Ki se cata coel kel conta Jijo Xanon so Raixe Venete de ła fondasion de Venesia:http://lnx.raixevenete.com/heneti-alle- ... olo-venetoORIGINE E PRINCIPIO DELLA CITTA’ DI VENEZIA
VERO E REALE
Regnando Arcadio, et Honorio Imperatori avendo già diviso l’Imperio di Theodosio suo Padre, il che fù l’anno di N.S. 406. Stilicone vandalo già lasciato Capitanio, e Governator del Occidente da Theodosio Imperatore vinto da cupidigia di regnare fu cagione che Radagasso Re de Goti entrassero con gli Ipogotti in Italia (quali erano Goti vagabondi) e con Gopidi, con esercito tale, che trà vandali et Unni erano al numero di duecentomila: e dunque passavano, il tutto a ferro e fuoco mettevano. Entrati dunque nelle contrade di VENEZIA, vicino Padova, et misero gli habitatori in spavento: si che alle lagune del Mare Adriatico se ne fuggirono, senza fermarvi habitationi, fintanto che la furia di quei Barbari cessaro, sperando poi tosto di rimpatriare. Morto Radagasso da Stilicone, li nuovi habitatori di Padova ristorarono al meglio che potè le rovine loro. Succedendo poi Alarico Re de Visigoti per causa Stilicone, (che l’Imperio voleva usurparsi) di nuovo per le straggi grandi, che fu fatto a’ Barbari occasione per rovinare le mure di Padova ancora fresche, et insieme gran parte de l’Italia. Nel anno 413, all’hora concorrendo i popoli Heneti alle lagune, che fù la seconda volta a Riva alta se ne andarono (luogo così chiamato per essere più eminente) nelle lagune dove ritrovando una casa, già da Antinopo navacellaio fabricà di muro dopo l’essere fuggito dalla furia di Radagasso insieme cò molti altri: ma quegli altri nò volendo quivi far dimora partissi. Hora dico i popoli Heneti appresso questa casa fabbricarono di legname e di canne 24 casucce, non essendo d’animo fi fermarvisi. Indi appicatosi il fuoco in casa di Antinopo, arsero quelle 24 casette, e questo fu nel 418, l’anno terzo della fabricatione loro.
Antinopo per questo incendio votossi che estinguendosi il fuoco volea fabricar una Chiesa subito. (O’ cosa miracolosa) venne dal Cielo un pioggia si grande che la fiamma amorzò. Poi l’anno 421. fu dal sopradetto Antinopo nel principio di Marzo fabbricata la Chiesa di S. Giacomo di Rialto, con l’aiuto d’Heneti, la quale fu la prima Chiesa che in Venetia fosse edificata.
L’anno 421. Li Heneti (morto Alarico e ridottosi insieme, doppo l’essersi abbruciato le loro 24 casette) udendo i nuovi tumulti, che succedevano per l’Italia di Ataulfo Re de Visigoti il quale successe doppo Alarico, et similmente nella Francia, Spagna e Lamagna, quelli di altri barbari, senza aspettare l’ultima rovina de l’Italia, che poi seguì l’anno 453. da Attila, doppo la distruzione d’Aquileia si risolsero di fabricare nelle lagune Adriatiche verso la foce del fiume Brenta, un luogo fermo, e sicuro che era in Riva alta. Dove fatto, insieme un supremo Consiglio, determinarono una elettione de primi, tra loro, i quali havessero carico di edificare una Città di Porto, la quale servisse per refugio delle genti sparse per l’isole vicine, et in luogo di molte et deboli terre una Città sicura, e sola tenesse, nella quale per guardia del predetto Porto (in occasione di guerra) dovesse un’armata tenere. L’anno 421, il giorno 16 di Marzo, furono da i Consoli sopra ciò creati, fatto questo editto: Si quis navalis faber, si quis nauticae reis paritus eo habitaturus se contulerit is immunis esto et c. Alberto Faletro Tomaso Candiano, o Zeno Daulo, furono quelli sopredetta opera eletti, i quali insieme contri principali gentiluomeni, andati a Riva alta, l’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo (come più volte si è calcolato dalli Astronomi) in singolare dispositione. E ciò successero l’anno della creation del mondo 5601 dalla venuta di Christo, 421. dalla editificazione di Aquileia, e Padova, 1583. e finalmente dalla venuta dè Heneti alla laguna la prima volta anni 13. Ovvero 14. Già essendo la prima Chiesa fondata, e la religione che la Città, e la Signoria tengono. Dio per assicurare l’Italia la quale minacciava rovina, e per la partita di Costantino, rimanendo in preda de Barbari, il già distrutto Imperio, Sua Divina Maestà volle che una Città Cattolica, e libera sorgesse di nuovo, rappresentando col corpo suo, tutta quella Provincia, dalla quale essa fu partorita. Mostrando ella con argomenti chiari, inditii aperti, e segni manifesti la bella, e riuscibile maniera, nella nascita sua. Il tempo, la stagione, il mese, settimana, giorno, et hora, insieme con molt’altre circostantie, furono presaghi delle grandesse sue, alla quale con larga mano dovea il Sommo Fattore concedergli.
