va di moda la maschera di Trumputin, in Europa di Le Pen, da noi di Salvini.

Tu senti uno, cambi canale e ne senti un altro idem, spegni la tv e senti alla radio un altro ma il Discorso è sempre quello, apri il giornale e leggi ancora l’Identica Opinione; a scuola idem con patate, all’Università peggio-mi-sento, i Palloni Gonfiati dai media compilano lo stesso Modello Unico.

Nessuno di loro è sfiorato da dubbi, invece a te sorge un primo dubbio: è un’allucinazione o è sempre la stessa persona, l’Imbecille Globale, che cambia veste, fattezze e mansioni e ripete all’infinito l’Identico Discorso?

Segue un secondo dubbio: ricordo male o eravamo in democrazia, che vuol dire libertà e pluralismo, cioè opinioni libere e divergenti a confronto? Loro non credono alla Verità, sono relativisti, però guai a dissentire dal Discorso Obbligato con fervorino finale anti-Muro.

Ma possibile che tutti la pensino allo stesso modo, conformi, allineati e omologati, e ritengano che la cosa più urgente e più importante del momento, il Messaggio Unisono da dare all’Umanità sia sempre quello? Allora ti sorge un terzo dubbio.

E se l’Imbecille Globale a reti unificate fosse il Grande Fratello del nostro tempo? Se fosse lui il Portavoce multiplo del Non-Pensiero Unico, cioè del nuovo regime totalitario-globalitario? E se fosse proprio quell’Uniformità Totale e quel corale accodarsi la miseria prioritaria del nostro tempo?

Non so voi, ma io di quell’Imbecille Planetario che ripete il Discorso Unico e Identico all’Infinito, non ne posso più.
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Messaggioda Berto » mar lug 11, 2017 9:10 am

Allora vogliamo "l'apologia di comunismo" - L'intraprendente
di Lorenzo Castellani
on 10 luglio 2017

http://www.lintraprendente.it/2017/07/a ... -comunismo

Combattere le idee totalitarie con i reati d'opinione è un controsenso. Ma se vogliamo stare al gioco del Pd, perché in queste proposte non viene mai menzionato il regime più sanguinario del '900? Perché certe dittature sono sempre, inesorabilmente, meno dittature di altre?

Lo dichiaro subito: non ritengo la legge un mezzo adatto per prevenire le derive autoritarie. Esistono altri mezzi, istituzionali e culturali, per prevenire gli estremismi. I reati d’opinione non dovrebbero esistere.

Tuttavia, merita un commento la legge proposta dall’onorevole Fiano del Pd che mira ad introdurre un reato contro la propaganda fascista e nazifascista a seguito di alcune scritte e gesti inneggianti al fascismo in una spiaggia. La proposta dice molto sulla cultura del Paese per cui il rischio di “deriva autoritaria”, sia per Berlusconi o per Grillo, è sempre dietro l’angolo. Sempre, tranne quando al governo c’è il Partito Democratico. Il pericolo è ovviamente sempre “fascista” e “nazista”, mentre mai viene menzionato il regime autoritario più sanguinario di ogni altro: il comunismo, nella variante sovietica o cinese che si preferisca. Molti oppongono che ciò accada perché l’Italia è stata la culla del fascismo e, di conseguenza, il riflesso antifascista è più forte. Inoltre, il Pci è stato tra i partiti fondatori della nuova Costituzione repubblicana. Questo ragionamento seppur vero, tuttavia, non pare giustificato nel presente: il Pci è oramai storia da venticinque anni, il Muro è crollato, il fascismo è stato sconfitto nel 1945. La divaricazione e la disparità di trattamento tra regimi totalitari non sembra aver più senso.

Veniamo all’oggi. Non sono forse egualmente pericolosi i simpatizzanti fascisti e i centri sociali d’ispirazione marxista pronti a devastare le nostre città ad ogni occasione buona? O che distribuiscono Lotta Comunista fuori le scuole ed università? Quale sarebbe il “diverso pericolo” tra i vessilli fascisti e quelli stalinisti-cheguevariani? Perché in una legge per prevenire gli estremismi la propaganda deve essere sempre e solo fascista e, addirittura, nazista ma mai comunista?

A questa domanda chi pone la necessità di una ulteriore legge contro l’apologia fascista non risponde. Perché non può rispondere in quanto l’intera storia della prima Repubblica è stata una giustificazione continua del diritto all’esistenza un partito che, certo accettava le regole democratiche, ma serviva un interesse straniero. Lo serviva mentre le sue idee colonizzavano scuole, università, teatri, cooperative, istituzioni e via dicendo. In Italia, per fortuna, il comunismo come regime non c’è stato o meglio è esistito sotto altre spoglie e digerendo la democrazia. E, non a caso, il blocco occidentale si era premunito se fosse arrivato il momento in cui la conventio ad excludendum del Pci dal potere non resistesse, attraverso una rete militare sotterranea pronta ad intervenire. Questa istituzionalizzazione forzata del Pci, relegato all’opposizione, è stata pagata amaramente a livello culturale. Un prezzo, quello del Comunismo come ideologia e regime diverso (e migliore) dalle altre ideologie e regimi totalitari, che ancora oggi si continua a scontare seppur in riflessi quasi ridicoli come quelli della proposta in discussione.

Questo regime di “specialità” del comunismo non è ancora stato superato dai parlamentari della Repubblica della sinistra italiana, sempre pronti ad agitare lo spettro del fascismo e a riempire i codici di reati d’opinione. Così creando un doppio danno: reati simili e di fatto quasi mai perseguibili e diseducazione rispetto alle esperienze storiche dei totalitarismi. Perché per i vari Fiano del momento “tutte le dittature sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.”
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Messaggioda Berto » gio lug 13, 2017 7:44 pm

I comunisti sono peggio dei fascisti e dei nazisti, ma i peggio di tutti sono i nazisti maomettani.

???

