Il sud della penisola italica - i meridionali

Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:07 am

Il sud della penisola italica - i meridionali
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:08 am

Traggo spunto da questa discussione per sviluppare un approfondimento tra realtà, mito, tabù e pregiudizio


https://www.facebook.com/groups/1113374 ... 2135052328


Alberto Pento
???
Aveva già anche la mafia e la camorra. E non è certo tutta colpa e causa dello stato italiano se il sud della penisola è quello che è; il Veneto con l'arrivo dello stato italiano era divenuto una delle aree più depresse e malridotte della penisola (la maggiore emigrazione da miseria e la totale distruzione della prima guerra mondiale) perché è riuscito a riprendersi nonostante lo stato italiano, mentre il sud no, nonostante la Cassa per il Mezzogiorno, le false pensioni di invalidità, le pensioni anticipate e le assunzioni pubbliche?


Raffaello Domenichini
Non posso darti torto e da te, credo, di avere anche molto da imparare. La cosa che non vorrei però imparare è quella tua "reattività" spontanea che non riesci a contenere, appena si nominano!
Alberto avrei piacere di farti parlare con alcuni miei conoscenti: Veneti D.O.C.G. in prepensionamento (Aeroporto di Venezia, F.S.), ecc. nonché invalidi di comodo. Dobbiamo stare attenti a pregiudizi e facili etichette.
Non siamo santi perché Veneti!
Ti vorrei, invece, sentire presente e magari leggerti su di un'analisi obiettiva e puntigliosa, come sai ben fare, che tenga conto della loro storia tra invasioni, monarchia e feudalesimo latifondista a differenza di noi che arriviamo da centinaia di anni, più o meno organizzati, abbastanza democraticamente, in Repubblica. Sono cose che credo abbiano anch'esse condizionato comportamenti e caratteri.
Per esperienze varie ho conosciuto molti napoletani, siciliani, calabresi, ecc. devo dire che sono diversi da noi ma non peggiori: gran lavativi in ambiente lassista ma, in Germania, a Torino, Treviso o Milano, ecc. dove si "tirava di brutto" e dovunque erano circondati da un ambiente lavorativo, loro c'erano pure. Sanno anche lavorare duro e dimostrare ambizione esemplare con una punta di fantasia e di calore che forse a noi manca.
E i Veneti?
Lasciamo perdere, va'.... non sono tagliato per le statistiche alle quali credo pure poco!
Invece voglio dire questo: il destino mi ha portato a lavorare in Piemonte al soldo di potenti imprese presenti nei lavori pubblici.... Ho toccato con mano la mentalità e mi sono trovato in situazioni dove ho constatato che il Meridione era veramente terra di conquista. Le varie Cassa per il Mezzogiorno erano un modo di fare soldi per le industrie del nord e per i vari politici che assegnavano i finanziamenti, al motto di "piatto ricco mi ci ficco". Da veri predoni.
Predoni? No, non è possibile.... i mafiosi sono loro!!
Passami la battuta: credo che quegli esempi che conosciamo e che condanniamo non sono Veneti, nè Napoletani o Siciliani ma semplicemente.... i t a l i a n i ! ! !




Caro Raffaello

la mafia e la camorra e l'andrangheta non sono state importate al sud della penisola italica da Garibaldi e dai Savoia ma c'erano già;
e da là sono state esportate in giro per il mondo, specialmente la mafia dai siciliani in USA;
la camorra l'hanno esportata anche nel Veneto e ha dato origine alla Mala del Brenta.
È un fatto accertato che in in Europa decenni fa facevano ben distinzione tra i migranti onesti del nord della penisola e i tanti disonesti del sud della penisola; certo non tutti erano disonesti ma molti sì e oggi in parte le cose possono anche essere cambiate (?).

Sarebbe ora che anche le genti italiche del sud della penisola si assumessero le loro responsabilità senza fare sempre le vittime e dare la colpa agli altri; un po come fanno i veneti che danno la colpa a Napoleone senza vedere le enormi responsabilità dei veneziani e poi danno la colpa all'Italia senza riconoscere le responsabilità dei veneti nell'essersi fatti fregare dal mito risorgimentale.

Certo i Savoia hanno fatto grandi danni, dappertutto nella penisola, però i danni maggiori li hanno fatti da noi nelle terre venete, ma dalle nostre parti siamo riusciti con l'impegno e il lavoro a trarci fuori, perché non l'hanno fatto anche altrove, laddove continuano a piangersi addosso?
I soldi che andavano e vanno ancora al sud sono nostri, tolti alla nostra gente ed è naturale che nel passato fossero le imprese sviluppate del nord che andavano a svolgere i lavori pubblici al sud:
Abbiamo visto cosa hanno fatto le imprese meridionali edili al sud con gli edifici che crollano e che sprofondano.
Abbiamo anche visto cosa fanno le stesse imprese al nord, favorite dalla legislazione, negli appalti pubblici, un disastro.
Abbiamo anche visto cosa hanno fatto certi irresponsabili e maledetti governi con la defiscalizzazione degli oneri sociali sul lavoro per attrarre al sud le imprese/industri/aziende del nord che abbandonavano i nostri territori dove si erano sviluppate con il nostro lavoro lasciando un deserto di disoccupati e di disperazione.
Abbiamo visto la gestione fallimentare e l'improduttività di tante grandi industrie del nord che hanno aperto anche al sud con i finanziamenti pubblici
Abbiamo visto la predazione dei tanti dipendenti pubblici meridionali e il pizzo della Guardia di Finanza e di quelli dell'Ufficio Entrate, non parliamo della corruzione nei palazzi di giustizia penali e civili con i pm e i giudici meridionali.

...
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:11 am

Solo l'assunzione di responsabilità aiuta a migliorare e a risolvere i problemi, il vittimismo non fa che accentuarli.

L'inciviltà, l'irresponsabilità, l'incoscienza, la mafiosità predatoria e assassina, le magagne, la corruzione politico amministrativa, la malasanità con i pazienti che muoino per incuria e ..., le case e i ponti che crollano, i treni che deragliano, la mancanza di sviluppo economico, ...
non sono tanto una conseguenza dell'invasione Garibaldo-savoiarda e del colonialismo nordico che avrebbe depredato e corrotto l'innocente e laborioso sud,
come raccontano o vorrebbero che fosse taluni meridionalisti che preferiscono fare le vittime di altri che assumersi le proprie responsabilità.
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:11 am

???

REPLICA A BRACALINI, LA QUESTIONE MERIDIONALE È TUTTA COLPA DEI SAVOIA
di FRANCO SIGNORELLI
2015/16/17 (?)

https://www.miglioverde.eu/replica-a-br ... dei-savoia

Dopo aver letto l’editoriale di Romano Bracalini “Perché il Sud è povero ed arretrato? Ecco le cause e le colpe” ed aver fatto sbollire la comprensibile prima reazione di dispetto alle evidenti inesattezze sulle quali la tesi di Bracalini si fonda, ho deciso di scrivere una concisa replica. Non per polemica, ma per amore del lettore. Non per puntare il dito contro Bracalini e contro la redazione de “l’Indipendenza”, che dà adito a tali macroscopiche inesattezze, ma per far capire che, Carlo Levi docet, le parole sono pietre. Esse hanno conseguenze e per questo bisogna misurarle attentamente.

La storia del meridione d’Italia (bisogna sempre ricordare infatti che si tratta di una parte della nostra Italia, non di un posto sottosviluppato da denigrare) è talmente complessa che nessun editoriale potrà mai delucidarla. Ciò che mi preme è unicamente dare qualche spunto perché chi legge abbia voglia di documentarsi a fondo.