Adunque l’anno 421. Hebbe principio nel qual tempo gl’huomeni (come a’ secoli de santi Padri, più vicini nella ragione, erano inferverati Nella stagion Primavera, per dimostrare da essere Floridissima in tutte le attione sue. Nel mese di Marzo, il quale da li Egitjj e da latyre nationi più eccelenti anticamente era venerato, e tenuto da Romani (si come hora da Veneti) capo dell’anno; e nel quale si tiene che questa mondial macchina dal grande Iddio fusse fabbricata, e nel Istesso punto che il Verbo Divino (per noi miseri peccatori prese carne humana e finalmente nel quale si fa comemorattion di tal misterio Giorno che alla Beata Vergine fu annunciata l’incarnazione del Verbo dall’Angelo Gabriello).
Lunedì che nel maggior colmo della pienezza sua si ritrovava la Luna. Hora che il sole mostrava la sua più intensa calidità, e chiarezza, segni evidenti che questa Eccelsa Città doveva essere Vergine Christiana e della Croce divota, e della Passione di Christo, e parimenti libera, florida, chiara: e piena assicurarsi dall’eternità sua la Giustizia e il fondamento. Nell’Equinotio, all’hora erano i giorni. Nella Sede di San Pietro Pontefice Massimo, all’hora havea la residenza sua Papa Celestino Secondo. Nell’’Imperio si ritrovavano Teodosio il Giovine, et Valentino, dinotando la detta Città essere Celeste, e Valenti, gli habitatori di lei, e parimenti di humiltà, di ricchezze, e di prudenza dotati, tal che sicurissimamente si può dire ciò che nell’Ecclesiastico si trova scritto, al capitolo 25: Tres species odivit anima mea; aggravador valde animae illorum; Pauperem superbum et divitem mendacem et senem fatuum et insensatum, poi chè questi sono da lei molto lontani.
SITO DELLA CITTA’ DI VENETIA E SUE QUALITA’
Voglio Hora ampiamente trattare delle Qualità, e del sito maraviglioso et inespugnabile di questa inclita Città, tutte grandezze sue. Dico adunque che VENETIA SE NE STà NEL Più SECRETO SENO DEL MAR Adriatico nel cuor della bella Italia stuata, la quale meritamente è Porto di Mare admantata, quivi nelle acque salse giacendo, da ogni parte, e cinque miglia discosta dalla Terra ferma, è dal Mare altrettanto, dove per il furor dell’acque, che (da venti gonfiate) li potesse apportare danno. Vi sono contraposto il Lito, che gli fanno insieme con l’arena sicurissima trincera, e riparo. Appresso la Chiesa di S. Nicolò alle bocche del Porto, anticamente vi dei Castelli, peri quali à nostri giorni per determination del Senato, si è fatti un superbo et inespugnabile forte, sopra del quale scuopronsi d’ogni torno il mare. Poi, è cinta et attorniata dall’acque, di maniera tale, che i Canali scorrendo per lei si (come per il corpo humano le vene) si formano un grandissimo numero di Isolette, sopra le quali si veggono edifici belli, fabriche grandi, palazzi superbi, machine illustrissime, e teatri veramente reali, e col mezzo di ponti di pietra, ascendenti al numero di 402 si ricongiungono insieme le predette Isolette. Si chè per tutta la Città, agevolmente si pono andare, tanto per acqua, quanto per terra, essendo le strade, e piazza di buoni, e spessi matoni, e nelle fondamente per comodità di andare in barca sono state fatte le rive a scaglioni di pietra viva, che con incomparabil comodità, si vanno per acqua entro piccole barche, meglio di qual si voglia lettica. Queste si chiamano gondole e sono di forma leggiadra e bella d’ornamento, e voghe, quali tra quelle di nobili Cittadini e mercenarie, son il numero di dieci milla: le mercenarie, e al servigio di tutti si di giorno, come di notte, e stanno alli traghetti, di qua, e di là dal Canal Grando, et anco per i detti canali della Città, per maggior comodità. La lunghezza di questo Canal Grando è lungo millecinquecento passa, il quale comincia da punta della Doana da Mar, e finisce alla punta di S. Chiara.
