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Da Le origini delle lingue europee di Mario Alinei, volume I da p. 618http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 290004.jpg4.4. Il presunto nome PIE (protoindoeuropeo) di «dio»
La teoria tradizionale assegna molta importanza alla presenza in una vasta area IE di un nome
*deiuos «dio» IE, (P. 185-186), derivante dalla nozione di
*diēus- «cielo» e
*diues- «giorno». ???
Questo anche perché la nozione di «dio-cielo» appare spesso associata a quella di «padre», come mostrano anticoindiano
dyauh pita,
greco zeū páter, latino
Ju(p)piter (da un vocativo
*diu-piter), umbro
iuvepatre, illirico
Dei-patyros, da cui si ricostruirebbe un PIE
*dyēus pətēr (P. 184; cfr. Mallory [1989, 128]).
A questa serie appartengono anche il luvio
tatiš Tiwaz (con un altro nome per «padre») e, più notevole, antico russo
Stribog (da stryi «zio paterno», a sua volta da *ptr «padre», e bog «dio»), nome di una divinità pagana slava. [Gamkrelidze e Ivanov 1984, 692, 455 n. 53], letteralmente «dio zio».
Forse presente anche nelle venetiche iscrizioni come : “eppetaris e jupetaris/iupetaris” (?).
Su questa base ci si fonda per sostenere che i PIE avevano una religione uranica e patriarcale, tipicamente pastorale.
Fin dagli inizi degli studi storico-religiosi, infatti, sia il passaggio da «cielo» a «dio», sia la concezione del «dio padre», sono stati ricondotti all'ideologia dei pastori guerrieri.
In epoca moderna, Raffaele Pettazzoni e i successivi studiosi hanno confermato questa analisi, che correla le religioni di tipo uranico e patriarcale all'economia pastorale.
Sono infatti i pastori che utilizzano nella tecnica riproduttiva dell'allevamento la scoperta del ruolo del padre, e quindi la mettono in primo piano anche sul piano ideologico (la cultura pastorale è la prima cultura preistorica che può essere definita «maschilista»!).
E sono i pastori che indirizzano la loro attenzione ideologica al cielo, anziché alla terra, perché la scoperta del ruolo inseminante del maschio nella riproduzione porta questi gruppi a mettere in secondo piano, ideologicamente, la funzione della madre terra, il cui grembo riceve il seme e lo riproduce, e a portare in primo piano il ruolo del maschio, che in questa chiave mitologica è il cielo che insemina la terra con la pioggia e la ingravida.
Alla «terra-madre» (erede della Grande Madre del Paleolitico Superiore), prima si aggiunge poi si contrappone così il «cielo-padre» (del Neolitico pastorale e agricolo che raggiunge la sua maggior caratterizzazione nell’età dei metalli, in particolare del ferro).
Questa analisi è in sé del tutto corretta, ma la sua applicazione alla teoria tradizionale IE ha prodotto errori notevoli e diversi.
Il primo errore della Gimbutas e dei suoi seguaci, come abbiamo visto più volte, è di aver trascurato l'osservazione che l'IE non mostra soltanto il cielo padre, ma anche la terra madre.
Il contrasto fra le due ideologie è all' interno della società IE, e non fra IE e pre-IE.
Tutte le lingue IE conservano tracce della vecchia ideologia, quella totemica e matrifocale del Paleolitico, e delle sue trasformazioni nel Neolitico.
All'inizio del Neolitico i pastori sono soltanto una delle due specializzazioni tecnologiche fondamentali della società, così come nel Paleolitico si contrappongono (per modo di dire) cacciatori maschi e raccoglitrici femmine. Solo in un secondo momento, i pastori diventano un gruppo autonomo che tende a distaccarsi dalla comune matrice neolitica, per assumere posizioni egemoniche.
Questa lenta transizione non può essere avvenuta senza una lotta fra le due ideologie, il cui esito finale è l'affermazione generalizzata dell'ideologia e dell'organizzazione patriarcale, con la profonda trasformazione delle idee religiose, ad opera dei gruppi pastorali.
II secondo errore è quello di non aver tenuto conto del fatto fondamentale che la religione pastorale basata sul dio padre celeste non è tipicamente IE ma è universale.
Per restare vicini all'Europa, basti ricordare la religione pastoralpatriarcale semitica («Padre nostro che sei nei cieli (...)»), e tutta la serie di divinità celesti e patriarcali precristiane o premusulmane, uraliche e altaiche, alcune delle quali ancora del tutto trasparenti nel lessico contemporaneo (ne vedremo delle attestazioni nel XIX capitolo). Quindi, dalla presenza di aspetti celesti e patriarcali nei dati linguistici IE non si può tirare nessuna conclusione su una «religione IE».
