Enflasion
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L’inflazione monetaria e la caduta dell’impero romano (1° parte)
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Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo Inflation and the Fall of the Roman Empire, tratto dal Ludwig von Mises Institute, scritto da Joseph R. Peden, saggista ed autore da varie pubblicazioni, ha insegnato storia al Baruch College of the City University of New York. Si tratta di una trascrizione della lezione da lui tenuta al Seminar on Money and Government a Houston in Texas, il 27 Ottobre 1984. La registrazione audio originale è qua reperibile. (Traduzione di Luca Fusari)
Due secoli fa, nel 1776, furono pubblicati in Inghilterra due libri entrambi ancora avidamente letti: La ricchezza delle nazioni di Adam Smith e Declino e caduta dell’impero romano di Edward Gibbon. Opera in più volumi, quella di Gibbon è il racconto di uno Stato che sopravvisse per dodici secoli in Occidente e per altri mille anni in Oriente a Costantinopoli.
Eppure nel guardare a questo fenomeno, Gibbon commentò che la sua meraviglia non era che l’Impero romano fosse caduto, quanto piuttosto che fosse durato così a lungo. Gli studiosi a partire da Gibbon hanno dedicato grande quantità di energia per esaminare questo problema: come è stato possibile che l’Impero romano sia durato così a lungo? E’ declinato o è stato semplicemente trasformato in qualcos’altro (quel qualcos’altro è la civiltà europea, di cui siamo gli eredi)?.
Mi è stato chiesto di parlare sul tema della storia romana, in particolare sul problema dell’inflazione e del suo impatto. La mia analisi si basa sulla premessa che la politica monetaria non può essere studiata o capita isolandola dalle politiche generali dello Stato. I temi monetari, fiscali, militari, e le questioni politiche ed economiche sono tutti molto intrecciati, e la ragione per cui lo sono è in parte dovuto al fatto che lo Stato, qualsiasi Stato, cerca di solito di monopolizzare l’offerta di denaro sul proprio territorio.
La politica monetaria serve sempre, anche se in modo pessimo, i bisogni percepiti dai governanti dello Stato. Se anche accade che possa migliorare la prosperità e il progresso delle masse del popolo ciò è un vantaggio secondario, ma il suo primo obiettivo è quello di soddisfare le esigenze dei governanti non del governato. Ritengo che questo punto sia centrale per la comprensione del corso della politica monetaria nel tardo Impero romano.
Possiamo iniziare osservando la mentalità dei governanti dell’Impero romano a partire dalla fine del II° secolo d.C. fino alla fine del III° secolo. Gli storici romani si riferiscono a questo periodo come la crisi del III° secolo, e la ragione è che i problemi della società romana in quel periodo erano così profondi, così enormi, che la società romana emersa dopo tale secolo fu molto, molto diversa in quasi tutti gli ambiti da quella che era stata nel I° e nel II° secolo. L’imperatore Settimio Severo diede questo consiglio ai suoi due figli Caracalla e Geta: «vivere in armonia, arricchire le truppe, ignorare tutti gli altri». Ora c’era una politica monetaria per cui essere ammirati!.
Caracalla non seguì la prima parte del consiglio, infatti uno dei suoi primi atti fu quello di uccidere il fratello. Prese così seriamente a cuore l’arricchimento delle truppe che sua madre protestò con lui invitandolo ad essere più moderato e di limitare le sue crescenti spese militari e le sue nuove assai onerose tasse. Lui rispose affermando che non c’erano più entrate giuste o ingiuste, ma di non preoccuparsi, indicando la spada disse «finché abbiamo questa non saremo a corto di soldi».
Le sue priorità furono rese più esplicite quando disse «a parte me nessuno dovrebbe avere del denaro, affinché io lo possa dare ai soldati». Fu di parola, alzò del 50% la paga dei soldati e per raggiungere questo obiettivo raddoppiò le imposte di successione versate dai cittadini romani. Quando questo non fu sufficiente a soddisfare le sue esigenze, diede a quasi tutti gli abitanti dell’impero la cittadinanza romana. Quello che fu un privilegio divenne semplicemente un mezzo di espansione della base imponibile.