La Città è da questo in due parte divisa, a guisa di uno S. la qual, non si può ricongiunger se non con il maraviglioso Ponte di Rialto, con archietetura celeberima, e spesa inestimabile, fabricato con 24 botteghe sopra, e chi à veduto il principio delle sue fondamenta può dire un à veduto portar monte sopra monte, si come favoleggiano, i Poeti dè fieri Giganti per salire al cielo.
No vi sono porte a questa Città, che la chiude nella quale, può entrare, et uscire, à suo bene placito ogn’uno la notte, come al giorno, ma non di meno, è tanto sicura, che non si può temere ne in Terra, mè in Mare, l’insidie nemiche.
Mi da à credere che questa Città fosse profetata dal profeta Ezechiele non capitolo 38 dove dice Ascendam ad terram absque muro veniam ad quiescentes habitantesque secure hic onmes habitant sine muro vectes et portae non sunt eis. Questa Città è comoda per il suo sito, non solo in Italia, ma a tutto il mondo, da ogni parte concorendovi gran quantità, di negotianti per i trafichi grandi, che in lei si fanno, e per la moltitudine dell’arti, che ivi si trovano, per l’inumerabile quantità di nobili, eccelenti, et virtuosi, che regnano in lei, e finalmente per l’abbondanza di tutte quelle cose apparenti all’ornato della vita virtuosa e civile fiorendo in lei, le lettere, l’armi, et ogn’altro essercitio nobile, e quello della la musica sopra tutti gli altri, à il suo seggio, la onde si può dire col Profeta: Repleta est et glorificata nimis in corde maris.
Questa Città, è abondante in tutte le cose, è ricca sopra d’ogni altra cosa, per i traffici del mare. Alludendo Nahum Profeta nel Cap.3 dice Cuius divitiae mare et acquae muri eius. L’aria, è temperata, è buona, si per il flusso et riflusso dell’acque, che sei hore crescendo, et sei hore calando, conducono via tutte le immonditie, come per le fornaci, che si fanno i bicchieri, e caraffe in Murano, le quali risolvono i vapori maligni, e li discacciano et anco perché la acque salse, che sono più tosto calde, che umide, cagionano temperie, et i venti, che scopertamente soffiano, più salutifera, e più chiara la rende. Di che ne fanno indubitata fede, il vedervi quantità de rubicondi vecchi, e tanta diversità di nationi, di lingue e d’habiti differenti, a quali conferiscono senza nocumento alcuno, dove in magnificarla, elodarla sono tutti concordi. Circonda questa Città, otto miglia, ma lasciando fuori la Zuecca, sono sette, alla quale senza barca, non si può andare, per essere dal Canal grando separata. Tutte le Jsole che intorno a lei si trovano anticamente ci conmerarono per sue contrade, benchè fossero sessanta miglia discoste, come da Capo d’Argere sino a Grado. Il suo nome, fu Riva alta, da quel luogo ove fu cominciata, così chiamato, il quale poi corrompendosi fu chiamato Rialto poi di gente accresciuta, furono dal principato e dal Senato, di fabriche adornata. Indi divenendo Città ampia, et honorata, non solo ascose in se, sola la nobiltade, le ricchezze, e dell’antica Provincia ogni splendore, ma anco il nome non più Riva alta, o Rivo alto, ne meno Heneti, ma mutando la H. in V. chiamaronsi Veneti i popoli, e la Città VENETIAE, nome con giudicio postogli. E’ convenevolmente posta nell’ombelico del Dogato, quella che come Donna, è Signora, l una e l’altra parte regge, e governa, essendo molti scrittori, questa Città adimandata per le qualità sue, di lei singolare, s’interpreta il nome suo VENETIA quasi adunque voglia dire VENI ETIAM, cioè vieni ancora, et ogni qualvolta che tu vorrai, sempre vedrai cose nuove, e però dirotti VENI ETIAM. Delle quali cose che in essa si ritrovano, di essere degnamente ammirate, potranno i curiosi lettori, a beneplacito suo, vedere ne i primi dieci libri, dell’Historia del sign. Francesco Sansovino ne i quali haverà ragguaglio particolarmente di ciò, et intenderà il tutto minutissimamente, di quanto l’habbiamo qui ragionato, sopra questa Illustrissima, Eccelsa, e non mai, à pieno lodata Città di VENETIA.