Il terzo errore è di non aver potuto distinguere, per la cronologia troppo bassa, fra almeno quattro diverse fasi, di cui le ultime tre assai ravvicinate fra loro.
La sola parola veramente PIE è quella per «cielo».
Questa è la prima fase, comune a tutta l'area.
La seconda fase è quella in cui nasce la nozione di un «cielo divinizzato», che può essere collocata solo dopo l'inizio delle manifestazioni religiose, nel Paleolitico Superiore se non addirittura nel Neolitico, quando gli elementi uranici fondamentali del ciclo agricolo passano in primo piano, e quando l'unità IE non esiste ormai più da almeno alcune decine di millenni;
la terza fase è quella di un «dio antropomorfo», e questa non può essere che dell'età dei Metalli, in quanto il processo di antropomorfizzazione, con il quale tutte le divinità del vecchio pantheon paleolitico e neolitico tendono ad assumere fattezze umane implica la stratificazione sociale e la proiezione in cielo di rapporti sociali di subordinazione totale.
Non ci può essere concezione di divinità iperantropomorfiche (cioè sovrumane) senza l'antefatto sociale della creazione di un'élite dominante, con poteri di vita e di morte sugli altri uomini.
Solo alla fine di questo processo, sia pure a breve distanza, con l'inizio della dominanza maschile, può nascere infine il concetto di «dio-padre».
Proprio per il loro carattere recente, né il passaggio da «cielo» a «dio», né tanto meno l'associazione dio-padre, possono quindi essere PIE.
D'altra parte, anche gli specialisti hanno recentemente notato che la figura del padre celeste sta all'apice della religione latina e greca, ma è marginale nella religione indiana (e in parte anche in quella venetica/veneta, dove la divinità più importante è la femminile Reithia), per cui si suppone un fenomeno di contaminazione fra religioni diverse [Mallory 1989, 129].
Una conferma di questa analisi viene dalla differenziazione dei nomi di «dio» in area IE.
Questi altri nomi di «dio» si lasciano interpretare molto meglio come prime lessicalizzazioni che non come tarde innovazioni, che avrebbero sostituito il suo «vero nome», come pretende la teoria tradizionale.
La verità è molto più semplice: là dove la componente pastorale fu particolarmente importante, ha avuto luogo il passaggio da «cielo» a «dio-padre».
Questo passaggio può essere avvenuto nelle diverse aree IE anche indipendentemente, così come esso è avvenuto anche in area semitica, altaica e uralica, dove il «dio celeste» è anche diventato la figura religiosa dominante.
Fra l'altro, è interessante notare che la differenza nei nomi di «dio» nelle varie lingue europee era stata notata fin dall'alba dell'osservazione scientifica.
Così come Dante aveva distinto le lingue “dette romanze” dai nomi del «sì» (lingua del sì, lingua d'oc, d'oil), nel Rinascimento, il filologo “Scaligero” (1540-1609 ? forse łe date scrite da Alinei xe sbajà) aveva suddiviso le lingue europee in quattro gruppi proprio sulla base della parola per «dio»: latino deus, tedesco Gott, greco theòs e slavo bog.
Vediamo questi quattro tipi più in dettaglio [cfr. Buck 1949, § 22.12]:
(1) il tipo * deiuo-s «dio», che risale alla radice PIE *die u- , *diu- ecc. «cielo» e «giorno» (P. 183): greco Zeus, (genitivo Diós), latino Iuppiter (dal vocativo, cfr. Zeú Páter), gen. Iovis, antico latino Diovis, venetico Deivos (vedasi iscrizioni), antico indiano dyau-, antico latino deivos, latino deus, italiano dio, francese dieu, spagnolo dios, rumeno zau/zeu, antico irlandese dia, gallese duw, bretone doue, antico islandese tīvar (pl.), Tyr, anglosassone Tig, gen. Tiwes, antico alto tedesco Zīo, lituano dievas, lettone dievs, antico prussiano deiws, antico indiano deva-, avestico daeva-, antico persiano daiva- «demonio», ebraico Jahwé;
(2) lo slavo '' bogъ, dalla radice IE *bhag- «distribuire le parti (da mangiare)» (P. 107) : antico slavo bogъ, avestico baya-, antico persiano baga-, antico indiano bhaga- «dispensatore di beni», bhaj- «dividere», «distribuire, condividere», greco -phàgos «che mangia»;
(3) il gr. theós di origine incerta;
(4) il germanico *guđa- probabilmente dalla radice ghau-«chiamare» (P. 413) : gotico gu-, antico islandese goð, guð, anglosassone god ecc.