Poi andò oltre, procedendo allo svilimento della moneta. La monetazione di base dell’impero romano in questo periodo, stiamo parlando del 211 d.C., era il denario d’argento (argenteus denarius) introdotto da Augusto alla fine del I° secolo prima di Cristo con circa il 95% di argento, la quale moneta continuò ad essere per due secoli il mezzo base di scambio nell’impero.
Al tempo di Traiano, nel 117 d.C., conteneva solo l’85% d’argento calando dal 95% di Augusto. Dall’età di Marco Aurelio, nel 180 d.C., il denario era per il 76% d’argento. Al tempo di Settimio la componente d’argento era scesa al 60%, Caracalla la livellò ulteriormente arrivando al 50%.
Caracalla fu assassinato nel 217 d.C. e dopo di lui seguì un’età che gli storici chiamano l’era dell’Anarchia militare o dei soldati imperatori, perché per tutto il III° secolo tutti gli imperatori provennero dall’esercito e tutti giunsero al potere con colpi di Stato militari o con qualcosa di simile. Ci furono circa 26 imperatori legittimi in questo secolo e solo uno di loro morì di morte naturale, il resto furono tutti assassinati o morirono in battaglia, il che fu assolutamente senza precedenti nella storia romana (con due precedenti eccezioni: il suicidio di Nerone e l’assassinio di Caligola).
Caracalla aveva anche svilito la moneta d’oro. Sotto Augusto circolavano 45 monete per una libbra d’oro. Caracalla ne fece 50 con una libbra d’oro. Meno di 20 anni dopo, circolavano 72 per una libbra d’oro, ridottesi a 60 alla fine del secolo da Diocleziano, solo per essere sollevate nuovamente a 72 da Costantino. Così anche la moneta d’oro fu inflazionata svilendola di valore.
Ma la vera crisi arrivò dopo Caracalla, tra il 258 e il 275 d.C., in un periodo di intense guerre civili e di invasioni estere, gli imperatori semplicemente abbandonarono a tutti gli effetti la moneta d’argento. Nel 268 d.C. c’era solo lo 0,5% d’argento nel denario. I prezzi in questo periodo aumentarono nella maggior parte dell’impero di quasi il 1000%. Le uniche persone che furono pagate in oro furono le truppe barbariche assunte dagli imperatori. I barbari erano così barbari che avrebbero accettato solo l’oro come pagamento per i loro servigi.
La situazione non cambiò fino a quando divenne imperatore Diocleziano nell’anno 284 d.C. Poco dopo la sua ascesa alzò il peso della moneta d’oro, l’aureo (aureus) a 60 monete per libbra da un minimo di 72. Ma dieci anni dopo abbandonò il conio argenteo, che da questo momento fu semplicemente una moneta di bronzo immerso in argento piuttosto rapidamente.
Egli l’abbandonò completamente e tentò di emettere una nuova moneta d’argento chiamato argenteo (argenteus) per 96 monete a libbra. Questo argenteus fu fissato come cambio pari a 50 dei vecchi denarii (del vecchio conio). Fu progettato per rispondere al bisogno di monete a più alta tariffazione sul mercato, per riflettere l’inflazione. Egli batté anche una nuova moneta di bronzo tariffata a 10 denarii chiamata nummo (nummus), ma meno di un decennio più tardi dalla sua emissione fu tariffato a 20 denarii, e l’argenteo andò da 50 denarii a 100; in altre parole nonostante gli sforzi di Diocleziano l’Impero soffrì un’inflazione del 100%.