Chioggia, indagato il gestore della spiaggia "fascista"
Sergio Rame - Gio, 13/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 19796.html

Gianni Scarpa denunciato dalla Digos per apologia di fascismo. A farlo finire nei guai un articolo di Repubblica. Che ora si vanta: "Il caso sollevato da noi"

All'origine di tutto c'è un articolo di Repubblica. È partito tutto da lì. Prima l'ordinanza del prefetto di Venezia Carlo Boffi, poi la denuncia degli uomini della Digos, infine l'iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Venezia.

Gianni Scarpa, il 64enne di Mirano che gestisce gli stabilimenti ribattezzati dalla sinistra come la "spiaggia fascista", adesso dovrà rispondere dell'accusa di "apologia di fascismo" in "violazione della legge Scelba". Nel fascicolo sul tavolo del procuratore capo Bruno Cherchi e del sostituto procuratore Francesca Crupi sono, infatti, finiti le immagini dei manifesti del Duce, dei saluti romani, dei rimandi alle leggi del Ventennio e gli audio pubblicati da Repubblica.

Gli agenti della Digos e della polizia scientifica, inviati dal questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi si erano presentati allo stabilimento lunedì mattina. A spingere Repubblica e la sinistra (gli uomini del Pd in testa) a chiedere l'immediato intervento del Viminale sono i cartelli che inneggiano al Ventennio e con cui Scarpa ha tappezzato un po' tutto lo stabilimento. In realtà, come ha documentato ilGiornale, la sinistra ha scambiato frasi triviali per l'esaltazione del fascismo. Nel lido incriminato, più che di apologia del fascismo, si dovrebbe parlare di volgarità. Ma tant'è. È bastato un articolo di Repubblica a far scoppiare un pandemonio.

La Digos ha trasmesso la denuncia alla procura di Venezia. A farla scattare sono appunto stati i cartelli esposti nel lido balneare. "Regole: ordine, pulizia, disciplina, severità - si leggeva - difendere la proprietà sparando a vista ad altezza d'uomo, se non ti piace me ne frego!". E ancora:"Servizio solo per i clienti... altrimenti manganello sui denti". E poi frasi di Ezra Pound, braccia al cielo e inni fascisti. Nel fascicolo sono stati poi fatti confiure anche i deliranti discorsi "anti democratici" e "inneggianti al regime" che Scarpa ha pronunciato sabato scorso in spiaggia attraverso gli altoparlanti. Repubblica li ha registrati e pubblicati sul sito. Adesso quegli audio sono confluiti nell'inchiesta.

"Pazzesco. Lasciate lavorare in pace la gente!", commenta Matteo Salvini, "Con assassini, spacciatori e clandestini a spasso, lo 'Stato italiano' processa le idee. Mettendomi a disposizione di Gianni per un'eventuale difesa legale, mi viene voglia di andare a trovarlo a Chioggia"




Un'altro demente irresponsabile; un vero emblema del male cattocomunista statalista e parassitario che viola i diritti umani dei cittadini europei e italiani, una mostruosità disumana

Mattia Civico
https://mattiacivico.wordpress.com/chisono

Ho 41 anni e sono sposato con Giulia Grigolli da dodici anni; abbiamo tre bambini e abitiamo a Trento.
Sono laureato in Scienze Psicologiche presso la facoltà di Psicologia di Padova.
Il 9 novembre 2008 sono stato eletto in Consiglio Provinciale per il Partito Democratico del Trentino, raccogliendo 2.632 preferenze. Sono Presidente della Commissione Legislativa competente per sanità, politiche sociali, istruzione, ricerca, sport, politiche giovanili, solidarietà internazionale, cultura.
Da marzo 2011 sono membro dell’ufficio di presidenza del Consiglio Regionale.



Aiutarli a casa loro?
Oltre gli slogan, dieci punti per una politica delle migrazioni
Intervento Pubblicato da L’Adige – 13 luglio 2017

https://mattiacivico.wordpress.com

“Aiutarli a casa loro” e “non possiamo accoglierli tutti” sono due slogan sbagliati, che però potrebbero svelare una parte di soluzione.

“Aiutarli a casa loro”: certamente é condivisibile da tutti l’idea che ogni persona -a prescindere dal luogo in cui viene al mondo- abbia il diritto non solo di sopravvivere ma di vivere in pace, avendo le risorse necessarie per garantire una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia.

Questo obiettivo non si raggiunge con i muri o impedendo attivamente l’arrivo di chi fugge da condizioni di vita inaccettabili per chiunque, ma mettendo in campo almeno le seguenti tre azioni concrete:

1) investire in cooperazione allo sviluppo e in azioni di supporto alla crescita economica, sociale, educativa. Bene l’idea di un nuovo “piano Marshall” per l’Africa. É tra l’altro una “Operazione giustizia” che dovrebbe essere conseguente ad una “operazione verità”: vi è una relazione molto intrecciata tra la storia dei Paesi africani e il continente europeo che andrebbe riletta e rielaborata;
2) stop alla produzione e all’export di armamenti: questo passaggio sembra banale, ma evidentemente non è per nulla semplice. Le guerre si combattono con le armi. Se il nostro Paese produce ed esporta armi, se l’Europa non inverte la tendenza in questo campo, non possiamo stupirci del costante proliferare di conflitti armati che provocano le tante morti di cui sappiamo il grande numero di migranti che fuggono che vediamo. E’ un errore pensare che produzione e esportazione di armi siano elementi che favoriscono maggiore sicurezza: è vero l’esatto contrario. L’idea poi di sostituire la politica estera con il sostegno a questa o quella parte in conflitto (esportare democrazia si diceva un tempo….) è un grave errore che nel tempo produce danni globali. Lo sappiamo bene: i conflitti sono per loro natura molto instabili e i cambi di fronte sono una prospettiva molto concreta e frequente. Il supposto “buono” che sostieni oggi domani diventerà il tuo peggior nemico. Dunque non è procrastinabile il tema della riconversione dell’industria bellica italiana e lo stop all’export di armi in Africa e Medio Oriente.

