Bergoglio il Papa vergognoso che santifica il criminale Maometto e l'orrendo l'Islam e che abbraccia il fanatico nazista islamico antisemita, antisraeliano e anticristiano imam egiziano Ahmed al TayyebAhmed al Tayyeb con Papa Bergoglio http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... C3%A7o.jpgIl Mosè palestinese, il silenzio di Bergogliodi Matteo Matzuzzi
http://ilnapoletano.org/2017/04/il-mose ... -bergoglioIl presidente Abdel Fattah al Sisi si toglie gli occhiali da sole solo all’interno della sala dove incede la teoria di ospiti e invitati alla cerimonia d’accoglienza organizzata per il Papa di Roma, pellegrino nell’Egitto dove la convivenza millenaria tra cristiani e musulmani è ogni giorno resa più ardua dal fondamentalismo. Prima, all’esterno, tra guardie d’onore impettite e bandiere nazionali, Francesco ascolta l’Inno pontificio eseguito dalla non eccelsa banda delle Forze armate locali, che in passato aveva trasformato davanti a un François Hollande imbarazzato la Marsigliese in una nenia del tutto dimenticabile.
Esauriti i doveri protocollari, la due giorni papale sulle rive del Nilo è entrata nel vivo, con il discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, che nel Grande imam di al Azharn, Ahmed al Tayyeb, il principale sponsor e organizzatore. Ed è proprio quest’ultimo a creare i primi imbarazzi, usando il discorso di saluto per ricordare che “gli insegnamenti di Mosè sono stati interpretati male per occupare territori provocando milioni di vittime, persone – il popolo palestinese – che ha diritti giusti”. E lo stesso vale per i cristiani che non sono terroristi anche se “hanno usato la croce per uccidere”.
Poteva evitare, secondo Yahya Sergio Pallavicini, presidente del Coreis, che intervenendo a Tv2000 ha visto una “asimmetria tra il discorso di Papa Francesco e quello del Grande imam di al Azhar”. Dal primo “emerge una maggiore universalità”; mentre il secondo era connotato da “un’attenzione locale come se fosse un discorso solo per il mondo arabo”.
Ma Ahmed al Tayyeb è questo, non tenero con gli ebrei “occupanti” e poco sensibile ai diritti umani, se è vero che ha auspicato il rogo e la mutilazione per i jihadisti rei d’aver bruciato vivo il pilota giordano che combatteva il Califfato. I
l Pontefice, da par suo, ha richiamato sull’impor – tanza dell’educazione – tema caro al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e sottolineato anche nell’intervista all’Osservatore Romano concessa alla vigilia del viaggio dal cardinale Pietro Parolin – per vincere ogni forma di fondamentalismo e superare “la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi”.
Quindi ha ricordato che “un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo” e “che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte”. E questo, ha aggiunto Bergoglio, “è un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa da quella politica”.
Il rischio, a quel punto, è che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”.
Il discorso va capovolto, perché “oggi specialmente la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Al – to per imparare a costruire la città degli uomini”. E però l’attualità impone riflessioni ulteriori, dal momento che “mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza”.
Violenza che – ha sottolineato Francesco – “è la negazione di ogni autentica religiosità” e “in quanto responsabili religiosi, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”.
Il Papa ribadisce quali sono, a suo dire, le cause di questa violenza, a cominciare dalla proliferazione di armi che, “se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra – ha aggiunto – se ne possono prevenire le cause reali”. Il fatto, “sconcertante” è che “mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, e ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.
Più tardi, davanti al Papa copto Tawadros II, scampato all’attentato che la domenica delle palme ha colpito l’esterno della cattedrale di San Marco ad Alessandria, Francesco ha ricordato come “la maturazione del nostro cammino ecumenico è sostenuta, in modo misterioso e quantomai attuale, anche da un vero e proprio ecumenismo del sangue”.
“Ancora recentemente, purtroppo – ha aggiunto il Papa Francesco – il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato”. Unico, ha detto ancora, “è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente è qualcosa che ci unisce”.