Seita (seguita, continua)
L’inflazione monetaria e la caduta dell’impero romano (2° parte)
Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano della seconda parte (qua la prima) dell’articolo Inflation and the Fall of the Roman Empire, tratto dal Ludwig von Mises Institute, scritto da Joseph R. Peden, saggista ed autore di varie pubblicazioni, ha insegnato storia al Baruch College of the City University of New York. Si tratta di una trascrizione della lezione da lui tenuta al Seminar on Money and Government a Houston in Texas, il 27 Ottobre 1984. La registrazione audio originale è qua reperibile. (Traduzione di Luca Fusari)
Il successivo imperatore che interferì con la moneta in modo significativo fu Costantino, il primo imperatore cristiano di Roma. Nel 312, in prossimità dell’emissione dell’Editto di Tolleranza per il Cristianesimo, Costantino emise una nuova moneta d’oro che chiamò con un nuovo nome: il solido (solidus) d’oro massiccio. Furono coniate 72 monete per libbra, sicché fu degradato più delle monete di Diocleziano.
La questione e le perplessità che gli storici si sono posti è su dove egli abbia preso tutto quell’oro; in realtà non è un vero e proprio rompicapo una volta che si inizia a guardare alla legislazione che ha avuto luogo.
Prima di tutto Costantino introdusse due nuove imposte.
La tassa sui possedimenti dei senatori fu una novità, poiché i senatori erano generalmente liberi dalla maggior parte delle imposte sulla loro terra.
Inoltre stabilì una tassa sul capitale dei mercanti; non sui loro guadagni ma sul loro capitale.
Questa venne riscossa ogni cinque anni e doveva essere versata in oro.
Inoltre richiese che gli affitti delle proprietà imperiali, che fossero affittati ad inquilini, dovessero essere pagati solo in oro. Prese le riserve di lingotti del suo ex compagno Licinio, il quale li aveva a sua volta estorti con la forza dalle città orientali dell’Impero. In altre parole i lingotti d’oro o d’argento del tesoro delle città furono semplicemente requisiti da Licinio. Quest’oro passò poi nelle mani di Costantino dopo essersi sbarazzato di Licinio in una guerra civile.
Stiamo anche dicendo che Costantino spogliò i templi pagani dei loro tesori. Questo lo fece piuttosto tardi durante il suo regno, a quanto pare inizialmente aveva ancora un po’ di paura nel far arrabbiare gli dei di Roma. Quando però la cristianità divenne più presente, sentì di poter derubare i templi pagani con maggior facilità. La riforma di Costantino, in un certo senso, iniziò l’inversione del processo: la coniazione della moneta d’oro fu sufficientemente estesa che cominciò a prendere piede e a circolare più liberamente.
Tuttavia la coniazione della moneta d’argento fallì, quel che era peggio il governo centrale non cercò di controllare il flusso di moneta a gettone coniata in questo periodo. Il risultato di tutto questo fu che la monetazione venne coniata non solo dalle zecche imperiali ma anche dalle zecche delle città provinciali (in rosso le aree di coniazione, n.d.t.).
In altre parole, se una città non poteva pagare i suoi costi e il pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti, semplicemente batteva un po’ di moneta e la emetteva. Entro la fine del III° secolo si cominciò ad avere in forma massiccia ciò che i numismatici chiamano moneta contraffatta, anche se bisognerebbe chiamarla credito odierno. La gente aveva bisogno di spiccioli e semplicemente andava a produrseli, il che ovviamente significò che la quantità di moneta in circolazione fu incontrollata e sempre più massiccia.
Una delle cose che accaddero nel corso di questa inflazione del III° secolo fu la scoperta da parte del governo che, quando pagava le sue truppe con la monetazione coniata a gettone o anche con monete d’argento svalutate, i prezzi aumentavano subito. Ogni volta che il valore d’argento del denario scese i prezzi ovviamente aumentarono, e il risultato di tutto questo fu che il governo, al fine di cercare di proteggere i suoi funzionari e i suoi soldati dagli effetti dell’inflazione, cominciò ad esigere il pagamento delle tasse in natura e con servigi anziché in moneta. Liquidarono la moneta ripudiando i propri problemi e non accettandola per la riscossione delle imposte.
Con la riforma di Costantino questa situazione cambiò un po’ più lentamente ma inesorabilmente, il governo cominciò ad allontanarsi dalla riscossione delle imposte e dal pagamento dei salari in natura privilegiando invece l’oro. Nel lungo periodo questo significò che un gold standard fu rafforzato e l’oro rimase la vera moneta dell’Impero Romano.