La dominazione normanna e soprattutto la sveva fecero raggiungere al Sud d’Italia uno splendore mai più eguagliato, pur dominando anche su gran parte del settentrione, su parte dell’odierna Val d’Aosta, Svizzera e Germania meridionale. E ciò smentisce in maniera evidente l’affermazione di Bracalini, secondo il quale “L’abbandono del Mezzogiorno era tale che dalla caduta dell’impero romano all’avvento della dinastia borbonica, non si aprì una sola strada rotabile che mettesse in comunicazione le province fra loro e queste con la capitale”. Basta leggere l’enciclopedia Treccani per rendersi conto che le reti di comunicazione all’interno del regno del Sud e fra questo e gli altri stati erano ben sviluppate per gli standard del tempo. Esse ricalcavano in parte la rete viaria romana, com’è logico, formando in più un nuovo tessuto viario a forma stellare composto di strade brevi, ramificate, che da tutti i centri attivi si irradiavano in ogni direzione con una complessa articolazione collinare, che contrastava con la regolarità e la linearità del sistema viario romano basato su uno schema centralistico e comprendendo inoltre altre vie di comunicazione, non solo terrestri ma anche fluviali e marittime.
Le dominazioni angioina ed aragonese ed i vicereami asburgici e savoiardo (ebbene sì anche la casata Savoia mise il suo zampino nel Sud ancor prima dell’Unificazione, salvo poi scambiare la Sicilia con la Sardegna…), segnarono purtroppo un lungo periodo di declino fra il 1266, data della cacciata degli Svevi, e 1734, data dell’avvento al trono di Napoli di Carlo III di Borbone. Da tener presente, però, che tale declino non era limitato al Sud, ma interessava tutta la penisola, frammentata e dominata in gran parte da popoli stranieri (??? quali?).
E si trattava di declino relativo, considerando le bellezze architettoniche edificate in quel periodo e che ancora costellano il meridione.
In seguito, l’avvento dei Borbone segna un progresso innegabile per tutto il Regno delle due Sicilie, che dura fino all’annessione al Regno d’Italia. I Borboni portarono il Regno delle Due Sicilie all’avanguardia in numerosi campi, dalle lettere alla musica e alle scienze, dall’industria al commercio e alle telecomunicazioni, dall’agricoltura all’allevamento del bestiame, senza trascurare il fatto che nel Meridione vi era la più alta percentuale di medici per abitanti (1 su 958 a fronte di 1 su 1834 in Piemonte, Luguria, Lombardia, Toscana e Romagna) smentendo l’affermazione di Bracalini che “L’unico ceto medio che si era potuto formare era quello degli avvocati”.
Numerosi progressi sociali, un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Europa, una pressione fiscale diretta ed indiretta ed un costo della vita nettamente inferiori rispetto agli altri Stati preunitari facevano sì che il Regno delle Due Sicilie fosse il più popoloso della penisola e Napoli fosse di gran lunga la città più grande d’Italia, mentre Palermo rivaleggiava con Roma e Messina aveva il doppio degli abitanti di Reggio Emilia o di Brescia.
Ciò smentisce ancora una volta Bracalini quando scrive che “Dopo gli spagnoli, il regime borbonico assestò al Mezzogiorno il colpo finale”. Chiunque voglia acquisire dati obiettivi a conferma di ciò che scrivo non ha che consultare dati e cifre del primo censimento della popolazione del Regno d’Italia del 1861, a pochi mesi dall’Unità. Il Regno delle Due Sicilie contava 5 milioni di occupati, di cui gran parte specializzati in vari campi, dall’agricoltura all’industria al commercio, sul totale nazionale di 11 milioni. Forse ancor più eloquente per chi è abituato a ragionare in termini di “spread” risulterà la considerazione che la rendita dei titoli di stato del Regno delle Due Sicilie nel 1860 era del 120% alla Borsa di Parigi e che il Ducato del Regno delle Due Sicilie valeva 4.25 lire piemontesi ed era garantito in oro nel rapporto di uno ad uno, mentre il rapporto lira/oro era di tre ad uno (ogni tre lire piemontesi in circolazione ve ne era solo una in oro).

Il colpo di grazia al Meridione non lo hanno dato affatto i Borbone ma purtroppo i Savoia. Il Nitti stesso, egli sì giornalista imparziale, oltre che insigne statista, scrisse che i Savoia, mettendo fuori corso il Ducato, triplicarono la massa monetaria incamerata con l’annessione del Sud. Sotto i Savoia il meridione piombò in una condizione di pre-feudalesimo. Essi introdussero in un sol colpo ben 22 nuove tasse, mentre la pressione fiscale diretta al Sud era rimasta immutata dal 1815 al 1860, pur aumentando le entrate fiscali in tale lasso di tempo da 16 milioni di ducati a 30 milioni, dimostrazione incontestabile di crescita economica. Il governo Savoia Smantellò le industrie del Sud, un esempio per tutti le Regie Ferriere di Mongiana, in Calabria, trasferendole al Nord, dando così inizio all’emigrazione, fenomeno assente durante il regno borbonico, e guadagnando così nei secoli manodopera a basso costo. Abolirono inoltre il protezionismo, aprendo il mercato a prodotti esteri a basso costo ed ancor più bassa qualità, determinando il declino dell’agricoltura del Sud (???). Smantellarono i cantieri navali e gli arsenali e quindi la flotta mercantile che sotto i Broboni era la seconda del mondo, dopo quella inglese (???). Addirittura l’industria ceramica di Capodimonte, nota in tutto il mondo, venne quasi azzerata con l’annessione del Regno delle Due Sicilie a quello piemontese.
Eppure la maggior parte dei meridionali hanno accettato di pagare questo prezzo altissimo all’Unità d’Italia. Dimostrazione ne è il fatto che i più strenui difensori dell’unità nazionale sono proprio i meridionali. Ciò che risulta insopportabile è l’imbattersi a cadenza regolare in articoli e pubblicazioni del tenore dell’editoriale di Bracalini, che sputano sentenze antimeridionali come fossero verità inappuntabili.
Invito quindi il lettore a formarsi una propria opinione documentandosi a fondo. Il web è una fonte inesauribile. Basta leggere gli scritti di Nitti, quelli di Denis Mach Smith, consultare gli archivi dell’Ufficio Storico della Marina Militare o dello Stato Maggiore dell’Esercito, oppure leggere le tante pubblicazioni sul Sud e l’Unità d’Italia di Gennaro de Crescenzo, di Giuseppe Ressa, di Mario Intrieri.
Chiunque abbia uno spirito aperto potrà rendersi conto che la questione meridionale è molto più complessa di quanto scrive Bracalini. E soprattutto che è profondamente sbagliato trarne spunti antimeridionali. Siamo tutti meridionali, nel senso che la storia del meridione è storia italiana e chi dà credito a chi denigra il meridione in quanto tale cade in un falso storico paragonabile alla “Constitutum Constantini”. Per dirla con Aristotele, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi, che chiudiamo gli occhi alla verità come fa la nottola alla luce del giorno. Per pigrizia, comodità, faziosità, sempre per ignoranza.



La locuzione questione meridionale indica, nella storiografia italiana, la situazione di difficoltà del mezzogiorno d'Italia rispetto alle altre regioni del Paese.
https://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale
Utilizzata la prima volta nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia, intendendo la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto alle altre regioni dell'Italia unita, viene adoperata nel linguaggio comune ancora oggi.

???
L'INVASIONE BARBARICA SABAUDA DEL MEZZOGIORNO D'ITALIA: QUELLO CHE NON SI ...
Di ANTONIO GIANGRANDE
https://books.google.it/books?id=aQX3nA ... 0Q6AEIJDAA



???

SUD ITALIA: ARRETRATEZZA O COLONIALISMO INTERNO? (prima parte)
intervista a cura di Francesco Labonia
https://forum.termometropolitico.it/235 ... onale.html

SUD ITALIA: ARRETRATEZZA O COLONIALISMO INTERNO? (seconda parte)
intervista a cura di Francesco Labonia
http://www.rivistaindipendenza.org/Teor ... talia%20(2).htm




Questa mi pare un buona fonte, ben articolata e documentata:

Questione meridionale e confronti finanziari, economici e infrastrutturali con il resto della penisola
(trasporti ferroviari, stradali e marittimi, società sas, imposte, spese pubbliche, ... )

https://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale

« Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C'è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl'intimi legami che corrono tra il benessere e l'anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale. »
(Giustino Fortunato)

La locuzione questione meridionale indica, nella storiografia italiana, la situazione di difficoltà del mezzogiorno d'Italia rispetto alle altre regioni del Paese.
Utilizzata la prima volta nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia, intendendo la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto alle altre regioni dell'Italia unita, viene adoperata nel linguaggio comune ancora oggi.
...
Nel campo dei trasporti vennero conseguiti alcuni primati sorprendenti, come la prima nave a vapore in Italia e il primo ponte di ferro. Ma all'investimento in strade e ferrovie, reso difficile dall'entroterra collinoso, venne soprattutto preferito il trasporto marittimo, facilitato dalla significativa estensione delle coste tanto che la flotta mercantile borbonica divenne la terza in Europa per numero di navi e per tonnellaggio complessivo, anche se la marina mercantile degli altri stati pre-unitari del nord aveva un tonnellaggio superiore. I tonnellaggi delle flotte mercantili peninsulari nel 1858 erano i seguenti: Regno di Sardegna 208.218; Granducato di Toscana 59.023; Modena 980; Stato pontificio 41.360; Due Sicilie 272.305; Venezia e Trieste 350.899. Su di un totale di 932.785 tonnellate, il regno borbonico ne aveva quindi meno di un quarto.