3) abbandonare il controllo economico da parte di multinazionali che di fatto impoveriscono i territori di provenienza dei migranti: vengono da Paesi che non sono poveri di risorse, ma sono, nella stragrande maggioranza dei casi, Paesi impoveriti. Paesi ex coloniali nei quali permane una presenza egemone dell’economica europea e multinazionale. Nella consapevolezza che modelli produttivi non basati sullo sfruttamento e sulla manodopera a basso costo, comportano una ridefinizione dei nostri standard di benessere. Ma forse è proprio questa la contraddizione che si fatica ad affrontare.

Con questi tre passaggi potremo forse dire che li stiamo “aiutando a casa loro”. Senza ipocrisie.

Il secondo slogan che sovente si accompagna al primo recita: “non possiamo accoglierli tutti”.

Anche in questo caso l’affermazione, superato il fastidio iniziale, potrebbe contenere una verità, perché “tutti”, se la parola “tutti” ha ancora senso, sono 65 milioni di persone (dati Unhcr), ed è evidente che il nostro Paese non può accogliere 65 milioni di persone. Ma questa non è neppure lontanamente la prospettiva concreta e reale. La stragrande maggioranza di questi “tutti” vivono ancora nel proprio Paese e sono dunque sfollati interni o sono accolti nei Paesi limitrofi ai territori di conflitto. Per limitarsi al Medio Oriente e al conflitto siriano possiamo notare che il Libano, Paese di 4,5 milioni di abitanti, accoglie in questo momento più di 1,5 milioni di rifugiati. La Turchia quasi 2 milioni di persone. La Giordania 650 mila. In Italia attualmente accogliamo circa 200 mila richiedenti asilo.
Dunque dire “tutti” non ha senso. Anche perché il contrario di “tutti” è “nessuno”. Dobbiamo fare la nostra parte: ma qual è la nostra parte?
4) evitare i viaggi della morte. Attivare a livello europeo canali umanitari rivolti a richiedenti asilo, identificati nei Paesi di partenza. Stroncare dunque sul nascere il traffico umano, mettere in salvo chi rischia la vita, ridurre al minimo la possibilità di ingresso di persone non identificate. Se non vogliamo rassegnarci alle morti in mare e ad accogliere i superstiti (si: è questo che stiamo facendo….), dobbiamo occuparci dei percorsi che i migranti fanno per giungere sulle nostre coste: prima che accogliere, proteggere. E proteggere significa andare incontro.

5) differenziare i canali di accesso: definire regole chiare che permettano l’ingresso legale in Europa dei migranti economici. Oggi l’unico ingresso legale si ha con la richiesta d’asilo: da qui l’ingolfamento delle commissioni, i numerosi dinieghi e conseguentemente la moltitudine di persone che permangono nel nostro Paese senza titolo di soggiorno. Così facciamo un enorme regalo alla malavita che rischia di dare più opportunità della via legale.

6) potenziare a livello locale la struttura delle commissioni per la valutazione delle condizioni giuridiche dei richiedenti: non è ammissibili che vi siano tempi di attesa per il primo colloquio spesso superiori ai 12 mesi. La permanenza prolungata e inattiva in una condizione di non definizione è assistenziale e diseducativa e paradossalmente rischia di tradursi in un incentivo economico: per male che vada un anno e mezzo di supporto economico e di accoglienza non si nega a nessuno. Se i tempi fossero molto ridotti (combinato disposto con il punto presedente: differenziare i canali di accesso) sarebbe più semplice gestire accoglienze, integrazione sociale e lavorativa, eventuali rimpatri.

7) verificare il modello di accoglienza oggi in vigore in Italia e connettere le buone prassi: Sprar e accoglienza straordinaria. Dobbiamo chiederci se è funzionale il fatto che a livello nazionale le prefetture deleghino in maniera diretta a strutture private il 100% dell’accoglienza straordinaria di queste persone. A mio avviso il modello trentino del Cinformi, che con meno risorse cura tutti gli aspetti legati alla presenza di richiedenti sul territorio (corsi di lingua, assistenza legale, alloggio e vitto) in raccordo con molti soggetti privati è più funzionale in quanto non delega totalmente al privato, ma mantiene in capo al pubblico la responsabilità di accompagnare la presenza e di gestire in maniera virtuosa l’accoglienza. Investire sull’accoglienza diffusa evitando la concentrazione di grandi numeri nelle stesse località. Urgente a mio avviso pensare a modalità nuove per gestire l’accoglienza successiva al pronunciamento delle commissioni territoriali, nella cosiddetta “terza fase”, quella dell’inegrazione lavorativa e sociale.

8) permessi di soggiorno per “buona integrazione”. Dopo mesi di positiva integrazione e di investimento pubblico non possiamo permettere che buone persone, oneste, che hanno fatto un positivo percorso di relazione con la nostra comunità e che dunque sono una ricchezza per il nostro territorio, non abbiano titolo legale per permanere e che scivolino quindi in una condizione di clandestinità verso condizioni di illegalità. È attiva una campagna di raccolta firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare (che si chiama “Ero straniero”) e che affronta con efficacia questo ed altri temi cruciali. Necessario ed urgente riformare la legge Bossi-Fini.

9) non solo politica ma anche cittadinanza attiva: credo sia fondamentale mettere in evidenza le buone prassi, le positive esperienze di accoglienza ed integrazione che molto spesso vedono i comuni più piccoli o i singoli cittadini come protagonisti. E’ giusto pretendere che la politica faccia la propria parte, ma sarebbe un errore pensare che le istituzioni hanno la possibiltà di risolvere “da sole” un problema tanto complesso. Come cittadini dobbiamo credo entrare nella logica che siamo dentro un processo globale di cui possiamo essere protagonisti invece che vittime. Ognuno può fare la propria parte, a partire dalla disponibilità a informarsi oltre il fango della rete, aprendo a relazioni, cogliendo occasioni di conoscenza e di accompagnamento. Il primo passo per superare la paura dell’ignoto è renderlo meno ignoto. Non vivere i processi migratori come una minaccia passivamente subita, ma come una dinamica che interroga giustamente la stessa identità di un territorio, ma che può vedere i cittadini consapevoli e protagonisti.