Perché con questo islam è impossibile dialogareRino Cammillerri - Dom, 30/04/2017
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 91367.html«Q uante divisioni ha il papa?», chiedeva sarcastico Stalin a chi gli faceva presenti le rimostranze della Santa Sede sui diritti umani e allo sterminio dei cristiani - nell'Unione Sovietica. Il papa, infatti, non ha eserciti, se non di «preganti», gente che ogni giorno prega Dio «secondo le intenzioni del Pontefice». Non è poco, se si pensa alla fine che ha fatto l'Urss grazie a un papa, Giovanni Paolo II, e a una semplice consacrazione della Russia alla Madonna. Però ci sono voluti 70 anni di sofferenze. Ora è il turno di un islam tornato aggressivo. Che cosa può fare il papa se non pregare e cercare di dialogare?
Ma anche il dialogo è via ardua, e non solo per scarsa disponibilità di un interlocutore che spesso mostra di preferire le vie spicce. Sempre che si possa individuarlo, l'interlocutore. L'università cairota Al-Azhar è la massima autorità teologica del mondo islamico sunnita. Ma impropriamente la chiamiamo università, perché è in realtà una scuola per imam. L'autorevolissimo islamologo Samir Khalil Samir dice sconsolato che in quell'«università» si usano testi di sette secoli fa. Il dialogo, poi, richiede almeno una base comune di logica. È quel che ha provato a dire Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona, invitando, appunto, l'islam a ragionare. Il risultato sono stati pogrom anticristiani in molti Paesi islamici. E l'«università» del Cairo è arrivata a rompere i rapporti con Vaticano, rapporti faticosamente ricuciti dopo qualche anno da papa Francesco. Ma ancora si aspetta che Al-Azhar dica una parola definitiva di condanna sull'Isis.
Come si potrebbe dire che l'Isis non sia pienamente islamico? La sua bandiera è quella del Profeta, reca scritta la shahada (professione di fede) e stampata una scimitarra. Come nella bandiera dell'Arabia Saudita. La quale inonda di denaro l'Egitto, che ne ha parecchio bisogno. Ma l'Arabia propaganda un islam in versione wahhabita, la più rigorosa. E ha convinto molti egiziani. Secondo i sondaggi, tra l'80 e l'85% degli abitanti del più affollato Paese musulmano (dopo il Pakistan) sono d'accordo sull'uso della sharia. Perciò, il gran Muftì di Al-Azhar, anche volendo, non può andare al di là delle solite frasi di circostanza, assecondando papa Francesco nei discorsi ufficiali. Ma sicuramente conosce questa sentenza del grande filosofo musulmano Muhammad al-Ghazali: «Io non ho mai visto una sessione di dibattito che sia finita con la conversione di una sola persona all'islam. Le conversioni sono sempre avvenute per altre cause, soprattutto per la lotta con la spada. Non abbiamo ereditato dai nostri antenati il costume del diffondere l'islam con le discussioni». E magari quest'altra: «Bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all'islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre».
L’Imam del Cairo e la sua fatwa contro gli ebrei e IsraeleNiram Ferretti
30 aprile 2017
http://www.progettodreyfus.com/limam-de ... ei-israeleBisogna riconoscere a Ahmad al-Tayyib, il Grande Imam dell’Università di al Azhar del Cairo, una notevole perseveranza. In tutti questi anni non ha mai rinunciato ad un’occasione per attaccare Israele e, meno frequentemente davanti a interlocutori occidentali, a sottolineare la “perfidia” degli ebrei. La minore frequenza è semplicemente dovuta a un fatto tattico. Al di fuori del mondo arabo e musulmano, dichiarare che i peggiori nemici dei musulmani sono gli ebrei non gli assicurerebbe la stessa popolarità che gli arride quando, al posto di quest’ultimi colloca i sionisti. Allora, gli applausi in Occidente arrivano.