Sulla consistenza della flotta mercantile borbonica lo storico meridionale Raffaele De Cesare, nel suo libro La fine di un Regno (pp. 165–166) scrive, fra l'altro, testualmente:

« “La marina mercantile era formata quasi interamente di piccoli legni, buoni al cabotaggio e alla pesca e la montavano più di 40.000 marinari, numero inadeguato al tonnellaggio delle navi. La navigazione si limitava alle coste dell'Adriatico e del Mediterraneo, e il lento progresso delle forze marittime non consisteva nel diminuire il numero dei legni ed aumentarne la portata, ma nel moltiplicare le piccole navi. La marina mercantile a vapore era scarsissima, non ostante che uno dei primi piroscafi, il quale solcasse le acque del Mediterraneo, fosse costruito a Napoli nel 1818. Essa apparentemente sembrava la maggiore d'Italia, mentre in realtà alla sarda era inferiore, e anche come marina da guerra, era scarsa per un Regno, di cui la terza parte era formata dalla Sicilia e gli altri due terzi formavano un gran molo lanciato verso il Levante. La marina e l'esercito stavano agli antipodi: l'esercito era sproporzionato al paese per esuberanza, la marina per deficienza.” »

L'inaugurazione nel 1839 degli 8 km della Napoli-Portici, prima ferrovia italiana, aveva suscito grande entusiasmo. Tuttavia, solo 20 anni dopo le ferrovie settentrionali si estendevano per 2035 km, mentre Napoli era collegata soltanto con Capua e Salerno, totalizzando appena 98 km di linea ferrata. Analogamente, secondo Nicola Nisco, nel 1860 erano privi di strade e quindi di fatto irraggiungibili ben 1621 paesi su 1848, dove il transito avveniva su tratturi e mulattiere, infatti la scarsità di infrastrutture stradali si faceva sentire molto nel Sud borbonico, che poteva contare su una rete stradale di soli 14.000 km, mentre la sola Lombardia, quattro volte più piccola aveva una rete stradale di 28.000 km, con la rete stradale del centro Italia allo stesso livello della Lombardia, per metri al km².

La penuria di capitali era sentita ovunque, ma particolarmente al Sud, dove i risparmi venivano immobilizzati in terreni o in monete preziose. Nel saggio "Nord e Sud", Nitti rileva che quando le monete degli stati preunitari vennero unificate, al sud vennero ritirate 443 milioni di monete di vari metalli, da confrontare con i 226 milioni di tutto il resto d'Italia.

La sostituzione consentì di ritirare diversi tipi di metalli preziosi, generando la sensazione di una vera espropriazione, tanto che ancora nel 1973 Antonio Ghirelli sostiene che 443 milioni di lire d'oro siano "finiti al Nord".
...

Va ricordato che lo sviluppo del Piemonte ebbe un prezzo: i conti pubblici vennero gravemente inficiati sia dallo sforzo di modernizzare l'economia che dalle guerre di unificazione. Con la nascita dell'Italia unita il passivo di bilancio del Regno di Sardegna fu incamerato nelle casse del neonato Stato italiano, che finanziò negli anni successivi all'unità la costruzione di molti km di strade e ferrovie, in tutta la penisola e particolarmente nel Sud, allora con poche strade (14.000 km) e pochissime ferrovie (circa 100 km), ma la realizzazione di tali infrastrutture non avviò un parallelo sviluppo economico del meridione rispetto al resto della penisola.

Il divario economico era già allora evidente considerando il dato statistico riferito alle società in accomandita italiane al momento dell'Unità, in base ai dati relativi alle società commerciali e industriali tratti dall'Annuario statistico italiano del 1864. Le società in accomandita erano 377, di cui 325 nel centro-nord, escludendo dal computo quelle esistenti nel Lazio, nel Veneto, del Trentino, nel Friuli e nella Venezia Giulia. Comunque, il capitale sociale di queste società vedeva un totale di un miliardo e 353 milioni, di cui un miliardo e 127 milioni nelle società del centro-nord (sempre prescindendo da Lazio, Veneto, Trentino, Friuli, Venezia Giulia) e soltanto 225 milioni nel Mezzogiorno. Per fare un paragone, il totale della riserva finanziaria dello stato borbonico era pari a 443,200 milioni di lire; praticamente un terzo del capitale delle società in accomandita del centro-nord escludendo diversi territori non ancora annessi. Le sole società in accomandita del Regno di Sardegna avevano un capitale totale che era quasi doppio di quello dello stato borbonico: 755,776 milioni contro 443,200 milioni di liquidi. Si tenga conto sempre poi che in questo calcolo sono escluse tutte le società per azioni del nord-est, poiché non era incluso nel 1861 nel regno d'Italia.

Giustino Fortunato nella sua analisi delle condizioni dell'Italia meridionale al momento dell'Unità, osservava quanto segue riguardo alla politica borbonica:

« "Eran poche, sì, le imposte, ma malamente ripartite, e tali, nell'insieme da rappresentare una quota di lire 21 per abitante, che nel Piemonte, la cui privata ricchezza molto avanzava la nostra, era di lire 25,60. Non il terzo, dunque, ma solo un quinto il Piemonte pagava più di noi. E, del resto, se le imposte erano quaggiù più lievi — non tanto lievi da non indurre il Luigi Settembrini, nella famosa 'Protesta' del 1847, a farne uno dei principali capi di accusa contro il Governo borbonico, assai meno vi si spendeva per tutti i pubblici servizi: noi, con sette milioni di abitanti, davamo via trentaquattro milioni di lire, il Piemonte, con cinque [milioni di abitanti], quarantadue [milioni di lire]. L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di giumenti, come per le plaghe d'Oriente.” »

Infatti, Fortunato osservava ciò che è chiaramente provato sui bilanci dello stato borbonico: le spese erano rivolte in stragrande maggioranza alla corte od alle forze armate, incaricate di proteggere la ristrettissima casta dominante del regno, lasciando pochissimo agli investimenti per opere pubbliche, sanità ed istruzione e la natura veramente classista della politica economica borbonica risalta dalle seguenti cifre relative ai bilanci dello stato.

Nel 1854 la spesa governativa borbonica contava 31,4 milioni di ducati dei quali 1,2 milioni erano quelli per istruzione, sanità, lavori pubblici, mentre erano ben 14 milioni i ducati spesi per le forze armate e 6,5 milioni per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, oltre alle ingenti spese per la corte regale.

Il bilancio dello stato borbonico previsto per il 1860, prima ancora che Garibaldi sbarcasse a Marsala, quindi in stato di pace e non di guerra, ribadiva anche in questo caso la sproporzione fra le spese militari e di repressione e quelle per la popolazione. Le spese previste, esclusa la Sicilia (con bilancio separato) sommando il bilancio direttamente speso dallo stato centrale (16.250.812 ducati) e quello ripartito fra gli enti locali (19.200.000 ducati) per un totale di 35.450.812 ducati erano così ripartite: Esercito 11.307.220; Marina 3.000.000; Esteri 298.800; Governo centrale 1.644.792; debito pregresso 13.000.000; lavori pubblici 3.400.000; Clero e istruzione 360.000; Polizia, giustizia 2.440.000.

Le spese militari rappresentavano circa il 40% del bilancio totale, sommando anche le spese per polizia e giustizia si arriva al 47% del bilancio, mentre alle spese per istruzione e clero era destinato solo l'1% del bilancio totale di 35.450.812 ducati. La Sicilia aveva l'ultimo bilancio rilevabile espresso in lire 41.618.200, al cambio del 1859 di 4,25 lire per ducato stimato equivalente a 9.793.000 ducati.

Un'attenta e critica analisi del sistema finanziario dei Borbone fu descritto nei particolari da Giovanni Carano Donvito, nella quale pose in luce come l'ex governo napoletano “…se poco chiedeva ai suoi sudditi, pochissimo spendeva per essi e questo pochissimo spendeva anche male…”.
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:12 am

Migrazione post unitaria

L'Italia è stata interessata dal fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. In particolare, dai porti del Mar Mediterraneo partirono molte navi con migliaia di italiani diretti nelle Americhe in cerca di un futuro migliore.

https://it.wikipedia.org/wiki/Emigrazione_italiana

Tra il 1860 e il 1885 sono state registrate più di 10 milioni di partenze dall'Italia. Nell'arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all'ammontare della popolazione che vi era al momento della proclamazione del Regno d'Italia (23 milioni nel primo censimento italiano) si trasferì in quasi tutti gli Stati del mondo occidentale e in parte del Nordafrica.
Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 interessò prevalentemente le regioni settentrionali, con tre regioni che fornirono da sole più del 47% dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%), il Friuli-Venezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.