10) corridoi umanitari di rientro. I rimpatri e i riaccompagnamenti non possono essere un tabù e dobbiamo pensare seriamente anche ad aiutare coloro che non hanno titolo legale per rimanere o che per le più disparate ragioni non hanno oggettivamente qui un futuro, a rivedere il proprio progetto migratorio. Riaccompagnare invece che espellere: con progetti mirati in accordo con la cooperazione internazionale, finalizzando fondi a progetti di sviluppo locale.

Questi 10 passi concreti non rendono più digeribili due slogan sbagliati, ma mettono le basi per una accoglienza più sostenibile, per rispondere ad un dovere non solo nostro ma anche nostro: in quanto esseri umani.


Comunisti, internazicomunisti e dintorni
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Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » dom ago 13, 2017 9:24 am

METICCIATO
sabato 12 agosto 2017

http://ciri-giovanni.blogspot.it/2017/0 ... l?spref=fb

Eugenio Scalfari ha scoperto il meticciato. E non è il solo. Attrae molti l'idea di un unico popolo mondiale, che unisca tutti superando le vecchie differenze nazionali. La “ruota della storia” marcia in quella direzione, ci ripetono tutti i giorni sapienti personaggi, e chi si oppone è un povero vecchio legato ai miti del passato. Un nazionalista xenofobo nemico dei valori di universale libertà ed uguaglianza che sono tipici della civiltà occidentale.

Ma stanno davvero così le cose? Vediamo un po'.

Contrariamente a quanto pensano Eugenio Scalfari ed i suoi sostenitori il meticciato non è affatto una novità. L'impero romano aveva, specie nella fase del suo declino, fortissime caratteristiche meticce. L'inventore del meticciato è stato Alessandro Magno, grande personaggio, certo, ma non precisamente moderno. Sono invece gli stati nazionali ad essere una invenzione relativamente recente del genere umano.

Per secoli popoli diversissimi fra loro sono stati costretti a vivere insieme sotto il governo di autorità imperiali spesso estremamente brutali. Non esiste nessun legame fra la affermazione degli universali valori di libertà ed uguaglianza ed il meticciato, è vero esattamente il contrario.

La nascita e la diffusione degli ideali di tolleranza. La “scoperta” delle libertà individuali e del garantismo, il lento avanzare della democrazia sono parti di un processo che culmina in Europa con la formazione degli stati nazionali. Altro che legame fra meticciato e libertà! La storia ci dimostra che il meticciato è tipico dei grandi imperi. Non a caso la caduta dell'impero comunista è stata seguita dal proliferare di nuovi stati nazionali. A ben vedere le cose fra gli ispiratori di Eugenio Scalfari è possibile ritrovare, accanto ad Alessandro magno, un certo Giuseppe Stalin.

I popoli, come gli individui, cambiano. E a questo cambiamento contribuiscono le relazioni che ogni popolo ha con gli altri. Ma i popoli, come gli individui, cambiando restano se stessi. Io sono oggi ben diverso da quello che ero al tempo della mia giovinezza, e i miei rapporti con gli altri esseri umani hanno avuto una parte importante nel determinare come sono cambiato. Ma cambiando io non ho perso la mia insopprimibile individualità. I cambiamenti che ho vissuto sono i miei cambiamenti, la personalità che si è formata nel corso degli anni è e resta la mia personalità. Ho avuto rapporti con Tizio, Caio e Sempronio ma sono restato me stesso in questi rapporti. Non mi sono trasformato in un fritto misto di Sempronio, Caio e Tizio.
Considerazioni analoghe possono farsi per i popoli. Ogni popolo si relazione ad altri, in una certa misura si mischia ad altri, e cambia, ovviamente. Ma resta se stesso nei vari cambiamenti.
Gli scambi commerciali, i processi normali e controllati di emigrazione ed immigrazione, le relazioni culturali, i viaggi ed il turismo, i matrimoni misti modificano le caratteristiche dei popoli, cosa del tutto normale, ma non danno vita ad alcun tipo di meticciato. Questo è invece il risultato di migrazioni disordinate e violente che alcuni popoli sono costretti a subire. Da sempre i popoli europei, e non solo, sono in relazione fra loro. E' sempre successo che uno spagnolo sposasse una francese o che uno svedese studiasse a Londra o che un italiano emigrasse in Argentina. Ma nessuno ha mai scambiato simili fenomeni con il meticciato. Si parla invece di meticciato oggi, in conseguenza di processi migratori del tutto fuori controllo cui le popolazioni europee guardano con ansia crescente e che vengono loro imposti da governi irresponsabili.

I teorici del meticciato parlano di continuo di “mistura” fra i popoli. Italiani o francesi, nigeriani o indiani... tutte scemenze! Non esistono italiani o indiani, francesi o nigeriani, esiste il popolo mondiale, il meticciato, e chi non è d'accordo è un bieco “razzista”.

Però che strano... il meticciato riguarda solo i popoli europei. Si guardino le nazionali di calcio. Nella nazionale belga abbondano i calciatori dalla pelle nera, ma in quella nigeriana non se ne vede uno con la pelle bianca. Cinesi ed algerini, indiani e pakistani non presentano affatto caratteristiche “meticce”.
Queste riguardano solo i tedeschi o gli inglesi, i francesi o gli italiani. In realtà non è affatto in corso nessun processo di mistura fra popoli diversi. Quello che è in corso è un processo di graduale sparizione dei popoli europei.
E questa è in fondo la cosa meno grave. Che i giocatori della nazionale belga abbiano la pelle bianca nera ha davvero poca importanza. Il vero problema è la sparizione della cultura europea. In nome della adesione senza riserve ad un presunto universale meticciato gli europei stanno infatti rinunciando a quella cosa preziosissima che sono le loro tradizioni culturali. I valori universali della nostra cultura, gli stessi di cui paradossalmente si servono i propagandisti del meticciato, sono sempre più marginalizzati in Europa, e non solo. Prima li si è relativizzati, privandoli della loro portata universale. Poi si sono accettate eccezioni sempre più numerose (la donna ha gli stessi diritti dell'uomo, ma se i musulmani obbligano le donne a velarsi... beh... facciano pure, è la “loro cultura”). Poi si sono create, dentro i paesi europei, autentiche isole extra europee, in cui le nostre leggi ed i nostri valori di fatto non contano più nulla. Quale sarà il prossimo passo? Meglio non pensarci.
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Re: Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mond