Ahmad al-Tayyib è il successore di Muhammad Sayyid Tantawi, autore di un testo di settecento pagine dedicato agli ebrei nel Corano e nella tradizione islamica, in cui vengono sottolineate le specifiche caratteristiche “degenerate” del popolo ebraico, anche se, con lodevoli eccezioni, “Non tutti gli ebrei sono uguali. Quelli buoni diventano musulmani (Corano, 3:113) mentre quelli cattivi no”.
Ahmad al-Tayyib non ha volute essere da meno del suo illustre predecessore. In una intervista del 25 ottobre 2013 al canale televisivo principale della televisione egiziana, offri l’esegesi del versetto 5:82 del Corano il quale comincia in questo modo, “Scoprirai che i più veementi nella loro ostilità contro i credenti sono gli Ebrei e gli idolatri”.
“Questa è una prospettiva storica che non è mutata fino ai giorni nostri”, disse al-Tayyib “Guardate come soffriamo oggi a causa del sionismo e dell’ebraismo globali…Fin dall’inizio dell’Islam, 1400 anni fa, abbiamo sofferto a causa dell’interferenza ebraica e poi sionista negli affari musulmani. Questo è causa di molta afflizione per i musulmani. Il Corano lo ha detto e la storia lo ha dimostrato“.
Il giudeo-sionismo mondiale nemico giurato dei musulmani propugnato dall’imam del Cairo non è altro che la riproposizione del complotto demo-pluto-giudaico-massonico di conio nazifascista ereditato direttamente dai Protocolli dei Savi di Sion. Al-Tayyib si è limitato a versare il vino relativamente nuovo dei paradigmi complottisti novecenteschi antisemiti occidentali dentro l’otre vecchio dell’antisemitismo teologico islamico, tradizione che lo precede, naturalmente, e di cui egli non è altro che una autorevole staffetta.
In una altra intervista, sempre sullo stesso canale egiziano, l’8 settembre 2014, spiegò agli ascoltatori che:
“Tutti i principali gruppi terroristici sono i nuovi prodotti dell’imperialismo al servizio del sionismo globale nella sua nuova versione, il cui obbiettivo è quello di distruggere il Medioriente”.
Rincarò la dose in un’altra occasione riproponendo uno degli evergreen antisionisti musulmani creato ad hoc negli anni ’30 da Amin al Husseini, il presunto tentativo ebraico di impadronirsi della moschea di Al Aqsa:
“Per costruire l’Egitto dobbiamo essere uniti. La politica è insufficiente. Allah è la base di tutto. La moschea di al-Aqsa è attualmente sotto attacco a causa di una offensiva da parte degli ebrei…Non permetteremo ai sionisti di giudaizzare al-Quds (Gerusalemme)”
Non c’è dunque da meravigliarsi se, ricevendo papa Francesco, nella sua prima visita in Egitto, il Grande Imam abbia utilizzato il discorso di saluto nei confronti del pontefice per sottolineare in chiave palesemente antiisraeliana che:
“Gli insegnamenti di Mosè sono stati interpretati male per occupare territori provocando milioni [sic] di vittime, il popolo palestinese, che ha diritti giusti.”
Infatti, come meravigliarsi delle parole di questo uomo “illuminato” e aperto al dialogo, così come viene propagandato in Occidente, tanto che nel 2015, la presidente (a) della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, lo aveva invitato a Montecitorio per tenere una lezione sulle virtù pacifiche dell’Islam? Lo stesso che ha giustificato gli attentati suicidi palestinesi con queste parole, “I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi di martirio”?
L’incontro a Montecitorio non ci fu, ma in compenso ci fu quello ben più importante in Vaticano nel maggio del 2016, dove l’attuale papa lo accolse per cercare di ricucire allo strappo creatosi nel 2006 tra il Vaticano e l’imamato sunnita egiziano a causa delle polemiche furibonde seguite alla Lectio di Ratisbona di Benedetto XVI.
Di nuovo il papa ha avuto modo di rivederlo al Cairo e di ascoltarlo mentre deliziava la platea con i suoi attacchi nei confronti di Israele.