Emigrasion veneta ente l'800 e 900
viewtopic.php?f=139&t=519



"La vera storia del 1866: il Veneto subì l'annessione"
* 21-22 OTTOBRE 1866: "LA GRANDE TRUFFA" Il plebiscito di annessione del Veneto all'Italia" di ETTORE BEGGIATO,
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1866a.htm

I PLEBISCITI
"con gioia" o "con mano tremante" ?
..il SI .... lo si vota a fronte alta, sotto lo sguardo del sole, colla benedizione di Dio....
il NO ....con mano tremante, di nascosto, come chi commette un delitto..."
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1866b.htm

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... GRAT-1.jpg
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:31 am

Alla fine della prima guerra mondiale ecco come si sono comportati gli italici fratelli meridionali con le genti veneto-furlane:

La barbarie italiana della prima guerra mondiale
viewtopic.php?f=139&t=52 8

Il processo delle terre liberate
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 9RYkE/edit

Malavita a Treviso
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... p5Ymc/edit

Gli italiani dopo aver distrutto la terra veneta e fatto morire decine se non centinaia di miliaia di veneti, chiamavano il Veneto: Veneto bubbone d’Italia
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... pTaUE/edit



Mafie e briganti teroneghi
viewtopic.php?f=22&t=2259
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:31 am

Italiani, privilegiati, ladri, evasori, parassiti, bugiardi
viewtopic.php?f=94&t=274


Cacciari: “L’evasione fiscale è concentrata al Sud. Roba di Mafia”.
http://www.lindipendenza.com/massimo-ca ... a-di-mafia

di MARIETTO CERNEAZ

A sfatare la leggenda dell’evasore padano ci pensa anche Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, notoriamente un’anima molto critica all’interno del Partito Democratico. In un’intervista rilasciata due giorni fa al Corriere del Mezzogiorno ha dichiarato: “Il peso che il Nord deve sostenere, e in particolare alcune regioni, per i conti generali del Paese, è un dato oggettivo. Non possiamo continuare a ragionare per medie: se attraversando un fiume profondo 5 centrimetri c’è chi annega, quali medie vuole che reggano? La mia non è un’accusa rivolta al Sud: se nel Mezzogiorno si registra una diffusa evasione fiscale non è perché i meridionali sono più cattivi, ma perché lì una grande fetta dell’economia è in mano alla criminalità organizzata. Inoltre, non trascurerei il divario di reddito rispetto al Nord: se ci si trova in una condizione di profonda precarietà è ovvio che si pensa a sfamare prima se stessi che a pagare le tasse. Non lo dico per accusare, ma ci rendiamo conto che siamo seduti su un vulcano? E il Paese non va avanti solo sulle forze di Veneto e Lombardia»”.

Non è dunque una “questione settentrionale”?, chiede al professore il giornalista Angelo Agrippa. Ecco la risposta: “Le due questioni territoriali sono perfettamente intrecciate: fin quando le vacche sono grasse pago anche per gli altri e non c’è problema. Ma se chiudono dalle 40 alle 50 attività al giorno, come sta avvenendo al Nord, è chiaro che la condizione di sperequazione oggettiva, richiamata per anni da studiosi come i sociologi Luca Ricolfi e Ivo Diamanti, diventa insostenibile”.

Qualche lettore potrebbe compiacersi delle risposte di Cacciari, ma su questo quotidiano lo abbiamo ribadito più volte, non solo puntando l’indice contro “il pensiero unico inquisitore” incarnato da Equitalia, ma anche riportando dati relativi a chi fossero realmente gli evasori.
Ecco le cifre, che a suo tempo rese pubblici “contribuenti.it”, un paio di anni fa :

1) L’economia criminale (mafia e malavita): 78,2 miliardi di euro l’anno.
2) Big company (le grandi aziende): 38 miliardi di euro l’anno.
3) L’economia sommersa (extracomunitari e doppio lavoro): 34,3 miliardi di euro l’anno.
4) Le società di capitali (spa e srl): 22,4 miliardi di euro l’anno.
5) Autonomi e piccole imprese (idraulico e parrucchiera): 8,2 miliardi di euro l’anno.

Come ribadito da Cacciari, al primo posto troviamo dunque la criminalità organizzata (in Italia esistono 4 mafie potentissime), che notoriamente ha radici in Meridione, anche quando i suoi tentacoli raggiungono le regioni padane, dal Piemonte al Veneto, dove il denaro viene ripulito attraverso attività lecite e colletti bianche in combutta con la casta politica.



Evasione Fiscale: stima del livello di ogni Regione Italiana e degli Stati Europei

http://www.rischiocalcolato.it/2014/12/ ... ropei.html

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... fiscal.jpg
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:45 am

Una casa su sei a rischio crollo Due milioni gli edifici in bilico
La tragedia sfiorata a Roma sul Lungotevere non è un caso isolato Il 16,8 per cento dei palazzi residenziali è malato, il record è al Sud
Anna Maria Greco - Mar, 26/01/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 16790.html

Roma - Allarme crolli, dopo quello nel palazzo sul lungotevere del quartiere Flaminio di Roma. Per la Confartigianato il nostro patrimonio abitativo è in gran parte da rottamare.

Il censimento dell'associazione parla di oltre 2 milioni di case in Italia, cioè una su sei, vecchie e in cattivo stato.Dietro c'è una lunga diatriba che mette sotto accusa la resistenza italiana ad abbattere le costruzioni, come si fa con facilità all'estero, per ricostruire. Da noi, invece, si protraggono nel tempo continue ristrutturazioni, incerti restauri, approssimative trasformazioni, che spesso peggiorano stabilità e solidità degli immobili, dunque la loro sicurezza.Il crollo del palazzo romano, per la Confartigianato, «è la spia di una situazione critica e purtroppo molto diffusa in Italia». Il censimento dell'associazione indica 2.051.808 edifici residenziali in mediocre o pessimo stato di conservazione e si tratta del 16,8% del totale.

Questa percentuale sale al 21,1% per gli edifici costruiti prima del 1981, mentre si riduce al 4,7 per quelli nati tra '81 e 2011.
Al solito, l'analisi individua una situazione più grave nel Mezzogiorno, con il record negativo che si registra in Sicilia: 26,8 per cento del totale degli edifici residenziali in mediocre-pessimo stato di conservazione. Seguono la Calabria, con una quota del 26,2 per cento, la Basilicata con il 22,3, la Campania con il 21, 8, il Molise con il 21,5, la Sardegna al 17, la Puglia al 16,7, l' Abruzzo al 16,6.
In Umbria e in Trentino Aldo Adige, invece, la quota di case in cattive condizioni è la più bassa d'Italia e si limita al 10,7 per cento.
Segue la Toscana all'11,5, l'Emilia Romagna al 12,2, il Friuli-Venezia Giulia al 12,5, il Veneto al 12,6, la Lombardia al 12,8, le Marche al 14, la Valle d'Aosta al 15,4, come il Piemonte, la Liguria al 16,3.
Nel Lazio, dov'è avvenuto il crollo dei tre ultimi piani di un palazzo con appartamenti in ristrutturazione, le case a rischio per la Confartigianato rappresentano il 15,9 per cento del totale. In particolare a Roma è in cattivo stato il 14,7 per cento degli edifici.L'associazione presenta una tabella completa con la quota di edifici residenziali in mediocre e pessimo stato di conservazione nelle regioni, nell'anno 2011, che si basa su dati Istat. A livello provinciale il primato negativo va a Vibo Valentia, dov'è più diffuso il cattivo stato delle case (31,4 per cento), seguita da Reggio Calabria (31,3) e Catanzaro (25,8). All' opposto della classifica le provincie più «virtuose» sono Prato (8,2 per cento), Bolzano (8,5) e Siena(8,5).In totale gli edifici residenziali in Italia sono 12.187.698 (l'84,3 per cento del totale), con 31.208.161 abitazioni. E i tre quarti sono stati costruiti prima del 1981 ed hanno quindi 35 anni ed oltre di vita. Le cattive condizioni delle case, oltre a mettere a rischio la sicurezza dei cittadini, contribuiscono a gonfiare la bolletta energetica delle abitazioni. Secondo Confartigianato, infatti, il comparto residenziale determina il 28,8 per cento dei consumi finali, più di quanto assorbono trasporti su strada e industria.Nella legge di Stabilità 2016, per migliorare la situazione, sono previsti i bonus fiscali per ristrutturazioni e risparmio energetico. «È indispensabile - dice Arnaldo Redaelli, presidente di Confartigianato Edilizia - rendere stabili e permanenti gli incentivi che consentono riqualificazione del patrimonio immobiliare, risparmio ed efficientamento energetico, difesa dell'ambiente, rilancio delle imprese delle costruzioni, emersione di attività irregolari». Anche per l'Ance, la proroga al 31 dicembre 2016 dei bonus è importante per la ripresa delle costruzioni e fa prevedere un aumento dell'1,5 per cento degli investimenti in recupero abitativo su base annua.