Messaggioda Berto » gio ago 17, 2017 7:43 pm

La sinistra, Israele, Obama. Parla David Horowitz
Niram Ferretti
16 marzo 2016

http://www.linformale.eu/a-colpi-di-mar ... d-horowitz

David Horowitz non le manda a dire. Dalla sua bocca non sentirete mai uscire qualcosa di moderato perché sa che la tomba della verità in questa nostra epoca è la Newspeak del politicamente corretto. Horowitz è il testimone di un itinerario politico intenso e radicale da quando giovane intellettuale marxista a Londra negli anni Sessanta collaborava con Bertrand Russell e diventava amico di Isaac Deutscher, biografo di Trotzky e vate del New Left inglese, a quando nella California psichedelica e anarcoide del 68 approdava alle Black Panthers per poi abbandonarle quando la sua visione cambio profondamente. “Così come Stalin usò l’idealismo e la fedeltà della generazione dei miei genitori per commettere i suoi crimini negli anni Trenta, le Black Panthers hanno usato l’idealismo della mia generazione negli anni Sessanta”, avrebbe detto in seguito.

Oggi David Horowitz è il presidente del think tank conservatore che porta il suo nome, il David Horowitz Freedom Center e l’editore della vera macchina da guerra contro quella che lui considera la sottomissione americana all’ideologia progressive, che è Frontpage Magazine.

Autore di decine di libri di cui una buona parte intesi a mettere in luce gli ingranaggi e le mistificazioni liberal (e della sinistra tout court), rappresenta una delle voci più scomode e abrasive del panorama americano.

Vorrei cominciare con una domanda sul Freedom Centre di cui lei è presidente. Quali sono gli obiettivi del centro?
Il centro è stato creato per difendere le società libere che si trovano sotto attacco da parte di forze totalitarie interne ed esterne. Questa prima missione conduce a una seconda: svegliare i conservatori e altri patrioti i quali non capiscono che la sinistra “progressista” “sociale democratica” è una forza totalitaria, o una favoritrice del totalitarismo, e dunque una formazione in guerra contro le democrazie che si basano sul libero mercato.

Come George Orwell e Arthur Koestler anche lei viene dalla sinistra ed è diventato uno dei suoi più convinti oppositori. Se dovesse identificare le più persistenti e fallaci idee della mentalità progressista, quali sarebbero?
Praticamente tutte le idee della sinistra sono false perché sono basate sulla premessa che se alla sinistra verrà concesso il potere necessario potrà creare un paradiso mitico chiamato alternativamente “comunismo” o “socialismo” o “giustizia sociale”. Sono la seduzione e l’impossibilità dei loro sogni utopici ciò che rende i suoi seguaci così pericolosi e disponibili ad allearsi con i nemici della democrazia, anche i barbari islamici.

Per anni lei ha denunciato il modo in cui molti campus e università americane sono diventati luoghi di indottrinamento liberal se non palesemente neo-marxista e anti-occidentalista. Cosa ha determinato si questa situazione?
La cecità dei conservatori nei confronti della minaccia. Il termine “liberal” attribuito alla sinistra, che è bigotta e intollerante, è un termine ingannevole. “Neo-marxista” è troppo moderato. Nemmeno Marx aveva chiesto l’espulsione dei conservatori e dei dissenzienti dalle facoltà universitarie e dalle liste di conferenze.

Oggi l’antisionismo è espressione di una mentalità che va a braccetto con l’antiamericanismo. Per chi la pensa così l’Occidente è visto come la fonte di tutti i problemi. E’ come se ci trovassimo ancora nel periodo della Guerra Fredda e l’Unione Sovietica non fosse mai caduta. E’ d’accordo?
L’antisionismo è un sinonimo di odio per gli ebrei. Non c’è nessun’altra etnia o religione al mondo che potrebbe essere il bersaglio di un simile odio come lo è lo stato ebraico e nessun altro antagonismo – se non quello contro gli Stati Uniti – che possa forgiare una alleanza tra la sinistra progressista e i nazisti dell’Islam, i quali, diversamente da Hitler che celava i suoi piani per la Soluzione Finale, gridano dai tetti che il loro obbiettivo è quello di portare a compimento il lavoro cominciato da lui.

Come spiega che personaggi come Noam Chomsky e Norman Finkelstein, entrambi ebrei, siano arrivati al punto di tessere le lodi di un gruppo terrorista come Hezbollah il quale interpreta l’Islam in modo radicale ed è apertamente antisemita?
Chomsky e Finkelstein sono ebrei deliranti la cui religione è la fantasia utopica della sinistra. Questo fa sì che le loro priorità siano l’antiamericanismo e la distruzione di Israele che li porta ad allearsi con odiatori medioevali degli ebrei il cui obiettivo è un genocidio non solo degli ebrei ma dei cristiani, degli Indù e di tutti i non-musulmani.

Non è un segreto per nessuno che tra il Presidente Obama e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ci sia un profondo contrasto relativamente a cosa sia meglio per Israele e per il Medioriente. Molti pensano che il Presidente Obama sia stato il presidente americano meno amichevole nei confronti di Israele. Cosa ne pensa?
Obama ha dato il suo appoggio ai Fratelli Musulmani, che sono la fonte del nazismo e del terrore islamico e l’origine della campagna genocidiaria palestinese che ha come scopo quello di gettare in mare tutti gli ebrei. Malgrado i conservatori siano tuttora intimiditi dal dire la verità su Obama perché è nero, Obama è un traditore americano che ha consegnato armi nucleari e missili balistici agli iraniani i quali proclamano apertamente il loro obiettivo, “Morte agli Stati Uniti” e “Morte a Israele”.