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Il Papa: la Santa Sede si è mossa per cercare la verità su RegeniCarlo Marroni
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... m=facebook Dal volo Il Cairo-Roma. Il caso della morte di Giulio Regeni. Il Papa al termine del viaggio di due giorni al Cairo ne parla, ma senza dare dettagli. Solo che la Santa Sede si è evidentemente mossa per la ricerca della verità sull'assassinio del giovane ricercatore. Nella tradizionale intervista collettiva sul volo di ritorno Bergoglio spazia dal rischio di una guerra nucleare e dei populismi, dalle elezioni in Francia al Venezuela. Ecco il testo integrale della conversazione.
Lei nel primo giorno della visita ha incontrato il presidente Al Sisi: avete parlato di diritti umani e del caso di Giulio Regeni? Si potrà conoscere la verità?
«Quando sono con un capo di Stato in dialogo privato quello rimane privato, almeno che si sia d'accordo nel renderlo pubblico. Io ho avuto quattro dialoghi privati qui, e credo che se è privato, per rispetto, si deve mantenere la riservatezza. A proposito di Regeni: io sono preoccupato, e dalla Santa Sede mi sono mosso su quel tema, perché anche i genitori lo hanno chiesto. La Santa Sede si è mossa. Non dirò come ma ci siamo mossi».
«Meglio non credenti che ipocriti. L'unico estremismo ammesso è la carità»
Ha anche detto che pace, prosperità e sviluppo meritano ogni sacrificio ed è importante il rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo. È stato il suo un supporto al governo egiziano che cerca di difendere i cristiani?
«Io ho parlato dei valori in se stessi, del difendere la pace, l'armonia dei popoli, l'uguaglianza dei cittadini, qualsiasi sia la religine che professano. Sono valori e io ho parlato dei valori. Se un governante difende uno o l'altro di questi valori è un altro problema. Ho fatto finora 18 viaggi e in parecchi Paesi ho sentito: «Il Papa appoggia questo o quel governo. Sempre un governo ha le sue debolezze o i suoi avversari politici che dicono una cosa e un'altra. Io non mi immischio, parlo dei valori, ognuno veda e giudichi se un governo o uno Stato porta avanti questi valori».
Il messaggio di pace religiosa di Francesco: «Smascherare la violenza»
Alla università di Al Azhar ha parlato dei populismi demagogici. I cattolici francesi sono tentati dal voto populista ed estremo e sono divisi tra due candidati. Quali elementi di discernimento può dare per questi elettori cattolici?
«Ho dovuto re-imparare in Europa la parola “populismi”ˮ perché in America Latina ha un altro significato. C'è un problema in Europa e nell'Unione Europea, quello che ho già detto sull'Europa non lo ripeterò, ne ho parlato quattro volte: due a Strasburgo, poi alla consegna del premio Carlo Magno e infine in occasione del sessantesimo dei Trattati di Roma. Ogni Paese è libero di fare le scelte che crede convenienti e davanti a questo io non posso giudicare se questa scelta la fa per un motivo o per l'altro. Non conosco la politica interna. È vero che l'Europa è in pericolo di sciogliersi, questo è vero. Dobbiamo meditare. C'è un problema che spaventa e forse alimenta questi fenomeni, ed è il problema dell'immigrazione. Ma non dimentichiamo che l'Europa è stata fatta dai migranti, da secoli e secoli di migranti, siamo noi. È un problema che si deve studiare bene, rispettando le opinioni, una discussione politica con la lettera maiuscola, la grande politica. Sulla Francia: dico la verità, non capisco la politica interna francese e ho cercato di avere buoni rapporti anche col presidente attuale, con il quale c'è stato un conflitto una volta ma poi ho potuto parlare chiaramente sulle cose. Dei due candidati francesi non so la storia, non so da dove vengono, so che una è una rappresentante della destra, ma l'altro non so da dove viene e per questo non so dare un'opinione. Parlando dei cattolici, mentre salutavo la gente un giorno uno mi ha detto: “Perché non pensa alla grande politica?. Intendeva fare un partito per i cattolici! Ma questo signore buono vive nel secolo scorso!».