Cemento disarmato - Storie di un Paese a rischio crollo, tra sabbia e cemento (...più sabbia che cemento)
Roma, 29 luglio 2009

http://risorse.legambiente.it/docs/Ceme ... 000339.pdf
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:51 am

La malasanità, negli ospedali del sud si muore


Sanità, sei nato al Sud. E allora muori - Il Fatto Quotidiano
Enrico Fierro
il Fatto Quotidiano, 3 Settembre 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... ri/1107442

E allora muori, perché sei nato al Sud e qui ti sei ammalato, qui avevi bisogno di cure, attenzione, professionalità, onestà. E invece hai trovato un medico pavido, che ha fatto scempio del giuramento di Ippocrate (“…regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa”) e di ogni senso di umanità. “Il primario ha amicizie e coperture politiche. Io no”. Così si è sfogato nella confessione, tardiva e inutile, registrata da un suo collega e pubblicata, per fortuna, da Basilicata24.it.

È questo il dramma del Sud, le amicizie politiche, le coperture, il familismo amorale e partitico che in queste lande ha trasformato la sanità pubblica, o quel che ancora ne rimane, in un Far West. Un terra di conquista per partiti famelici, direttori sanitari asserviti, presidenti di aziende sanitarie che non rispondono agli ammalati ma ai loro protettori politici. Un Far West degli sprechi. Se in Europa il 5,6% del budget della sanità pubblica viene assorbito dalla corruzione, nel Sud la percentuale sale, schizza in alto, raggiunge vette vergognose. Sarebbe inutile ricordare i casi di ospedali finiti e chiusi, le sale operatorie completate e abbandonate, le forniture sanitarie che in Calabria, Campania, Puglia e Basilicata, costano dieci volte di più che in altre regioni. Sarebbe pietoso ricordare le tante inchieste aperte e i tantissimi politici coinvolti in scandali che proprio la salute dei cittadini hanno al centro. “Questa è terra vattiata”, avrebbe scritto Leonida Répaci, uno dei tanti, inascoltati cantori dei mali del Sud. Vattiata, maltrattata da politici disonesti e incompetenti.

Basta vedere come dalla Campania alla Sicilia si è proceduto al riordino degli ospedali. I “tagli” sono stati fatti con l’elenco dei collegi elettorali alla mano, e qui pesano più che nelle Regioni del Nord, al punto che in un suo ultimo rapporto il Censis parla di vero “abbandono della sanità pubblica”. Chi può scappa, cerca le cure da Roma in su, turisti sanitari li chiamano.

Anche per questo il Sud si avvia a passi spediti a diventare quel “deserto umano” paventato nell’ultimo rapporto Svimez. Sono dati drammatici che raccontano come metà del Paese è ormai senza futuro, dove aumentano povertà, disoccupazione, emigrazione. Per questa metà dell’Italia abbandonata poco o nulla è previsto nei mirabolanti disegni futuri del governo Renzi.

Qui tra Napoli e Catanzaro, Potenza e Avellino, non contano i diritti, ma le protezioni politiche. E allora muori, e la tua morte in un fredda corsia di ospedale per un errore sanitario sarà coperta dalla più totale omertà. Dopo aver perso da vivo il diritto alla salute, da morto perdi anche quello alla giustizia. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha spedito i carabinieri dei Nas oltre Eboli, presto ci saranno novità, forse si capirà qualcosa e chi deve pagare pagherà. Aspettiamo con scarsa speranza, perché al Sud hanno ucciso anche quella.


Malasanità, in Campania e Calabria l'81% dei decessi: qui si muore di più
l'81% dei decessi: qui si muore di più
Giornata nazionale contro la malasanità
2014/13-maggio
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 6222.shtml

NAPOLI - «Se pago vengo trattato meglio» questo è il concetto del 18% degli intervistati che sono sfiduciati verso chi dovrebbe garantire cure, diagnosi accurate e puntuali e assistenza al malato. Non è un caso, infatti, che 12 milioni di cittadini migrino dal servizio pubblico alle cure di un privato.

CENTO PUNTI DI ASCOLTO - Codici ha promosso sportelli attivi presso tutta Italia .I cittadini che volessero denunciare o segnalare situazioni anomale possono rivolgersi all’indirizzo e-mail nomalasanita@codici.org oppure ai punti d’ascolto territoriali: a San Giuseppe Vesuviano in Via Leonardo Murialdo, 26 (codici.campania@codici.org) e a Napoli in vico San Sepolcro, 102 (sportello.napoli@codici.org). «Siamo pronti ad accogliere ogni segnalazione» spiega il segretario regionale di Codici, Giuseppe Ambrosio «saremo vigili su tutto quello che verrà denunciato dai cittadini e noi stessi provvederemo ad intervenire laddove sarà necessario».

CALABRIA E CAMPANIA, DOVE SI MUORE DI PIU' - Inquietano ed indignano i numeri sulla malasanità in Italia. In nove anni, errori e incidenti sono costati alla sanità pubblica quasi 1,5 miliardi di euro, 300 milioni solo nel 2012. Tante anche le denunce per errore medico: la Sicilia è al primo posto con il 20% di denunce, segue la Calabria con il 19%. Al terzo posto di questa triste classifica spunta il Lazio, con l’11% di denunce. Drammatici anche i dati relativi alle denunce per eventi con decesso. Facendo le dovute proporzioni denunce/decesso, il quadro che ne esce fuori è il seguente: 81% in Calabria e Campania, 77% in Emilia Romagna, Sicilia con il 72%, 69% in Puglia, il Lazio con il 66%. Non è un caso, dunque, che 12milioni di cittadini migrino dal servizio pubblico alle cure di un privato.

IN ITALIA - In Italia, la sanità di «sano ha ben poco»: morti sospette, denunce, indagini della Procura, scarsa trasparenza. A tutto questo, da Nord a Sud, 100 città dicono di “no”. Una forte presa di posizione di Codici che ha così promosso la Giornata nazionale contro la malasanità, dal Piemonte alla Sicilia, 100 delegazioni dell’Associazione scendono in campo per chi volesse denunciare o segnalare casi anomali e poco trasparenti. Il sistema sanitario è un caos volutamente organizzato per permettere speculazioni e sprechi, in cui la politica fa i suoi affari e dove si tenta di nascondere gli errori/orrori medici. L’Associazione vuole quindi ribellarsi a questa situazione di immobilismo, ai compromessi tra classe politica e lobbies. In molte regioni d’Italia, soprattutto nel Meridione, il diritto alla salute è diventato quasi un optional. La salute e la dignità del paziente non sono l’interesse primario, in questo contesto infatti si colloca perfettamente la Campania.

LA CAMPANIA A RISCHIO - La Campaniaè una delle regioni che è più a rischio di tutti, per quanto riguarda il servizio sanitario pubblico. Tagli al personale, posti letto carenti, chiusura di ospedali e come nel caso giornaliero le barelle finite al Cardarelli con l’utilizzo momentaneo di sedie a rotelle. Le liste d’attesa sono l’esempio lampante del disservizio sanitario dove il cittadino può attendere mesi prima di essere sottoposto a visite. Ci sono casi in cui chi non rimane in Campania migra al Nord, per curarsi, o addirittura si sposta all’estero per l'efficienza del servizio che delle cure.