Nel suo discorso al Cairo del 2008, il presidente Obama ha definito l’Islam una “religione di pace”, una definizione usata prima di lui dal presidente Bush Jr. Questa Amministrazione ha costantemente rifiutato di connettere il jihadismo alle sue origini musulmane, coraniche. Quanto è importante che questo stato di cose cambi?
E’ cruciale per vincere la guerra globale che gli islamisti ci hanno dichiarato. Il profeta Maometto ha incitato allo sterminio degli ebrei e a una guerra contro gli infedeli, cristiani, indù, atei, e chiunque non si sottometta alla fede islamica. L’Islam è l’unica religione che si è diffusa attraverso la spada dietro specifico ordine del suo profeta.

Matthias Kuntzel uno dei maggiori esperti europei del legame tra islamismo e jihadismo, in una recente intervista rilasciatoci, ci ha detto che l’accordo nucleare iraniano è stato come avere promesso a un piromane, per dieci anni di contenimento, un magazzino pieno di taniche di benzina. E’ d’accordo?
Sì ma le sue parole sono troppo moderate. Obama ha dato le armi nucleari agli Hitler del Medioriente e dunque ha segnato la condanna a morte di Israele. Se Israele sarà in grado di difendersi cancellando il regime iraniano è da vedere. Ma lo spargimento di sangue che Obama ha autorizzato sarà orribile.

Come ultima domanda le vorrei chiedere di Donald Trump. Molti in Europa lo vedono come un segno di involuzione terzomondista e inadatto a diventare presidente. Qual è la sua opinione?
Mi ricordo quando Kennedy venne assassinato e Lyndon Johnson divenne presidente. Mi trovavo in Inghilterra all’epoca. Gli europei la pensavano allo stesso modo di Johnson. Gli europei hanno la tendenza a guardare dall’alto in basso gli americani perché li abbiamo salvati in due guerre mondiali. Abbiamo dovuto farlo perché molto tempo fa hanno rinunciato alla volontà di difendere le magnifiche culture che i loro antenati hanno creato. I salvatori vengono crocifissi, questa è una morale del cristianesimo che è ricordata raramente.
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Messaggioda Berto » dom ago 20, 2017 12:34 pm

I NEMICI DELLA LIBERTA' E LA LORO MESSINSCENA
20/08/2017

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Cosa accomuna i fanatici della Giustizia Sociale che in questi giorni negli Stati Uniti vorrebbero distruggere una dopo l’altra tutte le statue che rappresentano i generali sudisti della Confederazione, e i talebani e membri dell’ISIS che con esplosivi e picconate hanno distrutto reperti di inestimabile valore appartenenti a civiltà pre-islamiche?
L’odio furente per il passato, per la storia con le sue testimonianze belle e brutte che siano è la cifra di appartenenza degli “innovatori”, di chi vorrebbe rifare il mondo ab origine annichilendo tutto ciò che non si conforma alla propria visione purgata e radicale della storia.

Il canovaccio deve tornare bianco e su di esso si scriverà un nuovo inizio, quello della religione primigenia, l’Islam, verbo ultimativo e divino a cui ogni uomo dovrebbe conformarsi, oppure quello dell’era della Libertà e della Giustizia che animava di ardore sanguinario Robespierre e Saint Just e avrebbe successivamente animato i pensieri e le gesta di Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot, tutti solidali nel volere creare l’uomo “liberato”.

La Giustizia Sociale dei talebani americani che fanno precipitare dai cippi le statue in bronzo di militi sudisti per accanirsi su di esse con calci e sputi è esattamente la medesima che animava le Guardie Rosse maoiste quando il 10 novembre del 1966 si recarono a Qufu nella provincia di Shandong, sede della nobile famiglia Kong discendente di Confucio, dove fecero scempio delle tombe, distrussero le stele commemorative e trascinarono per le strade, dileggiandola, la statua del grande filosofo cinese. Si trattava anche in quel caso di colpire il passato “reazionario” in nome della nuova eguaglianza umana che presto avrebbe trionfato sotto la guida illuminata del grande timoniere, il genocida Mao.

La statua del generale Lee e di altri generali dell’Unione insieme a quelle di semplici soldati, rappresentano un affronto permanente per i membri dei nuovi comitati di salute pubblica diffusi per il paese e sostenuti dal pensiero egemone, dalla Newspeak totalitaria bene incardinata accademicamente e mediaticamente in USA, per la quale l’uomo bianco è colpevole permanentemente e con lui, inevitabilmente, tutta la tradizione occidentale.

In questo senso, Omero, Dante, Platone e Shakespeare sono da gettare nel cassonetto dei rifiuti perché non più conformi alla vulgata imperante che in un tripudio autoflaggellante vuole sugli altari della storia e della cultura i discendenti delle vittime della “violenza imperialista” in nome di un risarcimento postumo.

I suprematisti neri di Black Live Matters sostenuti dai sodali di estrema sinistra dell’Antifa hanno dalla loro questa rete ampia di sostegno, che tambureggia costantemente un unico refrain, il male è solo e sempre a destra, e sempre e solo di colore bianco, ancora più colpevole se reazionariamente eterosessuale. Così l’accozzaglia variopinta e clownesca dei neonazi da operetta che si sono riuniti a Charlottesville, diventa un grande problema nazionale, in un paese dove il numero maggiore di omicidi e atti di violenza tra neri è provocato dai neri stessi, esattamente come il numero maggiore di vittime tra i musulmani è provocato da altri musulmani.

È grande tuttavia il potere affatturante della propaganda, come ben teorizzava il Dottor Goebbels. L’accusa più grave di cui oggi si può essere fatti oggetto è di essere “islamofobi” con il corollario inevitabile di essere razzisti, che poi è la stessa cosa.

È una guerra culturale, quella in corso, e che viene da lontano, e ha, negli Stati Uniti, i suoi antecedenti nell’estremismo di sinistra degli anni ’60 culminato nell’orgia di antipatriottismo a cui diede la stura la Guerra in Vietnam, quando i nonni degli attuali iconoclasti marciavano con il pugno chiuso a favore di Ho Chi Min e sputavano sui reduci di guerra.