Giorni fa fa lei parlando di rifugiati lei ha usato la parola “campi di concentramentoˮ, che per i tedeschi è molto grave. C'è chi dice che sia stato un lapsus...
«Innanzitutto vorrei ricordare bene tutto quello che ho detto. Ho parlato dei Paesi più generosi dell'Europa, citando Italia e Grecia. Sulla Germania: ho sempre ammirato la capacità di integrazione dei tedeschi. Quando io studiavo lì, c'erano tanti turchi integrati a Francoforte che facevano una vita normale. Però il mio non è stato un lapsus! Ci sono campi di rifugiati che sono veri campi di concentramento. Qualcuno forse c'è in Italia, qualcuno forse in altre parti. Lei pensi che cosa fa la gente quando è rinchiusa in un campo senza poter uscire. Pensi che cos'è successo in Nord Europa quando i migranti volevano attraversare il mare per andare in Inghilterra, e sono stati chiusi dentro. Mi ha fatto ridere una cosa, e questa è un po' la cultura italiana: in Sicilia, in un piccolo paese, c'è un campo rifugiati. I capi di quel paese hanno parlato ai migranti e hanno detto loro: “Stare qui dentro farà male alla vostra salute mentale, dovete uscire, ma per favore non fate cose brutte!. Noi non possiamo aprire i cancelli, ma facciamo un buco dietro, voi uscite, fate una passeggiata in paese...ˮ. E così si sono costruiti buoni rapporti con gli abitanti di quel paesino: i migranti non fanno atti di delinquenza o criminalità. Ma stare chiusi è un lager...».
Pyongyang fallisce lancio di missile. Usa pronti a sanzioni
Ha detto che tutti devono essere costruttori di pace. Ha parlato più volte di terza guerra mondiale a pezzi: oggi c'è paura per quello che sta accadendo in Corea del Nord. Trump ha mandato navi militari, il leader nordcoreano ha minacciato di bombardare la Corea del Sud. Si parla di possibilità di guerra nucleare. Se vedrà Trump e altri leader, che cosa dirà loro?
«Li richiamo e li richiamerò a un lavoro per risolvere i problemi sulla strada della diplomazia. Ci sono i facilitatori, i mediatori che si offrono. Ci sono Paesi come la Norvegia, sempre pronta ad aiutare - è solo un esempio. La via è quella del negoziato, della soluzione diplomatica. Questa guerra mondiale a pezzi della quale parlo da due anni, è a pezzi ma i pezzi si sono allargati e si concentrano in punti che erano già caldi. Dei missili coreani si parla da un anno, ma adesso sembra che la cosa si sia riscaldata troppo. Richiamo al negoziato perché è il futuro dell'umanità: oggi una guerra allargata distruggerebbe una buona parte dell'umanità ed è terribile! Guardiamo a quei Paesi che stanno soffrendo una guerra interna, in Medio Oriente, in Yemen, in Africa. Fermiamoci, cerchiamo soluzioni diplomatiche, e lì credo che l'Onu abbia il dovere di riprendere un po' la sua leadership perché si è un po' annacquata».
Lei vuol incontrare il presidente Trump?
«Non sono stato ancora informato di richieste da parte della Segreteria di Stato, ma io ricevo ogni capo di Stato che chiede udienza».
In Venezuela ancora violente proteste: 27 morti in tre settimane
In Venezuela la situazione sta peggiorando. Che cosa si può fare? Il Vaticano può fare una mediazione?
«C'è stato un intervento della Santa Sede su richiesta dei quattro presidenti che stavano lavorando come facilitatori, ma la cosa non ha avuto esito perché le proposte non sono state accettate o venivano diluite. Tutti sappiamo la difficile situazione del Venezuela, un Paese che io amo molto. So che ora stanno insistendo, non so bene da dove, credo ancora da parte dei quattro presidenti, per rilanciare questa facilitazione e stanno cercando il luogo. Ci sono già opposizioni chiare, la stessa opposizione è divisa e il conflitto si acutizza ogni giorno di più. Siamo in movimento. Tutto quello che si può fare, bisogna farlo, con le necessarie garanzie».