Malasanità, 329 morti in due anni In Calabria il record degli «orrori»
Enza Cusmai - Mar, 25/10/2011

http://www.ilgiornale.it/news/malasanit ... rrori.html

Vibo Valentia: donna di 33 anni muore di parto. Locri: bambina di cinque anni muore dopo essere stata dimessa dall’ospedale. Cosenza: ingessato il braccio sano a una bambina di due anni e mezzo. Basta cliccare su Internet «Malasanità» e l’elenco dei più assurdi decessi o delle distrazioni mediche ci riporta dritti al Sud. Ed è amaro il titolo di una tv locale calabrese che ieri annunciava: «Tranquilli: quanto a malasanità nessuna sorpresa! La Calabria resta saldamente in testa a ogni classifica negativa». Il cronista commentava i dati resi noti ieri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sanitaria presieduta da Leoluca Orlando. Nel complesso catastrofici: negli ultimi due anni, tra errori, disservizi, carenze strutturali e inefficienze, i casi di malasanità sono cresciuti: 470 in totale, sedici al mese, più di uno ogni 48 ore, di cui 329 terminati con la morte del paziente. Una tendenza in salita negli ultimi 12 mesi, con una media di 19 episodi al mese. Numeri che impressionano ma non quanto il dato geografico. È la Calabria, infatti, la regione in cui si muore di più in ospedale. Gli episodi di sospetta malasanità sono stati 97 e i decessi ben 78. Al secondo posto si piazza la Sicilia, con 91 casi di errori sanitari e 66 decessi. Poi c’è il Lazio dove si contano ben 51 casi di errori e 35 morti. Insomma, queste tre regioni, da sole, totalizzano oltre la metà delle criticità con una media di quasi due al giorno. In Italia, per fortuna, c’è anche la sanità che funziona. In alcune regioni non si sbaglia quasi mai. In Sardegna, zero segnalazioni in 29 mesi. In Molise e in Trentino solo una. Sulle dita di una mano anche le disfunzioni in Umbria, Friuli, Basilicata, Marche e Umbria. Numeri contenuti anche in Valle d’Aosta (10), Piemonte (9), Abruzzo (7), Umbria (4).
Le cosiddette regioni virtuose, con la sanità migliore in Italia, sono affette da pochi episodi di presunta malasanità e si collocano nella seconda parte della classifica: la Toscana si ferma a 29 casi (18 decessi), Lombardia a 28 (11 morti), Emilia Romagna 24 (16 morti) e Veneto 23 (13 morti). In mezzo al guado la Puglia con 31 casi denunciati e la Campania con 29. Ovviamente non tutte le colpe devono essere attribuite ai medici. Su un totale di 470 casi di malasanità, 326 riguardano errori da parte dei medici e del personale sanitario. Che potrebbero aver causato 223 decessi. Ma sono molti anche gli episodi causati da disservizi, carenze e strutture inadeguate. E anche in questo caso il terzetto Calabria, Sicilia, Lazio, colpisce ancora. Ma questa situazione è irrecuperabile? Il presidente Orlando sembra cautamente ottimista ad un patto: «Gli operatori devono denunciare spontaneamente anomalie e disfunzioni». Bisogna spazzare via l’omertà perché - secondo l’ex sindaco di Palermo - è figlia di personalismi e accordi clientelari. «Il vero punto – denuncia Orlando - è che troppo spesso gli operatori si rivelano più interessati a non dar fastidio al politico di turno, piuttosto che assicurare la sicurezza propria e dei pazienti». Parole gravissime che riflettono la situazione in cui si trova la sua Sicilia e la Calabria.
Il caso Calabria: secondo questa indagine la regione svetta per quantità e gravità dei casi di malasanità, con quasi il 25% dei presunti errori che si contano a livello nazionale. Ogni volta che ci scappa un morto, scatta un’indagine, lo sdegno dell’opinione pubblica. Ma poi tutto procede come prima. E calabresi se la passano molto male. Sono secondi in Italia per spesa pro capite sulla sanità e all’ultimo posto per la qualità offerta nei servizi sanitari principali. Chi può emigra e si fa ricoverare in altre regioni spendendo oltre 3mila euro in più. Così, in Calabria si spende il triplo del Veneto. Gli ospedali sono zeppi di amministrativi più che di medici. Un esempio? A Gioia Tauro in ospedale ci sono 26 cuochi per 32 posti letto. Speriamo si mangi meglio che al ristorante.


Ritardano cesareo per non rimanere oltre l'orario di lavoro, neonato nasce con lesioni gravissime: tre a processo
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/c ... 43132.html

«Per evitare di rimanere a lavorare oltre l'orario previsto, avrebbero omesso di eseguire un parto cesareo, nonostante i molteplici episodi di sofferenza fetale emersi dal tracciato». E per «simulare una inesistente regolarità nell'esame medico» avrebbero «somministrato atropina alla gestante». La procedura, e «il non avere informato della situazione i colleghi del turno successivo, avrebbe causato la nascita del neonato con lesioni gravissime».
È l'accusa contestata dalla Procura di Catania a due dottoresse dell' ospedale Santo Bambino, struttura da oltre 2.000 parti l'anno, Amalia Daniela Palano e Gina Corrao, per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per lesioni gravissime colpose, omissioni e falso in atti d'ufficio. Davanti al Gup Ragazzi, il prossimo 22 maggio, comparirà anche la dottoressa Paola Cairone che, secondo l'accusa, «pur non essendo a conoscenza degli avvenimenti precedenti, praticava alla paziente per due volte le manovre di Kristeller, bandite dalle linee guida, nonostante un tracciato non rassicurante, e non contattava in tempo il neonatologo».
L'episodio risale al 2 luglio 2015 e le indagini sono state avviate dalla squadra mobile e coordinate dal procuratore Carmelo Zuccaro dopo la denuncia dei familiari. Il neonato, venuto al mondo con un giro di cordone ombelicale attorno al collo, ha riportato lesioni gravissime e danni irreversibili cerebrali e motori. I familiari e il bambino si costituiranno parte civile con l'avvocato Gianluca Firrone.
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Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 8:52 am

Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)
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Çeveltà tałego roman napołitana e sicula
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Genny ‘a Carogna

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La Sicilia è la regione con il tasso di occupazione più basso d'Europa. Lo certifica Eurostat
2015/10/10

http://www.huffingtonpost.it/2015/10/10 ... 74288.html

La Sicilia è la regione europea con il più basso tasso di occupazione (42,4%) delle persone tra i 20 e i 64 anni, mentre la Puglia ha il gap più grande in Ue tra il tasso di occupazione maschile e femminile (quasi 30 punti): le regioni del Sud Italia - secondo l'"Eurostat regional yearbook" pubblicato ieri - arrancano ancora e registrano un aumento del divario con il resto del Paese.

Tra Bolzano, l'area in Italia con il tasso di occupati più alto (76,1%, grazie all'alto tasso anche tra le donne, il 69.4%)

e la Sicilia, c'è una differenza di oltre trenta punti. Su appena sei regioni in Europa (su 270) con il tasso di occupazione complessivo tra i 20 e i 64 anni inferiore al 50% - sottolinea Eurostat - quattro sono in Italia: Puglia (con il 45,7%, ndr), Campania (42,7%), Calabria (42,6%) e Sicilia, mentre una è in Spagna (Ceuta) e una in Grecia (Dytiki Ellada).

Il dato è legato anche alla scarsissima occupazione femminile con appena il 29,6% delle donne che lavorano tra i 20 e i 64 anni in Sicilia (appena il 29,9% anche in Campania). Per contro - sottolinea l'Eurostat - l'occupazione delle donne in questa fascia di età raggiunge il 75% in Olanda, in molte regioni della Germania, nei Paesi nordici e nel Regno Unito.

L'Italia ha anche il più ampio divario regionale per la disoccupazione giovanile (15-24 anni): in Calabria raggiunge il 59,7% della forza lavoro a fronte del 12,4% di Bolzano. Nel 2014 la percentuale dei giovani Neet (persone non occupate nè in un percorso di formazione o educazione) tra i 18 e i 24 anni in Europa era al 16,3%, in calo rispetto al picco del 17,1% del 2012. Il livello più alto di Neet in Ue si registra in Italia con il 29% (tra il 21% e il 27% in Romania, Spagna, Bulgaria, Cipro e Grecia) ma con picchi oltre il 40% in Calabria e Sicilia. Di qui l'urgenza di affrontare il problema di disoccupazione giovanile e abbandono scolastico, due fra i dossier sotto i riflettori degli Open Days, la Settimana europea dedicata ogni anno a città e Regioni, al via lunedì' prossimo a Bruxelles e promossa da Comitato delle Regioni Ue e Commissione europea.

Molto alto nelle regioni meridionali - segnala infine l'Eurostat - anche il tasso di disoccupazione di lunga durata, ovvero di coloro che restano senza lavoro per oltre 12 mesi. Il record della disoccupazione di lunga durata tra le regioni europee è in Guadalupa (territorio d'oltre mare francese, con il 79,5%), ma quattro regioni italiane sono oltre il 65%.



Sicilia, l'esercito delle guardie forestali: sono 28mila, costano 480 milioni all'anno - Il Fatto Quotidiano
di Giuseppe Pipitone | 21 maggio 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... nno/600734


A Pioppo, una frazione di Monreale in provincia di Palermo, c’è un solo mestiere che i bambini sognano di fare grande: il forestale. Guarda boschi, vigilante del verde, nemico delle erbacce e provvidenziale spegnitore d’incendi: è il talento più diffuso dalle parti di Pioppo, dove un abitante ogni cinque è dipendente dell’azienda regionale foreste demaniali. Su duemila abitanti infatti la frazione palermitana annovera ben 383 forestali. Un’enormità se si pensa che l’intera Regione Liguria ne ha solo 404. E se in Piemonte i forestali sono appena 406, nel comune di Solarino, nove mila abitanti in provincia di Siracusa, i forestali sono ben 437: come dire che un abitante ogni 20 è impegnato nella tutela dei boschi. Ancora superiori le statistiche registrate a Godrano, in provincia di Palermo: su mille abitanti 190 sono forestali, compresi sindaco, alcuni assessori e consiglieri. Da soli (sic!) badano a 2 mila ettari di bosco. Circa 158 mila ettari in meno rispetto al Molise dove le guardie forestali sono appena 152.