Vista nell'ottica della TC, questa documentazione prova che i diversi gruppi IE, ormai separati, hanno utilizzato materiali lessicali IE diversi per motivare la nuova concezione del dio antropomorfo, e che in questa scelta si sono lasciati guidare da fattori etnoculturali di estremo interesse, se studiati come prima facies, e non come «sostitutivi» di un presunto nome originario.
Ecco le osservazioni più rilevanti, che potranno essere approfondite da ulteriori ricerche.
(1) La concezione del «dio padre celeste» si ritrova, senza concorrenti o in una posizione primaria, solo in area celtica, germanica settentrionale, italica, greca e baltica.
In queste aree l'archeologia documenta, proprio come dovremmo aspettarci, anche la forte presenza di culture pastorali (asce da combattimento).
Come vedremo nel secondo volume, per la TC queste culture sono IE, già completamente differenziate fra di loro.
(2) La perdita del carattere celeste nelle (dubbie) attestazioni slave (dove indicherebbe uno spirito malvagio) e in quelle sicure arie, dove il «dio celeste» è relegato al rango di un demone «pagano» [Devoto 1962, 311] rappresenta una trasformazione di segno negativo.
Questa rafforza l'ipotesi che si tratti di un fenomeno di diffusione, di provenienza occidentale.
(3) In area germanica, come ha visto Devoto [ibidem, 310], il «dio celeste» dei pastori guerrieri è attestato soprattutto al nord, mentre al sud è prevalsa la rappresentazione del dio «evocato», *ghuto-, da *ghau, con un forte richiamo alla coscienza individuale.
Ora, l'archeologia mostra che le culture delle asce da combattimento sono caratteristiche del nord dell'area germanica, mentre a sud la cultura che ha plasmato la popolazione germanica è quella neolitica della LBK, una delle prime culture neolitiche europee, con forti caratteristiche individuali, e nella TC già legata all'individualità germanica.
(4) In area slava, dove la motivazione del dio antropomorfo è «distributore di beni» (cfr. il teonimo frigio Bagaios [ibidem, 311]) abbiamo a che fare con una concezione egualitaria e «giustizialista» del dio, che si adatta molto bene alle culture neolitiche slave, fra le più stabili e più conservatrici d'Europa, come mostrerò nel secondo volume. Poco importa che questa nozione sia stata introdotta dall'avestico baga, anticopersiano baga.
(5) Se in area greca la presenza di Zeus conferma l'importanza del dio celeste pastorale, occorre anche ricordare che a Zeús fa concorrenza la nozione di theós, di etimologia controversa (?).
Ricordiamo brevemente le principali etimologie proposte [DELG, s.v.], tutte poco convincenti: Pokorny (259, 269) e Devoto (310) proponevano un fumoso collegamento con latino fumus, greco thymós, e quindi la radice IE *dheues-, *dhus-, *dhues-; Buck [1949, § 22.12] suggeriva IE *dhé «fare, porre» in un'accezione religiosa, non meglio definita; de Saussure, più originale, il greco theîon «zolfo».
Per una nuova ipotesi, si potrebbe tener conto soprattutto del dualismo religioso greco, messo alla luce da Raffaele Pettazzoni e da Ambrogio Donini [1964, 1391].
Il capitolo del libro di Donini dedicato a questo problema si intitola appunto «Le due religioni della Grecia», ed è tutto dedicato al contrasto fra religione matrifocale (in Donini ancora «matriarcale» ) e patriarcale, e aveva già intravisto che il dualismo religioso greco non era l'equivalente dell'opposizione fra IE e pre-IE, bensì rappresentava un dualismo interno alla società greca stessa.
Partendo da questa premessa, si potrebbe opporre Zeus come espressione delle elite di origine pastorale, a una divinità dei ceti subordinati, ancora legati alle ideologie di tipo matrifocale.
Un possibile collegamento potrebbe essere allora fatto con la radice PIE (ProtoIndoEuropea) *dhe(i)- «nutrire, poppare» (P. 241), che appare in greco thénion «latte», tithénē «nutrice», titthē «mammella», thelys «che nutre, femminile», thēlamón «nutrice», thēlé «mammella», latino fēmina, fēlō, filius, fētus, fētāre, fecundus ecc.
La radice si collega ancora con *dhé-, *dhe - dhe- «vezzeggiativo infantile per i vecchi parenti» (P. 235), attestato in greco theios «zio», theia «zia» (*thē-os, *thē-a), tēthe «nonna», tēthis «zia», teonimo Thétis, illirico deda «nutrice», lituano dėdė, dėdis «zio», anticoslavo dědъ «nonno», tedesco deite, teite, svizzero däddi «padre, vecchio», russo djádja «zio» ecc.