Tuttavia l’inflazione per le masse del popolo non finì. In altre parole, l’oro fu una copertura contro l’inflazione per chi l’aveva, e questi furono principalmente le truppe e i funzionari pubblici. I contribuenti dovettero acquistare queste monete d’oro per pagare le tasse e così, se erano abbastanza ricchi, potevano permettersi di acquistare queste monete d’oro le quali erano sempre più costose in termini di denaro gettone. Se si fosse stati più poveri semplicemente non si poteva pagare le tasse, e questo significava la perdita delle terre e in un modo o nell’altro si finiva per diventare dei delinquenti.
Sentiamo costanti riferimenti su persone che abbandonarono la loro terra scomparendo. E’ un dato di fatto nel III° secolo e fu un problema costante a Roma: tutte le tipologie di persone stavano cercando di sfuggire alle maggiori imposte che necessitavano i militari. L’esercito stesso crebbe, dal tempo di Augusto quando era di circa 250 mila soldati, agli oltre 600 mila uomini del tempo di Diocleziano. L’esercito raddoppiò nel corso di questa spirale inflazionistica, e ovviamente contribuì notevolmente all’inflazione.
Inoltre l’amministrazione dello Stato crebbe enormemente. Sotto Augusto essenzialmente vi era l’amministrazione imperiale a Roma, i governatori delle varie province al secondo livello di amministrazione, e quindi le primarie unità governative dell’Impero Romano che in quel momento erano le città. Al tempo di Diocleziano questo modello venne spezzato. Non si aveva più un imperatore ma quattro imperatori. Il che significava quattro corti imperiali, quattro guardie pretoriane, quattro palazzi, quattro staff, eccetera.
Sotto di loro vi erano quattro prefetture pretoriane, delle unità amministrative regionali con il loro personale e i loro bilanci. Queste quattro prefetture furono poi divise in 12 diocesi, ogni diocesi aveva del personale amministrativo e così via. Sotto i governanti diocesani, i vicari della diocesi, abbiamo le province. Al tempo di Augusto c’erano circa 20 province, trecento anni dopo, senza alcun aumento sostanziale del territorio, ci furono oltre un centinaio di province. Avevano semplicemente cominciato a dividere e suddividere le province allo scopo di mantenere il controllo militare all’interno di queste regioni. In altre parole, il costo amministrativo e di polizia dello Stato romano diventò sempre più enorme.
Tutti questi costi sono alcuni dei motivi per cui l’inflazione ha avuto luogo, ne dirò altri in un attimo. Per darvi un’idea della situazione dopo la riforma aurea di Costantino vorrei solo brevemente aggiungere le cifre di quanto costò in termini di monete d’argento, gettoni, denari, e in libbra d’oro. Al tempo di Diocleziano, nell’anno 301 d.C, egli fissò il prezzo a 50 mila denari per una libbra d’oro. Dieci anni dopo salì a 120 mila. Nel 324 d.C., 23 anni dopo che fu fissata a 50 mila, arrivò a 300 mila, e nel 337 d.C., anno della morte di Costantino, una libbra d’oro valeva 20 milioni di denari.
Tra l’altro, così come a tutti è familiare la moneta tedesca degli anni ’20 del XX° secolo e la sua estesa stampa, la monetazione romana aveva anche bolli e sovra-timbri sul metallo, indicanti multipli di valore. A un certo punto Diocleziano ebbe una meravigliosa idea: invece di emettere una moneta unica ideò un metodo per gestire l’inflazione. Prese delle monete in bronzo e le mise in un sacchetto di pelle e lo chiamò ‘follaro’ (‘follis’), la gente cominciò passarsi questi sacchetti tra loro come valore.
Credo che fosse l’equivalente romano di quei cestini di carta che vediamo nelle immagini della Germania degli anni ’20. E’ interessante notare che, entro dieci anni o giù di lì dalla sua adozione, la parola ‘follaro’ indicante questo sacchetto di monete ormai indicava le monete. Non poterono nemmeno tenere i sacchetti stabili anche loro si erano inflazionati.