La questione forestali in Sicilia però non è nuova alle cronache nazionali. Qualche mese fa il settimanale Panorama aveva quantificato in 28mila elementi l’intero organico di cui poteva disporre la Regione Sicilia per la cura delle proprie foreste. Un’enormità se si pensa che in tutta la Lombardia sono meno di 500. In Sicilia però, si sa, dove non arrivano i privati c’è sempre mamma Regione a fornire aiuti ai suoi figli (infatti nell’isola i forestali nulla hanno a che vedere con il Corpo forestale dello Stato). Un meccanismo collaudato quello delle guardie forestali che non accenna assolutamente a cambiare: quasi trentamila precari significano soprattutto voti sicuri ad ogni tornata elettorale.

Sarà per questo che in Sicilia i forestali impiegati a tempo indeterminato sono appena 803. Poi ci sono i 22mila precari dipendenti dell’assessorato all’agricoltura, e gli 8mila dipendenti dell’assessorato al Territorio: lavorano 6 mesi l’anno e da giugno a dicembre guadagnano 1.200 euro al mese pagati dalla Regione, mentre negli altri sei mesi sono a carico dell’Inps. Per stipendiare precari e assunti a tempo indeterminato la Regione spendeva 450 milioni di euro l’anno, mentre l’Inps 180 milioni. Adesso la nuova Finanziaria regionale ha approvato tagli per 150 milioni: il risultato è un orario di lavoro inferiore per i precari, che però sono riusciti a limitare i danni salvando il posto.



Indagine sui 23mila forestali in Sicilia: condanne per mafia e incendi dolosi Ecco la mappa di chi rischia il posto
Riccardo Vescovo

http://gds.it/2016/03/08/indagine-sui-2 ... sto_484446

PALERMO. Operai condannati per reati di mafia, stagionali con l’interdizione dai pubblici uffici. Ma sarebbero solo 56 su oltre 23 mila i forestali con condanne tali da essere prossimi all’espulsione dal bacino. Per gli altri si tratterebbero di condanne non ancora definitive o comunque relative a reati minori.

È l’esito di una nuova verifica disposta dal dipartimento del Lavoro guidato da Maria Antonietta Bullara e in corso in queste ore: gli uffici provinciali stanno passando nuovamente ai raggi X la posizione dei lavoratori iscritti nelle graduatorie per estrapolare la posizione dei soli operai con reati gravi. Una guerra di numeri che tiene in ansia l'intero bacino dei forestali.

È emerso che sono 56 su 23 mila i lavoratori che rischiano l'espulsione: quelli per reati di mafia legati al 416 bis sono 17: uno è a Caltanissetta, cinque a Enna, nove a Palermo e due a Trapani. Sono invece 39 i forestali con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici: tre sono ad Agrigento, undici a Caltanissetta, cinque a Enna, sette a Messina e sette a Palermo, tre a Siracusa e tre a Trapani.

Dunque il numero dei forestali che rischiano di non poter firmare più un contratto calerebbe vistosamente. Una prima verifica, ad esempio, aveva fatto emergere in tutto una cinquantina di operai condannati per reati di mafia e addirittura a Palermo dieci forestali con condanne per incendio doloso, 16 per associazione mafiosa e 29 hanno l’interdizione dai pubblici uffici. A Catania erano spuntate invece 12 condannati di cui tre per incendi dolosi e gli altri per reati vari contro la pubblica amministrazione. In realtà in tutta la Sicilia le situazioni più delicate sarebbero solo 56. Numeri che il presidente della Regione, Rosario Crocetta, illustrerà in conferenza stampa.

Resta comunque da capire quali operai potranno essere espulsi dal bacino e su quali basi. Su questo fronte è in corso un dibattito tra gli uffici. Secondo una sentenza di Cassazione, il rapporto di lavoro tra Regione e forestali è pubblico per cui in caso di interdizione il contratto non può essere rinnovato. L’amministrazione vuole però essere certa di questo meccanismo e ha chiesto un ulteriore parere all’Avvocatura. Domani mattina è atteso un nuovo vertice per capire quali lavoratori escludere dalle graduatorie provinciali già pronte per essere pubblicate ma al momento congelate.


Guardia di finanza: sprechi e frodi, in un anno la Sicilia ha perso 243 milioni di euro
Il bilancio 2016 delle fiamme gialle: quadro allarmante della pubblica amministrazione: 117 funzionari coinvolti in indagini
di FRANCESCO PATANE'
22 marzo 2017

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -161111902

Sprechi, frodi, irregolarità e utilizzi indebiti di denaro pubblico sono costati nel 2016 ai siciliani oltre 243 milioni di euro. Una montagna di risorse che si sarebbe potute utilizzare per assistere i disabili, sistemare strade e viadotti, bonificare le coste inquinate dell’Isola. Invece, dall’ultimo resoconto della Guarda di finanza in Sicilia emerge una realtà desolante: i casi di danno erariale sono stati 258, 919 le persone che dovranno risponderne in sede amministrativa. «Gli illeciti che hanno turbato la legalità nella pubblica amministrazione — spiegano le fiamme gialle — sono stati scoperti grazie alla stretta collaborazione con la procura regionale della Corte dei conti». In manette sono finite 24 persone, altre 467 sono state indagate a piede libero. E 177 sono funzionari pubblici, un dato che colpisce, segno delle infiltrazioni criminali all’interno della pubblica amministrazione.

Il peculato accertato ammonta a circa 10,8 milioni di euro, mentre la corruzione e la concussione hanno un valore pari a 1,8 milioni. Meno di un decimo le somme recuperate durante le indagini: su 243 milioni sottratti alla collettività i finanzieri hanno sequestrato beni per quasi 22 milioni di euro. Un lavoro non facile, le tecniche di elusione dei patrimoni si fanno sempre più sofisticate, i finanzieri sono riusciti comunque a denunciare 128 persone per trasferimento fraudolento di beni, finalizzato proprio a evitare i sequestri.

La lotta agli sprechi ha portato la Guardia di finanza a fare verifiche anche sui flussi di finanziamenti comunitari, nazionali e regionali. Sono emerse frodi per 127 milioni, nei comparti pesca ed agricoltura, 824 persone sono state accusate di aver razziato gli incentivi previsti per le imprese. Gli investigatori delle fiamme gialle hanno passato al setaccio pure appalti e forniture pubbliche dove sono state riscontrate irregolarità sui flussi di spesa, per 58,5 milioni. Verifiche anche sulla spesa sanitaria e previdenziale, verifiche sulle prestazioni sociali agevolate: 958 controlli hanno fatto emergere 2.861 violazioni, per un’indebita spesa che si aggira sui 22,4 milioni.

Intensa l’attività dei finanzieri nel contrasto all’evasione fiscale: 581 persone sono risultate completamente sconosciute al fisco pur avendo attività produttive, sono i cosiddetti evasori totali. Ottantanove sono invece i contribuenti scoperti a dichiarare al fisco imponibili dimezzati rispetto ai volumi reali. Le indagini patrimoniali per assicurare il recupero delle imposte evase hanno permesso di arrivare al sequestro di patrimoni per 30 milioni di euro.

Il rapporto annuale del comando regionale della Finanza
fotografa un bilancio anche sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata. Le indagini patrimoniali hanno coinvolto 193 tra familiari e prestanome dei boss. I provvedimenti di sequestro hanno riguardato 263 soggetti, a cui sono state sequestrate risorse, quote societarie e disponibilità finanziarie per 12 milioni euro. Sigilli pure per 465 immobili e 62 aziende, per un valore complessivo di oltre 176 milioni. Sono stati confiscati beni per complessivi 314 milioni di euro.


Sicilia, i numeri dello spreco: 2 miliardi di stipendi pubblici sui 6 nazionali
Tremila fanno i sindacalisti e 2.800 assistono parenti malati
04 ottobre 2016

http://quifinanza.it/soldi/sicilia-i-nu ... nali/86166

In tempi di ritorno agli onori delle cronache del Ponte sullo Stretto, fa impressione scorrere i dati degli sprechi in Sicilia e calcolare, come ha fatto il sito Linkiesta, che brazionalizzando la spesa si potrebbe costruire un ponte ogni cinque anni, altro che stanziamento da 2 miliardi del governo centrale. Perchè oltre ad avere una spesa per il personale pubblico di 2 miliardi sui 6 totali dell’italia, la Sicilia è anche la regione degli inamovibili, dove in tremila fanno i sindacalisti e 2.800 assistono parenti malati.