Tutto già visto e riproposto, si tratta, infondo, di vecchi fondali riverniciati a nuovo e ricollocati sulla scena da teatranti esagitati e indottrinati. I distruttori cinesi di tombe e di memorie confuciane si ripresentano nelle sembianze di coloro che vorrebbero cancellare una parte della memoria storica americana indicando in una sparuta parata di trogloditi i demoni da esorcizzare, loro i turiferari del “Progresso”, i più asserviti alla menzogna e alla violenza.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » lun ago 21, 2017 6:06 pm

Quando si confonde la cittadinanza con la nazionalità, povero Bergoglio


Un falso salvatore del mondo che alimenta il parassitismo statale romano e italiano, l'enormità del debito pubblico, l'imperialismo religioso cattolico-romano, la sudditanza irresponsabile diffusa e la dipendenza dalle credenze idolatre, contro i buoni e universali valori dell'uomo di buona volontà il solo che fa miracoli con il suo impegno e la sua fatica.

https://www.facebook.com/pietro.marinel ... 8306612376

"Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Allo stesso tempo, auspico che un numero maggiore di paesi adottino programmi di sponsorship privata e
comunitaria e aprano corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali.[3] Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa. «I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo».[4] Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,[5] ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale. Di conseguenza, è necessario formare adeguatamente il personale preposto ai controlli di frontiera. Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati.[6]

Il secondo verbo, proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio.[7] Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale.[8] Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono.[9] Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Per coloro che decidono di tornare in patria, sottolineo l’opportunità di sviluppare programmi di reintegrazione lavorativa e sociale. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti. Ad essi occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento.[10] Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale».[11] Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.

Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore.[12] Tra queste dimensioni va riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa. Molti migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate. Siccome «il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli»,[13] incoraggio a prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, garantendo a tutti – compresi i richiedenti asilo – la possibilità di lavorare, percorsi formativi linguistici e di cittadinanza attiva e un’informazione adeguata nelle loro lingue originali. Nel caso di minori migranti, il loro coinvolgimento in attività lavorative richiede di essere regolamentato in modo da prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita. Nel 2006 Benedetto XVI sottolineava come nel contesto migratorio la famiglia sia «luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori».[14] La sua integrità va sempre promossa, favorendo il ricongiungimento familiare – con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti –, senza mai farlo dipendere da requisiti economici. Nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in situazioni di disabilità, vanno assicurate maggiori attenzioni e supporti. Pur considerando encomiabili gli sforzi fin qui profusi da molti paesi in termini di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria, auspico che nella distribuzione di tali aiuti si considerino i bisogni (ad esempio l’assistenza medica e sociale e l’educazione) dei paesi in via di sviluppo che ricevono ingenti flussi di rifugiati e migranti e, parimenti, si includano tra i destinatari le comunità locali in situazione di deprivazione materiale e vulnerabilità.[15]

L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini».[16] Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi. Mi preme sottolineare il caso speciale degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione a causa di crisi umanitarie. Queste persone richiedono che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio e programmi di reintegrazione lavorativa in patria.

In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie.

Durante il Vertice delle Nazioni Unite, celebrato a New York il 19 settembre 2016, i leader mondiali hanno chiaramente espresso la loro volontà di prodigarsi a favore dei migranti e dei rifugiati per salvare le loro vite e proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale. A tal fine, gli Stati si sono impegnati a redigere ed approvare entro la fine del 2018 due patti globali (Global Compacts), uno dedicato ai rifugiati e uno riguardante i migranti.

Cari fratelli e sorelle, alla luce di questi processi avviati, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità privilegiata per presentare e sostenere le azioni concrete nelle quali ho voluto declinare i quattro verbi. Vi invito, quindi, ad approfittare di ogni occasione per condividere questo messaggio con tutti gli attori politici e sociali che sono coinvolti – o interessati a partecipare – al processo che porterà all’approvazione dei due patti globali".

Questo è il discorso di Papa Francesco, tratto dal sito della Santa Sede




Gino Quarelo

Un falso salvatore del mondo che alimenta il parassitismo statale romano e italiano, l'enormità del debito pubblico, l'imperialismo religioso cattolico-romano, la sudditanza irresponsabile diffusa e la dipendenza dalle credenze idolatre, contro i buoni e universali valori dell'uomo di buona volontà il solo che fa miracoli con il suo impegno e la sua fatica.

Grand'uomo apparentemente a chiacchere ma la realtà è ben diversa! Se lui che vende salvezza divina, fede nei miracoli, manna dal cielo, provvidenza divina e un buon posto nell'aldilà non è in grado di moltiplicare i pani e i pesci, se nemmeno il suo idolo lo fa, chi mai dovrebbe produrre questi pani e questi pesci? E la nostra gente che emigra, che è povera, che è disoccupata, disperata e che si suicida? E chi paga tutto ciò? Uomo fanfarone e irresponsabile!
Quest'uomo è un invasato utopista che si crede salvatore del mondo, che manipola i diritti umani e viola quelli dei cristiani e dei non cristiani che sono cittadini italiani ed europei. Quest'uomo promuove una forma di solidarietà disumana coatta che prima viola i nostri diritti umani, genera schiavitù fiscale, sofferenza sociale , privilegi e parassitismo economico e poi conflitti a non finire e future guerre civili sanguinose.
Quest'uomo è un parassita per eccellenza, è la falsa bontà a spese degli altri che genera il male.




Papa Bergoglio parla di “risorse” come la Bodrini e di wi-fi come Bello Figo
Il blog di Laura Tecce
2017/08/21

http://blog.ilgiornale.it/tecce/2017/08 ... bello-figo

«Si renda dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio».

Ad ognuno il suo ruolo. Questa frase attribuita a Gesù Cristo nei Vangeli sinottici getta così le basi della divisione tra potere spirituale e potere temporale.