Con tutta questa inflazione, vi è una cosa interessante che penso debba esserci di grande conforto: gli storici dei prezzi dell’Impero romano giunsero alla conclusione che nonostante tutta questa inflazione (o forse dovremmo dire a causa di tutta questa inflazione) il prezzo dell’oro, in termini di potere d’acquisto, rimase stabile dal I° al IV° secolo. In altre parole l’oro rimase in termini di potere d’acquisto un valore stabile, mentre tutto questo conio diventò sempre più inutile.
L’inflazione monetaria e la caduta dell’impero romano (3° parte)
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Proponiamo in ANTEPRIMA per L’indipendenza la traduzione integrale in italiano della terza parte (qua la prima e la seconda) dell’articolo Inflation and the Fall of the Roman Empire, tratto dal Ludwig von Mises Institute, scritto da Joseph R. Peden, saggista ed autore di varie pubblicazioni, ha insegnato storia al Baruch College of the City University of New York. Si tratta di una trascrizione della lezione da lui tenuta al Seminar on Money and Government a Houston in Texas, il 27 Ottobre 1984. La registrazione audio originale è qua reperibile. (Traduzione di Luca Fusari)
Quali furono le cause di questa inflazione?
Prima di tutto le guerre.
La paga dei soldati salì dai 225 denarii durante il periodo di Augusto a 300 denarii al tempo di Domiziano, circa un centinaio di anni più tardi. Un secolo dopo Domiziano, al tempo di Settimio era tra i 300 e i 500 denarii, circa 10 anni dopo al tempo di Caracalla era a 750 denarii.
In altre parole, il costo dell’esercito aumentò anche in termini di conio, così man mano che la moneta divenne più inutile, il costo dell’esercito aumentò.
L’anticipo versato al soldato nel prosieguo del III° e nel IV° secolo non ci è noto, non abbiamo dati.
Uno dei motivi è che i soldati furono sempre pagati in termini di richieste di forniture e in beni in natura. Gli fu letteralmente dato cibo, vestiario, alloggio e altre materie prime in sostituzione della retribuzione; e venne applicato anche al servizio civile.
Dopo l’ascesa al potere se un imperatore romano si rifiutava di pagare un donativo (un bonus dato ai soldati) veniva semplicemente ucciso dalle sue truppe.
I Romani ebbero questo tipo di problema anche nei giorni della Repubblica: se i soldati non venivano pagati erano piuttosto risentiti.
I donativi stanziati all’ascesa di un nuovo imperatore fin dai tempi di Augusto, nel III° secolo cominciarono ad essere stanziati ogni cinque anni.
Al tempo di Diocleziano i donativi erano erogati ai soldati ogni anno, in tal modo diventò parte del loro salario di base.
La dimensione dell’esercito aumentò.
Raddoppiò dal tempo di Augusto a Diocleziano, fu così anche per la dimensione del servizio civile che ho citato.
Tutti questi eventi portarono le risorse fiscali dello Stato oltre la loro capacità di sostenere se stesse, e lo svilimento e la tassazione furono entrambi utilizzati per mantenere la nave dello Stato; frequentemente con eliminazioni, poi attraverso la tassazione, spesso semplicemente accusando le persone di tradimento per poi poter confiscare a loro le proprietà.
Uno dei Padri cristiani, san Gregorio di Nazianzo, commentò che la guerra è la madre delle tasse e penso che sia una cosa importante da tenere a mente: la guerra è la madre delle tasse.
Ed è anche ovviamente la madre dell’inflazione.
Quali furono le conseguenze dell’inflazione?
Una delle cose strane circa l’inflazione durante l’Impero romano è che mentre lo Stato romano sopravvisse (lo Stato romano non fu distrutto dall’inflazione) ciò che andò distrutto dall’inflazione fu la libertà del popolo romano, in particolare la prima vittima fu la loro libertà economica.
Roma ebbe fondamentalmente un modello di laissez-faire nei rapporti tra Stato ed economia.