NUMERI – Su 15 mila addetti della Regione Sicilia 6 mila non possono essere trasferiti: 3mila di loro – uno su cinque – in quanto dirigenti sindacali. Tremila, perché usufruiscono dei 3 giorni di permesso al mese (e dell’intrasferibilità) previste della “legge 104” per disabilità propria o di un familiare. La Sicilia è l’unica regione in cui i comuni spendono più del 40% di spesa corrente per il personale. Nel resto dell’Italia la media è attorno al 20%. Ancora: la sola assemblea regionale siciliana costa circa 165 milioni di euro, laddove in Lombardia ne costa 68, in Piemonte 66, in Campania 62.

Il bilancio 2015 della Regione Sicilia è in disavanzo di 6,19 miliardi e un accordo Stato-Sicilia ha concesso all’Isola che la compartecipazione agli introiti Irpef passi dai 500 milioni del 2016 a 1,7 miliardi nel 2018. In cambio, la Regione dovrà tagliare il 3% di spesa corrente, a partire dal 2017.

CROCETTA – Ora la Funzione pubblica sta incrociando i dati, il governatore Crocetta non ha dubbi: “Qualcuno vuole fare il furbo, ma adesso basta — dice — chi usufruisce della legge 104 è vero che non può essere trasferito da una città a un’altra, ma può essere spostato da un assessorato a un altro. Inoltre va trasferito anche il dipendente che è diventato dirigente sindacale soltanto negli ultimi mesi per evitare di cambiare ufficio. Voglio essere chiaro: chi si oppone al trasferimento sarà licenziato”.

Mossa tardiva? Lo si vedrà. Quel che è certo è che in Sicilia, prima di avventurarsi in opere come il ponte, sarebbe fondamentale intervenire sugli sprechi di cui sopra e prevedere un piano d’investimenti di più ampio respiro. Filippo Romeo, il Direttore del Programma “Infrastrutture e Sviluppo Territoriale” dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, ne ha tracciato un bel quadro su Formiche. Parla, Romeo, di “un hub aeroportuale, ovvero un raccordo degli aeroporti attuali, migliorati e potenziati, al centro della Sicilia per intercettare le rotte che arrivano dall’Asia e dalle Americhe per poi distribuire il traffico all’interno del Mediterraneo, verso l’Europa e verso l’Africa”. E ancora, del collegamento dei porti con le linee di alta velocità e capacità, ancora tutta da costruire. Su cui si innesta, ovviamente, anche il Ponte.

“Un tale sistema di infrastrutture logistiche integrate – conclude Romeo – consentirebbe di intercettare tutti i traffici che passano per Suez e garantirebbe alle merci ed al prodotto industriale italiano di andare sui mercati internazionali con un 25% di costo in meno”. Fosse anche la metà, sarebbe abbastanza. Investimenti costosi, certo. Ma sappiamo dov’è la spesa pubblica improduttiva e dove tagliarla, perlomeno in Sicilia. E se non facciamo niente – come Italia, non solo come Sicilia – siamo semplicemente complici del suo sottosviluppo. E del nostro declino.



Corte dei Conti: "In Sicilia la politica più costosa d'Europa. Spreco di soldi pubblici"
di Giuseppe Pipitone | 28 febbraio 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02 ... ci/1463682

Più di tutte le altre Regioni d’Italia, più della Camera e del Senato, in certi casi ancora più caro rispetto agli altri paesi europei: è il costo della politica in Sicilia, finito al centro dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti, al Palazzo Steri di Palermo. È un dettagliato j’accuse agli sperperi della politica isolana quello contenuto nella relazione annuale di Giuseppe Aloisio, procuratore facente funzioni della Corte dei Conti di Sicilia. Un elenco di sprechi che spesso diventano oggetto d’indagine da parte dei magistrati contabili.

A leggere la relazione, il 2014 è l’annus horribilis per la spesa pubblica siciliana: le condanne per danno erariale ammontano infatti a 39 milioni di euro, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. E mentre le condanne raddoppiano, in crescita sono anche i nuovi casi d’indagine. Aloisio ha citato il caso “del presidente del consiglio e della quasi totalità dei consiglieri dell’ex Provincia regionale di Catania, ai quali è stato contestato il danno complessivo di circa 450mila euro per l’illegittima utilizzazione dei fondi assegnati per spese di missione e di funzionamento, ritenute non compatibili con le esigenze istituzionali dell’organo consiliare”.

La provincia etnea, all’epoca guidata da Giuseppe Castiglione, oggi sottosegretario, era finita al centro delle polemiche per i rimborsi a sei cifre chiesti e ottenuti dai suoi consiglieri: gagliardetti, t-shirt, bandierine, disegni in carta di papiro, tutti rigorosamente pagati con fondi pubblici. Ancora maggiore la cifra che secondo i magistrati contabili sarebbe stata ingiustamente spesa dai gruppi parlamentari all’Assemblea regionale siciliana tra il 2008 e il 2012. A giudizio sono finiti i sette capigruppo, ancora oggi indagati dalla procura di Palermo, per “l’illegittima utilizzazione dei fondi assegnati, non riconducibili agli scopi istituzionali del’Ars, con la contestazione di un danno erariale di un milione e 925 mila euro”.

Ma non è solo nei rimborsi e nei fondi parlamentari la chiave dello spreco: al centro della relazione dei magistrati contabili anche il caso dei gettoni di presenza. Aloisio ha citato il caso dei “consiglieri di un piccolo comune che hanno deciso di aumentare del 417 per cento il gettone di presenza: un danno di 650 mila euro circa”. Proprio in questi giorni è finita nella bufera la città di Agrigento, dove il consiglio comunale è riuscito a convocare 1.133 riunioni delle commissioni solo nel 2014: in pratica tre volte al giorno, tutti i giorni, incluso Natale e Ferragosto. Alla fine il costo per i bilanci comunali è stato di 285mila euro.

Ma non è solo la politica che spreca risorse pubbliche in Sicilia. “Tra i 39 milioni di euro di condanne per danno erariale troviamo un po’ di tutto: dai 5 milioni provocati dalla Formazione alla società che non ha riversato i biglietti per le aree archeologiche con un danno di 16 milioni” ha spiegato nella sua relazione Luciana Savagnone, presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti. Il riferimento è per il caso Novamusa, la società che dal 2003 gestiva i principali siti archeologici siciliani, dal teatro antico di Taormina, fino alle aree archeologiche di Segesta e Selinunte: solo che il costo dei biglietti per visitare i siti veniva trattenuto interamente dalla società privata, senza versare nelle casse della Regione siciliana la percentuale (il 70 per cento) di sua competenza.

“Nel settore della formazione professionale – continua Savagnone – è stata evidenziata, quale grave anomalia del sistema, l’eccessiva spesa di soldi pubblici, non tanto e non solo per formare lavoratori, ma per sostenere finanziariamente gli enti”. Già ribattezzata come il “buco nero” dei milionari finanziamenti di Bruxelles, il settore della formazione professionale siciliana finisce adesso nella relazione dei magistrati contabili. “Sembrerebbe trattarsi – scrivono – di una spesa fine a se stessa che rischia di trasformare lo scopo del settore, originariamente unicamente formativo, in uno scopo parassistenziale. La maggior parte delle condanne in questione sono state emesse nei confronti di enti di formazione, ritenuti responsabili di danno erariale per aver sottratto o distratto finanziamenti dal fine per cui erano stati concessi o per la mancata restituzione all’amministrazione erogatrice delle somme non ammesse a discarico”.

Sono 109 gli atti di citazione notificati a 255 amministratori del settore, per un danno di 48 milioni di euro. Pesanti bacchettate arrivano anche al settore delle assunzioni nel settore pubblico. “C’è un ricorrente spreco di risorse pubbliche nelle procedure di assunzione di personale o di ingiustificato riconoscimento ai dipendenti di qualifiche o livelli superiori da parte delle società in house della Regione siciliana i quali, nonostante il divieto posto a contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, hanno continuato a disporre reclutamento di personale non giustificato e vietato” ha detto il procuratore Aloisio. Che poi ha definito “il fenomeno, oggettivamente allarmante per la finanza pubblica regionale”. Come dire che a sprecare denaro non sono soltanto i politici ma anche la classe dei burocratici regionali.
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