È vero che, secondo le Scritture, il potere esercitato sulla terra viene da Dio ma come scrive nel Nuovo Testamento l’Apostolo Paolo a proposito della situazione dei cristiani nell’Impero “occorre prestare obbedienza leale alle autorità dello Stato” (cf. Rm 13,1-7; Tt 3,1-2). Cosa significa questo? Che lo Stato, inteso come autorità politica, è assolutamente necessario per la vita della polis e dei credenti in essa. La città abitata dagli uomini e dalle donne necessita di ordine, di legalità, di giustizia, e dunque la politica non può essere ignorata, né si può vivere in società senza un’autorità cui rispondere. Ma l’autorita politica, legislativa e giuridica è ben distinta, nell’ insegnamento e nella testimonianza di Gesù, da quella spirituale. Gesù ha rifiutato di essere un Messia politico (cf. Mt 4,8-10), non ha accettato di essere fatto re (cf. Gv 6,14-15) ). Egli è Re – come dirà a Pilato – ma non di questo mondo (cf. Gv 18,36)! Dare a Cesare ciò che è di Cesare, allora, significa riconoscerne l’autorità laica e tenere conto di essa. Nella storia della Chiesa Cattolica Romana questi precetti non sono sempre stati seguiti, basti pensare al periodo storico in cui il Papa, oltre ad essere Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica, è stato anche sovrano dello Stato Pontificio (752-1870).
Jorge Mario Bergoglio dovrebbe essere a conoscenza che il potere temporale dei papi è cessato nel 1870 e che comunque era circoscritto entro i confini dello Stato della Chiesa. O forse no, vista la sua predisposizione ad intervenire con prese di posizione nette e apodittiche su questioni di geopolitica internazionale, di mercato interno del lavoro e di sicurezza nazionale con la sua visione pauperistica e immigrazionista/terzomondista che poco attendono al governo spirituale e molto a quello terreno.
L’ultima in ordine di tempo è un’anticipazione del messaggio che invierà in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 14 gennaio, dal tema “cogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”. Perché abbia deciso di diffonderla con cinque mesi di anticipo non è dato sapere. E perché si sia istituita una tale Giornata ancora meno…

In ogni modo, Bergoglio spiega come «nel rispetto del diritto universale a una nazionalità questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».
Un vero e proprio endorsement in favore dello Ius Soli, e questo non stupisce. Stupisce invece che il Pontefice non sappia che i bambini al momento della nascita hanno già una nazionalità che è quella dei genitori. E davvero non si capisce perché la nazionalità francese, finlandese, nigeriana, congolese, marocchina, albanese, rumena o australiana debba essere considerata “inferiore” a quella italiana. Questo, invero, andrebbe chiesto anche ai nostri parlamentari che con tanta veemenza sostengono lo ius soli.

In ogni caso, sarà italiano il bambino che rischi di non vedersi attribuita alcuna cittadinanza alla nascita, ad esempio perché i genitori sono privi di alcuna cittadinanza (apolidi) ovvero sono cittadini di Stati che non consentono al figlio nato all’estero di acquistare la cittadinanza italiana (cfr. art. 1, comma 1, lett. b), legge n. 91/1992). Ancora sono italiani alla nascita i bambini trovati in Italia i cui genitori siano sconosciuti (art. 1, comma 1, lett. c), legge n. 91/1992). Dunque non si preoccupi Bergoglio che nessun bambino verrà lasciato senza nazionalità dallo Stato italiano.
A meno che il Papa non stesse parlando di concedere a tutti la cittadinanza dello Stato della Città del Vaticano che, ricordiamolo, è una monarchia assoluta teocratica elettiva, circondato dalle alte mura leonine e di cui è praticamente impossibile ottenere lo status di cittadino.
Ma la cosa, a modesto parere di chi scrive, più inquietante del messaggio del Sommo Pontefice non è il discorso, seppur fuorviante, sulla nazionalità. Ecco cosa ha dichiarato sul lavoro e i “diritti”: «le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, se opportunamente riconosciute e valorizzate, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono. Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione“.
Il Papa parla di “risorse” come la Boldrini e di WI -FI come un Bello Figo qualunque. E di lavoro che per gli italiani e i cittadini stranieri regolari non c’è, a prescindere da competenze, meriti, valorizzazione e riconoscimento.



Cari amici, dobbiamo prendere atto che questo Papa non ama né gli italiani né la cristianità.

Magdi Cristiano Allam

Nel momento in cui gli italiani registrano un tracollo demografico e un crescente impoverimento della popolazione, anziché prodigarsi per la promozione della cultura della vita e della rigenerazione della vita aiutando le famiglie italiane, le madri italiane e i giovani italiani, è intervenuto nuovamente a favore dell'apertura incondizionata delle nostre frontiere per incrementare l'auto-invasione di giovani africani, asiatici e mediorientali che sono prevalentemente musulmani, che si tradurrà nell'auto-sostituzione etnica degli italiani e nella fine della nostra civiltà laica e liberale dalle radici ebraico-cristiane, greco-romane, umanistico-illuministe, trasformandoci in una popolazione meticcia e islamica.
Proprio nel momento in cui le forze politiche sono fortemente in contrasto sulla legge dello ius soli, che attribuirebbe la cittadinanza italiana a chiunque nasca in Italia, Papa Francesco ha pesantemente preso posizione a favore dello ius soli anticipando di ben cinque mesi il Messaggio che verrà ufficializzato il 14 gennaio 2018 in occasione della "Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato". Per i giovani africani, asiatici e mediorientali che entrano in Italia tutti senza documenti e in parte senza essere identificati, Papa Francesco chiede di tutto e di più: lo ius soli, ossia la cittadinanza italiana al momento della nascita; lo ius culturae, il diritto a completare l'istruzione primaria e secondaria in Italia; la concessione di visti umanitari, visti temporanei speciali e il diritto al ricongiungimento familiare per accogliere tutti, proprio tutti quelli che vogliono entrare in Italia, a prescindere dal fatto se fuggano o meno dalla guerra.
Ebbene proprio perché si tratta manifestamente di un intervento politico, che irrompe nel dibattito politico in corso tra i partiti italiani mirando a condizionarne l'esito, io denuncio l'inaccettabile interferenza politica di Papa Francesco negli affari interni dell'Italia che, almeno formalmente, è uno Stato indipendente e sovrano.


I falsi buoni che fanno del male - I falsi salvatori del mondo
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Ius soli e cittadinanza
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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