Messa del Papa al Cairo con i copti
Quali sono le prospettive dei rapporti con ortodossi russi ma anche con i copti? Il riconoscimento comune del battesimo è importante... Come valuta il rapporto tra Vaticano e Russia alla luce della difesa dei cristiani in Medio Oriente e Siria?
«Io con gli ortodossi ho sempre avuto una grande amicizia. A Buenos Aires, ogni vigilia di Natale andavo ai vespri alla cattedrale del patriarca ortodosso che adesso è arcivescovo in Ucraina: due ore e 40 di preghiera in una lingua che non capivo. E poi partecipavo alla cena della comunità. Anche gli altri ortodossi, alcune volte, quando avevano bisogno di aiuto legale, venivano alla Curia cattolica. Siamo Chiese sorelle. Con il Papa copto Tawadros II ho un'amicizia speciale, per me è un grande uomo di Dio, è un grande patriarca che porterà la Chiesa avanti, il nome di Gesù avanti. Ha un grande zelo apostolico, è uno dei più “fanatici” per trovare la data fissa della Pasqua. Anche io lo sono, ma lui dice: lottiamo, lottiamo! Quando era vescovo lontano dall'Egitto, andava a dare da mangiare ai disabili. L'unità del battesimo va avanti, la colpa è una cosa storica: nei primi concili era chiaro, poi i cristiani battezzavano i bambini nei santuari e quando volevano sposarsi e si ripeteva il battesimo sotto condizione. È cominciato con noi, non con loro. Siamo in buon camino per superare questo. Gli ortodossi russi riconoscono il nostro battesimo e io riconosco il loro. Con i georgiani: il patriarca Elia II è un uomo di Dio, un mistico, noi cattolici dobbiamo imparare da questa tradizione mistica. In questo viaggio abbiamo fatto l'incontro ecumenico, c'era anche Bartolomeo, c'erano gli anglicani... L'ecumenismo si fa in cammino con le opere di carità, stando insieme. Non esiste un ecumenismo statico. I teologi devono studiare ma questo non è possibile che finisca bene se non si cammina insieme, pregando insieme... Con il patriarca russo Kirill ho rapporti buoni e anche l’arcivescovo Hilarion è venuto parecchie volte a Roma e abbiamo un buon rapporto. Con lo Stato russo: so che lo Stato parla della difesa dei cristiani in Medio Oriente, questa credo che sia una cosa buona: parlare contro la persecuzione. Oggi ci sono più martiri che in passato».
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Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e misticaMARCO RONCALLI
http://www.lastampa.it/2017/04/30/vatic ... agina.html Il viaggio del Papa in Egitto è stato, da qualsiasi angolo lo si voglia giudicare, un successo. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione. «Egli – ha affermato Francesco - è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».
Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso.
Un sostegno, innanzitutto, al presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.
Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».
Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra musulmani e cristiani.
Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.
I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue, del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico, maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono, comunque, banali.
Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio». Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul «particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla pace: «Io sono cristiano».
Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»: portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera, sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.
L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico. Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici» possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha, nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente. Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente.
Papa Francesco in Egitto: "Populismi sconcertanti. C'è bisogno di costruttori di pace"di KATIA RICCARDI
http://www.repubblica.it/vaticano/2017/ ... -164101485 IL CAIRO - È arrivato con un messaggio di pace, papa Francesco, al Cairo. Per le strade sfilano furgoni dell'esercito e soldati. Molti hanno il volto coperto e si notano al Cairo sul viale El-Orouba, quello lungo il quale è passata la Fiat tipo di Bergoglio dopo aver lasciato l'aeroporto.
Il dispiegamento di mezzi per il trasporto truppe, tra camionette della polizia e mezzi della "sicurezza centrale", c'è anche sul prolungamento del vialone, la Salah Salem Street, e al ponte del "6 ottobre" sul Nilo spicca un blindato con mitragliatrice pesante. Quasi tutte le vie di accesso al viale El-Orouba sono bloccate. Ma dal finestrino dell'auto Francesco legge anche i cartelli colorati delle persone: "Welcome Pope Francis", "Papa di pace nell'Egitto di pace", e sente la gioia particolare di un milione di lavoratori di Sharm el Sheik in festa.