Varrà la pena di ricordare, come già accennato, che moltissime località della laguna Veneta hanno tutt’ora i nomi antichi Romani. Valgano per tutte i nomi delle quattro porte della Città di Aquileia chiudevano che il “cardine” ed il “decumano”: “Boreana” – Burano, “Turricellum” – Torcello, “Muriana” – Murano, “Majurbium” – Mazzorbo, e le scomparse “Castrasia”, “Ammiana”, “Ammianella”, Costanziaca, ecc. ecc.
Riporto, ora, testualmente la lettera di Cassiodoro che, nel VI secolo ed esattamente nel 537 chiedeva ai Tribuni delle isole Rialtine di trasportare delle derrate alimentari dall’Istria alla capitale Ravenna per conto di Vitige re dei Goti allora dominatori d’Italia, quale dimostrazione che la comunità Veneta già era viva e prosperosa (per brevità, tralascio in parte l’originale in latino):
(“Tribunis marittimorum Senator praefectas Praetorio”
Data pridem jussione, censuimus, ut Istria vini olei vel tritici species, quarum praesenti anno copia indulta perfruitur, ad Ravennam feliciter dirigeret mansionem. Sed vos, qui numerosa navigia in ejus confinio possidetis, pari devotionis gratia
(ciò non significa sudditanza, bensì richiesta)
providete, ut quod illa parata est tradere, vos studeatis sub celeritate portare. Similis erit quippe utrisque gratia perfectionis, quando unum ex his dissociatum impleri non permittit effectum. Estote ergo promptissimi ad vicina, qui saepe spatia transmittitis infinita. Etc. etc.)
Ai Tribuni marittimi
Il Senatore Prefetto del Pretorio
“Con un comando, già dato, ordinammo che l’Istria mandasse felicemente alla residenza di Ravenna i vini e gli olii di che ella gode abbondanza nel presente anno. Voi che nei confini di essa possedete numerosi navigli, provvedere con pari atto di devozione acciocchè quella è pronta a dare, voi vi studiate di trasportare celermente.
Sarà così pari e pieno il favore dell’adempimento. Mentre l’una cosa dall’altra dissociata, non piuù si avrebbe l’effetto. Voi, navigando tra la patria, scorrete, per così dire i vostri alberghi. Si aggiunge ai vostri comodi, che anche altra via vi si apre sempre sicura e tranquilla. Imperciocchè, quando per l’infuriare dei venti vi sia chiuso il mare, vi si offre altra via per amenissimi fiumi. Le vostre carene non temono aspri soffi, toccano terra con somme felicità e non sanno perire, esse che sì frequentemente si staccano dal lido. Non vedendone il corpo avviene talora di credere che sieno tratte per praterie, e camminano tirate dalle funi quelle che son solite starsi ferme alle gomene; cosicchè, mutata condizione, gli uomini ajutano le barche. Queste già portatrici, sono invece tratte senza fatica, e in luogo delle vele, si servono del passo più sicuro dei nocchieri. Ci piace riferire come abbian vedute situate le vostre abitazioni. Le famose Venezie già piene di nobili, toccano verso mezzodì a Ravenna ed al Po; verso oriente godono della giocondità del lido Ionio, dove l’alternante marea ora chiude, ora apre la faccia dei campi: ove pascean le greggi, ora il pesce pasce. Colà sono le case vostre quasi come di acquatici uccelli, ora terrestri, ora insulari: e quando mutato l’aspetto dei luoghi, subitamente somigliano alle Cicladi quelle abitazioni ampiamente sparse e non prodotte dalla natura, ma fondate dall’industria degli uomini. Perciocchè la solidità della terra colà aggregata con vimini flessibili legati insieme, e voi non dubitate opporre sì fragile riparo alle onde del mare, quando il basso lido non basta a respingere la massa delle acque, non essendo riparato abbastanza dalla propria altezza. Gli abitatori poi hanno abbondanza di pesci; poveri e ricchi convivono colà in eguaglianza. Un solo cibo li nutre tutti; simile abitazione tutti raccoglie: non sanno invidiare gli altrui penati e, così dimorando, sfuggono il vizio cui va soggetto il mondo. Ogni emulazione sta nel lavoro alle saline; invece di aratri e falci, voi fate girare cilindri, e da ciò nasce il vostro frutto; poiché per esse possedete ciò che voi non avete fatto. All’arte vostra è soggetta ogni produzione: poiché ben può l’oro essere meno ricercato da taluno, ma non v’ha alcuno che non desideri il sale, al quale devesi ogni cibo più grato. Laonde, restaurate le navi che tenete legate a modo di animali alla vostre pareti, affinchè quando Lorenzo, uomo espertissimo mandato a provvedere le derrate, siasi adoperato ad eccitarvi, voi presto accorriate (Ut, quum vos vir experientissimus Laurentius qui ad procurandas species directus est, commonere tentaverit, festinetis, excurrere. Lorenzo era il factotum di Vitige per l’approvigionamento della corte), voi presto accorriate. Non tardate adunque per niuna difficoltà le spese necessarie, potendo voi, secondo la qualità dell’aria, scegliere una via più breve”.