Tranne in casi di emergenza, che erano solitamente legati alla guerra, il governo romano in genere seguì una politica di libero scambio e di minima restrizione sulle attività economiche della sua popolazione. Ma sotto la pressione della necessità di pagare le truppe e sotto la pressione dell’inflazione, la libertà del popolo cominciò ad essere seriamente erosa molto rapidamente.
Potremmo iniziare con la classe nota come i decurioni.
Questa era una prospera classe di proprietari terrieri medio-piccoli, furono gli elementi dominanti nelle città dell’impero romano.
Erano la classe da cui venivano scelti i consigli municipali, i magistrati e i funzionari.
Tradizionalmente vedevano il servizio nei governi delle loro città come un onore e rispondevano a questo compito donando non solo il loro tempo ma anche la loro ricchezza al miglioramento dell’ambiente urbano: la costruzione di stadi e terme, la riparazione delle strade e la fornitura di acqua pura.
Erano considerati dei benefattori, una specie di filantropia, e la loro ricompensa era ovviamente il riconoscimento pubblico e la stima.
Nella metà del III° secolo, a questa classe fu assegnato il compito di raccogliere le tasse nelle municipalità.
Il governo centrale non poté più raccogliere le tasse in modo efficace, così fece collettivamente responsabile la classe dei decurioni circa l’ottenimento dell entrate le quali dovevano poi essere mandate al governo imperiale. I decurioni ovviamente ebbero molte difficoltà, come chiunque altro, e i ritorni furono spesso inadeguati.
Così il governo risolse il problema semplicemente approvando una legge: qualsiasi imposte che i decurioni non fossero in grado di raccogliere dagli altri, le avrebbero dovute pagare di tasca propria. Questo è noto come incentivo alla raccolta delle tasse.
Come si può ben immaginare, con le crisi sempre più grandi e l’economia distrutta da guerre civili, invasioni e dagli effetti dell’inflazione, i decurioni “stranamente” non vollero più essere decurioni, e cominciarono ad abbandonare le loro terre, le loro città, e a fuggire ovunque potessero trovare rifugio presso altre grandi città o in altre province.
Ma non furono autorizzati a farlo impunemente, venne approvata una legge che sanzionava ogni decurione scoperto fuori sede con l’arresto, legato come uno schiavo veniva riportato nella sua città natale e alla sua dignità di decurione.
Il III° secolo fu anche il periodo della persecuzione nei confronti della chiesa, e troviamo che alcuni degli imperatori dovettero avere del senso dell’umorismo, dato che approvarono che se un cristiano fosse stato arrestato e condannato alla pena capitale per il suo credo in Cristo, non doveva essere subito giustiziato ma gli veniva offerta la possibilità di diventare un decurione.
I mercanti e gli artigiani erano tradizionalmente organizzati in gilde, in camere di commercio e quel genere di cose.
Furono sottoposti alla pressione del governo, poiché questo non poteva ottenere abbastanza materiale per la macchina da guerra attraverso i canali regolari (le persone non accettavano tutta la monetazione a gettone), furono così costrette a fare consegne di merci.
Se si possedeva una fabbrica di indumenti si doveva consegnare parecchi capi di abbigliamento pretesi dal governo.
Se si possedeva navi si doveva trasportare su di esse le merci del governo.
In altre parole una sorta di nazionalizzazione delle imprese private, e questa nazionalizzazione significò che le persone che rischiavano i loro soldi e il loro talento furono costrette a servire lo Stato che lo volessero oppure no. Quando le persone cercavano di uscire da questa condizione furono costrette per legge a rimanere nella loro professione. In altre parole non si poteva cambiare lavoro o business.
Questo non fu sufficiente perché dopo tutto la morte è sempre un sollievo dalle tasse, e così le occupazioni divennero ereditarie.
Quando il padre moriva, suo figlio doveva obbligatoriamente prendere in mano la sua attività, il suo commercio, la sua professione.
Se tuo padre era un calzolaio si doveva essere un calzolaio.
Queste leggi iniziarono con l’essere applicate alle industrie legate alla difesa, ma ovviamente a poco a poco ci si rese conto che tutto era legato alla difesa.
seita