La formazione più vicina a theós sarebbe, in tal caso, quella di *theîos «zio» e «divino», il tipico fratello materno o zio avunculare che nelle società matrifocali e matrilineari fa le veci del padre, ancora ignoto.
In questo caso, dietro theós si nasconderebbe una théa «Grande Madre allattatrice», parallela a Thétis, e ancora totemicamente vicina a qualche animale-nutrice, come in oiōnós theá «la dea uccello».
E utile sottolineare che nell'ambito della teoria tradizionale non si vede come ci sarebbe il tempo, fra l'età del Ra-me e l'età del Bronzo, per far scomparire la religione pastorale del dio padre celeste da alcune aree, e farla sostituire di gran carriera con altre religioni completamente diverse.
Nella TC (teoria della continuità) non ci sarebbe bisogno di far scomparire la religione pastorale: essa nascerebbe e resterebbe vitale solo in alcune aree, mentre nelle altre si svilupperebbero altre religioni.
Il tempo sarebbe quello fra Neolitico ed età del Bronzo.
La TC vedrebbe insomma l'affermazione della concezione pastorale del «dio padre celeste» esclusivamente là dove
si erano affermate le culture pastorali (e quindi non solo in area IE, ma anche in quelle semitica, uralica e altaica ecc.), mentre nelle aree dove più forte e radicato era stato lo sviluppo delle culture neolitiche più propriamente agricole — come la LBK della Germania meridionale, le culture di Sesklo in Grecia, quelle di Karanovo in area slava, ecc. le religioni di matrice matrifocale preagricola e agricola avrebbero contrastato la futura ideologia patriarcale.
Non mi azzardo per ora a identificare il focolaio dal quale il termine *deiuo-s «dio» si sarebbe diffuso nel resto dell'area. Ma vorrei sottolineare che secondo il principio unitaristico l'ipotesi della diffusione è del tutto verosimile. Penso all'attuale diffusione mondiale di termini come Allah, Gesù Cristo, Budda, Confucio e simili, cristiano, cattolico, protestante, Islam, mussulmano, buddista, zen ecc. papa, pope, rabbino, guru, muezzin, lama ecc.
Non mi soffermo su un altro pseudoproblema della supposta «religione IE»: quello della concordanza fra il flamen latino e il brahman indiano, altro cardine della tesi tradizionale sulla religione IE comune.
Come tutti i manuali di archeologia, da Childe in poi, oggi chiariscono, la specializzazione sacerdotale richiede l'esistenza di un notevole surplus produttivo, che serva a mantenere la nuova casta, e quindi una società stratificata, che può cominciare al più presto alla fine del Neolitico. I due termini vanno visti come concordanza casuale, o come sviluppo parallelo da una comune motivazione originaria, come del resto si ipotizza anche in ambito tradizionale (P. 154).
Non esiste una religione PIE, per la semplice ragione che quando gli IE sono uniti non possono avere ancora religione, e quando iniziano a seppellire i morti sono già separati e quindi adoperano nomi diversi per la sepoltura. Esistono invece, a partire dal Paleolitico Medio e Superiore, successive ideologie, che si possono sviluppare in modo analogo anche in aree diverse partendo da basi culturali comuni, e sono naturalmente anche suscettibili di diffusione.
5. Conclusione
Ciò che spero di aver mostrato è che l'ipotesi della continuità può illuminare di nuova luce non solo il problema
delle origini del linguaggio e delle diverse famiglie linguistiche, ma anche, molto più tardi, il ruolo dei diversi gruppi linguistici nella diffusione delle innovazioni tecnologiche e ideologiche nel resto d'Europa: come il ruolo celtico nella diffusione della ruota raggiata, il ruolo delle aree delle culture guerriere pastorali dell'Europa tardo neolitica ed eneolitica nella diffusione dell'ideologia del dio padre celeste, il ruolo dell'area greca come tramite del Neolitico mesopotamico nella diffusione dell'aratro.
Ciascuna delle nuove analisi, se riuscita, potrà fornire spiegazioni utili non solo alla linguistica, ma anche alle altre scienze preistoriche.
Se sono riuscito nel mio intento, spero che gli specialisti dei diversi phyla linguistici, molto più ferrati di me negli aspetti fonetici e morfologici specifici di ciascun'area, accettino la prospettiva di lavorare con la nuova ipotesi di lavoro, riesaminando nel nuovo quadro cronologico offerto dalla TC la ricchissima documentazione IE, uralica, altaica e afroasiatica prodotta dalla comparatistica.
Nei prossimi due capitoli, gli ultimi del libro, cercherò di illustrare gli stessi fatti preistorici attraverso due altri prismi linguistici: quello della stratigrafia nascosta nel lessico latino, e quello della stratigrafia ancora visibile nei dialetti viventi.