CO SAN MARCO ALSA LA COA,
TUTE LE ALTRE BESTIE LE SBASSA LA SOA.
La seguente iscrizione, in marmo nero con lettere incise e dorate, era posta sopra gli “stalli” dei Magistrati alle Acque a Rialto, Magistratura istituita dalla Repubblica nel 1505. Ora si trova al Museo Correr.
VENETORUM URBS DIVINA DISPONENTE
PROVIDENTIA IN AQUIS FUNDATA, AQUARUM
AMBITU CIRCUMSEPTA, AQUIS PRO MURO
MUNITUR: QUISQUIS IGITUR QUOQUOMODO
DETRIMENTU PUBLICIS AQUIS INFERRE
AUSUS FUERIT, ET HOSTIS PATRIAE
IUDICETUR: NEC MINORE PAENA
QUA QUI SANCTOS MUROS PATIAE VIOLASSET:
HUIUS EDICTI IUS RATUM PERPETUUM
ESTO
Dettata dall’Umanista
GIOVANBATTISTA CIPELLI
Detto L’ EGNAZIO
(Venezia 1473-1553)
LA CITTA’ DEI VENETI PER VOLERE DELLA DIVINA PROVVIDENZA
FONDATA SULLE ACQUE, E CIRCONDATA DALLE ACQUE E’ PROTETTA DA ACQUE IN LUOGO DI MURA: CHIUNQUE PERTANTO OSERA’ ARRECARE
NOCUMENTO IN QUALSIASI MODO ALLE ACQUE PUBBLICHE SIA CONDANNATO COME NEMICO DELLA PATRIA E SIA PUNITO
NON MENO GRAVEMENTE DI COLUI CHE ABBIA VIOLATO LE SANTE MURA DELLA PATRIA.
IL DIRITTO DI QUESTO EDITTO SIA IMMUTABILE E PERPETUO.
Il Grande Francesco Petrarca, in una lettera inviata ad un suo amico di Bologna nell’agosto del 1321, così descriveva la Serenissima Repubblica di Venezia:
…quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita: Città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra saldi marmi fondata ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile e, meglio che dal mare ond’è cinta, dalla prudente sapienza dè figli suoi munita e fatta sicura”.
ECCO: QUESTO ERA IL VENETO!!
ABBIAMO TUTTI SOTTO GLI OCCHI COME E’ RIDOTTO ADESSO, DOPO LA SCIAGURATA E FORZATA ANNESSIONE VOLUTA DAI SAVOIA ED I LORO ACCOLITI, PRIMI E SECONDI.
Voglio, infine, ricordare la celeberrima “ORAZIONE DI PERASTO” che il Capo di quella Comunità declamò al popolo il 23 agosto del 1797, quando fu costretto a seppellire il Gonfalone di S. Marco sotto l’altare della chiesa affinchè non cadesse in mani indegne.
“In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el Gonfalon de la Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta passada, che quella de sti ultimi tempi rende più zusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente sostenuto fino all’ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorando co sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto.
Sfoghemose cittadini, sfoghemose pur, ma in sti nostri ultimi sentimenti, coi quali sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto al Veneto Serenissimo Governo, rivolgemose verso sta insegna che lo rappresenta, e su ela sfoghemo el nostro dolor. Par 377 anni la nostra fede, el nostro valor, l’ha sempre custodìa per terra e per mar, per tutto dove ne ha ciamà i so nemici, che xe stai queli de la Religion. Per 377 anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite, le xe sempre sate par ti, o S. Marco; e felicissimi sempre se avemo reputà, ti co nu, nu co ti; e sempre co ti sul mar semo stai illustri e vittoriosi. Nissun co ti n’ha visto scampar, nissun co ti n’ha visto paurosi. Se i tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, per dissension, per arbitri illegali, per vizi offendenti la natura e el gius de le genti, non avesse ti tolto dalla Italia, per ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la vita nostra, e piutosto che vederte vinto e disonorà dai toi, el coraggio nostro, la nostra fede, se averave sepelìo soto de ti. Ma za che altro no ne resta da far per ti, el nostro cuor sia l’onoratissima to tomba, e el più duro e el più grando to elogio le nostre lagreme.”
Viva S. Marco, Patrono del Veneto
(e nostra ultima speranza!!)
Gigio Zanon