Il Papa è atterrato puntuale, alle 14. È il secondo Pontefice a visitare l'Egitto, dopo Giovanni Paolo II, che si recò al Cairo e sul Monte Sinai nel 2000. Accolto dal premier egiziano Sherif Ismail, salutato fra gli altri anche dal patriarca della Chiesa cattolica copta, Abramo Isacco Sidrak, da una suora e un bambino, Francesco ha cominciato il suo 18esimo viaggio apostolico Internazionale. Un "protocollo d'accoglienza veloce", perché subito dopo il pontefice si è recato al palazzo presidenziale di Ittihadiya al Cairo, nel quartiere orientale cairota di Heliopolis, atteso dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.
Con occhiali da sole, Sisi ha accolto Francesco sulla porta del bianco palazzo. Al Papa sono stati resi onori militari al suono degli inni vaticano, egiziano e di uno 'patriottico'. Fra i marmi di una sala riccamente decorata, le formalità, lo scambio dei doni, l'incontro privato, dove il Papa potrebbe aver parlato della famiglia Regeni, che ancora chiede verità sulla morte del figlio Giulio. "L'Egitto ha un compito singolare: rafforzare e consolidare anche la pace regionale, pur essendo, sul proprio suolo, ferito da violenze cieche" ha sottolineato nel discorso alle autorità egiziane. Nell'occasione, pur senza nominare Regeni, il Papa ha parlato del dolore "delle famiglie che piangono i loro figli e figlie" e ha rivendicato "un rigoroso rispetto dei diritti umani". "Violenze - ha scandito - che fanno soffrire ingiustamente tante famiglie, alcune delle quali sono qui presenti".
Papa Francesco potrebbe aver sollevato il caso dell'omicidio del ricercatore Giulio Regeni con il presidente Al Sisi nel loro incontro privato. Lo ha riferito una fonte diplomatica europea al quotidiano egiziano Al-Ahram. La famiglia Regeni, aveva fatto apertamente richiesta al Pontefice di parlare del figlio Giulio
Dopo la visita al presidente Francesco ha abbracciato per la seconda volta il Grande Imam di Al-Azhar, il più prestigioso ateneo dell'Islam sunnita, Ahmed Al Tayyib. Un lungo abbraccio dopo l'incontro al Vaticano lo scorso anno. È la prima volta che un Papa visita questa istituzione. Il discorso di Francesco alla conferenza internazionale di Pace promossa da Al Tayyib, di fronte al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, è stato deciso, forte. E l'ha cominciato in arabo: "As-salamu 'alaykum". Che la pace sia con voi.
Quella che chiede e per la quale prega, è una pace indiscutibile, pulita, chiara: "Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall'altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza".
"Vi ringrazio, o Papa, per le vostre giuste dichiarazioni che non qualificano l'islam come terrorismo", ha detto Al-Tayyib parlando di "vostra visita storica" che avviene "durante una catastrofe umana estremamente triste".
La soluzione per la pace descritta da Francesco "per prevenire i conflitti ed edificare la pace" è "adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza. Ancora più alla radice, è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali". Un impegno "urgente e gravoso" cui "sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell'informazione".
Come impegno finale della giornata il Papa ha incontrato anche il patriarca dei copti, papa Tawadros II. "Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato" ha detto rivolgendosi al "Carissimo Fratello" Francesco ricordando le vittime egiziane dell'Isis, sottolinenando che il loro sacrificio unisce le chiese cristiane attraverso "l'ecumenismo del sangue".
"Come unica è la Gerusalemme celeste, unico - ha affermato - è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce". "Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci - ha chiesto - per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l'unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti". "La meravigliosa storia di santità di questa terra non è particolare solo per il sacrificio dei martiri", ha esortato Bergoglio che al tema dell'ecumenismo del sangue ha dedicato gran parte del suo intervento di oggi pomeriggio al Patriarcato copto.